Il primo comune
La costituzione del comune durante il ducato di Pietro Polani (1141-1148). a) La prima apparizione di "commune", "sapientes" e "consilium" (1141-1143) (1)
Durante il ducato di Pietro Polani si formò il comune veneziano: la data della comparsa nella documentazione non coincide necessariamente con quella della sua costituzione anche se, certamente, un eventuale lasso di tempo intercorrente non fu ampio. La prima attestazione sicura risale all'inizio dell'anno 1143, nell'ambito di una controversia 'interna', ma i primi indizi provengono dagli atti di un trattato con Fano, stipulato due anni avanti.
Per cogliere con immediatezza la 'novità' istituzionale dell'apparizione del comune, richiamiamo sinteticamente i termini della 'costituzione' del Ducato veneziano, quale si era venuta formando dal secolo VIII, nel lungo processo di conseguimento dell'autonomia e dell'indipendenza da Bisanzio. Depositari della potestà pubblica appaiono il duca e il populus (2): il primo, che rappresenta il Ducato sul piano internazionale ed in ambito interno, riceve dal secondo la fonte dei suoi poteri: il popolo elegge il duca (3) e ne approva l'operato nelle questioni più importanti, assumendo impegni collettivi (4).
Accanto al duca, si trovano i maggiorenti, dapprima indicati genericamente quali primates, poi con la qualifica specifica di giudici, che diviene usuale dagli ultimi decenni del secolo XI (5). La loro presenza può supplire a quella del populus, che, in effetti, non sempre viene nominato: non solo è assente di regola dalla documentazione concernente l'amministrazione della giustizia, supplito in questi atti, a partire dalla fine del secolo XI, da boni homines e da fideles (6), ma è assente, a volte, anche dagli atti concernenti donazioni di beni pubblici (7) o dagli atti di natura essenzialmente politica, quali i trattati con le singole città del Regno (8). Durante il ducato di Pietro Polani sembra che l'antica diade, duca e populus, riprenda vigore: il populus torna ad essere nominato anche in alcuni atti giudiziari (9).
Un significato di rilievo maggiore riveste il trattato con Fano dell'inizio del 1141 (10), che vede quali interlocutori, da parte veneziana, solo il duca e il populus Venecie. Ma, a limitare l'eventuale peso politico della menzione del populus, nello stesso documento appaiono per la prima volta i sapientes di Venezia, anzi, alla lettera, del duca, poiché sono definiti "nostri [scil. del duca> sapientes", in correlazione con i "sapientes vestri" ovvero dei Fanesi, all'accordo dei quali è affidata la definizione delle modalità di un eventuale soccorso in guerra da parte dei Veneziani.
Con un atto di poco posteriore (11) i consoli e il populus di Fano ribadiscono l'impegno di partecipazione ad operazioni belliche da parte del loro comune e l'altro impegno di inviare propri sapientes, se convocati, al duca, specificando ulteriormente: "ad vestrum comune colloquium, [...> sicut fecerint vestri fideles". Il significato primo dell'aggettivo comune nell'espressione "vestrum comune colloquium" è sicuramente quello generico. Sussiste, tuttavia, a nostro parere, la sensazione che esso indichi qualche cosa di più, se consideriamo che nel documento precedente i sapientes di Fano erano nominati in diretta correlazione con quelli veneziani, mentre ora vengono posti in correlazione solo con il vestrum commune colloquium, al quale sono tenuti a partecipare i fideles del duca, "vestri fideles". I fideles indicano anch'essi, in modo generico, tutti i sudditi, ma il più delle volte indicano un ristretto numero di partecipanti agli atti ducali, identificabili con i maggiorenti (12).
È ben noto che il termine communis/comunis è un termine antico, che solo in età comunale viene assumendo un significato politico e amministrativo specifico: è sufficiente, per l'area del Regno Italico, rinviare allo studio del Banti(13). Anche in Venezia il termine è stato usato in precedenza, in relazione ad atti giudiziari (14) e, soprattutto, ad atti fiscali.
L'impiego del termine per indicare la concordia fra duca, primates e populus, nell'adozione di provvedimenti di carattere fiscale, risale molto addietro nel tempo, alla seconda metà del secolo X, in relazione all'imposizione del pagamento della decima. Nel primo documento pervenutoci in merito (15) il duca Pietro Orseolo decide concordemente con i "primates et proceres hominum Venetiarum": "cum commune consilium et una voluntate, omnes se adconsiliaverunt pro salvatione patriae [...> ". Analoghe le modalità per altri provvedimenti in materia, di poco posteriori (16). Per i secoli XI e XII disponiamo di un solo documento dell'anno 1095: il duca Vitale Falier Deodoni procede agli accertamenti per il pagamento della decima assieme alle componenti tradizionali presenti nel pubblico placito, qui non indicate singolarmente, ma con un'espressione generica: "per communem patriae collaudationem" (17). L'aggettivo comunis è una volta impiegato per designare il debito pubblico, sempre dunque in ambito fiscale. Nel 1112 il duca Ordelaffo Falier vende un terreno di proprietà pubblica per pagare, fra l'altro, un debito contratto anteriormente: "pro nostro comuni debito" (18).
Il precedente dell'accezione fiscale del termine comunis acquista un significato più ampio se poniamo attenzione al fatto che, occasionalmente, anche il termine populus poteva significare il complesso dei beni pubblici, che trovava espressione più appropriata nel termine dominicale. Quando nell'anno 1097 gli Orio donano al patrimonio pubblico le loro stationes nel mercato di Rialto, dichiarano di cederle "nostro domnicali et cunto populo totius patriae Venetiae", ribadendo alla fine che nessuno osi sottrarle "supradicto dominicali vel populo Venetiae" (19), nelle quali espressioni la correlazione tra patrimonio pubblico, ovvero fisco e demanio, e populus appare immediata: come per i beni del palacium ducale si faceva riferimento alla persona fisica del duca, così per quelli del fisco viene fatto riferimento al populus ovvero ai cittadini veneziani (20), che nei fatti, si ricordi (21), erano costituiti dagli abitanti di Rialto.
In età comunale il termine donnicale, ancora impiegato occasionalmente (22), viene sostituito da quello di comune (23), inizialmente concepito come l'insieme dei cives, che solo lentamente assume una distinta e propria "fisionomia giuridica" (24).
Anche se il commune colloquium del I141 non implica necessariamente l'avvenuta costituzione di un organismo comunale, questa è deducibile dalla presenza dei sapientes in un atto del 1143. Nel febbraio di quell'anno il duca Pietro Polani si propose di comporre un dissidio sorto nella cittadinanza in merito alla processio scolarum (25) ovvero alla modalità di celebrazione della festa della purificazione e dell'itinerario che la processione doveva seguire (26), tenendo presenti i provvedimenti antichi adottati dai suoi predecessori, in accordo con il clero e il populus. A tale fine convocò nel suo palazzo i giudici e i viri sapientes, che vengono così definiti: "qui preerant consilio, quod in hoc tempore pro honore et utilitate seu et salvatione nostre patrie habebatur, quorum consilio Venetie populus obedire sacramento est astrictus " (27).
Mentre tradizionale è la presenza dei giudici (28), nuova appare quella dei sapientes, una presenza che il duca stesso ritiene opportuno spiegare con una lunga perifrasi, diretta, invero, a chiarire, più che la funzione dei sapientes, quella del consilium cui essi sono preposti, un consilium che poco dopo viene definito quale consilium del commune, dal momento che i trasgressori alle disposizioni impartite possono rientrare in Venezia solo per ordine del duca e per consiglio del comune: "ducis precepto et communis consilio". Non mancano gli aspetti di ambiguità: il communis consilium va inteso, in senso letterale, quale consiglio ovvero parere, obbligatorio certo, ma sempre parere, espresso dal comune, distinto qualitativamente, com'è intuibile, dal preceptum del duca, che tuttavia non può non basarsi sul parere o consilium espresso dal commune. Orbene, poiché il commune non può esprimersi se non attraverso il deliberato di un organo specifico quale il consilium, che sappiamo essere, come subito ribadiamo, il consilium presieduto dai sapienti e al quale il popolo ha giurato di obbedire, tutto il documento, non solo per quest'ultima espressione, potrebbe apparire condotto sull'equivoco.
Non crediamo che si tratti di equivoci voluti, ma delle difficoltà di esprimere attraverso termini precisi e quindi 'tecnici' una realtà istituzionale in rapida evoluzione. Tali difficoltà, equivoci ed oscillazioni permarranno ancora per lungo tempo, non solo in relazione al consilium e al commune, ma anche ai sapientes e ai loro affini se non equivalenti, quali i preordinati e i consiliatores/consiliarii.
Nel documento del 1143 i sapientes, nominati, come accadrà di regola anche in seguito, dopo i giudici, sono definiti come coloro che presiedono al consilium (29) un consiglio che era stato istituito in quel tempo per l'onore, l'utilità e la salvezza della patria, formula tradizionale, documentata a partire dal secolo X, variamente composta nei suoi elementi (30), e ricordata poco prima anche dal duca, nel riferimento ai provvedimenti presi dai suoi predecessori.
