Il potere di Costantino
Dimensioni e limiti del potere imperiale
Non vi è un solo modo di interpretare il regno di Costantino, la sua personalità e i suoi obiettivi. Le contraddizioni e le ambiguità nelle fonti, il peso della tradizione successiva e la posta in gioco che deriva da secoli di rivendicazioni cristiane sono tali che è praticamente impossibile districare ciò che è storico da ciò che è mitico e ideologico. Un problema ulteriore è dato dalla periodizzazione impiegata di consueto nella letteratura secondaria sull’Impero romano, che ancor oggi tende a trascurare il periodo di Diocleziano, sul quale le fonti sono molto meno abbondanti, e fa iniziare la tarda antichità con Costantino. Tradizionalmente, si dà anche per acquisito che l’Impero bizantino in Oriente sia nato con la dedica di Costantinopoli da parte di Costantino, nel 330. Inoltre, anche quando vi è completo accordo sulle questioni storiche fondamentali, il Costantino degli storici della Chiesa è diverso dal Costantino degli storici di Roma. Il regno di Costantino, la sua personalità e la sua influenza rappresentano un argomento storico che ha suscitato reazioni molto partecipi e appassionate: dalla profonda ostilità espressa da Edward Gibbon nel XVIII secolo – e da Jacob Burckhardt nel XIX – fino alla percezione, radicata negli storici della Chiesa più tradizionali, di Costantino come l’imperatore responsabile della cristianizzazione dell’Europa, nonché all’erronea ma persistente convinzione che sia stato Costantino a fare del cristianesimo la religione ufficiale dell’Impero. A ciò si deve aggiungere la visione di Costantino prevalsa fra molti bizantinisti, e ancora la prospettiva della Chiesa ortodossa, per la quale Costantino è soprattutto il fondatore dell’Impero bizantino, con il cristianesimo ortodosso come suo tratto distintivo. Si evince con chiarezza il peso attribuito al regno di Costantino come punto di svolta nella storia cristiana ed europea dal numero di mostre ed eventi commemorativi dedicati all’ascesa al trono di Costantino nel 306, alla battaglia di ponte Milvio del 312, al cosiddetto editto di Milano del 313.
Tanto grande è l’influenza di queste tradizioni, e tanto forte è la tentazione di osservare Costantino retrospettivamente, che è davvero difficile giungere a una valutazione oggettiva della sua importanza, delle sue politiche o della sua capacità di apportare cambiamenti sostanziali. Tuttavia, di recente, sono apparse molte interpretazioni revisioniste, e del resto il nostro sguardo sull’importanza e sui successi di Costantino non può più dipendere dalle sole considerazioni religiose o istituzionali, ma deve tenere conto del contesto dell’Impero romano di quel tempo per come esso emerge dagli scritti degli storici di quel periodo. Una questione centrale è proprio quella relativa al potere costantiniano: che cosa poteva realizzare Costantino, in concreto? E quali cambiamenti gli possono essere attribuiti con sicurezza?
È facile dare per scontato che gli imperatori romani, in quanto autocrati, potessero imporre politiche in grado di cambiare radicalmente la vita di milioni di cittadini in tutto l’Impero. Eppure questa è proprio una di quelle aree in cui l’approccio alla questione da parte degli storici specialisti del periodo è cambiato più profondamente. Certamente, un ruolo importante hanno avuto le interpretazioni che propendono per una secolarizzazione del ruolo di Costantino. Ma ci sono stati cambiamenti ancor più profondi fra gli storici dell’Impero romano – ad esempio nella comprensione del funzionamento della legge romana e del ruolo dell’imperatore – che hanno portato alcuni a adottare un approccio che è stato definito ‘minimalista’. Questi cambiamenti sono stati accompagnati da un ripensamento, altrettanto decisivo, del processo di cristianizzazione dell’Impero: un processo che ora molti storici tendono a vedere come più lento e frammentario, e molto meno inevitabile di quanto un tempo si pensasse. Le interpretazioni trionfalistiche dell’ascesa del cristianesimo nell’Impero romano sotto Costantino sono oggi fuori moda. Ma avrebbe mai potuto esserci un ‘trionfo’ del cristianesimo senza Costantino? Questa rimane una domanda tanto difficile quanto fondamentale1.
Costantino fu imperatore unico soltanto dal 324 al 337. Prima del 324 il suo potere come Augusto era limitato alla parte occidentale dell’Impero, e per giunta condiviso con altri in numero variabile a seconda delle circostanze politiche2. Anche per il periodo successivo al 324, le nostre fonti sono soprattutto orientali, e non è affatto chiaro se l’influenza di Costantino fosse ugualmente forte in entrambe le parti dell’Impero. L’avanzata verso sud attraverso l’Italia e la vittoria a ponte Milvio su Massenzio (che aveva rivendicato il titolo di Augusto nel 306/307) avvennero solo alla fine del 312, cioè dopo sei anni di manovre, pianificazioni e campagne mirate a superare e sconfiggere i rivali. E Costantino non fu il solo, del resto, a porre fine agli ideali della tetrarchia, a quella teoria della collegialità e del dominio condiviso che, fondata da Diocleziano, aveva portato al potere il padre di Costantino, Costanzo.
Fino alla sconfitta di Licinio nel 324, il potere di Costantino dipendeva da due elementi in qualche modo ‘gemelli’: da un lato il successo bellico e l’accesso alla forza militare, dall’altro la legittimazione, che in pratica coincideva con il riconoscimento da parte degli avversari, potenziali e reali. Perfino dopo la vittoria di ponte Milvio, alla fine del 312, Costantino aveva bisogno dell’alleanza con Licinio, Augusto in Oriente e da poco vincitore su Massimino. Lo si capisce dal fatto che egli si mosse per organizzare un incontro a Milano nell’inverno seguente, e che ratificò l’alleanza acconsentendo al matrimonio della sorellastra Costanza con Licinio, così come lui stesso aveva messo da parte la propria compagna e aveva sposato Fausta, figlia di Massimiano, nel contesto della sua determinata progressione verso il potere nel 307; quest’ultima iniziativa, tuttavia, lo aveva messo in contrasto con l’Augusto Galerio, e aveva fatto sì che egli fosse riconosciuto solamente come Cesare quando il collegio imperiale si era riunito a Carnunto nel 3083. La vittoria di ponte Milvio e la successiva, ostentata alleanza con Licinio all’inizio del 313 non resero comunque sicura la sua posizione4, e presto tra i due Augusti scoppiarono le ostilità. All’inconcludente battaglia di Cibale seguì una nuova alleanza temporanea nel 317, questa volta accompagnata dalla nomina a Cesare dei tre figli di Costantino e del figlio di Licinio: tutto ciò servì tuttavia solo a prendere tempo in vista della decisiva e vittoriosa campagna di Costantino contro il suo collega Augusto. Solo nel 324, dopo la battaglia di Crisopoli e la morte di Licinio, Costantino divenne unico imperatore, e fu solo allora che egli cominciò a prendere decisioni che potevano avere carattere esecutivo sia in Oriente che in Occidente.
Che Costantino fosse riuscito ad assicurarsi un posto nel collegio imperiale era già di per sé notevole, vista la presenza di molti rivali e considerata la stessa incertezza della posizione di Costantino alla corte di Diocleziano a Nicomedia, mentre il padre Costanzo governava in Occidente ed era ora capostipite di una seconda, grande famiglia di fratellastri e sorellastre. Anche se si è scettici riguardo alle storie romantiche narrate nelle fonti filocostantiniane circa la fuga di Costantino dalla corte di Diocleziano e la sua corsa attraverso l’Europa per assistere il padre sul letto di morte (in realtà Costantino raggiunse Costanzo in tempo per combattere con lui, prima che questi si ammalasse)5, la determinazione di Costantino nel rendere sicura la propria posizione è chiara dal comportamento cauto mantenuto in occasione della sua acclamazione, a York, da parte dei soldati del defunto Costanzo. In quell’occasione, Costantino accettò per sé solo il titolo inferiore di Cesare, e la mantenne finché non fu in grado di architettare un’alleanza con Massenzio – anch’esso proclamato Augusto nel 306 – tramite l’inaffidabile padre dello stesso Massenzio, Massimiano.
