Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Per buona parte del Novecento e fino alla rivoluzione dei Garofani (1974) il Portogallo sembra scontare un declino irreversibile rispetto al suo ingombrante passato di impero coloniale di livello mondiale. Se nel 1910 scompare la monarchia dei Braganza, la modernizzazione politica legata all’avvento di una repubblica democratica si dimostra assai gracile, benché essa sia sostenuta dal tradizionale rapporto con la Gran Bretagna. Nel corso dei decenni successivi, tuttavia, sarà un singolare esperimento politico di Stato autoritario, fondato sul cattolicesimo tradizionale (salazarismo) a traghettare il Paese verso un difficile processo di decolonizzazione, le cui ultime fasi si dimostreranno decisive per la fine del regime. Nell’ultimo quarto di secolo, i rapporti con l’Europa e la forte accelerazione della modernizzazione politica ed economica ne caratterizzano il dislocarsi tra le moderne democrazie occidentali.
Il crollo dell’impero coloniale, la disfatta della monarchia, la proclamazione della Repubblica
All’avvio del Novecento, il Portogallo presenta in tutta la loro pregnanza le caratteristiche che ne fanno un Paese in declino sulla scena mondiale e, più specificamente, europea: la perdita del Brasile (1825), che per buona parte dell’età moderna era stato un sostegno formidabile alla sua economia; il regime di sostanziale monocultura viticola del territorio metropolitano collegato alla subalternità del commercio estero rispetto alla Gran Bretagna e al suo impero; l’incapacità di unire territorialmente le grandi colonie africane dell’Angola e del Mozambico (1891) e il peso cospicuo della gestione sia dell’impero africano che di ciò che resta dei possedimenti asiatici sulla debole finanza statale. Tutto ciò ha fatto per buona parte disperdere i vantaggi politici della lunga fase costituzionale della monarchia, avviata negli anni Trenta dell’Ottocento, sotto la decisiva influenza liberale britannica, e che pure ha avuto risultati cospicui, sia in termini di progressiva crescita della partecipazione popolare alla vita dello Stato, sia per la sua laicizzazione, sia, per quanto riguarda i sudditi coloniali, per l’abolizione della schiavitù. La monarchia di Carlo I di Braganza (1863-1908), assillata dai problemi di finanza pubblica che trascura clamorosamente mentre la corte conduce una politica dissipatrice, suscitando lo sdegno dell’opinione pubblica, sceglie, perciò, la strada della dittatura e della sospensione delle garanzie costituzionali (1906-1908). La componente terroristica dei nuovi movimenti politici che, nell’Europa meridionale e orientale attecchisce fortemente, risponde, come altrove, con l’assassinio del sovrano e del suo primogenito Luigi Filippo (1° febbraio 1908). Né la personalità del suo successore, il secondogenito Manuel II (1889-1932), minorenne e sotto la reggenza della madre, è in grado di porre rimedio al discredito della monarchia. Nonostante la sua rinuncia al regime autoritario, infatti, viene deposto da un colpo di Stato militare il 4 ottobre 1910. Di fronte alla debolezza di qualsiasi altra istanza politica, un gruppo di intellettuali repubblicani, il giorno dopo la caduta della monarchia, proclama la Repubblica il 5 ottobre. Un’Assemblea Costituente emana una Costituzione democratica (1911) e, assieme, provvedimenti importanti volti alla modernizzazione dello Stato in senso laico, alla nascita di un sistema di educazione pubblica, al riconoscimento dei sindacati e del diritto di sciopero. Le difficoltà politiche del nuovo governo repubblicano sono tuttavia enormi, poiché esso si trova stretto fra le richieste avanzate da un sindacato di tendenza rivoluzionaria e la reazione dei monarchici che hanno la maggioranza alle Cortes. Riconfermando i propri rapporti politici con l’Europa democratica, la giovane Repubblica interviene nel conflitto mondiale e si schiera a fianco dell’Intesa. Ma sia le minacce concrete che la Germania porta all’impero portoghese, sia l’impoverimento complessivo dei Paesi in guerra, favoriscono le reazioni dei militari e dei realisti. Assai significativa, in questo senso, l’insurrezione, fallita, di Porto del 1919, proprio all’indomani della fine, vittoriosa per le potenze dell’Intesa e quindi anche per il Portogallo, del primo conflitto mondiale.