L'oggetto e le finalità, pertanto, dell'atto del 1143, nel quale appare per la prima volta in modo certo l'organismo del comune, non si presentano straordinari. Né tali si presentano gli atti del 1141 relativi agli accordi con i Fanesi, rientrando anch'essi in una tradizione di accordi con le città del Regno Italico. Un rilievo maggiore viene solitamente assegnato ai contrasti con le città di Padova e di Treviso, sorti nell'anno 1142, sfociati in azioni belliche e conclusisi con la pacificazione dell'anno 1144 (31). Ma anche questo conflitto non era nuovo: è sufficiente rammentare il conflitto analogo dell'anno 1107, quando Venezia ottenne l'aiuto di Verona (32), con la quale stipulò un trattato (33). Tali avvenimenti possono essere considerati, e probabilmente furono, l'occasione per fare emergere nella documentazione pubblica l'esistenza dell'organismo comunale, nelle sue forme embrionali ed incerte, non la causa della sua costituzione (34): le difficoltà per il Ducato veneziano non erano superiori ad altre, affrontate con maggiore o minore successo in tempi anche recenti.
Se cause si vogliono individuare, esse vanno individuate, soprattutto, nell'evoluzione della società veneziana, che nei fatti tende sempre più a coincidere con la società 'cittadina' di Rialto, distinta dal territorio in un rapporto che ricorda quello fra città e contado dei comuni italici (35), e nella volontà di partecipazione 'istituzionalizzata' delle famiglie maggiori alla vita pubblica in senso lato e all'attività politica in senso stretto, in altre parole, nell'obiettivo di giungere ad un nuovo assetto del potere e ad una sua redistribuzione: da tempo si prospettava l'esigenza di un controllo del governo del duca, che non fosse limitato, sotto l'aspetto istituzionale, al solo organismo costituito dai giudici, che, del resto, erano pur sempre i 'giudici del duca', anche se l'appartenenza, per la maggior parte di loro, alle famiglie politicamente rilevanti ne aumentava il prestigio e la capacità di influenza politica. Ma nessun 'meccanismo' istituzionale era previsto che affidasse loro o ad altro organismo la possibilità di controllare il governo del duca. In linea teorica, per quanto da oltre un secolo, dal tempo dell'ultimo Orseolo, fosse stato abbandonato l'istituto dell'associazione al soglio ducale di un erede diretto da parte del duca in carica e, quindi, allontanato il pericolo della formazione di una dinastia ducale, leggi in materia non erano mai state adottate (36) e, proprio fra XI e XII secolo, si era potuto assistere ad una ripresa, strisciante e mascherata, della trasmissione ereditaria, con la successione al ducato, con ritmi alterni, di due Falier Deodoni, di due Michiel e, ora, di un Polani, genero dell'ultimo duca Michiel.
L'evoluzione politica ed istituzionale in atto nelle città del Regno Italico, particolarmente in quelle città, più vicine nello spazio, con le quali i Veneziani si trovavano in contatti costanti, offriva al plurisecolare conflitto politico fra potere ducale e famiglie preminenti una soluzione istituzionale: il comune ovvero il governo autonomo delle città, che si concretizzava nell'assunzione del potere politico locale ad opera dei ceti e delle famiglie dominanti nelle singole città. I Veneziani adottarono l'istituzione del comune, ma con profonde modifiche e, soprattutto, per obiettivi diversi, quanto, erano diverse la storia e le istituzioni del Ducato da quelle del Regno e delle sue città. La 'via veneziana al comune', come avremo modo di riconsiderare (37), fu connotata non solo da caratteri particolari, propri, del resto, ad ogni città, ma da una differenza intrinseca dell'ordinamento istituzionale, sia nella sua formazione iniziale sia nella successiva evoluzione, solo apparentemente accostabili, sotto la medesima etichetta di 'comune', a quelle dei comuni cittadini del Regno. Nelle città del Regno Italico l'organismo comunale era apparso da mezzo secolo. I Veneziani ne avevano conoscenza ed esperienza diretta. Lo attesta la documentazione stessa dei rapporti con Fano, nella quale appaiono, come interlocutori del duca veneziano, consoli e sapientes del comune locale.
Esperienze di regime comunale erano in atto da pochi anni in città dell'entroterra veneto, nelle città della Marca Veronese, con le quali Venezia era costantemente in rapporti, oltre che commerciali, politici: di alleanza, con Verona; di inimicizia, a volte armata, con Padova. L'occasione della comparsa del nuovo organismo politico o, come in genere accade per i comuni del Regno Italico, della magistratura dei consoli cittadini, che di quello è l'espressione, è offerta da un avvenimento specifico, rilevante nell'ambito interno, esterno o sotto entrambi gli aspetti: a Padova i consoli appaiono per la prima volta nell'anno 1138, essendo stata loro demandata la soluzione di una difficile e lunga controversia tra il capitolo dei canonici e una potente famiglia signorile (38), una questione interna, dunque, come quella veneziana, anche se di natura diversa; a Vicenza i consoli della città stipulano nel 1147 il trattato di pace di Fontaniva (39); a Verona i consoli cittadini assunsero nel 1136 un ruolo di mediazione in una vicenda processuale nella quale era impegnata la famiglia comitale contro un monastero veneziano, che pretendeva il possesso di un castello posto ai confini del comitato e sulla grande via fluviale di comunicazione e di commercio rappresentata dall'Adige (40).
A Venezia i sapientes appaiono per la prima volta nella documentazione pubblica nell'anno 1141, ma di loro null'altro si dice: il che non deve stupirci, considerate la struttura e la finalità del documento. Dal documento dell'anno 1143 veniamo a conoscere che essi presiedono un consilium, il quale rappresenta un organismo delegato dal populus: alle deliberazioni di sapientes e consilium, "quorum consilio ", il populus ha giurato di prestare obbedienza, obbligandosi cioè ad accettarle quali proprie. Il populus pertanto è assente in quanto tale dal momento decisionale, ché tale ruolo non è certo da identificarsi con la sua menzione al momento dell'enunciazione della sanzione per i trasgressori - "dux, una cum iudicibus et Venecie populo, laudantes unanimiter confirmamus" -, una menzione chiaramente di formulario, in omaggio alla tradizione: esso è presente per delega affidata ai sapientes del consilium.
Si noti, infine, la duplicità di significato che il termine consilium assume nello stesso passo del documento: organismo presieduto dai sapientes e delibera adottata dagli stessi; verso la fine del documento, come abbiamo già sottolineato, il termine consilium esprime la delibera del commune - "communis consilio"-, che non può non essere costituito se non dal consiglio presieduto dai sapienti e strettamente collegato al popolo dal giuramento di obbedienza del secondo, che, come apprendiamo in seguito, lo ha eletto, probabilmente in forme non dirette, ma mediate, simili a quelle note, anch'esse, più tardi (41).
La presenza dei sapientes, del consilium e del commune sostituisce quella del populus, che ritorna ad essere nominato nel momento in cui il duca e il vescovo di Castello - ricordiamo che la materia della controversia riguardava direttamente anche la chiesa -, prendendo atto del giudizio espresso in merito da giudici e sapientes, lo confermano, con il consenso del clero e del popolo; e con il consenso, poi, di giudici e popolo, il duca stabilisce le sanzioni per i trasgressori, condannati alla confisca dei loro beni, che saranno incorporati nel patrimonio fiscale, "in nostro donnicale", e all'esilio, dal quale potranno essere sollevati solo per volontà del duca e del consiglio del comune: "ducis precepto et communis consilio".
Fino all'inizio del 1148, quando succede il nuovo duca, Domenico Morosini, disponiamo di altri sei documenti pubblici concernenti il ducato di Pietro Polani.
Nel 1144 il duca dona un terreno in Chioggia al monastero di S. Cipriano (42), bene giunto in "nostro domnicali" per donazione di Giovanni Gradenigo; lo assistono i giudici e il populus Venetie. Analoga nella formulazione e nella sostanza si presenta l'anno seguente la conferma di un possesso alla chiesa di Rodosto: il duca dichiara di agire "cum nostris iudicibus et populo Venetie" (43). Si tratta di atti di donazione non particolarmente rilevanti; forse proprio per questo vengono adottati nella loro redazione i criteri e i formulari tradizionali: duca, giudici e popolo.
Le nuove realtà istituzionali appaiono, in modi formalmente anche diversi, in tre atti di carattere accentuatamente politico, concernenti, i primi due, trattati con altre città, il terzo un'ambasceria all'imperatore bizantino; in un quarto atto, infine, che concerne aspetti finanziari.
Nel 1144 dodici Padovani giurano il pactum de pace fra il comune di Padova e il comune di Venezia, ricordato il secondo ripetutamente nel testo del documento, redatto da un notaio padovano (44). L'anno seguente gli abitanti di Capodistria si impegnano a prestare aiuto ai Veneziani, se il duca o un suo messo svolgerà azioni belliche "per commune" (45): nella formulazione è possibile notare la subordinazione del duca stesso alla volontà del comune per questioni di tanta importanza. L'atto viene compiuto nella curia del duca, alla presenza dei giudici e dei sapientes. Il terzo documento concerne l'azione svolta in Rodosto nell'anno 1147 da due legati, Domenico Morosini e Andrea Zeno, che erano diretti a Costantinopoli, inviati all'imperatore bizantino dal duca e dal comune: "legati [...> ducis tociusque nostri communis" (46). Manifeste risultano l'esistenza del comune e le sue competenze nell'ambito politico, che esso spartisce con le prerogative ducali, in un equilibrio di potere che, dopo alcune fasi alterne, sarà spostato definitivamente a favore del comune.
L'ultima attestazione appare in un atto del febbraio dell'anno 1148, inserito per transunto in un documento dell'anno 1152, ove si nomina una carta diiudicatus rilasciata alla monaca Penia Malipiero dal duca Polani, "cum suis iudicibus et preordinatis et populo Veneciarum", e viene ricordato il pagamento di lire novanta da lei compiuto al comune di Venezia, "communi Veneciarum", su invito del duca, dei giudici e dei preordinati (47).