Un ulteriore segno dell’effettiva limitatezza dell’estensione dell’autorità di Costantino si può rintracciare, in questi primi anni, nel lavoro della sua efficientissima macchina di comunicazione pubblica6. Non occorre molto scetticismo per smascherare le bizzarre pretese di una nuova amicizia tra il giovane Costantino e l’imprevedibile Massimiano, così come si leggono nel panegirista contemporaneo che registra la loro alleanza7. Massimiano era l’ostacolo più vicino e immediato, ma Galerio era l’Augusto senior, e una riconciliazione con lui era più difficile. Le promozioni di Severo ad Augusto e di Massimino a Cesare rappresentavano una minaccia per Costantino, né Galerio si sarebbe lasciato sconfiggere facilmente. Nel 310 anche Massimiano era una minaccia: i racconti della sua sconfitta e della sua morte, probabilmente orchestrata da Costantino, sono contraddittori. Costantino aveva infatti bisogno, per la sua posizione, di un nuovo sostegno: lo si vede nel panegirico latino del 310, che marcò una rottura chiara con la teoria tetrarchica e con la finzione dell’appartenenza a una linea erculiana – che era stata pubblicizzata al momento dell’alleanza con Massimiano, nel 307 – in favore di una nuova rivendicazione, per la quale Costantino era diretto discendente dell’imperatore del III secolo Claudio il Gotico8. Il panegirista aveva il compito di presentare e negoziare questa nuova direzione, e la nuova affermazione – per la quale questo panegirico è la sola fonte – di un attaccamento speciale di Costantino ad Apollo (con addirittura un’apparizione del dio presso il tempio di Grand) è tendenziosa almeno quanto la rivendicazione della discendenza imperiale. Molti sforzi sono stati fatti tra gli storici per ‘spiegare’ la visione di Apollo, specialmente in relazione alle possibili esperienze di Costantino in questo senso prima della battaglia di ponte Milvio.
La teoria di Peter Weiss, secondo la quale nel 310 l’imperatore non vide alcuna apparizione divina, bensì il fenomeno naturale di un’aura solare, si è guadagnata crescenti consensi negli ultimi anni9. Tuttavia, non vi è necessità di essere tanto riduttivi: le descrizioni di visioni e sogni ricorrono spesso in molti ambiti della letteratura antica. Costantino poteva ben aver avuto un’esperienza religiosa genuina o, quanto meno, questo poteva affermare l’oratore; non c’è modo di saperlo. Per quel che riguarda, in generale, le informazioni provenienti dai panegirici, a ogni lettore sono evidenti le storture e gli effetti che potremmo definire di spin – di ‘rotazione’ – presenti in questi discorsi. Per quello che riguarda invece la presunta conversione di Costantino in seguito a una visione alla vigilia della battaglia di ponte Milvio, va ricordato che Eusebio, nella Vita di Costantino, non pone la visione immediatamente prima della battaglia, e inoltre è ragionevole pensare che Costantino abbia, col tempo, rielaborato in misura rilevante un’esperienza passata. Negli studi recenti sono scomparse sia l’idea dell’editto di Milano sia quella della conversione di Costantino subito prima della battaglia di ponte Milvio, due dei dogmi centrali tanto nell’accademia più vetusta quanto nell’opinione popolare su Costantino10. Ciononostante la vittoria contro Massenzio a ponte Milvio fu indubbiamente un momento critico e decisivo dell’ascesa di Costantino.
Le incertezze politiche e militari di quegli anni erano tali che la presentazione pubblica delle azioni di Costantino assumeva un’importanza cruciale, e del resto questo fenomeno non era destinato a terminare con la sua vittoria nel 312 e il suo ingresso in Roma. Come è noto, Lattanzio ed Eusebio erano scrittori molto diversi tra loro, ma entrambi avevano interesse a presentare Costantino come un precoce sostenitore del cristianesimo, e la loro esposizione è tendenziosa quanto quella dei panegiristi11. Il punto è, infatti, che Costantino era l’aggressore, nella sua ascesa al potere prima del 312 e poi ancora contro Licinio nel percorso che portò alle battaglie di Cibale del 316 e di Crisopoli nel 324: si tratta di una verità che gli autori favorevoli a Costantino nascosero con molta fatica.
L’assunzione dei titoli di Cesare o di Augusto non implicava necessariamente un potere illimitato. Il controllo delle forze e delle risorse militari era, ovviamente, fondamentale, ma le alleanze politiche e l’opera di persuasione lo erano altrettanto. Le trattative di Costantino con la città di Roma dopo il 312 – e la sua attenta gestione del Senato – testimoniano che anche colui che aveva sconfitto Massenzio nella battaglia decisiva poteva avere problemi nel guadagnarsi la lealtà della capitale e delle sue élite: lo conferma la famosa ambiguità del messaggio dell’arco di Costantino, eretto nel 315. Costantino era inoltre preoccupato per l’ostacolo rappresentato da Licinio in Oriente, e probabilmente questo lo trattenne dal mettere in pratica la minaccia di recarsi in Nordafrica per affrontare di persona la questione dei donatisti12. Dopo il 324, Costantino poteva sentirsi più sicuro, ma quelli furono anche gli anni dei misteriosi eventi che portarono all’eliminazione del figlio maggiore, il Cesare Crispo, luogotenente fondamentale nella campagna contro Licinio, e all’altrettanto misteriosa morte della moglie Fausta, nel 326. Il fatto che Costantino continuasse a rimandare la questione degli affari relativi alla successione fino al 33513 testimonia che egli era ancora consapevole della potenziale minaccia rappresentata dai suoi fratellastri e dai loro discendenti. I tre figli rimasti vanificarono le speranze di Costantino di vedere i propri discendenti dividersi il potere con equità, dopo la sua morte, e anche i sospetti sui suoi fratellastri dovevano rivelarsi fondati una generazione più tardi, nel 361, quando salì al trono Giuliano, figlio di uno dei fratellastri che erano stati eliminati nel 337, nei mesi che avevano seguito la sua morte.
Come era apparso chiaro sin dai primi anni, le rivendicazioni politiche di Costantino si fondavano anzitutto sulla successione dinastica. La sua ascesa e la successiva eliminazione dei rivali rovesciarono i principi della divisione del potere della tetrarchia: per ottenere questo risultato, egli ebbe bisogno di una grande abilità in politica e nella comunicazione pubblica, almeno quanto ebbe bisogno di forza militare e spietata determinazione. E tuttavia l’esperienza del III secolo aveva mostrato come nessun imperatore potesse fare affidamento soltanto sulla forza della dinastia; per giunta quella di Costantino era nuova e fragile. Finché Costantino fu in vita, fu in grado di imporre la propria autorità, ma dopo la sua morte la stabilità imperiale fu ottenuta solo in seguito a una serie di assassini e di guerre fratricide. Lo stesso esempio di Costantino dimostrava che la divisione del potere non funzionava più, sebbene il concetto di una pluralità di imperatori fosse destinato a ritornare più avanti, nel IV secolo. Fu davvero una fortuna per il nascente impero cristiano che l’outsider Giuliano, il pagano entusiasta, trovasse una morte misteriosa nel corso di una campagna militare dopo solo due anni di principato.
