Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Quattrocento il disegno si afferma come esercizio fondamentale nel lavoro dell’artista. Da un lato esso costituisce il principale strumento di studio e formazione del giovane apprendista, dall’altro il luogo deputato all’elaborazione dell’opera finita. La pluralità di funzioni porta, di conseguenza, alla moltiplicazione delle tipologie grafiche e all’affinamento delle tecniche. Contemporaneamente la nascita dell’incisione e l’invenzione della stampa favoriscono la circolazione delle idee e dei diversi stili grafici, e la loro divulgazione a basso costo.
Il grande exploit della grafica nel Quattrocento è motivato da vari fattori. Ai committenti tradizionali del Medioevo, i principi e gli ecclesiastici, nel Quattrocento si aggiungono i ricchi borghesi. Si sono guadagnati ruoli importanti ai vertici del potere, e desiderano fregiarsi degli status symbol artistici che fino ad allora erano stati appannaggio dei castelli e delle chiese. Aumentano così le occasioni di lavoro per gli artisti: nelle botteghe si moltiplicano i fogli, i taccuini, i cartoni disegnati con modelli da copiare.
Stimolati dalle richieste della committenza, gli artisti elaborano tecniche e materiali grafici talmente evoluti e sofisticati da essere utilizzati, così come compaiono nel Quattrocento, fino all’Ottocento.
Il disegno è stato utilizzato per esigenze diverse. Può essere preparatorio per opere da eseguirsi su altro supporto, presentando diversi gradi di finitezza; oppure serve per copiare opere antiche e contemporanee da utilizzare come modelli in bottega; o, ancora, costituisce un’occasione di studio, un momento di esercitazione libera.
Il disegno diventa un elemento da conservare e collezionare, prima all’interno delle botteghe e poi dagli stessi committenti. All’inizio del Cinquecento il disegno viene identificato con la più pura espressione stilistica di un artista, tanto che Raffaello (1483-1520) giunge a disimpegnarsi dall’effettiva esecuzione dell’opera, consegnando disegni altamente elaborati alla propria équipe di collaboratori.
A Firenze, dove nascono i primi trattati, la pratica del disegno è tenuta in grande considerazione fin dal XIV secolo: Cennino Cennini, nel Libro dell’arte, lo definisce “fondamento di tutte le arti”. Allo stesso modo si esprimerà Lorenzo Ghiberti nei Commentari, scritti più di un secolo dopo, nel 1450.
Il disegno è quindi un’espressione nobile: rappresenta la visualizzazione di un’idea in rapporto con l’intelletto dell’artista, un’estensione diretta e non mediata della sua mente.
A Firenze gli artisti sviluppano le potenzialità del disegno in due direzioni: esso può rappresentare un nuovo modo di porsi nei confronti della natura, oppure la ricerca di una misura ideale.
Giorgio Vasari – pittore e architetto, ma soprattutto biografo degli artisti –, registra due episodi della vita di Giotto che esemplificano la doppia natura del disegno fiorentino.
Giotto “spinto dall’inclinazione della natura all’arte del disegno, per le lastre ed in terra, o in su l’arena, del continuo disegnava alcuna cosa di naturale, ovvero che gli venisse in fantasia”. Vasari, quindi, descrive i mezzi di fortuna utilizzati dal giovane pittore, spinto dall’urgenza di esprimersi, e racconta i soggetti che riproduceva dal vero e di fantasia. Giotto, cioè, copiava la natura e inventava ispirandosi a essa.
Giotto “prese un foglio e in quello con un pennello tinto di rosso, fermato il braccio al fianco per farne compasso, e girata la mano, fece un tondo si’ pari di sesto e di profilo che fu a vederlo una meraviglia”. La O di Giotto è molto più di un disegno, è un progetto di rappresentazione del mondo secondo regole empiriche. Troverà la sua compiuta affermazione nel Rinascimento prospettico e matematico di Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e Paolo Uccello.
Leon Battista Alberti nel De pictura (1436) considera il disegno una delle tre parti della pittura, non il suo fondamento come invece teorizzavano Cennini e Ghiberti. La pittura per Alberti è costruita dall’insieme di circoscrizione (il disegno), composizione (la prospettiva), ricevimento dei lumi (il chiaroscuro e il colore, che realizzano la sintesi del dipinto). Questa concezione del disegno viene superata verso il 1470 grazie al nuovo atteggiamento nei confronti della grafica di Andrea del Verrocchio, Antonio del Pollaiolo (1431 ca.-1498) e Leonardo da Vinci . Alle solide e immutabili certezze figurative dei pittori prospettici questi artisti contrappongono nuovi modi: una linea dinamica che insegue il mutare delle forme e dei movimenti (Pollaiolo), e un disegno dal chiaroscuro caricato che costruisce i volumi delle figure senza penalizzare la loro umanità (Verrocchio).
È con Leonardo che, per la prima volta, il disegno si fonda compiutamente sull’esperienza della visione: la realtà deve essere restituita nei suoi aspetti indeterminati e comprendere la percezione dei moti del corpo e dell’animo dell’uomo. Il disegno lineare e analitico è strumento di conoscenza per indagare la realtà naturale, utile commento a un testo scientifico: altrettanto importante per lui è il disegno artistico, da identificarsi con la pittura stessa.