Sono posti in evidenza gli attributi fiscali del comune, già da noi anticipati, e il suo carattere, quindi, di ente amministrativo, oltre che politico, mentre ancora nell'anno 1144 Si parlava di "nostrum domnicale" (48), espressione che più facilmente si prestava ad equivoci, poiché essa rimanda al periodo in cui i beni pubblici erano gestiti direttamente dal duca, quand'anche, come nel periodo antico, non avvenisse una sostanziale fusione tra beni pubblici e beni del duca, tutti compresi nel suo dominicale (49).
Compare anche un nuovo termine, quello di preordinati, che indica la terza componente degli organismi pubblici al vertice del potere, dopo il duca e i giudici. La stessa posizione dei preordinati li fa avvicinare, immediatamente, ai sapientes preposti al consiglio nel 1143 (50). Alcune particolarità vanno subito segnalate: da un lato, la breve durata del termine, la cui ultima attestazione abbiamo potuto rilevare in un documento dell'anno 1179 (51); dall'altro, il fatto che i preordinati appaiano, in genere, nominati immediatamente prima del populus, il che del resto avverrà, poco dopo, anche per i sapientes, ad iniziare dall'anno 1163 (52). Poiché non accade, di norma, che nella stessa formulazione siano menzionati insieme preordinati e sapientes, noi propendiamo a ritenerli sostanzialmente equivalenti, come un documento dell'anno 116o, che appresso esaminiamo (53), ci suggerisce in modo più esplicito. La differenza nell'impiego dei termini risiede nella diversa sottolineatura della loro funzione: i preordinati rinviano a coloro che sono stati designati espressamente a presiedere il consiglio; i sapientes sembrano rinviare genericamente ai componenti del consiglio, anche se fin dal primo momento essi sono definiti come coloro che al consiglio presiedono: un consiglio, si badi, che dopo l'anno 1143 non torna ad essere nominato che dopo due decenni, nell'anno 1165 (54).
Nel giugno dell'anno 1152 (55) il duca Morosini, nel concludere un trattato con gli Anconitani, presta un giuramento al populus di Ancona, giuramento che egli dichiara essere analogo a quello prestato al momento dell'assunzione del ducato, cioè nell'anno 1148, al populus di Venezia (56). Ma la definizione del giuramento prestato al popolo veneziano si presenta complessa: "sicut ab exordio mei ingressus curavi cuncto communi Venetico populo, cui quoque populo omnes successores nostri sicut Venetico populo iurabunt in eorum introitu".
Prescindendo al momento dall'atto in sé del giuramento, notiamo il rilievo che assume il termine communis nell'espressione "cunctus communis populus Veneticus". Mentre possiamo fare risalire alla documentazione pubblica dell'età ducale la prima parte dell'espressione, "cunctus populus" (57), con altre affini (58), nuovo è l'inserimento del termine communis, per cui sembra che lo stesso aggettivo cunctus, più che a populus, sia riferito a communis o, meglio, a commune. Questo termine designa, secondo noi, la nuova realtà istituzionale, il 'comune'; esso è qui impiegato non per porre in risalto in modo incongruo una qualità del populus, ma la sua organizzazione politica, alla quale, intesa nella sua totalità di organismi e persone, consilium e sapientes, va riferito l' aggettivo cunctus.
A confermare che non si tratta del populus quale appariva nelle formulazioni tradizionali della documentazione pubblica, il duca aggiunge subito dopo che a questo populus tutti i suoi successori presteranno o meglio dovranno prestare giuramento al momento dell'assunzione dell'ufficio ducale, come se si trattasse del Veneticus populus, cioè il popolo, di norma ricordato negli atti pubblici, inteso, secondo la tradizione, quale "fonte dei pubblici poteri" (59). Il riferimento, dunque, è al futuro, non al passato: il duca Morosini non intende ricordare possibili, anzi probabili, precedenti giuramenti (60), ma si propone, o è costretto a proporsi, di vincolare i duchi futuri a prestare giuramento non al popolo di Venezia, semplicemente, ma a quel cunctus communis populus, cui egli stesso ha prestato giuramento, il popolo, cioè, organizzato in comune, meglio ancora il comune che rappresenta il popolo (61).
Intenzioni ed obblighi siffatti non sono, crediamo, prodotto della volontà del duca, ma della volontà del comune di pretendere dai duchi futuri quanto è riuscito ad ottenere dal duca presente. Orbene, poiché, per quanto finora ci risulta, il comune è rappresentato - potremmo osare dire: nei fatti costituito - dai sapientes e dal consilium (62), a questi va attribuita la formulazione complessa del giuramento e, parimenti, vanno attribuite la volontà e l'abilità di cogliere con tempestività le occasioni che si presentavano per ribadire al duca, al popolo ed ancor più all'esterno del Ducato la nuova realtà istituzionale che si era venuta a formare in Venezia.
Al giuramento del duca segue quello individuale degli abitanti di ogni trentacia: i singoli uomini promettono che presteranno aiuto agli abitanti di Ancona come se questi fossero abitanti di una fra le migliori contradae (63) di Venezia. Il gruppo realtino di isole che costituiva la civitas di Venezia conosceva fin dagli ultimi decenni del secolo XI una ripartizione territoriale per confinia, che corrispondevano alle parrocchie, dalle quali traevano anche il nome (64). La suddivisione in trentaciae, la quale, per quanto ci consta, appare per la prima volta in questa occasione, esprime uno stadio più avanzato di organizzazione territoriale, poiché essa risponde a fini amministrativi complessi, che ci sono noti solo per un periodo più tardo. All'inizio del secolo XIII, nelle disposizioni emanate dal duca Pietro Ziani circa le modalità di elezione degli ufficiali pubblici (65), la trentacia viene assunta quale ripartizione territoriale di base per la formazione degli organismi rappresentativi: i tre elettori deputati a designare i componenti di varie magistrature debbono provenire, a rotazione, dalle trentaciae; i sapientes del consiglio maggiore debbono essere eletti uno per trentacia. Non possiamo ovviamente asserire che tale sistema fosse in atto alla metà del secolo XII, ma questo non sminuisce l'importanza della comparsa nel documento delle trentaciae, che non può non indicare l'esistenza di un'organizzazione territoriale ai fini anche del funzionamento delle istituzioni e della elezione delle magistrature.
Due mesi più tardi, nell'agosto dell'anno 1152, venne rinnovato il trattato con Ancona: il duca prestò un giuramento del tutto simile al precedente, come analogo fu il giuramento prestato dai Veneziani, ma questa volta non dai singoli, ma da " omnis communis populus Venetie " (66).
Interessante si presenta, nella prospettiva della percezione all'esterno dell'evoluzione istituzionale in atto nel Ducato, un privilegio di Rainaldo, principe di Antiochia, che conferma nell'anno 1153 esenzioni fiscali ai Veneziani concesse dai suoi predecessori (67). Il principe dichiara, poi, in merito ad un'ulteriore concessione fiscale per tessuti di seta e di lino, di essere mosso dal desiderio di ottenere l'amicizia "ducis ac tocius senatus Venetie". Il senatus Venetie, pur ammettendo la genericità dell'espressione, non può non sottintendere il riferimento ad un organismo consigliare, che nel caso specifico è certamente il consilium communis. Due decenni dopo, come vedremo, in un privilegio analogo (68), si nomina il senatus civitatis.
Altra documentazione riguardante il comune concerne la presenza veneziana in Oriente. Alla fine dell'anno 1151 sono ricordate in Rodosto le disposizioni circa la chiesa locale emesse da parte del patriarca, del duca e "totius communi[s> Venetiae" (69).
In una carta di sicurtà fra privati del febbraio 1156 (70) vengono inseriti riferimenti numerosi al periodo dei ducati di Pietro Polani e di Domenico Morosini, da poco scomparso. Il primo aveva concesso e il secondo rinnovato, entrambi assistiti da giudici e popolo, a sette Veneziani, che dovevano pagare un censo al comune, tutto ciò che era di spettanza pubblica in Costantinopoli - "de toto communi nostro de Costantinopoli" -, dopo che Manuele imperatore l'aveva concesso "communi Venecie". Il comune, ente politico ed amministrativo, è già tanto familiare agli attori del documento che le concessioni dell'imperatore bizantino, accordate con i privilegi dell'ottobre 1147 (71) e del marzo 1148 (72), vengono ricordate come indirizzate "communi Venecie", mentre nei due privilegi i destinatari erano stati i Venetici: anche per i privati, Venetici ovvero popolo di Venezia e comune sono ormai nella sostanza equivalenti. Una situazione analoga ma ancor più significativa presenta un altro documento, che esaminiamo nel paragrafo seguente (73).
Rimane documentazione concernente l'attività interna. Nel gennaio 1152 il duca, "cum nostris iudicibus et preordinatis et populo Venetiae" (74), rilascia una carta di sicurtà a due figli di Basilio Basilio o Baseggio, relativa ad operazioni di prestito: numerose sono le menzioni del comune, inteso quale ente amministrativo e quale titolare dei beni pubblici. Il duca stesso rammenta che i due Baseggio erano in precedenza comparsi più volte alla presenza sua, dei suoi giudici, dei preordinati e del commune Venetiarum: il raffronto con le espressioni precedenti mostra con chiarezza l'equivalenza sostanziale di populus e commune anche per i redattori dei documenti pubblici.
