Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XIX secolo il nuovo indirizzo di ricerca inaugurato in Francia da Auguste Comte dà vita in molti paesi a una serie di studi e di ricerche a esso ispirati che conducono a risultati originali. Il positivismo non è una scuola vera e propria quanto piuttosto un’ampia corrente della riflessione filosofico-scientifica che incrocia la sensibilità verso i problemi e i risultati della scienza con le acquisizioni della ricerca darwiniana e comprende un insieme di proposte teoriche molto variegato nei temi e nei risultati.
Il positivismo come fenomeno nazionale
Già negli anni Trenta ma soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, in Italia, in Francia, in Inghilterra e in Germania (ma anche in America Latina) si viene affermando un modo di intendere il ruolo della scienza, il suo statuto epistemologico e il suo rapporto con la filosofia ispirato ai lavori di Auguste Comte e alla sua riflessione sulla scienza positiva. L’affermarsi di questa nuova cultura filosofica avviene in una situazione sociale e politica segnata da una lenta modernizzazione della società, dalla costituzione di comunità scientifiche nazionali e, come accade in Italia e in Germania, dalla nascita degli stati unitari.
Si tratta di un movimento entro il quale confluiscono, oltre ai risultati dell’analisi comtiana, anche altre idee maturate in contesti teorici diversi. Il positivismo inglese, per esempio, risulta caratterizzato da un incrocio di alcune idee comtiane, da un lato, con la riflessione utilitarista e, dall’altro, con quella darwiniana, mentre il positivismo tedesco ha una radice più esplicitamente materialista. Il positivismo italiano è invece segnato da un interesse per la riflessione di Herbert Spencer e per il positivismo tedesco. Il positivismo francese si è ispirato più direttamente alla ricerca di Comte.
Pur segnate da specifiche differenze, le diverse correnti del positivismo condividono l’idea che la conoscenza dell’uomo, delle sue prerogative e delle sue facoltà debba basarsi sui fatti, che costituiscono l’evidenza fondamentale a partire dalla quale individuare leggi e principi. Promuove perciò un nuovo atteggiamento culturale tanto verso i problemi generali della conoscenza quanto verso l’osservazione e la spiegazione del comportamento umano e della vita in società. Esso conduce le sue analisi incrociando discipline come la biologia, la chimica, la fisiologia e la medicina con altri campi disciplinari come la sociologia, la giurisprudenza, la critica letteraria e l’economia. Da queste ricerche emerge l’immagine di un uomo le cui facoltà intellettuali e morali sono condizionate dalle circostanze fisiche, dalla matrice biologica e dalla condizioni economico-sociali.
L’evoluzionismo di Herbert Spencer
Una delle figure filosofiche di riferimento per la cultura filosofica positivista della seconda metà de XIX secolo è certamente quella di Charles Darwin: la sua teoria sull’evoluzione delle specie e l’idea che anche l’uomo sia oggetto di mutamenti di lungo periodo entro un processo simile a quello cui sono sottoposti gli animali contribuiscono all’apertura di un dibattito destinato a oltrepassare l’ambito della biologia.
È con l’opera di Herbert Spencer che l’evoluzionismo diventa una prospettiva che non riguarda più solo la storia naturale ma coinvolge anche la storia umana e sociale. Nei Principi primi egli elabora i tratti fondamentali di una “filosofia sintetica” entro la quale trovano posto tanto la biologia quanto l’etica e la sociologia. Secondo Spencer la conoscenza ha due caratteristiche che sono di chiara ispirazione positivista: in primo luogo, l’idea che il sapere si deve fondare su fatti osservabili empiricamente e, in secondo luogo, che il compito delle scienze è quello di individuare relazioni costanti tra questi fatti attraverso un procedimento di successiva generalizzazione. Compito della filosofia è invece quello di unificare ulteriormente i concetti generali ma parziali cui le singole scienze sono in grado di giungere, sintetizzandoli.