Il colpo di Stato militare: l’inizio della dittatura
Nonostante la cronica instabilità dei governi repubblicani e la prevedibile sequenza di nuovi tentativi golpisti di militari e realisti, le elezioni del 1925 decretano la vittoria della sinistra e sembrano rafforzare il regime democratico. Ma la situazione internazionale è profondamente mutata. Se la deriva dittatoriale trova nell’Italia fascista una sponda importante, gli interlocutori più immediati della giovane repubblica portoghese sono l’Inghilterra – in cui si è esaurita la breve esperienza laburista di James Ramsay MacDonald (1866-1937) e, in un clima rigidamente anticomunista, tornano al governo i conservatori – e la Spagna, in cui la dittatura di Primo de Rivera (1870-1930) si è consolidata. Esse spingono in direzione opposta rispetto al risultato delle elezioni del 1925. Non stupisce che un ennesimo golpe, di cui si rende protagonista il generale Manuel Gomes da Costa (1863-1929), abbia questa volta successo e che dopo qualche mese si ponga alla guida del Paese il generale Antonio Carmona (1869-1951), il quale nel 1928 viene eletto presidente, carica che ricopre fino alla morte, nel 1951. La più importante personalità della dittatura è l’economista António de Oliveira Salazar (1889-1970), che dal 1932 ricopre la carica di presidente del Consiglio e realizza, vero artefice della cosiddetta seconda Repubblica, l’Estado novo.
La dittatura militare portoghese si sviluppa in un regime paternalistico, autoritario, corporativo e cattolico, formalizzato nella Costituzione del 1933. Vengono sciolti tutti i partiti, ivi compreso quello fascista, anche se rimane in piedi un sistema elettorale, divenuto censitario per l’elezione, ogni quattro anni, di una delle due Camere e ogni sette anni del capo dello Stato, ma i candidati sono espressione del governo salazarista. Lo stesso anno con l’emanazione dello statuto dei lavoratori, gli operai sono obbligati a iscriversi ai sindacati nazionali, mentre i datori di lavoro si riuniscono in grémios (corporazioni). La seconda Camera, detta delle corporazioni, testimonia la similarità con il modello fascista assunto dalla rappresentanza politica portoghese. Nel 1940 il regime stipula un concordato con il Vaticano e restituisce alla Chiesa la maggior parte dei beni confiscati dalla repubblica nel 1910, reintroducendo l’insegnamento religioso nelle scuole.
Caratteri ambigui si ritrovano nella politica estera di Salazar: favorevole al colpo di Stato franchista e al suo esito vittorioso in Spagna, egli sceglie la neutralità all’inizio della seconda guerra mondiale. La scelta corrisponde bene, del resto, ai tradizionali rapporti con il Regno Unito, per cui, quando l’esito della guerra assume un carattere prevedibile, Salazar permette, nel 1943, alla Gran Bretagna e, nel 1944, agli Stati Uniti di utilizzare l’arcipelago della Azzorre come basi aeronavali, decisione che consentirà al Portogallo l’adesione alla NATO nel 1949 e, dopo il 1955, l’ingresso all’ONU. Il riavvicinamento all’Occidente democratico, anche come conseguenza del grave disagio economico legato alla guerra e al secondo dopoguerra mondiale, spinge il regime a modeste forme di liberalizzazione interne. Nel 1949 il governo indice “libere elezioni”, alle quali non partecipa alcuno schieramento d’opposizione. Nelle elezioni presidenziali del 1958, le prime dopo la morte di Carmona (1951), l’opposizione presenta come candidato il generale Humberto Delgado (1906-1965), che ottiene il 25 percento dei voti, ma viene costretto a chiedere asilo all’ambasciata brasiliana a Lisbona nel gennaio del 1959, e successivamente a rifugiarsi all’estero dove diventa il maggior esponente della lotta clandestina contro il governo. Prima il sequestro (1961) del transatlantico Santa Maria effettuato sull’Atlantico, da parte del comandante Henrique Galvão, legato a Delgado, poi l’assassinio (avvenuto in Spagna nel febbraio del 1965) di Delgado, testimoniano che il regime è incapace di autoriformarsi, di fronte a un’opposizione (caso Galvão) dai tratti assai discutibili. Tuttavia, il Paese nel corso degli anni Sessanta attraversa una positiva fase di crescita, in particolare nel settore industriale, dove, tra il 1960 e il 1966, si assiste a un aumento dell’ordine del 50 percento. L’emigrazione diviene un’importante risorsa, in termini di rimesse, e avvicina i Portoghesi all’Europa comunitaria, dove in gran parte questa emigrazione si dirige, e anche i problemi vitivinicoli aspettano nuove soluzioni da rapporti più stretti con la CEE. La svolta politica sopraggiunge nel settembre 1968, quando in seguito a un’emorragia cerebrale António Salazar è costretto ad abbandonare il potere. Gli succede Marcelo Caetano (1906-1980), che cerca di attuare una graduale liberalizzazione del regime: attenua la censura e libera alcuni prigionieri politici, oppositori del regime. Alle elezioni politiche dell’ottobre 1969 si ha la partecipazione di modesti gruppi d’opposizione, ma soprattutto la percentuale della popolazione astenuta sale al 39 percento.