Interessante la prospettiva storica - o, se si preferisce, 'antistorica' offerta da un documento del giugno dello stesso anno, concernente le vicende dei beni sequestrati ad uno Zusto (75). Vi è fatto riferimento ad una condanna e ad un successivo atto di confisca compiuti dal duca Domenico Michiel - anni 1117-1130 -, che avrebbe agito con l'approvazione dei giudici e del comune di Venezia, espressione ripetuta, assieme all'altra che dichiara spettare i beni confiscati al duca e al comune di Venezia. La proiezione dell'ordinamento comunale in un tempo anteriore appare tanto più significativa perché involontaria: l'istituto del comune, che ormai designa per antonomasia anche la somma degli interessi pubblici, è applicato ad un passato nel quale esso ancora non esisteva.
Il primo documento utilizzabile ai nostri fini si riconnette direttamente ad uno esaminato poco sopra. Nel marzo 1156 il duca Vitale II Michiel, con i suoi giudici e il "commune Venecie", conferma la concessione dei beni pubblici in Costantinopoli (76). Nel testo del documento, quando vengono richiamate le concessioni ducali precedenti e le assicurazioni, cartulae promissionis, rilasciate ai duchi dagli investiti, sono ricordati quali destinatari di queste cartulae, una volta, i duchi con i giudici e il "commune Venetie", un'altra, i duchi con i giudici e il "populus Venetie", mostrando ancora, in documentazione ufficiale, l'equivalenza fra populus e commune.
Elementi significativi per seguire l'evoluzione, anche terminologica, dei nuovi istituti e del grado di consapevolezza e di chiarezza acquisito - gli aspetti sono strettamente connessi -, emergono da documentazione ulteriore concernente la presenza e gli interessi veneziani in Oriente, in particolare le sanzioni comminate per disobbedienza all'ordine di rimpatrio impartito nel novembre 1158. In un provvedimento del maggio 1160 il duca dichiara di agire, a seconda dei vari momenti dell'iter giudiziario, con i giudici e i suoi fedeli, con i giudici e i sapienti, con i giudici, i preordinati e il popolo (77). In un secondo provvedimento, dal contenuto analogo al precedente (78), il duca si propone di trattare "de honore nostri communis", assieme ai suoi giudici e ai consiglieri dei sapienti, "sapientum viri consiliatores" - è la prima menzione diretta dei consiliatores -; poco dopo ricorda giudici e sapienti; alla fine, delibera con giudici, preordinati e populus Venecie.
Quest'ultima formula riappare in un provvedimento dello stesso mese (79), con il quale il duca infligge il pagamento di una somma di denaro da corrispondere al duca stesso (80) e al commune Veneciarum. Un teste ricorda, quattro anni dopo, che nel marzo 1160 il duca, con giudici e sapientes consiliatores, gli aveva rilasciato una carta di sicurtà per una somma corrisposta al comune (81). Ad una carta siffatta, rilasciata nell'anno 1164 dal duca, con giudici e sapienti, viene fatto riferimento in un documento dell'anno 1170 (82).
Situazione identica emerge dagli atti di donazione. In una concessione dell'anno 1164 di beni del comune in Tiro alla chiesa di S. Marco il duca agisce con giudici, sapienti e popolo (83); in un'altra dell'anno 1168 al monastero di S. Giovanni Evangelista di Torcello egli agisce con maiores, preordinati e populus, ove pare che per maiores si debbano intendere i giudici (84), mentre, al solito, i preordinati corrispondono ai sapientes del documento precedente.
Nel giugno 1164 il duca, con giudici, sapienti e popolo, assegna a dodici persone, per quote differenti, i redditi spettanti al comune sul mercato di Rialto a soddisfazione di un prestito di 1.150 marche d'argento da loro effettuato al comune (85).
In una prospettiva già assunta in precedenza, quella cioè della percezione all'esterno dell'evoluzione istituzionale in atto nel Ducato, si inserisce un privilegio di Boemondo, principe di Antiochia, con il quale questi conferma nell'anno 1175 ai mercanti veneziani esenzioni fiscali in Antiochia (86). Il principe indirizza il privilegio al duca di Venezia, al senatus civitatis e a tutti i Venetici: quel senatus civitatis che si interpone fra il duca e i Venetici ovvero il populus, gli elementi dell'antica diade, ben esprime il nuovo assetto istituzionale, rappresentato dall'istituzione del consiglio del comune, nonché il suo carattere 'cittadino' ovvero espressione della società e dei maggiorenti di Rialto.
I documenti ora considerati, se mostrano il rafforzamento delle istituzioni comunali e contribuiscono a farci meglio comprendere le loro funzioni, non svelano più di quelli precedenti i concreti rapporti di potere che intercorrevano fra il duca e gli organismi comunali. In questa prospettiva si presenta particolarmente significativo uno dei tre documenti che concernono l'investitura di comitati, nel cui ambito il duca aveva mantenuto, pur sotto il controllo di giudici e sapienti, una possibilità notevole di azione, che si concretizzava, secondo una prassi consolidata, nel favore concesso ai propri familiari.
L'investitura dell'anno 1163 del comitato di Veglia (87) è compiuta dal duca con l'assistenza di giudici, sapienti e popolo, per l'utile e l'onore del comune di Venezia. Va sottolineata l'espressione "electi sapientes", che appare per la prima volta e indica l'esistenza di una procedura elettiva, che risulterà confermata da documenti posteriori di due decenni (88) e le cui modalità saranno note solo più tardi, quando il duca Pietro Ziani regolerà l'elezione dei consigli (89).
Nell'anno 1166 il duca stabilisce le norme per l'elezione del conte di Arbe, che potrà essere scelto fra i nobiles locali e dovrà essere confermato da lui e dai sapienti (90). Di questi, per l'occasione, viene detto che saranno vincolati a giurare di perseguire l'honor di Venezia, un giuramento che dovrebbe servire a porre riparo ad azioni intese a favorire singole persone.
Nel maggio 1165 si presenta al palazzo Ducale, ove il duca sedeva con giudici e sapienti per trattare degli affari pubblici (91), Domenico Morosini, conte di Zara, pretendendo l'investitura di metà del comitato di Ossero e della sua isola, poiché, secondo lui, gli era stata concessa dal padre suo, il duca Domenico Morosini, con giudici, sapienti e popolo di Venezia. Vi si opponeva Leonardo Michiel, figlio del duca in carica, che sosteneva la legittimità dell'investitura concessa a lui dal padre e dal popolo. Di fronte a questa controversia, duca, giudici e sapienti del consiglio - ma appare evidente che le parole non sono dettate dal duca - dichiarano anzitutto che il male sta nella potentia dei duchi, una potenza tale, "tanta potestas", che permette loro di concedere i beni del comune, "bona comunis", ai propri figli ed eredi senza utilità alcuna; sottintendendo: per il comune di Venezia. Stabiliscono perciò giudici e sapienti che in futuro questo sarà radicalmente proibito: non l'investitura ai familiari, aggiungiamo noi, ma l'investitura senza pagamento di censo. Alla proposta del Morosini di corrispondere, se avesse ricevuto l'investitura il figlio suo ovvero il nipote del duca defunto, la somma di lire ottocento, duca, giudici e sapienti, considerando che il Morosini già era investito del comitato di Zara, preferiscono assegnare l'intero comitato di Ossero a Leonardo Michiel, con l'impegno che questi corrisponda la stessa somma al comune. Sottopongono poi la decisione al populus Venecie, radunato nel palazzo, che dà la sua approvazione. Va rilevato l'intervento diretto del popolo, quel popolo di cui quasi sempre si afferma nella documentazione pubblica il consenso, ma che di regola non interviene in modo palese.
L'importanza dell'atto illustrato, che traspare anche dalla meticolosità con cui il notaio, redigendone il resoconto, ne ha riportato le varie fasi, certamente in seguito a precise istruzioni, è stata ripetutamente sottolineata dagli studiosi, nell'ambito del trapasso, che qui appare chiaro, da una concezione patrimoniale o 'regalistica', insita nella procedura personale della concessione delle prerogative e dei beni pubblici ai familiari del duca, come se si trattasse di un appannaggio familiare (92), ad una decisamente pubblica, per cui si afferma che titolare di questi beni ed unico deputato a disporne è il comune (93).
La considerazione della documentazione pubblica relativa agli ultimi anni del ducato di Pietro Polani mostra chiaramente che il ruolo politico assunto dal comune, appena costituitosi e ancora privo di articolazioni istituzionali complesse, è determinante e non conosce limiti alle sue competenze, poiché esso interviene in tutte le questioni di importanza politica primaria: la stipulazione della pace, l'approvazione di trattati, la direzione della guerra, la rappresentanza diplomatica all'estero, anche nei confronti dell'Impero d'Oriente. Tutto ciò mentre formalmente il duca conserva il suo ruolo di rappresentante del Ducato, soprattutto nei confronti esterni: anche quando il comune sembra prevalere nei fatti, il primo nominato è sempre il duca, seguito, quando appaiono, dai giudici e dai sapientes o preordinati o consiliatores.
L'affermazione politica del comune culmina, alla morte di Pietro Polani, nell'obbligo imposto al nuovo duca e, si badi, ai suoi successori di prestare giuramento non al popolo di Venezia, al quale probabilmente i duchi precedenti avevano giurato, ma al communis populus, al popolo e al comune, al popolo cioè rappresentato dal comune, il quale comune consisteva nel consilium e nei sapientes.