Due delle aree in cui ci si potrebbe aspettare di distinguere con chiarezza il potere imperiale all’opera sono la monetazione e l’amministrazione14. Tuttavia, interpretare le politiche personali di ciascun imperatore a partire dall’iconografia numismatica può rivelarsi ingannevole. Ciò vale anche per il medaglione argenteo di Ticinum (Pavia) che, forgiato nel 315, mostra il segno del chi-rho sull’elmo di Costantino. Per quanto riguarda le leggende, il medaglione è tradizionale, e sorprendentemente si ritrovano nello stesso periodo raffigurazioni di Costantino associato al Sol. Parimenti, pare improbabile che il medaglione di Ticinum rappresenti già il labaro, che è attestato altrimenti solo in una fase molto successiva del regno15. La monetazione era un mezzo di comunicazione conservativo, e il Sol continuò a essere rappresentato su rame e alluminio fino al 318/319, e su oro sino al 324, mentre le emissioni che pongono enfasi su temi cristiani sono, per lo più, tarde. Ma talvolta sembra davvero possibile inferire dalla monetazione un messaggio politico: ad esempio l’emissione dei notevoli medaglioni d’oro negli anni Venti del IV secolo, che associano Costantino al Senato, indica probabilmente il desiderio di rappresentare la pubblica armonia in un tempo segnato, invece, da tensioni16. Inoltre, le leggende monetali cambiavano in corrispondenza della mutevole situazione militare.
Il battere moneta, e in generale le politiche relative al valore nominale delle monete, erano certamente problemi che riguardavano ogni imperatore. In questo campo, si attribuiscono a Costantino numerosi cambiamenti, fra cui l’emissione del nuovo solido aureo, sin dal 309. Sebbene non si trattasse di una mossa particolarmente innovativa di per sé, il solido si rivelò una moneta stabile per molti secoli. L’evidente disponibilità di oro nella fase più tarda del regno di Costantino è stata spesso attribuita al saccheggio dei templi («grandi confische», secondo Barnes17), ma le necessità della nuova moneta furono solo una delle destinazioni delle ricchezze ottenute da Costantino con questi mezzi, dal momento che egli spese molto anche nella costruzione di chiese e nei lasciti a esse. Dopo la vittoria su Licinio, nel 324, nuove tasse e l’accesso a nuove miniere garantirono a Costantino una fondamentale fornitura di oro, il che dimostra, ancora una volta, che molte delle sue politiche più caratteristiche divennero pienamente realizzabili soltanto dopo che egli era diventato imperatore unico18.
I miglioramenti nella stabilità della paga e nel reclutamento dell’esercito sono probabilmente da attribuire, più che a una pianificazione decisa e messa in atto da Costantino, ad una serie di misure cumulative e allo stato delle finanze pubbliche in generale. Le affermazioni esagerate e critiche contenute nell’anonimo De rebus bellicis circa i presunti cambiamenti che Costantino avrebbe operato nell’organizzazione e nel dispiegamento dell’esercito costituiscono un altro esempio delle distorsioni che presentano le fonti sul suo regno.
Molti sono gli sviluppi che si possono cogliere nella sfera amministrativa durante il lungo periodo dei venticinque anni che separano la vittoria di Costantino a ponte Milvio e la morte dell’imperatore: spesso essi possono essere rintracciati solo attraverso il materiale epigrafico, documentario o numismatico. Ancora una volta, è difficile stabilire quanto sia da attribuire all’influenza di Costantino e quanto allo sviluppo organico di processi che erano già cominciati. In generale, le innovazioni del periodo tetrarchico vennero portate avanti e sviluppate quando a un periodo di guerra ne seguiva uno di più strutturata amministrazione civile. Accanto a questo, Fergus Millar ha messo in risalto il fardello che gravava sugli imperatori in carica, dal momento che essi dovevano, giorno dopo giorno, far fronte alle necessità dettate dal governo di un Impero enorme19. Un cambiamento che ha il tratto tipico della scelta intenzionale fu l’apertura della classe senatoria, in modo che il rango non fosse più riservato a coloro che vivevano a Roma. Ciò si rivelò fondamentale per lo sviluppo di nuovi sistemi di avanzamento e per le strutture delle carriere nel tardo impero, sebbene sia dubbio che tale risultato potesse essere previsto20. Persino il leale Eusebio espresse una nota di critica circa tale prodigalità, ma abbia o no Costantino stabilito un Senato a Costantinopoli, il rango di senatore era ora aperto anche agli orientali: un’altra misura che si sarebbe rivelata fondamentale per la successiva storia dell’Impero d’Oriente21.
La fondazione di Costantinopoli sul sito dell’antica Bisanzio, dopo la vittoria a Crisopoli nel 324, è un altro esempio del contrasto tra le intenzioni e le possibilità del momento da un lato, e i risultati a lungo termine dall’altro. Eusebio afferma che si trattava di una città interamente cristiana, e i resoconti più tardi retrodatano molti progetti edili cristiani al tempo di Costantino, ma il pagano Zosimo narra una storia diversa, ed è, del resto, sorprendentemente difficile rintracciare un’attività di costruzione di chiese sotto Costantino22. Di certo, non era la capitale cristiana che spesso si crede che fosse. Ciò che davvero Costantinopoli fece fu dare a Costantino una sede per il suo regno, dalla dedica della città, nel 330, alla morte dell’imperatore: questo in netto contrasto con la sua adozione, anni prima, del modello tetrarchico di regolari spostamenti da una capitale all’altra, e con le continue campagne militari del periodo anteriore al 324. Ora Costantino aveva un suo palazzo e un proprio centro cerimoniale, e poteva affrontare le richieste dei suoi ultimi anni di regno da una posizione di calma e sicurezza23.
Come si è visto, le stime moderne del potere di Costantino dipendono dalle valutazioni, a volte molto differenti, delle fonti a disposizione, che sono complesse e, spesso, contraddittorie. La maggior parte di esse è nota da tempo (nessuno oggi metterebbe in dubbio l’autenticità eusebiana della Vita Constantini), e le aggiunte rilevanti, al di fuori della sfera epigrafica, sono rare24. Parimenti, sono rare le nuove datazioni significative di documenti già noti. Un esempio recente è dato dalla nuova datazione del poema di Palladas, critico nei confronti dell’imperatore: dalla fine del IV secolo, o perfino il V, all’età di Costantino. Esso si viene così ad aggiungere ai resoconti coevi, e almeno in apparenza conferma la presa di posizione di Costantino in favore del cristianesimo negli anni successivi al 32425. Ciononostante, le immagini presentate nelle fonti contemporanee sono talmente in contrasto tra loro che sono possibili diverse valutazioni da parte dei moderni. Le differenze più rilevanti sono dovute al diverso orientamento religioso degli scrittori antichi26. Le politiche ‘laiche’ di Costantino sono relativamente mal documentate nelle fonti, e troppo dipende dall’esposizione ostile di Zosimo, scrittore assai più tardo, benché egli faccia riferimento a una critica pagana anteriore: tutto ciò rende difficile una valutazione generale sia dei successi che degli obiettivi di Costantino27. Il problema non è semplice, anche ammettendo queste divergenze, e fonti quali i Panegyrici Latini o la Vita Constantini di Eusebio debbono necessariamente essere lette in filigrana, sia dagli storici che tendono ad accettare l’inclinazione favorevole a Costantino (e al cristianesimo, nel caso di Eusebio) di tali documenti, sia da quelli votati a una visione più scettica. Anche così, gli storici continuano a essere in disaccordo sull’interpretazione di punti nodali, tanto che è possibile delineare con una certa chiarezza dei cambiamenti ciclici nelle tendenze della ricerca28.