Secondo Spencer sono tre i principi che riassumono i risultati delle diverse discipline scientifiche: l’indistruttibilità della materia, la continuità del movimento e la persistenza della forza. La filosofia li riunisce formulando la legge dell’evoluzione. Questa legge intende spiegare, ricorrendo agli stessi principi, i successivi mutamenti della materia inorganica, della materia organica e della dimensione superorganica, entro la quale ricadono gli sviluppi della società umana. Secondo Spencer, infatti, in queste tre sfere si assiste sempre a un passaggio dall’incoerente al coerente (concentrazione), dall’omogeneo all’eterogeneo (differenziazione) e dall’indefinito al definito (determinazione).
Il positivismo in Italia e in Germania
Le culture positiviste di Italia e Germania non hanno semplicemente recepito le opere di Darwin e Spencer: le hanno invece discusse, talvolta anche in chiave profondamente critica, dando vita a dibattiti e a posizioni specifiche e originali.
In Germania la riflessione positivista si intreccia, in particolare, con la corrente del materialismo, dando vita a una complessa discussione sulla relazione tra fisiologia e psicologia e sulla natura della conoscenza che vede coinvolti autori come Ernst Heinrich Philipp August Haeckel; August Christoph Carl Vogt; Jakob Moleschott; Friedrich Karl Christian Ludwig Büchner; Ernst Heinrich Weber e Gustav Theodor Fechner e che culmina con la nascita della psicologia sperimentale di Wilhelm Maximilian Wundt.
Anche il positivismo italiano subisce l’influenza di Spencer e Darwin, ma anche del materialismo di fisiologi e medici come Moleschott e Büchner. Esso incoraggia lo sviluppo di un nuovo studio scientifico dell’uomo e della società affermandosi come prospettiva di studio e ricerca in molti ambiti: nella storiografia con Pasquale Villari; in filosofia con Roberto Ardigò; in medicina con Salvatore Tommasi e Augusto Murri; in pedagogia con Aristide Gabelli; nella psicologia e nell’antropologia con Cesare Lombroso, Enrico Morselli e Giuseppe Sergi.
Positivismo e gnoseologia
Ernst Haeckel (1834-1919) nella Morfologia generale degli organismi recepisce la prospettiva spenceriana sull’evoluzione e, nel tentativo di coniugarla alla morfologia di Goethe, giunge a formulare l’idea che vi sia un legame tra l’ontogenesi di una specie e la filogenesi dei singoli individui. In particolare, secondo Haeckel, lo sviluppo dell’individuo dall’embrione alla maturità “ricapitola” il processo evolutivo della specie intera. Di conseguenza lo studio dello sviluppo dell’embrione e dell’individuo contribuisce significativamente alla ricostruzione degli stadi evolutivi di una specie e, nel caso degli esseri umani, alla comprensione dello sviluppo e della crisi delle sue facoltà. Ma Haeckel non intende con ciò ridurre lo spirito a materia, egli intende piuttosto la sua come una prospettiva monista: in un saggio significativamente intitolato Il monismo quale vincolo tra religione e scienza (1895) Haeckel spiega come l’unica sostanza, l’universo, possa essere chiamata tanto con il nome di natura, con cui la indica la scienza, quanto con il nome di Dio, proprio della religione. Seppur con linguaggi diversi religione e scienza descrivono così le componenti essenziali di un unico universo.
Il rappresentante filosofico più significativo del positivismo italiano è, invece, Roberto Ardigò. Egli si dedica all’inquadramento del ruolo della filosofia nel contesto di una ricerca scientifica che si rende sempre più autonoma dal linguaggio della metafisica della tradizione occidentale. Ma Ardigò non riduce la filosofia a semplice metodologia, piuttosto le riconosce un oggetto specifico, l’“indistinto”, fondamento di tutti i processi di distinzione che, singolarmente presi, costituiscono gli ambiti delle diverse scienze positive. La filosofia si definisce così come “scienza del limite estremo” – nel linguaggio di Ardigò “peratologia”, dal greco pèras, limite – in contrapposizione alla tradizionale “protologia” – scienza delle cause prime, a priori e deduttiva. L’idea di limite che definisce il ruolo della filosofia nella riflessione di Ardigò non va però confusa con il concetto spenceriano di inconoscibile che, secondo Ardigò, è troppo vicino all’idea kantiana di noumeno: l’inconoscibile spenceriano, infatti, è un limite invalicabile e costitutivo della conoscenza, mentre Ardigò lo pensa come provvisorio e relativo. Secondo Ardigò, infatti, la conoscenza si basa su fatti, che devono essere certi, e sviluppa delle leggi che, viceversa, sono sempre perfezionabili e capaci di superare i limiti delle vecchie conoscenze.