A tutto questo si aggiungano gli interventi del comune, numerosi e via via più rilevanti, sulle questioni interne, dalla controversia sulla processio scholarum agli ordini di rimpatrio e all'applicazione delle sanzioni connesse, fino all'assegnazione dei comitati, interventi tutti a fianco, sì, del duca, ma nello stesso tempo limitanti nei fatti e nel diritto il potere ducale, come mostra con evidenza la vicenda relativa ai comitati. Ancora, ma non certo di scarso rilievo, la partecipazione ai provvedimenti di carattere finanziario, primi fra tutti i prestiti pubblici, l'avocazione a sé, in quanto equivalente al populus, di tutti i beni e diritti pubblici, l'assunzione degli oneri finanziari e la titolarità dei redditi fiscali (94).
Poco importa, di fronte a queste considerazioni, che non si riesca a cogliere, sia concretamente che teoricamente, l'organizzazione del comune, l'articolazione cioè dei suoi eventuali organismi costitutivi, i ruoli specifici del consiglio e dei sapienti e i loro rapporti reciproci, il significato concreto, infine, dell'equivalenza che la documentazione, pubblica e privata, stabilisce fra commune e populus. Alcuni dei problemi prospettati si chiariranno da soli alla luce della documentazione posteriore; altri rimarranno poco chiari o insoluti. Ma un aspetto essenziale non può essere negato: il comune nasce in Venezia già maturo politicamente, nella pratica dell'azione politica, certo, non nella teoria, non nell'organizzazione interna, non nei suoi istituti.
Nella documentazione pubblica posteriore, che esamineremo meno dettagliatamente, vedremo che si avvia ad affermarsi, in modi non sempre espliciti, una concezione del comune che non è più equivalente a quella di populus, ma che si concretizza ormai negli organismi rappresentativi, particolarmente nel consiglio maggiore, e nelle magistrature: nasce la concezione di uno Stato quale "ente astratto", fornito di personalità giuridica (95); il richiamo, nella documentazione pubblica, al populus diverrà una formalità.
La funzione e l'obiettivo del comune - ora possiamo affermarlo e via via meglio provarlo - erano il controllo e la limitazione dei poteri ducali, non a vantaggio del popolo, come sembrerebbe dalle dichiarazioni presenti nelle formule documentarie, ma a vantaggio dei maggiorenti, che, dopo avere pressoché monopolizzato le funzioni di giudice (96), entravano ora nei consilia e divenivano sapientes, preordinati o, più tardi, consiliatores o consiliarii. Non conosciamo, per i primi decenni, i loro nomi: non rimangono elenchi di membri del consiglio né appaiono singoli personaggi che si qualifichino quali sapientes e preordinati; solo a partire dall'anno 1187 appaiono singoli consiliatores o consiliarii (97). Tale aspetto, pur in dimensioni temporali assai più ridotte, ricorda quello relativo ai giudici, dei quali per lungo tempo si conosce l'esistenza, anche se non sono segnalati nella documentazione i giudici singoli (98).
Non ci convince l'identificazione proposta dal Cessi (99), che attribuisce ad un gruppo di trentuno persone costituirebbero già il consiglio maggiore la qualifica di consiliatores, appoggiandosi ad un documento del 1166 (100) ma è possibile che fra i sottoscrittori dei documenti pubblici dagli anni Quaranta fino al 1187, nel qual anno appare il primo consiliator con nome e cognome (101), alcuni fossero appunto sapientes e consiliatores.
La considerazione, che appresso delineeremo in modo assai sommario (102), dapprima dei sottoscrittori degli atti pubblici, in genere, poi delle persone che hanno rivestito le magistrature, permetterà di porre in rilievo la presenza costante, con scarsa diversificazione - totalizzante, ad esempio, per i giudici, con qualche apertura verso gli uomini nuovi per i consiliatores -, dei membri delle famiglie di maggiorenti, quelle stesse cui appartenevano i giudici dell'età precomunale, non escludendo certo la comparsa di nuove famiglie, a conferma di un processo di ricambio sociale, che continua a caratterizzare, in proporzioni ora, invero, più ridotte, la società veneziana, in misura maggiore o minore a seconda dei periodi.
La 'regolarizzazione' dell'elezione ducale, i consigli maggiore e minore, gli uffici del comune. Ducati di Sebastiano Ziani e Orio Mastropiero (1172-1192)
Dopo l'assassinio del duca Vitale II Michiel, sul quale episodio torneremo a soffermarci (103), viene eletto il nuovo duca nella persona di Sebastiano Ziani. Una cronaca tarda (104), generalmente accettata (105), illustra la nuova procedura adottata per l'elezione del duca: non più convocazione del popolo nella concio ed acclamazione del nuovo duca su designazione di alcuni dei presenti (106), ma designazione di undici elettori, cui spettava il compito di indicare il nuovo duca, acclamato poi dal popolo senza contraddizione di alcuno. Sebastiano Ziani fu il primo duca "creatus per modum electionis" (107), distinto dai duchi eletti "per potentiam" (108).
Nell'anno 1178, al momento dell'elezione del duca Orio Mastropiero, il procedimento venne ripreso, perfezionato dalla designazione di quattro persone che avrebbero scelto gli elettori, ben quaranta, del nuovo duca (109). Si tratta del sistema, generalizzato per l'epoca, della doppia elezione, che sarà adottata, come vedremo, anche nell'elezione dei membri dei consigli. Con procedimento analogo si svolsero le elezioni ducali dell'anno 1192 (110) e dell'anno 1205 (111).
Dopo il 1172 continuano ad essere menzionati nella documentazione pubblica (1I2) duca, giudici, sapienti e popolo; con frequenza inferiore anche i consiliatores e poche volte i consiliarii, che sembrano, gli uni e gli altri, sostitutivi ed equivalenti ai sapienti.
Sapientes, consiliatores e consiliarii presuppongono l'esistenza di un consilium, che poche volte, tuttavia, viene menzionato esplicitamente. Dopo gli atti degli anni 1143 (113) e 1165 (114), esso riappare in un documento dell'anno 1179 (115), ove viene affermato che il duca agisce "Cum iudicibus, preordinatis et sapientibus consilii" (116).
Un nuovo riferimento è presente nel provvedimento circa la designazione agli uffici dell'anno 1185: nel caso di un rifiuto eventuale all'accettazione di un ufficio, la valutazione delle giustificazioni addotte spetta al duca e alla "maior pars consilii" (117). Dallo stesso documento apprendiamo che la designazione ad un officium della curia o ad un servitium Venetie avviene ad opera di electores (118), il che mostra in atto quel sistema di elezione o meglio designazione agli uffici che sarà sancito nella promissio del duca Pietro Ziani (119).
In occasione del prestito pubblico del maggio 1187 tornano ad essere nominati i sapientes consilii (120). Un mese dopo (121) apprendiamo che i consigli sono due: nell'atto di promettere risarcimento e compenso a coloro che si recassero con le loro navi all'assedio di Zara, i procuratori di S. Marco (122) dichiarano di agire "per preceptum" del duca e con "collaudatione iudicum et maioris atque minoris consilii et advocator[um> nostris communis et populi Venetiarum": per la prima volta uno dei sottoscrittori, Aldigerio Badoer, è connotato con la qualifica di consiliator (123).
Un nuovo prestito per il comune viene richiesto nel novembre (124) dal duca, con l'assistenza di giudici, sapienti del consiglio ed avvocati del comune.
Il comune quale ente amministrativo veniva articolandosi nelle sue magistrature: oltre al duca e ai consigli, giudici, giudici del comune, camerari e avvocati del comune - ne tratteremo appresso, illustrando le presenze delle famiglie nelle magistrature -, per tacere di altre magistrature minori, quali i vicedomini o visdomini, che, già attestati nel trattato con Verona dell'anno 1107 (125), riappaiono, in numero di due, quali sottoscrittori del documento dell'anno 1173 (126) e sono nominati come visdomini del comune nella promissio del duca Dandolo in relazione al tributo del quadragesimo, corrispondente al 2,50% del valore della merce (127).
Il giuramento prestato al comune di Venezia dai duchi, ad iniziare, probabilmente, da quello di Domenico Morosini, pur se il contenuto non è noto (128), veniva a codificare un complesso consuetudinario di norme, risalenti alcune, soprattutto quelle relative alla giustizia, ad un periodo antico, le altre riflettenti per lo più il nuovo ordinamento istituzionale, che si era venuto formando nella pratica degli ultimi decenni e che trovava la sua espressione nel comune e nei suoi organi (129).
A questo giuramento venne sovrapposta una promissio: la prima a noi nota è quella giurata nel 1192 dal duca Enrico Dandolo (130). Il processo che porta all'imposizione della promissio è avvicinabile a quello concernente il giuramento prestato dai consoli dei comuni cittadini, nucleo entrambi della successiva legislazione statutaria (131). Ne esponiamo il contenuto parzialmente, utilizzando le norme utili ai nostri fini e raggruppando artificialmente i vari capitoli, poiché la materia non appare ordinata.
Un gruppo di norme concerne il comune quale ente amministrativo. Il duca non deve esigere alcun servizio o prestazione fra quelle spettanti al comune (132); i beni e i redditi del comune possono essere assegnati a singole persone solo con l'approvazione della maggior parte del consiglio (133); gli introiti derivanti dalla tassa del quadragesimo, esatta dai visdomini del comune, saranno ripartiti per due quote al duca, per la terza ai visdomini stessi, mentre il duca non avrà alcun diritto di percezione o di controllo sulle altre entrate (134).
Un altro gruppo di norme concerne i giudici e l'amministrazione della giustizia. Il duca si impegna a rispettare e a fare eseguire le sentenze dei giudici, a meno che queste non siano modificate per intervento della maggiore parte del consiglio (135) Nel caso che vi fosse discordia fra i giudici, egli potrà fare prevalere la pars melior (136). I giudici non possono essere nominati prescindendo dalla procedura elettiva, che non viene tuttavia illustrata (137). A loro deve essere affidata l'inchiesta anche in merito ad offese ricevute dal duca (138).