La guerra nelle colonie e il ritorno alla democrazia
La morte di Salazar (1970) non basta a trasformare il regime, che si regge sul ruolo preponderante dell’esercito impegnato strenuamente nella difesa dell’impero coloniale. L’ultimo e più autentico residuo del vecchio colonialismo è infatti costituito dalle tre colonie portoghesi di Guinea, Mozambico e Angola. Il Portogallo, considera quelle tre regioni come parti integranti del territorio metropolitano. In esse nasce un movimento di indipendenza nazionale, sollecitato e finanziato dagli Stati africani confinanti. La lotta dei partiti africani assume presto carattere terroristico e a essa il Portogallo risponde con la repressione militare, affrontando decenni di guerre nelle colonie e impegnando fino a metà del proprio magro bilancio nazionale nelle spese per la salvaguardia dell’impero. L’estenuante prosieguo delle guerre coloniali, ormai senza via d’uscita, genera nei giovani ufficiali mal pagati e tenuti in scarsa considerazione, uno stato di agitazione e molti di loro vengono influenzati dall’ideologia marxista dei movimenti di liberazione. Nell’aprile del 1974 un colpo di Stato militare cancella senza violenza (da qui il nome di rivoluzione dei Garofani) il regime salazariano e ricostruisce un sistema politico democratico, richiamando dall’estero i leader dei partiti in esilio. La rivoluzione, organizzata da militari subalterni, viene appoggiata dal generale Antonio de Spinola (1910-1996), che diventa il leader della giunta rivoluzionaria e il 15 maggio assume la carica di presidente della Repubblica. Forte del suo prestigio, legalizza i partiti politici e i sindacati, abolisce la censura, sopprime la polizia politica e annuncia che le elezioni politiche si svolgeranno a suffragio universale. Del nuovo governo, oltre a esponenti militari, entrano a far parte comunisti, socialisti e socialdemocratici del Partito Popolare Democratico. Nonostante il complesso equilibrio tra le varie forze in gioco, in cui un ruolo non piccolo mantengono elementi radicali delle forze armate, la nuova democrazia politica portoghese si consolida e riesce a portare a compimento senza traumi eccessivi il suo processo di decolonizzazione in Africa (1975), grazie all’operato del leader socialista Mario Soares (1924-), divenuto ministro degli Esteri. Dalle elezioni del 25 aprile 1975 emerge che le forze di estrema sinistra rappresentano un’esigua minoranza dell’elettorato, mentre la sinistra moderata, grazie al 38 percento dei voti ottenuti dal Partito Socialista e al 26 percento dei voti dei socialdemocratici, conquista la vittoria. In questa tornata elettorale i partiti di centrodestra, di fatto, non partecipano alla campagna elettorale. Ai primi di aprile dell’anno successivo è in vigore la nuova Costituzione, di quella che viene anche denominata la terza Repubblica, che delinea una singolare simbiosi di modello presidenziale e di democrazia occidentale, in cui sono inseriti riferimenti a una visione della realtà marxista-leninista di cui sono portatori gli elementi radicali dell’esercito. Il governo ha una doppia responsabilità nei confronti del presidente e del parlamento, entrambi eletti a suffragio universale. L’andamento delle elezioni presidenziali e di quelle legislative, nel corso del quindicennio successivo, assumendo un carattere del tutto in sintonia con i movimenti politici dell’Europa occidentale e relegando a ruoli sempre più marginali le sinistre radicali, farà sì che una parziale riforma della Costituzione, che entra in vigore nel 1989, veda eliminati i riferimenti al marxismo-leninismo. Così nelle elezioni parlamentari del 25 aprile 1976 la principale forza politica del Paese diviene il Partito Socialista, che conquista il 35 percento dell’elettorato, seguito dai socialdemocratici con il 24,5 percento, più a destra il Centro Democratico e Sociale (CDS), poi PP, con il 16 percento, mentre i comunisti ottengono il 15 percento e gli estremisti di sinistra meno del 2 percento. Con il 61 percento dei voti viene eletto presidente della Repubblica nel giugno del 1976 il generale Antonio Ramalho Eanes (1935-). Naturalmente la giovane democrazia portoghese paga lo scotto dell’inesperienza delle sue forze politiche, di fronte ai problemi di profonda trasformazione del Paese che esse devono affrontare. Si tratta di modernizzare le campagne, in cui sono ancora molto forti le grandi proprietà latifondiste; di avviare l’apparato produttivo verso una moderna democrazia industriale. La vocazione europea del popolo portoghese, al di là di alcune periodiche incertezze legate a vicende congiunturali, è testimoniata proprio nella scelta che l’elettorato compie tra due grandi sistemi politici: da una parte la sinistra, in cui elemento egemonico rimane il Partito Socialista di Mario Soares, per due volte chiamato alla guida dello Stato, mentre i comunisti, sia pure con esiti elettorali alterni e pur con qualche incertezza ideologica, situandosi all’interno del cosiddetto “eurocomunismo”, rimangono componente minoritaria e legalitaria; dall’altra il centrodestra, in cui emergono, come protagonisti destinati a contendersi l’egemonia nell’area, i socialdemocratici e i popolari.