Fino a poco tempo fa non vi erano commenti o traduzioni moderne neppure di un’opera così importante e contemporanea come la Vita Constantini di Eusebio, sebbene ora non sia più così29. La poderosa difesa dell’affidabilità di questo testo svolta da Thimothy Barnes nel 198130 non pregiudica il riconoscimento di esagerazioni e distorsioni su questioni specifiche. Piuttosto che essere viste nel quadro di un’opposizione binaria tra fonti favorevoli e sfavorevoli a Costantino, o anche tra fonti affidabili e inaffidabili, opere come la Vita Constantini e i Panegyrici Latini richiedono, in primo luogo, un’analisi letteraria approfondita prima di poter essere utilizzati come fonti di informazioni storiche31. Lo stesso fondamentale lavoro di Barnes includeva un’analisi completa della figura di Eusebio come studioso della Bibbia, come apologeta e come storico, ma al di là della discussione su alcuni punti specifici – ad esempio sulla datazione della Storia ecclesiastica – è solo ora che l’opera di questo scrittore di fondamentale importanza è oggetto di ulteriore studio serio e strutturato nel suo insieme32. Restano disaccordi anche per quanto riguarda le circostanze e la datazione del curioso discorso dello stesso Costantino conosciuto come l’Orazione ai santi, pronunciato il Venerdì Santo, probabilmente nel 325, che descrive l’imperatore come un sostenitore della fede cristiana entusiasta, ma insolito e idiosincratico, che mostra tutto lo zelo del convertito. Infine, Barnes ha giustamente sottolineato, in alcuni articoli recenti, che la natura stessa delle fonti, unita alla mancanza di informazioni per i momenti cruciali del regno, rende impossibile costruire una narrazione completa del regno di Costantino, e dunque dell’esercizio del suo potere e della sua autorità33.
L’interpretazione minimalista di Costantino, con il suo approccio scettico su ciò che egli effettivamente realizzò o cercò di realizzare in vita, si fonda in particolare su recenti ricostruzioni revisioniste circa il funzionamento del diritto tardo romano e sulla natura delle fonti a nostra disposizione34. Eusebio, comprensibilmente, forza per i suoi scopi alcune azioni legislative di Costantino, al fine di presentare l’imperatore quale amico del cristianesimo, ed è necessaria una lettura attenta per evitare di fuorviati da questo schema. Eusebio afferma esplicitamente di limitarsi alle misure adottate da Costantino verso il cristianesimo, e inoltre è incline al resoconto selettivo e alla generalizzazione. È questo il caso, ad esempio, della sua allusione all’abrogazione, nel 320, delle leggi augustee contro il celibato, che in realtà facevano parte di una legislazione molto più ampia in materia di successione e di proprietà35. Eusebio sostiene che Costantino era motivato dal suo zelo per la ‘filosofia’, cioè per l’ascesi cristiana, e dalla sua ammirazione per coloro che avevano scelto la vita virginale, ma le sue affermazioni sono selettive e presentate nell’ambito di una sezione di taglio generalizzante dedicata al tema delle preoccupazioni sociali cristiane di Costantino e della sua generosità. Il passo è ben lungi dall’equivalere a un’attenta, o addirittura obiettiva panoramica della legislazione sociale dell’imperatore nel suo complesso. Invero, è lo stesso Eusebio a dire che Costantino «fece innumerevoli decreti come questi, per coloro che erano sotto il suo governo. Avrei bisogno di tempo libero, e serbarlo per un lavoro separato, dedicato all’analisi precisa delle politiche dell’imperatore riguardo a quelle cose»36.
L’obiettivo di Eusebio, come egli dice, è quello di dimostrare chiaramente – pur senza entrare in dettagli ridondanti – come la fedeltà cristiana di Costantino si manifestasse in un impegno costante a beneficio dell’umanità e nell’essere giusto ed equanime verso tutti. Lo stesso passo contiene una dichiarazione importante sui vescovi, che erano, secondo Eusebio, «superiori a qualsiasi magistrato»37, e le loro decisioni nei sinodi della Chiesa dovevano avere la precedenza su qualunque volontà contrastante dei governatori provinciali. Eusebio non afferma che i vescovi abbiano poteri giuridici di competenza, anche se in fonti posteriori si possono trovare riferimenti alla cosiddetta episcopalis audientia, comunemente considerata una delle innovazioni importanti di Costantino a favore della Chiesa cristiana.
Costantino certamente espresse molto riguardo per i vescovi, per esempio nei suoi rapporti con i donatisti – questione che sperava di risolvere mediante la convocazione di una riunione dei vescovi – e nella sua dimostrazione di deferenza verso i vescovi riuniti nel concilio di Nicea nel 325, sebbene la reale applicazione di tale atteggiamento rimanga assai oscura38.
Un ulteriore argomento di dibattito riguarda l’ipotesi che Costantino abbia fatto una legge che vietava i sacrifici. In un altro paragrafo della Vita Constantini, in cui si esaltano i provvedimenti dell’imperatore a favore dei cristiani, Eusebio afferma che «è stata vietata ogni forma di sacrificio», così come «l’accesso ad ogni forma di idolatria», e, sebbene egli avesse già fatto esplicito riferimento a tale legge39, essa non è sopravvissuta. Una legge di Costanzo II in tal senso del 341, conservata nel Codice Teodosiano, contiene un’allusione a una «legge di suo padre»40, e certo è possibile che Costantino abbia promulgato una legge simile senza per questo tentare di vietare il culto pagano in quanto tale. In ogni caso, ciò non risultò efficace, giacché i successivi imperatori del IV secolo continuarono a legiferare contro i sacrifici, e un divieto simile rientrava anche nella normativa antipagana di Teodosio I, nel 391-392.
La stessa legge di Costantino, secondo Eusebio, «restrinse le contaminazioni dell’idolatria» che era praticata ovunque, in città come in campagna. Quest’asserzione è palesemente troppo ottimistica e, anche se anche Costantino fece legiferare in questa direzione, ciò non ebbe alcun percepibile effetto per molti anni a venire.
Del resto, Eusebio scriveva nella prospettiva alterata di un vescovo cristiano contemporaneo, e un ottimismo eccessivo è, pertanto, da mettere in conto. Ma data l’importanza dei passi sulla legislazione di Costantino nella Vita Constantini, è fondamentale comprendere l’abitudine di Eusebio di selezionare e generalizzare. Non vi è motivo di condannarlo, per questo, come uno storico fuorviante, giacché egli dice espressamente che la sua materia riguarda solo i provvedimenti cristiani dell’imperatore. La Vita Constantini è essenzialmente un panegirico cristiano – anche se include una quantità insolitamente grande di parti narrative – e i panegirici avevano le proprie convenzioni e i propri obiettivi41. Senza dubbio vi sono considerazioni letterarie che aiutano a spiegare le difficoltà con cui Eusebio è stato studiato e presentato con strumenti critici moderni. Barnes aveva ragione nel 1981 a difendere il valore della Vita come fonte per il regno di Costantino, ma, come Jill Harries ha dimostrato, gli storici che studiano questo periodo devono essere pienamente consapevoli della natura dell’opera e dei metodi dell’autore prima di fare affidamento su singole affermazioni contenute nel testo42.
L’analisi attenta delle fonti deve essere poi inserita nel contesto dei recenti lavori sulla natura della legislazione romana e sulla sua trasmissione. Si devono corroborare le affermazioni come quelle di Eusebio con l’evidenza documentale dei codici di legge di Teodosio II e Giustiniano, che a loro volta necessitano di attenzione, prima di essere presi alla lettera43. Il diritto romano era essenzialmente reattivo44, e gli imperatori legiferavano per molti motivi, in particolare in risposta a reclami o richieste. L’evidenza contenuta nei codici di diritto non solo è il frutto di un’edizione rivista più volte e che può essere di difficile interpretazione, ma spesso dà anche un’impressione fuorviante: ciò che oggi sembra essere legge generale poteva in effetti essere una risposta a richieste ben precise e localizzate. Si comincia solo ora a esplorare le implicazioni di questo fenomeno, che per gli storici sono profonde.