L'autorità del consiglio è assai estesa e prevale su quella del duca: questi, oltre ad accettare la necessità del suo consenso per la concessione di beni e redditi del comune (139), cui abbiamo accennato, si impegna a non concedere ad alcuno beni sottoposti al controllo del consiglio, senza l'approvazione di questo (140), e di non nominare notai (141). Per l'aspetto politico assumono rilievo maggiore il divieto di inviare ambascerie e stabilire contatti epistolari con pontefice, imperatori ed altri, senza l'approvazione del consiglio (142) e l'obbligo, per converso, di seguire la volontà del consiglio nella trattazione degli "affari comuni", "negotia comunia" ovvero di stato (143).
In tutte le norme fin qui citate viene nominato, in modo generico, un consiglio, senza altra specificazione. Una sola norma (144) menziona il consiglio minore e il consiglio maggiore: essa concerne tutto ciò che può riguardare direttamente il ducatus - "De facto quod pertinuerit specialiter ad ducatum [...>" -, con il che riteniamo si voglia alludere alle prerogative specifiche del duca e del suo ufficio. In questa materia il duca è sottoposto alla volontà della maggioranza del consiglio, che è qui definito espressamente consilium maius, ma, ancor più, a quella dei consiliarii componenti il consilium manus, che debbono esprimere la loro approvazione all'unanimità.
Dalla nostra esposizione traspare una linea interpretativa in merito all'esistenza e alla storia dei due consigli, alla presenza e alla qualifica dei loro membri, nonché alle loro competenze, questioni complesse e non del tutto chiarite, per la scarsità e per l'ambiguità della documentazione stessa.
Nel testo della promissio del Dandolo i componenti del consiglio, genericamente definito, non sono mai nominati, se non, in modo ricorrente, quale "maior pars consilii"; solo nel momento in cui compare il consiglio minore, sono menzionati i consiliarii, che indicano nel caso specifico, ovviamente, i membri del consiglio minore.
È possibile trarre qualche altra indicazione in merito, prendendo in considerazione, nella sua successione temporale, la documentazione pubblica.
Sappiamo che i sapientes continuano ad essere menzionati con duca e giudici fino al primo decennio del secolo XIII; ma la loro connessione con un consiglio, "sapientes consilii", è precisata solo a partire dall'ultimo decennio del secolo XII, per due volte (145). I consiliatores o consiliarii non appaiono in genere accanto al duca, all'inizio, all'interno o alla fine della parte dispositiva del documento, se non in pochi casi anteriori al ducato del Dandolo (146), per cui non sono nemmeno posti in relazione ad un consiglio (147).
Solo pochi anni prima del ducato del Dandolo, ad iniziare, come abbiamo segnalato, dall'anno 1187 (148), appaiono singole persone che sono qualificate quali consiglieri nelle sottoscrizioni a documenti pubblici; due anni dopo (149), si sottoscrivono sei consiglieri, che erano, probabilmente, i componenti del consiglio minore, corrispondendo il loro numero di sei a quello della composizione del consiglio qual è dichiarata nell'anno 1207 (150).
Prendendo in considerazione la breve promissio giurata nell'anno 1205 dal duca Pietro Ziani (151), possiamo osservare che i facta pertinenti al comune veneziano sono di competenza di quegli uomini che rappresentano il comune stesso: "[...> ab illis hominibus qui modo sunt per comune Venecie" (152), che poco dopo sono distinti dai membri del consiglio minore: "[...> per [...> maiorem partem nostri minoris consilii et maiorem partem ipsorum virorum qui modo ante sunt per suprascritptum comune", espressioni ripetute. Gli "uomini che sono per il comune" sono, secondo noi, i membri del consiglio maggiore.
Poiché, in un altro capitolo (153), il duca promette che farà giurare i futuri consiliarii del consiglio minore conformemente a quanto giurano i consiliarii ora in carica, saremmo portati a concludere che i consiliarii appartengano al consiglio minore e siano equivalenti ai sapientes, qualificati in genere a sé stanti e poche volte in relazione al consiglio, capi del consiglio stesso dall'anno 1143 fino a tutto l'ottavo decennio del secolo (154), come suggerisce anche la qualifica di preordinati, con la quale a volte sono designati, staccatisi poi dal consiglio, che sarebbe divenuto il consiglio maggiore con ampie competenze politiche fino ad identificarsi con il comune, per formare un consiglio separato, quello che sarebbe divenuto il consiglio minore, con il compito, come si deduce dalla promissio dell'anno 1192, di affiancare il duca nelle sue funzioni, il quale duca, senza il consenso unanime di tutti i suoi consiglieri, fissati nel numero di sei nell'anno 1207, ma che appaiono già tali nell'anno 1189 (155), non può in pratica agire.
Il consiglio maggiore, il cui numero di componenti sarebbe superiore a trenta, forse di trentacinque, come ipotizza il Cessi (156), non interverrebbe nel momento della promulgazione degli atti pubblici, quando il duca dichiara in genere di agire con giudici e sapienti, corrispondenti i secondi ai consiglieri del consiglio minore: a fianco del duca, nei momenti in cui egli compie atti pubblici, non sono menzionati di regola i consigli, ma i consiglieri e di questi i più stretti collaboratori. Il consiglio maggiore, che è ormai l'organo regolatore di tutta la vita pubblica - nelle promissiones il popolo è assente o ricordato occasionalmente (157) -, esprime a maggioranza la sua volontà, che duca, giudici e sapienti/consiglieri hanno il compito di tradurre nella pratica.
Con questa ricostruzione degli organi istituzionali, dei loro rapporti e dei meccanismi di funzionamento sembra contrastare la terminologia, non la sostanza, impiegata nel provvedimento emesso nell'anno 1207 dal duca Ziani in merito alle modalità di elezione degli organismi pubblici e degli ufficiali (158), nel quale provvedimento sia i componenti del consiglio minore che quelli del consiglio maggiore sono definiti sapientes: i primi, nel numero di sei, sono eletti uno per sestiere; i secondi, dei quali non si specifica il numero, uno per trentacia.
Nel periodo posteriore la possibilità di equivoci viene fugata dallo stabilizzarsi delle qualifiche, come si deduce dalla considerazione dell'ampia documentazione pubblica del terzo decennio del secolo XIII, raccolta nel cosiddetto Liber plegiorum: essa ci mostra che i consiliarii sono di regola i componenti del consiglio minore, nel numero di sei, quando esso è completo (159), mentre la qualifica di sapientes, le poche volte in cui appare, è ora riservata ai componenti del consiglio dei quaranta (160), definiti in un'occasione anche ordinati (161).
Inevitabile si presenta un confronto con il 'comune' delle città del Regno Italico, particolarmente di quelle più vicine a Venezia, le città della Marca Veronese, due delle quali, Verona e Padova, si erano date da poco tempo un'organizzazione politica a regime comunale, come appare con certezza dalla comparsa dei primi consoli della città: a Verona nel 1136 (162), a Padova nel 1138 (163). I consoli furono, qui come nella generalità dei casi, posti a capo della cittadinanza, con compiti essenzialmente politici. La comparsa della nuova istituzione corona l'aspirazione delle singole città o cittadinanze all'autonomia dal potere centrale - all'autorità dei propri conti da tempo si erano sottratte (164) -, aspirazione già manifestatasi anche nella Marca Veronese fra XI e XII secolo (165). Nel contempo ci si propone, a vantaggio della cittadinanza e ai fini di un'efficace politica unitaria verso il contado e verso l'esterno, di superare il frazionamento del potere a livello locale, in larga parte di natura signorile, detenuto dalle antiche famiglie comitali, dalle chiese vescovili, dai capitoli e da alcuni grandi monasteri, dalle famiglie capitaneali, in rapporti diretti con il Regno, i conti e i vescovi, da signori con minore prestigio nell'ambito pubblico, ed ancora da famiglie funzionariali - ad esempio, avvocati e visconti -, spesso di estrazione originaria cittadina, nonché da singole famiglie cittadine, anche di mercanti o di giudici, che giungevano a divenire signori, con la possibilità di esercizio dei diritti pubblici; altre forze potenti erano solidamente radicate in zone periferiche rispetto ai territori o comitati afferenti alle città: è sufficiente ricordare i marchesi d'Este, i da Romano, i da Camposampiero (166).
Di fronte a tutto questo e insieme a tutto questo, perché ad esso intimamente legata, stava la società cittadina, nelle sue componenti di maggiore peso economico e sociale, a volte anche politico, con le sue aspirazioni all'autonomia, che potevano essere sostenute dagli esponenti di prestigio maggiore nel ceto mercantile, asceso o aspirante al potere proprio in forza della sua ricchezza, come in Verona (167), o in ceti caratterizzati da professioni più 'tradizionali', come in Padova quello dei giudici (168). Dal rapporto dialettico fra tutte queste forze - non importa ora se questo rapporto poteva nelle singole situazioni presentarsi di collaborazione o di contrasto politico - e dagli obiettivi che esse si proponevano scaturì il comune, un punto di equilibrio dinamico.