Con l’elezione alla presidenza di Soares, che succede a Eanes – il quale ha ricoperto la carica per dieci anni – al Paese vengono riconosciuti i titoli politici ed economici per l’ingresso nella Comunità Europea, che avviene il 16 febbraio 1986. Come altre volte è avvenuto nelle legislature precedenti, a un presidente di sinistra l’elettorato affianca un partito di maggioranza di centrodestra. Nelle elezioni del 1987 i socialdemocratici conquistano il 59 percento dell’elettorato e con l’intento di rilanciare l’economia il primo ministro si allea con i socialisti, apportando la già citata modifica alla Costituzione, in parte anticipata nel 1982, che abolisce le barriere innalzate dai radicali di sinistra tra il 1974 e il 1976 a difesa delle nazionalizzazioni e contro la privatizzazione dell’informazione e, soprattutto, cancella il diritto di controllo sull’andamento politico dello Stato che i militari rivoltosi del 1974 si erano riservati. I successi ottenuti grazie alla diminuzione dell’inflazione, allo sviluppo economico, alla riduzione della disoccupazione, all’afflusso di capitali stranieri non accreditano, come era prevedibile, un maggiore consenso popolare, al contrario ai socialdemocratici si addebita un incremento delle disuguaglianze sociali. Alle elezioni del 1991, tuttavia, i Portoghesi riconfermano con un voto plebiscitario Mario Soares alla presidenza della Repubblica e accordano la maggioranza assoluta ai socialdemocratici. Aníbal Cavaco Silva (1939-) riassume la carica di primo ministro e indirizza verso un orientamento liberale l’economia, anche se non riesce a bloccare la recessione in cui versa il Paese. L’insoddisfazione della popolazione sfocia in manifestazioni di protesta e scioperi che evidenziano l’ostilità verso il governo, diventato ormai impopolare. Perfino le elezioni europee del 1994 sono accolte con scetticismo dalla maggioranza degli elettori, che considerano l’Unione Europea responsabile della crisi del Paese. Alle elezioni legislative dell’ottobre 1995 i socialisti vincono la consultazione, e per la prima volta governano da soli. La continuità della scelta europeista del Paese non viene affatto modificata, ché anzi il primo ministro Antonio Guterres sostanzia la sua linea politica degli obiettivi economici fissati dal trattato di Maastricht. Il momento felice dei socialisti viene confermato dalla successione a Soares, alla guida dello Stato, di Jorge Sampaio (1939-), rieletto nelle successive presidenziali del 2001.
L’economia, a partire dal 1997, mostra segni di ripresa e questa fase di crescita consente al Portogallo di qualificarsi per l’ingresso nell’area dell’euro, nel maggio del 1998. Anche in politica estera la diplomazia portoghese si mostra particolarmente abile nel condurre in porto il negoziato con l’Indonesia per l’autodeterminazione di Timor orientale, mentre alla fine di quello stesso anno, dopo quattro secoli, Macao viene restituita alla Cina. Le prime difficoltà politiche per i socialisti si manifestano sulle due proposte del governo riguardanti l’aborto e l’accrescimento del potere regionale, entrambe bocciate da un referendum (giugno del 1998). L’insuccesso nelle elezioni amministrative spinge il primo ministro Guterres a dimettersi e a indire elezioni anticipate, che si svolgono nel marzo del 2002. Il Partito Socialdemocratico si impone con il 40,12 percento dei consensi, contro il 37,85 percento del Partito Socialista. Questa vittoria risicata porta il nuovo primo ministro José Manuel Durao Barroso (1956-), ad attuare un governo di convergenza “democratica” con la destra nazionalista del Partito Popolare. Ciò nonostante, il prestigio dell’uomo di governo portoghese viene rafforzato, sul piano internazionale, dal vertice del marzo 2003, in cui Bush, Blair, Aznar, ospiti di Barroso nelle Azzorre, decidono la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, nonostante le perplessità e la contrarietà di Francia e Germania. Il premier portoghese mantiene tuttavia una posizione meno impegnata rispetto a quella degli altri partner europei interventisti; molti osservatori leggono in questo atteggiamento politico moderato una delle ragioni che l’anno successivo portano la candidatura di Barroso al successo quale presidente della Commissione europea e successore di Prodi. Il primo ministro abbandona la guida del suo governo, trasferendosi a Bruxelles. La successione ha un esito letale per la coalizione di centrodestra, perché alle elezioni anticipate del febbraio del 2005 i socialisti vincono la consultazione e il loro leader, José Socrates (1957-), diviene primo ministro.