Ancora, si deve considerare come la legislazione venisse concretamente attuata nella pratica. Non era affatto automatico che vi fosse una generale, immediata e diffusa obbedienza alle leggi di Costantino, anche nelle aree dell’Impero teoricamente controllate già prima del 324. Inoltre, in teoria le leggi venivano emanate in nome dei co-imperatori. Ma, soprattutto, non vi era alcun sistema di implementazione in profondità delle leggi quale si deve immaginare per qualsiasi Stato moderno. Decisioni legali identiche venivano prese più e più volte dagli imperatori successivi, e questo per una ragione sensata: non semplicemente perché la decisione non era stata applicata, ma perché, di fatto, non era stato possibile metterla in atto nella realtà. La retorica dall’alto non si traduceva immediatamente nel cambiamento della pratica sottostante.
La posizione e le politiche religiose di Costantino, e soprattutto il grado e gli effetti della sua adesione al cristianesimo, sono al centro di polemiche antiche e moderne. Per Eusebio era il quasi santo portatore della politica cristiana nell’Impero romano, il rappresentante di Dio sulla terra; per Zosimo, sulla scorta di Eunapio, Costantino era un innovatore pericoloso e il distruttore della tradizione romana. Tra gli storici di oggi alcuni, come per esempio Barnes, lo raffigurano come un cristiano determinato, mentre altri lo vedono come un monoteista adoratore del Sole, o al massimo un sovrano tollerante sfruttato dagli ambiziosi vescovi cristiani. Le valutazioni sul suo potere e sulla sua influenza dipendono non solo dalle interpretazioni divergenti delle fonti, ma anche dalle inclinazioni e dai pregiudizi dei diversi autori. Si può accettare che vi fossero vescovi, come Eusebio, che avevano visto e colto le possibilità che si sarebbero potute aprire con lo sfruttamento degli interessi cristiani dell’imperatore, ma il Costantino tollerante di alcune recenti interpretazioni45 deve molto anche all’enfasi posta ai nostri giorni sulla tolleranza come virtù. A livello pragmatico, data la preponderanza schiacciante dei non cristiani nel suo Impero, ciò che poteva essere realizzato anche da un Costantino decisamente cristiano aveva grandi limiti, e, del resto, un certo grado di ambiguità gli era indispensabile se voleva ottenere e mantenere il consenso. I giudizi moderni su Costantino devono tener conto anche di questo.
Forse l’indicazione più forte dell’effettiva adesione di Costantino al cristianesimo si trova nella sua politica, immediata e coerente, a sostegno dei cristiani dopo la vittoria di ponte Milvio. Ciò fu ben presto dimostrato dai suoi maldestri tentativi di risolvere le divisioni tra i donatisti intransigenti e i cristiani generici in Nordafrica46. Tuttavia, egli era ben lungi dall’essere l’unico membro del collegio imperiale, o il primo, a dichiarare la tolleranza per i cristiani. Galerio lo aveva fatto di recente, nel 311, e lo stesso Massenzio aveva messo in atto una tale politica molto prima, tanto da richiedere un’attività quasi furiosa da parte dei pubblicisti di Costantino quando quest’ultimo decise di condurre una campagna contro di lui47. Né la posizione dei cristiani cambiò dall’oggi al domani, e Barnes è obbligato a insistere su tre fasi distinte nel cambiamento del loro status: la cessazione della persecuzione di fatto, la dichiarazione di tolleranza e la restituzione delle proprietà48. Una politica di tolleranza e di restituzione delle proprietà faceva parte dell’accordo stipulato tra Costantino e Licinio quando si incontrarono a Milano nel febbraio del 313, mentre le circostanze devono ancora essere appurate per il periodo successivo al 324, quando Costantino divenne unico imperatore dopo la vittoria su Licinio.
Costantino non era nella posizione di poter rendere il cristianesimo la religione ufficiale o dominante nell’Impero. La sua legislazione ‘cristiana’ necessita di un’interpretazione attenta, mentre i sostenitori entusiasti, come Eusebio, hanno naturalmente sottolineato la portata e la precocità del suo impegno cristiano, esagerando di frequente. Eppure, una volta deciso, Costantino non si discostò dal suo sostegno ai cristiani e, se si accetta la datazione al 325, la sua orazione ai santi rappresenta un’affermazione decisiva, tanto da risultare sorprendente per coloro che la ascoltarono. Nel 324-325 l’imperatore si trovò a riflettere ancora sulla sua ascesa al potere e sulle vittorie concesse da Dio, così come lui le intendeva, e non esitò a diffondere i risultati delle sue riflessioni: «Dio ha esaminato il mio servizio e lo ha giudicato adatto ai propri scopi»; in questo modo, sin dai suoi esordi nella lontana Britannia, Costantino era stato benedetto dalla vittoria, con il compito di restaurare e promuovere la religione cristiana49. Ormai era convinto di poter ricondurre qualsiasi segno avesse visto in precedenza a una croce cristiana di luce nel cielo, e all’esortazione a vincere nel nome di Cristo. La probità morale di Costantino trovò una forte espressione anche nella vita quotidiana, e non si deve dubitare di Eusebio quando descrive il contegno rispettoso dell’imperatore nei confronti di Dio, o quando espone come il Costantino degli ultimi anni tenesse regolarmente sermoni, via via migliori, alla sua corte, curiosa quanto imbarazzata50. Costantino era essenzialmente un moralista e un predicatore, e se la Vita Constantini spesso può travisare la realtà, a volte la sua testimonianza ha indubbiamente un’aura di autenticità.
Il racconto del concilio di Nicea costituisce un altro cardine dell’opera di Eusebio, sebbene in questo caso egli sia molto lontano dal fornire un quadro completo51. Vi si legge poco dei difficili problemi dottrinali dibattuti, o della formula concordata che successivamente avrebbe rappresentato la base del Simbolo niceno; al contrario, Eusebio descrive in modo memorabile l’apparizione di Costantino al Consiglio:
Camminava tra loro [i vescovi], come un divino angelo celeste, il suo manto luminoso spargeva lucentezza, come raggi di luce [...] La sua anima era chiaramente adornata con timore e riverenza di Dio: lo mostravano i suoi occhi, rivolti in basso, il rossore sul suo volto, la sua andatura e il resto del suo aspetto52.
Come si è visto, Costantino aveva stabilito un precedente per la convocazione dei vescovi nel contesto delle controversie in Nordafrica tra cattolici e donatisti nel 314, controversie che erano scaturite direttamente dalla sua improvvisa decisione di attribuire i privilegi civili al clero cristiano. Già nel 314 Costantino era impegnato a portare alcuni vescovi ad Arles, esprimendo una dolorosa sorpresa circa il fallimento, almeno fino a quel momento, dei suoi sforzi per sanare il disaccordo53. Il tono delle lettere di Costantino che trattano della questione donatista è molto personale e trasmette un forte senso di serietà di intenti. Il concilio di Nicea nel 325 si svolse su un livello completamente diverso, e ben più ambizioso. Se la scelta del termine homoousios era davvero di Costantino, egli aveva, tuttavia, imparato ormai a fare un passo indietro durante i dibattiti veri e propri. Eppure i concili principali erano ormai una questione imperiale, e persino la loro convocazione risultava molto costosa per le casse imperiali, come si vede anche dal racconto di Eusebio. Né Costantino esitò a intervenire in incontri episcopali minori, scrivendo a lungo e con passione ai vescovi54. Non si può non rimanere colpiti dall’entusiasmo dell’imperatore, dai suoi interventi, a tratti troppo affrettati, o dal suo zelo per il progresso morale e religioso dei propri sudditi. Costantino ebbe un forte senso della propria missione55: nell’ultimo libro della Vita Constantini, Eusebio ci fornisce una presentazione vivace e plausibile della maturità di Costantino, finalmente in grado di abbassare la guardia.