Nelle vicende istituzionali del comune è possibile cogliere una evoluzione graduale, pur tra le molte incertezze, verso un'organizzazione complessa: attraverso l'esperienza del magistrato unico cittadino e poi forestiero, si assiste alla formazione dei consigli, che assumono via via la pienezza delle funzioni politiche, amministrative e legislative (169). Al podestà - o ai consoli, che per un certo periodo ancora compaiono, a seconda delle singole vicende comunali rimangono le funzioni di rappresentanza politica del comune e di guida militare, nonché di capi degli uffici addetti all'amministrazione patrimoniale e finanziaria e all'amministrazione della giustizia, attività, tuttavia, svolte nel concreto dalle magistrature cittadine, rivestite dai notabili locali, e i cui criteri di applicazione erano stabiliti dai consigli.
Possiamo cogliere con facilità la diversità della situazione veneziana. Anzitutto non si tratta di conseguire un'autonomia politica da un potere centrale, poiché questa era stata ampiamente e largamente conseguita nei secoli precedenti: basti rammentare i privilegi che fra XI e XII secolo gli imperatori bizantini indirizzano ai Veneziani, privilegi che alla metà del secolo XII i Veneziani interpretano come rilasciati al loro comune, in modi anacronistici quanto significativi (170).
In Venezia il comune, evitando fratture e soluzioni di continuità, mantenne il vertice politico del Ducato, senza sostituirlo con nuove magistrature elettive, distaccandosi in questo profondamente dall'esempio dei comuni cittadini. Ma la concezione dello stato che va affermandosi, anzi che si mostra ripetutamente e in momenti assai significativi, soprattutto verso l'esterno, come abbiamo sottolineato, è ora nuova ed è espressa appunto dal termine commune, anche se formalmente la posizione di preminenza, dopo qualche incertezza (171), è mantenuta dal duca: nei fatti il duca diviene "un organo dello stato-comune veneziano" (172).
È stato sottolineato un altro carattere di novità del comune, poiché esso è espressione soprattutto "di una realtà nuova che si è formata nella civitas Rivoalti" e che pretende la stessa posizione giuridica del Ducato, anzi si identifica con il Ducato (173). Certo, ma questo non spiega ancora la finalità del comune, dal momento che la nuova realtà di Rialto o meglio la complessità di strutture sociali ed economiche del gruppo realtino e la superiorità, sociale, economica e, infine, politica, di Rialto nei confronti degli altri centri del Ducato erano da tempo in atto: le famiglie di maggior peso economico e sociale risiedenti nelle altre località, Torcello compresa, vi si erano trasferite o vi si stavano per trasferire, come abbiamo mostrato (174). Rialto era il centro politico, economico e sociale del Ducato, non importa se il regime vigente era l'antico, quello ducale, o il nuovo, quello comunale. Solamente, o quasi, in questo centro era possibile svolgere con successo l'attività mercantile ed ancor più acquisire prestigio sociale e rilevanza politica. La formazione e lo sviluppo del comune sono un fenomeno concomitante alla crescita ulteriore del centro realtino, non ne sono l'espressione, tanto meno il fine. Il comune pertanto non si presentava, come in terraferma, utile, se non necessario, ai fini di una gestione unitaria del potere; non all'affermazione politica verso l'esterno; non all'affermazione verso un contado da tempo non più in grado di condizionare il duca o di contendere la supremazia al centro realtino; non alla migliore organizzazione e difesa dei traffici, dal momento che per decenni la situazione non cambia sostanzialmente, se non per tappe successive, non sempre del resto favorevoli - si pensi che dopo la grave crisi del 1171 i mercanti veneziani continuarono a commerciare nei mercati bizantini senza alcuna tutela e protezione (175) -; non per un migliore funzionamento delle istituzioni, poiché di istituzioni comunali articolate è possibile parlare solo dopo alcuni decenni, effetto di trasformazioni graduali, non certo realizzazione di progetti iniziali.
Gli obiettivi primi della formazione del comune furono la conquista e la spartizione stabili del potere da parte dei maggiorenti, ovviamente, è quasi inutile ripeterlo, di Rialto. Il consiglio e i suoi capi, i sapienti, furono istituiti per porre presso il potere centrale un organo che potesse, oltre e più che i giudici partecipi - della sua curia e da lui designati, nel periodo anteriore, e forse anche nei primi decenni del comune, ma verso la fine del secolo anch'essi designati con procedura elettiva -, affiancarsi al duca in modo paritetico, non subordinato, ed esprimere la volontà del popolo - si intenda dei maggiorenti -. Tali obiettivi nella sostanza furono conseguiti immediatamente, come mostra documentazione di non dubbia interpretazione relativa agli ultimi anni del ducato di Pietro Polani.
Facile a questo punto asserire che a Venezia non si verifica una evoluzione delle istituzioni comunali analoga a quella dei comuni italiani, perché diverso fu il punto di partenza: in sintesi, non si procede con la elezione dei capi politici, il primo e fondamentale obiettivo di quei comuni, segno primo di autogoverno, per giungere più tardi alla formazione dei consigli, organi delegati della concio. In Venezia ad un potere centrale che esiste da lungo tempo, si affianca un gruppo di persone, espressione di un consiglio, a sua volta espressione del popolo ovvero del comune - ricordiamo le ambiguità -, che fin dall'inizio si propone di partecipare con potere uguale a quello del duca, anzi superiore, come i fatti dimostrano presto: duca e popolo, duca e maggiorenti, duca e giudici, duca e comune, duca e consiglio, duca e sapienti. Di fronte a questa diversità fondamentale, non riveste un significato rilevante che l'evoluzione delle istituzioni comunali possa avere dei punti di contatto, riconducibili nella sostanza al processo di stabilizzazione e di articolazione degli organi e delle magistrature del comune.
Nella prospettiva assunta, ci sembra che l'analisi sociale costituisca un metodo privilegiato per superare le antinomie che scaturiscono dal punto di osservazione giuridico-costituzionale, per relegare effettivamente su di un piano di importanza secondaria il problema delle origini del comune, da tempo ormai considerato, anche per Venezia, un problema di soluzione difficile o, meglio, un falso problema, così da accostare, nel metodo di indagine, non nelle loro realtà storiche, lo studio del comune veneziano a quello degli altri comuni cittadini. Solo così sarà possibile constatare attraverso un esame della documentazione, soprattutto pubblica, la continuità, in un processo di apertura sociale e politica, più limitato in età comunale rispetto all'età ducale, delle famiglie preminenti - non dominanti, poiché in Venezia esse non dispongono di strumenti per esercitare forme di dominio 'signorile' (176), ma la loro preminenza si basa su una lunga e ampia partecipazione agli uffici e all'attività politica e sul sostegno fornito, nei momenti di conflitti interni, da una rete di alleanze e di clientele, pur sempre mutevoli - e il conseguimento dei loro obiettivi: limitazione del potere del duca, attraverso gli organismi del comune, rappresentanti in linea di diritto il popolo, ma in realtà espressione, ora organizzata e stabile, della preponderanza raggiunta dai maggiorenti, che prepara la scomparsa del popolo anche dal solo importante diritto che gli era rimasto, quello dell'intervento necessario nel momento delicato dell'elezione del duca, un diritto esercitato passivamente e in modi confusi, ma che rappresentava un momento 'critico' nella vita politica.
Nel secondo contributo da noi elaborato per il primo volume di questa Storia (177), oltre a soffermarci sulle famiglie ducali, abbiamo preso in considerazione, in modi dapprima puntuali, poi sintetici, i documenti pubblici, nei quali appaiono gli astanti agli atti stessi, che rendono 'concreta' quella presenza del populus, il cui consenso continua ad essere invocato o ricordato in molti atti ducali, con significati via via più limitati che nel passato. Dopo la larghissima partecipazione 'popolare' all'atto ducale dell'anno 1122, consistente in tre-quattrocento persone (178) e quella, inferiore di un centinaio, all'atto dell'anno 1152 (179) ci siamo 'spinti', dunque, fino ai primi anni del comune -, la presenza degli astanti agli atti ducali tende a diminuire, non senza riprese, a volte relativamente consistenti, fino a che, con il secolo successivo, si constata una sparizione di fatto dell'assemblea tradizionale (180), quella che nei secoli precedenti è conosciuta quale placito (181), poiché gli atti ducali ricevono legittimazione dai consigli e dalle magistrature del comune.
Delle varie considerazioni, che possiamo trarre dall'analisi degli atti pubblici (182), ci limiteremo a sottolineare, in merito alla partecipazione alla vita pubblica dei singoli e delle loro famiglie, due soli aspetti: numero e percentuale delle persone i cui nomi di famiglia risalgono a prima del Mille e, per converso, numero e percentuale, ed in più il nome, delle persone contraddistinte da nomi di famiglia nuovi, non apparsi nella documentazione pubblica anteriore (183).
Il duca Vitale II Michiel proveniva da una famiglia di antica tradizione pubblica, risalente alla fine del secolo X, due membri della quale erano già stati duchi alla fine del secolo XI, Vitale I e Domenico; a questo era successo il genero, Pietro Polani (184).
Negli atti degli anni 1161 (185) e 1168 (186) la presenza di famiglie risalenti a prima del Mille va da più di un terzo a quasi la metà. Assenti le famiglie nuove, tranne che, nel secondo documento, quella di una sola persona, Andrea Dontodero.