Sia nelle più libere esercitazioni grafiche (si pensi ai disegni di panneggi) che nei cartoni, così come nei fogli preparatori ai dipinti, il disegno di Leonardo diventa pittorico. La linea di contorno non basta più a visualizzare l’immagine. La pittura è formata dall’intreccio di prospettiva aerea, colore, sfumato, luci e ombre: già il disegno deve rendere integralmente tutti questi fenomeni.
Il disegno poi, non è più solo fondamento di tutte le arti, è anche strumento di tutte le scienze: anatomia, geologia, botanica, meccanica, ingegneria ecc.
Ogni aspetto della natura è degno di indagine: una roccia, una pianta, una tempesta diventano centro e simbolo brulicante dell’universo.
L’espressione più alta e purtroppo perduta (restano solo frammenti di disegni e derivazioni parziali) del rapporto fra gli artisti fiorentini e la grafica, è l’epico confronto fra Leonardo e Michelangelo sui cartoni preparatori per gli affreschi della sala del Maggior Consiglio in Palazzo Vecchio, fra il 1503 e il 1505.
Contemporanea e complementare all’analisi sul reale di Leonardo, è la fotografica registrazione della società borghese fiorentina di Domenico Ghirlandaio, grande ritrattista e profondo osservatore dei dipinti fiamminghi che impreziosivano gli altari e i palazzi dei fiorentini. Il suo Ritratto di vecchio dagli occhi chiusi (Stoccolma, Museo Nazionale) disegnato con punta d’argento su carta tinta e lumi di biacca, è una fedele maschera funeraria. Lo stesso personaggio torna a essere vibrante di vita nel Ritratto di vecchio e nipote del Louvre.
Il foglio di Stoccolma faceva parte della collezione di disegni di Giorgio Vasari, costituita forse da più di 1000 fogli. L’artista li rilegò in grossi volumi e disegnò personalmente eleganti cornici nei fogli più importanti (ora la collezione è smembrata e i singoli fogli sono custoditi in varie istituzioni museali). Si tratta della prima collezione sistematica di materiali grafici. Nell’intenzione di Vasari, doveva essere un repertorio rappresentativo di tutte le scuole e di tutte le arti, a completamento visivo delle sue celebri biografie di artisti.
Nell’Italia centrale Firenze è l’unico vero propulsore di novità artistiche: le realtà locali sono una sua declinazione, o quantomeno si devono confrontare con essa.
Nel Nord Italia le scuole, i metodi e i punti di riferimento degli artisti sono più numerosi. I poli principali – la Lombardia, il Veneto e l’asse padovano-ferrarese – hanno proprie caratteristiche e fonti d’ispirazione che entrano spesso in proficua rotta di collisione.
Il più emblematico e fecondo disegnatore della cultura tardogotica è Antonio Pisano detto Pisanello. Il suo disegno stilizzato si plasma su soggetti assai differenti. Pisanello è in grado di tradurre la realtà dei principi, elegante e cortese, e quella disperata dei reietti (si pensi agli Studi per gli impiccati, del British Museum di Londra, in relazione con l’affresco della Leggenda di san Giorgio nella chiesa di Sant’Anastasia a Verona). Con la stessa perizia descrive il mondo animale e la natura.
Il nomadismo di Pisanello – che lavora a Verona, Venezia, Pavia, Mantova, Ferrara, Roma, Napoli – innesca una lunga e unificante onda di stile e di gusto attraverso l’Italia. Ne risente anche Jacopo Bellini, l’altro grande disegnatore attivo nel Nord Italia nella prima metà del Quattrocento, che vanta nel suo curriculum un alunnato presso Gentile da Fabriano, divulgatore esemplare dello stile fiorentino.
Due album di disegni a punta di metallo (ripassati a penna da un’altra mano) ora divisi fra il Louvre e il British Museum, rappresentano il prezioso lascito grafico di questo pittore. Jacopo si dedica con molto impegno, e con fragili ma affascinanti risultati, all’esercizio della prospettiva. I suoi minuti personaggi quasi scompaiono all’interno di grandi templi a pianta centrale, ispirati a un’antichità fantasiosa, con una propensione per la superficie ornata che penalizza la costruzione volumetrica.
Un’altra Firenze – quella più moderna di Donatello, Filippo Lippi e Paolo Uccello – entrerà di prepotenza a Padova e da qui contaminerà Ferrara. Nella bottega di Francesco Squarcione a Padova gli insegnamenti dei fiorentini saranno accolti ed elaborati secondo due direttive distinte: una espressionistica, quella di Marco Zoppo – ad esempio nel suo taccuino di disegni al British Museum –, Cosmè Tura e dei ferraresi, e una classica e anticheggiante, quella di Andrea Mantegna.
Nel 1455 Johann Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili, modificando non solo le modalità di circolazione del sapere ma anche di diffusione delle immagini. Questo nuovo mezzo consente all’incisione, tecnica perfezionatasi nel corso della prima metà del Quattrocento, di riprodurre in molteplici esemplari le opere di “invenzione” (raffiguranti soggetti originali, ideati per la stampa) o di “traduzione” (riproducenti opere esistenti) realizzate dagli artisti, favorendo la divulgazione a basso costo delle idee e dei diversi stili grafici.