Se il potere di Costantino durante la sua vita fu soggetto a limiti, durante il periodo 324-337, in cui fu unico imperatore, egli stabilì senza dubbio dei precedenti epocali per il futuro. Gli effetti a lungo termine non si potevano naturalmente conoscere, e non era affatto sicuro che i suoi successori avrebbero seguito i precedenti che egli aveva stabilito circa la posizione del cristianesimo. Tuttavia le misure da lui prese, come i mutamenti nella generosità imperiale nell’inclusione dei vescovi, i privilegi al clero cristiano e la costruzione e dotazione di chiese spettacolari in luoghi strategici, tra cui la Terrasanta, posero il cristianesimo su un piano del tutto diverso rispetto a prima. I passi che egli intraprese nell’elaborazione di una legislazione imperiale a favore del cristianesimo, e nella convocazione di concili episcopali a nome proprio, autorizzarono i successori ad andare molto oltre nella stessa direzione e, infine, a rendere il culto pagano illegale. Costantino non cercò di farsi capo della Chiesa cristiana, ma stabilì un modello di coinvolgimento imperiale e di patrocinio che avrebbe avuto significativi effetti perennemente. Forse non intenzionalmente, Eusebio pose la struttura ideologica per alcune di queste implicazioni più tarde nell’ampolloso discorso composto per commemorare il trentesimo anniversario di Costantino. Quello che, al tempo, poté sembrare allo stesso autore non molto più che un brano piuttosto esagerato di scrittura panegiristica, finì per avere una fortuna postuma molto lunga come la pietra angolare della teoria politica cristiana nell’Impero bizantino, mentre la memoria dello stesso Costantino era destinata a vivere nel regno del mito e della leggenda56. Né Costantino, sebbene avesse largamente contribuito alla crescita di una nuova élite, poteva sapere che la città che aveva fondato sul Bosforo, e a cui aveva dato il suo stesso nome, sarebbe diventata la capitale di un Impero destinato a sopravvivere a quello di Roma per centinaia di anni. Il regno di Costantino fu molto importante per la successiva storia del cristianesimo e per il longevo impero orientale di Bisanzio, ma molte delle effettive azioni dell’imperatore restano circondate dall’ambiguità.
1 J. Burckhardt, Die Zeit Constantins des Grossen, Basel 1853; N.H. Baynes, Constantine the Great and the Christian Church, London 1929; A. Piganiol, L’empereur Constantin, Paris 1932; H. Grégoire, La vision de Constantin “liquidée”, in Byzantion, 14 (1939), pp. 341-351; H. Dörries, Konstantin der Grosse, Stuttgart 1958; A.H.M. Jones, Constantine and the Conversion of Europe, New York 1962; R. MacMullen, Constantine, New York 1971; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981; Id., The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982; Id., Emperors, panegyrics, prefects, provinces and palaces (284-317), in Journal of Roman Archaeology, 9 (1996), pp. 532-552; J. Bleicken, Constantin der Grosse und die Christen: Überlegungen zur konstantinischen Wende, Munich 1992; Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, 2 voll., Macerata 1993; H. Pohlsander, The Emperor Constantine, London 1996; K.M. Girardet, Die konstantinische Wende. Voraussetzungen und geistige Grundlagen der Religionspolitik Konstantins des Grossen, Darmstadt 2006; A. Marcone, Costantino il Grande, Roma 2000; B. Bleckmann, Konstantin der Grosse, Reinbek bei Hamburg 20032; C. M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, New York 2004; The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006; Constantine the Great. York’s Roman Emperor (catal.), ed. by A. Demandt, J. Engemann, Aldershot 2006; Konstantin der Grosse: Ausstellungs Katalog = Imperator Caesar Flavius Constantinus (catal.), Trier 2007; R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, Cambridge 2007; P. Stephenson, Constantine. Unconquered Emperor, Christian Victor, London 2009; F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche. Storia e Mito della ‘Svolta Costantiniana’, Roma 2010; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011; K. Cooper, Christianity, Private Power and the Law from Decius to Constantine: the Minimalist View, in Journal of Early Christian Studies 19 (2011), pp. 327-343; R. Van Dam, Remembering Constantine at the Milvian Bridge, Cambridge 2011; J. Bardill, Constantine. Divine Emperor and the Christian Golden Age, Cambridge 2011. Si noti che La tétrarchie: histoire et archéologie (293-312), I, Antiquité Tardive 2 (1993), fu pubblicato per commemorare i 1700 anni della prima tetrarchia.
2 Per le complesse vicende e i mutevoli rapporti di potere tra il 306 e il 312 si vedano T.D. Barnes, New Empire, cit., I, pp. 3-87; Id., Constantine. Dynasty, Religion, and Power, cit., pp. 61-89; per le fonti numismatiche si vedano in particolare The Roman Imperial Coinage VI. From Diocletian’s Reform (a.d. 294) to the Death of Maximinus (a.d. 313), AD 294-313, ed. by C.H.V. Sutherland, London 1973; VII. Constantine and Licinius, AD 313-337, ed. by P. Bruun, London 1966; si veda anche, specialmente per l’epigrafia, S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government AD 284-324, Oxford 2000.
3 Paneg. 7; cfr. C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, In Praise of Later Roman Emperors. The Panegyrici Latini, Berkeley 1994, pp. 185-187. Per i titoli e il riconoscimento di Costantino si veda T.D. Barnes, Was there a Constantinian Revolution?, in Journal of Late Antiquity, 2 (2009), pp. 374-384, in partic. 381-382.
4 Per un monito generale contro il riferimento tradizionale a un editto di Milano si vedano T.D. Barnes, Constantine after Seventeen Hundred Years: the Cambridge Companion, the York Exhibition and a Recent Biography, in International Journal of the Classical Tradition, 14 (2007), pp. 185-220; Id., Early Christian Hagiography and Roman History, Tübingen 2010, pp. 97-98; Id., Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 93-95.
5 Av. Cameron, Constantius and Constantine: an Exercise in Publicity, in Constantine the Great, ed. by E. Hartley et al., cit., pp. 18-30.
6 Si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Duisberg 1990; Eusebio era un maestro in questo campo e copriva inoltre un orizzonte più ampio: si vedano D. Mendels, The Media Revolution of Early Christianity. An Essay on Eusebius’s Ecclesiastical History, Grand Rapids (MC) 1999; R. Van Dam, Remembering Constantine at the Milvian Bridge, cit., pp. 82-100.
7 Si veda Paneg. 7(6), in cui l’autore afferma di aver visto un dipinto profetico nella sala da pranzo del palazzo di Aquileia raffigurante il giovane Costantino, con indosso un elmo, e Fausta, allora bambina, come a predire il loro futuro matrimonio.
8 Paneg. 6,2, sebbene Nixon e Rodgers mettano giustamente in evidenza, in relazione al panegirico del 307, che Costantino aveva sempre fatto ricorso a rivendicazioni di tipo familiare in quanto figlio di Costanzo: C.E.V. Nixon, B. Saylor Rodgers, In Praise of Later Emperors, cit., p. 186.