Secondo Ardigò la legge fondamentale della realtà è l’evoluzione, che procede dall’indistinto al distinto. Così avviene anche in tutta la realtà: fenomeni diversi come la formazione del sistema solare e lo sviluppo dell’embrione di un mammifero sono caratterizzati da un’evoluzione successiva in cui da un insieme indifferenziato si vengono distinguendo “specialità d’essere” che svolgono funzioni e hanno caratteristiche particolari. Così la realtà e la conoscenza procedono dall’indistinto al distinto. Questo passaggio non avviene, però, una volta per tutte, ma per tappe successive, nelle quali il risultato di una prima fase di distinzione viene ulteriormente diversificato: secondo Ardigò, infatti, lo stato di distinzione è relativo mentre il processo di distinzione infinito.
Inoltre, secondo Ardigò la realtà è presieduta da processi deterministici, ma le catene causali che la determinano risultano da intersezioni che sono invece casuali: ogni serie causale è determinata nei suoi passaggi interni in modo necessario ma l’incrociarsi di queste catene e l’azione reciproca che così si produce è determinata dal caso.
La morale, secondo Ardigò, è viceversa un insieme di regole del vivere civile che gli individui apprendono nel corso della vita sociale, esso è quindi il risultato di un condizionamento più che un segno di autonomia. Morale e diritto sono perciò strumenti della convivenza umana che evolvono esattamente come le altre conoscenze e gli altri elementi che fanno parte della natura.
Positivismo e psicologia
Particolarmente importante è il contributo che il positivismo italiano e quello tedesco forniscono alla definizione della psicologia come disciplina autonoma tanto dalla prospettiva etico-morale, quanto dal linguaggio della religione.
In Italia troviamo la figura dello psichiatra Cesare Lombroso, che muove dalle acquisizioni della fisiologia di Gall sull’importanza della corteccia celebrale per le facoltà sensitive, intellettive e morali. Su queste basi Lombroso si concentra sul problema di individuare le basi fisiologiche del comportamento e la corrispondenza tra alcune caratteristiche somatiche e lo sviluppo delle parti del cervello che presiedono lo sviluppo delle facoltà intellettive e morali. Incrociando somatica e fisiologia nel suo L’uomo criminale, Lombroso ridefinisce la figura del delinquente: gli atti criminali non sarebbero più né peccati, né violazioni del patto che costituisce la società, ma piuttosto effetti combinati di una predisposizione biologica e di condizioni materiali dell’esistenza che influiscono sulla fisiologia del cervello.
In Germania l’approccio positivista ai fenomeni psicologici e culturali si trova già al centro delle opere di Moleshott, Weber e Fechner, che lavorano all’affrancamento di questo insieme di “fatti” dalla branca della filosofia che, sino ad allora, se ne era occupata, ovvero la cosiddetta “psicologia razionale”. Nella tradizione filosofica questo termine designa l’attività speculativa nella quale il soggetto conoscente riflette su quel complesso di funzioni che prende il nome di “anima”. Con i lavori di Wilhelm Wundt si impone, invece, un’analisi dei fatti psichici che prescinde dall’auto-osservazione e segna la nascita della psicologia scientifica. L’opera di Wundt, per quanto non integralmente riconducibile alla prospettiva positivista, ne è tuttavia certamente influenzata: l’idea che esistano dei fatti psichici elementari, cioè le sensazioni, distinti dalle leggi che ne presiedono la connessione è certamente vicina all’importanza che il positivismo riconosce a questi elementi. Ma, a differenza di Lombroso, Wundt non crede che sia possibile ridurre i fatti psichici a fatti fisiologici o biologici, perché ritiene che gli atti psichici siano spontanei e che mente e corpo siano due sfere parallele.