9 Paneg. 6,21,4-5; si vedano B. Rodgers, Constantine’s Pagan Vision, in Byzantion, 50 (1980), pp. 259-278; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 50-61; sull’ipotesi dell’aura solare si veda P. Weiss, Die Vision Constantins, in Colloquium aus Anlaß des 80. Geburtstages von Alfred Heuß, hrsg. von J. Bleicken, Kallmünz 1975; trad. inglese con aggiunte: P. Weiss, The Vision of Constantine, in Journal of Roman Archaeology, 16 (2003), pp. 237-259; si veda B. Bleckmann, De vita Constantini, cit., 56-63; l’interpretazione è sostenuta da T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, and Power, cit., pp. 74-80; si veda ancora R. Bergmeier, Die Schlacht an der Milvischen Brückes: eine Widerrede zur ‘Wende’ Kaiser Konstantins zum Christentum an 28. Oktober 312, Norderstedt 2011. Weiss propende per una effettiva esperienza nel 310, che in seguito poi l’imperatore avrebbe reinterpretato in termini cristiani. Per una visione più scettica si veda P. Stephenson, Constantine, cit., pp. 132, 188.
10 Si veda anche R. Van Dam, The Many Conversions of the Emperor Constantine, in Conversion in Late Antiquity and the Early Middle Ages: Seeing and Believing, ed. by K. Mills, A. Grafton, Rochester (NY) 2003, pp. 127-151, e, inoltre R. Van Dam, Remembering Constantine, cit. Anche un’altra credenza moderna e molto radicata riguardo a Costantino, quella relativa alla madre Elena che avrebbe ‘trovato’ la vera croce a Gerusalemme, è stata provata erronea: si veda il commento di Cameron e Hall a Eus., v.C. III 29 (Eusebius, Life of Constantine, translated with Introduction and Commentary by Av. Cameron and S.G. Hall, Oxford 1999), con cui concorda Bruno Bleckmann (Eusebius von Caesarea, De vita Constantini: Über das Leben Konstantins, eingleitet von B. Bleckmann, übersetzt und kommentiert von H. Schneider, Turnhout 2007).
11 Le speciali caratteristiche della difesa del padre di Costantino, Costanzo, nelle fonti contemporanee, l’evidenza del panegirico del 310 e infine l’assenza di altre fonti cristiane per il periodo compreso tra il 306 e il 312 dovrebbero far assumere un atteggiamento di diffidenza verso Lattanzio quando pone il sostegno al cristianesimo come uno dei primi atti di Costantino già nel 306 (mort. pers. 24,7; inst. 11,13), nonostante l’energica difesa espressa di recente da T.D. Barnes, Constantine after seventeen hundred years, cit., p. 215; cfr. Id., Early Christian Hagiography and Roman History, cit., pp. 150 e segg., e Id., Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 65-66. Ciononostante, la tolleranza verso i cristiani era un utile strumento politico sia per Costantino che per i suoi rivali negli anni anteriori al 312; per Massenzio si veda Eus., h.e. VIII, 14, 2; Optat., App. I 18; si veda ancora infra.
12 Optat., app. VII (anni 315-316).
13 Eus., v.C. IV 51,1; Origo 35. Con buone ragioni, Eusebio non rivela che negli accordi furono coinvolti anche gli altri nipoti di Costanzo, e negli ultimi capitoli della Vita (composta dopo la morte di Costantino, con un occhio ai pericoli che potevano derivare dalla competizione tra i suoi figli) compie duri sforzi per dimostrare che una transizione aproblematica era possibile.
14 Per l’amministrazione si vedano S. Corcoran, Emperor and Citizen in the Era of Constantine, in Constantine the Great, cit., pp. 41-51; C. Kelly, Bureaucracy and Government, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, cit., pp. 183-204; F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 327-364. Si veda inoltre F. Carlà, Le iconografie monetali, in questa stessa opera.
15 Per la datazione si vedano F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., pp. 87-88, e in generale sulla monetazione ivi, pp. 31-144.
16 Si vedano le brevi annotazioni di B. Bleckmann, Sources for the History of Constantine, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, cit., pp. 14-31, in partic. 18-20.
17 T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., p. 175; tuttavia non vi sono elementi per credere che Costantino sferrasse un attacco organizzato e distruttivo contro i templi pagani, alla stregua, per intendersi, di ciò che fece Enrico VIII con i monasteri inglesi.
18 Si veda G. Depeyrot, Economy and Society, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, cit., pp. 226-252, in partic. 237-242; l’avidità d’oro di Costantino e la sua stravaganza sono temi trattati nell’anonimo De rebus bellicis II, 1 (dal 360 in poi).
19 F. Millar, The Emperor in the Roman World (31 BC-AD 337), London 1992.
20 Si vedano P. Heather, New Men for New Constantines: Creating an Imperial Elite in the Eastern Mediterranean, in New Constantines. The Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th-13th Centuries, Papers from the Twenty-sixth Spring Symposium of Byzantine Studies (St Andrews March 1992), ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994, pp. 11-33; Id., Senators and senates, in The Cambridge Ancient History, XIII, The Late Empire A.D. 337-425, ed. by Av. Cameron, P. Garnsey, Cambridge 19982, pp. 184-210.
21 Anche in questa generosità Costantino seguiva la normale prassi degli imperatori: si veda S. Corcoran, Emperor and citizen, cit. Circa ranghi e mansioni Eus., v.C. IV 1 (il rango di clarissimus assegnato a ‘molte migliaia’), cfr. ivi, 31 e 54, in cui la critica all’imperatore è consapevole; gli scrittori pagani ne fecero la base per l’accusa di aver introdotto innovazioni non desiderabili, ad esempio Amm., XXI 10,8; sul Santo a Costantinopoli Origo 30 (i membri erano chiamati semplicemente clari), attribuito a Giuliano da Zosimo, III 11, 3. Questo allentarsi delle restrizioni portò naturalmente a un inflazionarsi del grado, e portò sia al declino dell’ordine equestre sia allo stabilirsi di differenze all’interno dell’ordine senatorio.
22 Eus., v.C. III 48, in cui si legge della fondazione di molte chiese, e il culto pagano è totalmente assente; l’attendibilità della fonte è difesa con forza da T.D. Barnes, Constantine After Seventeen Hundred Years, cit., p. 209 (in contrasto con Zos., II 31); paiono eccessive le cinquanta copie delle Scritture che secondo Eusebio gli furono richieste dall’imperatore, ed è difficile credergli anche quando afferma che le statue classiche portate da Costantino a Costantinopoli vi furono esposte per permettere ai cittadini di schernirle (v.C. III 54, 3). Sui primi sviluppi di Costantinopoli e sul lento emergervi di un tessuto urbano cristiano si vedano C. Mango, Le développement urbain de Constantinople (IVe-VIIe siècles), Paris 19902; G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1984.
23 Così anche C. Kelly, Bureaucracy and Government, cit., pp. 192-193.
24 Per un esempio degli ultimi riferimenti alla rinnovata persecuzione dei cristiani da parte di Massimino nel 312, cfr. S. Mitchell, Maximinus and the Christians in AD 312’: a new Latin Inscription, in Journal of Roman Studies, 78 (1988), pp. 105-124; forse Costantino fu il soggetto di un panegirico latino conservato su papiro: si veda T.D. Barnes, Constantine After Seventeen Hundred Years, cit., pp. 193-194. Alcuni esempi di nuove datazioni e identificazioni in T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., p. 65.
25 Si vedano K.W. Wilkinson, Palladas and the Age of Constantine, in Journal of Roman Studies, 99 (2009), pp. 36-60; Id., Palladas and the Foundation of Constantinople, in Journal of Roman Studies, 100 (2010), pp. 179-194, con bibliografia precedente; la critica di Palladas scalfisce l’immagine della ‘tolleranza’ di Costantino: si veda T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 13-16.
26 Per l’ostilità nelle fonti si veda G. Fowden, The Last Days of Constantine: Oppositional Versions and their Influence, in Journal of Roman Studies, 84 (1994), pp. 146-170.
27 Zos., II 8-39; il racconto dell’Origo Constantini è più equilibrato, e in larga parte neutrale sulle questioni religiose, nonostante le aggiunte cristiane posteriori.
28 Sul cambiamento delle tendenze nella ricerca si vedano K.W. Wilkinson, Palladas and the age of Constantine, cit., p. 51; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 2-8.
29 Eusebius, Life of Constantine. Translated with Introduction and Commentary by Averil Cameron and Stuart G. Hall, Oxford 1999; Eusebius von Caesarea, De vita Constantini: Über das Leben Konstantins, eingleitet von Bruno Bleckmann, übersetzt und kommentiert von Horst Schneider, Turnhout 2007; Eusebios, Über das Leben des glückseligen Kaisers Konstantin, herausgegeben, übersetzt und kommentiert von P. Dräger, Oberhaid 20072; Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, introduzione, traduzione e note a cura di L. Tartaglia, Napoli 1984; Eusebio di Cesarea, Vida de Constantino, introduccion, traduccion y notas de M. Gurruchaga, Madrid 1994.
30 T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit.
31 Si vedano Av. Cameron, Eusebius’s Vita Constantini and the construction of Constantine, in Portraits. Biographical Representation in the Greek and Latin Literature of the Roman Empire, ed. by S. Swain, M. Edwards, Oxford 1997, pp. 245-274; Id., Form and meaning: the Vita Constantini and the Vita Antonii, in Greek Biography and Panegyric in Late Antiquity, ed. by T. Hägg, P. Rousseau, Berkeley-Los Angeles 2000, pp. 72-88.
32 Si veda ad es. Reconsidering Eusebius. Collected Papers on Literary, Historical and Theological Issues, ed. by S. Inowlocki, C. Zamagni, Leiden 2011.
33 T.D. Barnes, Was there a Constantinian revolution?, cit.; Id., Constantine After Seventeen Hundred Years, cit.; K.M. Girardet, Konstantin und das Christentum. Die Jahre der Entscheidung 310 bis 314, in Konstantin der Grosse, cit., pp. 69-81 (nel 314); M. Edwards, Constantine and Christendom, Liverpool 2003 (nel 315), ma si veda Id., The beginnings of Christianization, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, cit., pp. 137-158, in partic. 56, nota 32; B. Bleckmann, Ein Kaiser als Prediger: zur Datierung der konstantinischen Rede an die Versammlung der Heiligen, in Hermes, 125 (1997), pp. 183-202 (nel 328): T.D. Barnes, Constantine’s speech to the Assembly of the Saints: place and date of delivery, in Journal of Theological Studies, 52 (2001), pp. 26-36 (nel 325).
34 Si vedano K. Cooper, Constantine, Private Power and the Law, cit.; J. Harries, Superfluous Verbiage? Rhetoric and the Law in the Age of Constantine and Julian, in Journal of Early Christian Studies, 19 (2011), pp. 345-374; C. Humfress, Civil Law and Social Life, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, cit., pp. 205-225, in partic. 207-208, con bibliografia inclusiva di interpretazioni differenti alla nota 8, circa i pericoli di sovrainterpretazione dell’attività legislative di Costantino, sia come spartiacque nella storia del diritto romano che relativamente alla cristianizzazione.
35 Sui limiti dell’esposizione eusebiana della legislazione di Costantino si veda J. Harries, Superfluous verbiage?, cit., pp. 351, 365. Sull’abolizione della legge matrimoniale augustea: Eus., v.C. IV 26-28; la legge del 320 fu promulgata a nome sia di Costantino che di Licinio, ed è interpretata in chiave morale ma non espressamente cristiana dal panegirista Nazario nel 321 (Paneg. 4,38). Si vedano S. Corcoran, Hidden from history: the legislation of Licinius, in The Theodosian Code. Studies in the Imperial Law of Late Antiquity, ed. by J. Harries, I. Wood, London 1993, pp. 97-119, in partic. 102-103; J. Evans-Grubbs, Law and Family in Late Antiquity. The Emperor Constantine’s Marriage Legislation, Oxford 1995.
36 Eus., v.C. IV 27,3.
37 Eus., v.C. IV 27,2.
38 Si veda C. Humfress, Bishops and Law Courts in Late Antiquity: how (not) to make Sense of the Legal Evidence, in Journal of Early Christian Studies, 19 (2011), pp. 375-400, con ampia bibliografia.
39 Eus., v.C. IV 23,1; cfr. IV 25,1; II 45.
40 Cod. Theod. XVI 10,2; si veda S. Corcoran, Empire of the Tetrarchs, cit., pp. 315-316.
41 Si veda Av. Cameron, Eusebius’s Vita Constantini, cit.; Id., Form and Meaning, cit.
42 J. Harries, Superfluous Verbiage?, cit., in partic. 351, 370-374.
43 Cfr. The Theodosian Code, cit.; J. Harries, Law and Empire in Late Antiquity, Cambridge 1999; J. Matthews, Laying Down the Law. A Study of the Theodosian Code, New Haven 2000.
44 Si vedano F. Millar, The Emperor, cit.; J. Harries, Superfluous Verbiage?, cit., pp. 361-365.
45 Cfr. E.D. Palma Digeser, Lactantius, Porphyry and the Debate Over Religious Toleration, in Journal of Roman Studies, 88 (1998), pp. 129-146; Id., The Making of a Christian Empire. Lactantius and Rome, Ithaca (NY) 2000; H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The Politics of Intolerance, Baltimore 2000; la tolleranza di Costantino è sostenuta da R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, cit. In generale cfr. M. Kahlos, Forbearance and Compulsion. The Rhetoric of Religious Tolerance and Intolerance in Late Antiquity, London 2009.
46 Si veda il dossier di lettere in appendice al Contro i donatisti di Ottato. È sorprendente che, mentre i donatisti continuavano a resistere alle decisioni dei vescovi e agli auspici dell’imperatore, Costantino fosse pronto a usare la forza contro di loro e a incaricarsene personalmente.
47 Gallieno riconobbe legale il cristianesimo già nel 260 (Eus., h.e. VII 13); si veda T.D. Barnes, Early Christian Hagiography and Roman History, cit., pp. 97-105; cfr. pp. 112, 150, con una tavola dei decreti che aboliscono l’editto di Diocleziano del 303 (Lact., mort. pers. XXIV 9). Anche il confronto finale tra Costantino e Licinio – confronto in cui Costantino era ancora una volta l’aggressore – fu accompagnato da accuse di persecuzioni contro i cristiani e da aperture da parte di Costantino verso i cristiani d’Oriente: si veda T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 105-106. La personalità di Licinio nella Vita Constantini fu consapevolmente oscurata da Eusebio; si vedano le note di Cameron in Eusebius, Life of Constantine, ed. by Av. Cameron, S.G. Hall, note a I 49-59 e II 1-9.
48 Così T.D. Barnes, From Toleration to Repression: the Evolution of Constantine’s Religious Policies, in Scripta Classica Israelica, 21 (2002), pp. 189-207, in partic. 195.
49 Eus., v.C. II 28,2.
50 Eus., v.C. IV 29-30.
51 Eus., v.C. III 4-24.
52 Eus., v.C. III 10,3-4.
53 Eus., h.e. X 5,21-24; Optat., app. III; si veda C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, cit., pp. 135-140, che segue Barnes e ammette la presenza di Costantino al concilio.
54 Ad esempio nel concilio di Tiro, che esiliò Atanasio: Eus., v.C. IV 41-42 (altro racconto molto tendenzioso).
55 Si veda Eusebius, Life of Constantine, ed. by Av. Cameron, S.G. Hall, cit., pp. 42-46.
56 F. Dvornik, Early Christian and Political Philosophy. Origins and Background, 2 voll., Washington DC 1966; per la leggenda di Costantino si veda l’indagine di S.N.C. Lieu, Constantine in legendary literature, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, cit., pp. 298-321, con bibliografia precedente.