Alle necessità derivanti dalla guerra mossa contro il Ducato dall'imperatore Federico Barbarossa, in un periodo di poco posteriore alla primavera dell'anno 1162, quando il Barbarossa era al culmine della sua potenza nel Regno, dopo la distruzione di Milano, e successivamente, dalla primavera del 1164 (187), a quelle del soccorso finanziario alle città unitesi nella Lega Veronese contro l'Impero, può essere attribuito il ricorso al prestito pubblico. Ad un atto, appunto, di prestito pubblico, contratto nel giugno 1164, si sottoscrivono due giudici e altre centotto persone (188), il numero più elevato di intervenuti nell'ambito della documentazione pubblica di questa seconda metà del secolo XII. Metà delle loro famiglie sono apparse nella documentazione pubblica nel secolo X; vi appaiono per la prima volta i nomi di famiglia di nove persone, in una percentuale di poco superiore all'8%, inferiore, dunque, ad un decimo: Pietro Barbamaiore, Leonardo Iorzane o Zorzani, Aurio Susendulo o Susenulo, che riappaiono, essi o loro familiari, anche in seguito, mentre non è più attestata la presenza delle famiglie di Vitale Brando, Pietro Bucco, Michele Chuzia e Domenico Grito o Gritti. Gli undici prestatori, che si impegnano per quantità differenti, da due parti del totale al quarto di una parte, recano nomi di famiglie note, dei quali oltre la metà risalgono al secolo X.
Due mesi dopo, nell'agosto del 1164, sottoscrivono una donazione del duca ad una chiesa ottantuno persone, compresi quattro giudici (189). La presenza delle famiglie antiche è prossima alla metà; appaiono per la prima volta le famiglie di sole cinque persone, per poco più del 6%: Pietro Anastasio, Filippo Deaiboles o Daibolo, Domenico Gimarco, Guido Sero, Domenico Teodaldo. All'atto finale di una controversia dell'anno 1165, che coinvolge il duca stesso per l'investitura del comitato di Ossero, si sottoscrivono sessantanove persone (190). Due quinti portano nomi di famiglia anteriori al Mille; nove sono i nomi nuovi, il 13%: Pietro Agadi, Pietro da Mugla e Guido Sero, apparso solo l'anno precedente; ed altri, che più non ricompaiono: Filippo Uccari, Cirosio Bulo, Bono Hiberugrussani, Pietro Leocari, Stefano Macunasino e un Fulgeraberatii. Un atto ducale del 1166, concernente il comitato di Arbe, è sottoscritto da trentuno persone (191): più della metà sono connotati da nomi antichi; solo tre da nomi nuovi: Marco Davidore, Angelo Medico, Leonardo Sagorrano, da correggere probabilmente in Sagornino.
Il duca Vitale II Michiel, sconfitto in Oriente nel tentativo di costringere. l'imperatore bizantino a recedere dalle gravi sanzioni adottate contro i Veneziani (192), assalito da facinorosi nell'assemblea, concio, abbandonato dai sapientes - la qualifica, se usata in senso specifico dal cronista, indicherebbe i capi del consiglio tenta invano di fuggire al pugnale di un assassino, Marco Casulo o Casolo, a sua volta poi giustiziato.
Le cronache presentano l'episodio come iniziativa di una persona di assai bassa condizione (193). Dalla storiografia odierna l'assassinio è stato visto, ad esempio dal Cessi, alla luce del contrasto tra duca e ottimati, che attraverso le nuove istituzioni comunali tendevano a limitare il potere ducale, esercitato invece, quando possibile, anche in modi 'regalistici' dal Michiel (194), o quale conseguenza del rancore e della rivalsa nutriti dal ceto dei mercanti, che vedevano compromessi i loro lucrosi traffici in Oriente (195).
Tralasciamo, per il momento, di trarre indicazioni o conclusioni generali di carattere politico da un singolo episodio, non certo nuovo nella storia veneziana, ed evitiamo parimenti di darne spiegazione secondo interpretazioni generali della struttura e dell'evoluzione sociale ed economica, così da non cadere nel circolo vizioso, che ne scaturisce di frequente. Cerchiamo, anzitutto, di cogliere, nell'ottica fin qui seguita, la posizione sociale di Marco Casulo, un tentativo compiuto finora, per quanto sappiamo, solo dalla Merores (196), della quale, per ora, accettiamo la proposta di identificazione e continuità tra le famiglie Caisolo/Casiolo e Casulo/Casolo. Il nome di famiglia apparirebbe nella documentazione pubblica fin dal secolo X, sia pure in una condizione sostanzialmente passiva, non avendo mai i Caisolo rivestito, ad esempio, la funzione di giudice: solo nel penultimo decennio del secolo XII uno di loro assume un ufficio pubblico, quello di avvocato del comune. Poco dopo, nel 1192, un Casulo appare fra i quaranta elettori del duca (197). Non va sottovalutata, d'altronde, la dignità episcopale che un Casulo consegue negli anni 1182-1183 sulla cattedra vescovile di Olivolo (198), pur se questa non è la più prestigiosa del Ducato (199).
Per quanto concerne la tesi che Marco Casulo avrebbe rappresentato gli interessi o sarebbe appartenuto al ceto dei mercatores (200), anche a prescindere dal fatto che i Veneziani, in genere, erano coinvolti nelle attività mercantili e soprattutto in interessi di natura commerciale (201), le attestazioni sulla partecipazione diretta dei Caisolo come dei Casulo al commercio sono poche - solo tre nel secolo XII per i Caisolo (202) -, una partecipazione che è ben lungi dall'eguagliare quelle di altre famiglie, a cominciare dalle maggiori e più note.
Non rimane che considerare Marco Casulo come l'esecutore materiale di una congiura, organizzata o improvvisata sull'onda del malcontento suscitato -o che semplicemente traeva il pretesto - dall'insuccesso dell'azione politica del duca nei confronti del problema orientale, così acutamente avvertito in quegli anni, per le gravi ripercussioni economiche e certamente anche sociali che l'ostilità bizantina, improvvisa e violenta, aveva procurato a Venezia e ai Veneziani. Ma ci troviamo nell'ambito di una tradizione veneziana assai antica, secondo la quale i conflitti politici coinvolgenti il Ducato sfociavano con frequenza in atti di violenza (203); se il fatto criminoso appare ora sorprendente o anomalo, ciò avviene perché nell'ultimo periodo a siffatti atti di violenza non si era ricorsi e la possibilità di tale soluzione era forse stata 'dimenticata'. Le motivazioni potrebbero essere ravvisate nella maggiore capacità di controllo politico sul potere del duca, dalla cessazione, a partire dalla prima metà del secolo XI, dell'istituto della coreggenza alla formazione di una curia stabile di giudici e, soprattutto, alla costituzione di organismi istituzionali, i quali erano in grado di sorvegliare e limitare il potere ducale, tanto più efficacemente quanto meno occasionalmente e violentemente: non più opposizioni, quando non congiure, di gruppi, di famiglie o di singoli, che riuscivano ad ottenere l'appoggio di una parte, più o meno ristretta, più o meno ampia, dei potenti e del 'popolo', ma possibilità e azione di controllo attraverso gli organi istituzionali del comune.
Che il Michiel, d'altronde, potesse rappresentare gli interessi di una classe o di un ceto o più ceti definibili quali 'non mercantili' contro quelli 'mercantili', sembra difficile a sostenersi dal momento che proprio i Michiel avevano partecipato in modo massiccio, almeno dall'inizio del secolo, alle attività mercantili, direttamente e in prima persona(204), e che numerosi Michiel nella seconda metà del secolo XII continuano a svolgere attività mercantili, a recarsi e a risiedere in Oriente (205).
Non un contrasto di classe o di ceto, basato su contrapposizione fra interessi mercantili e non, ma contrasti, di volta in volta insorgenti, sulla intensità e sui modi di esercizio del potere ducale, all'interno e, all'esterno, sui modi di sostenere e affermare gli interessi vitali dei Veneziani essenziali, certo, quelli mercantili in Oriente, come in Occidente -, portano, come portavano nel passato, allo scontro interno, che nell'anno 1172, per l'ultima volta, nel periodo da noi considerato, si manifesta in modi antichi e per così dire arcaici: non si ricorre all'azione politica attraverso le istituzioni, che pur permettono tale azione, ma si elimina con la violenza un ostacolo che appare insormontabile finché è in vita; ed è, appunto, il duca a vita, già depositario di un potere 'monarchico', che invero assoluto non è mai stato, perché sempre condizionato dai maiores e dai giudici, ma che soprattutto tale non è ora più né potrà essere, nella pratica e nei princìpi.
L'assassinio del duca ci sembra, dunque, non tanto espressione di un disagio suscitato da un contrasto fra vecchi e nuovi interessi economici e sociali, ma ultima espressione di una società e di una vita politica e istituzionale tradizionali, che non trovavano modo di risolvere, se non con la violenza, i contrasti politici che sorgevano e sorgono a fronte di scelte politiche ineludibili, che si impongono per se stesse nei momenti di gravi difficoltà, esterne ed interne, come nella situazione presente. Secondo il racconto di una delle fonti (206), l'assassino non sarà giustiziato dalla folla in tumulto o giudicato dal duca successore, ma giudicato e condannato dal 'comune', che esprime la continuità istituzionale e politica, più efficacemente ormai del duca stesso.
La famiglia Ziani appare nella documentazione pubblica a partire dall'ultimo decennio del secolo XI (207), senza svolgere ruoli politici di rilievo; non conosciamo alcun membro che abbia assunto la funzione di giudice o abbia svolto incarichi politici specifici prima del nostro Sebastiano. Questi, forse conte di Sebenico intorno al 1125 (208), nel 1150 è legato a Costantinopoli (209); riveste l'ufficio di giudice a partire dal 1 156 (210).
Il nuovo duca si trovava ad affrontare gravi problemi in politica estera, impegnato com'era il Ducato su più fronti: è sufficiente ricordare l'aspra contesa con l'Impero bizantino e quella, meno diretta, con l'Impero di Federico Barbarossa, a sostegno dei comuni cittadini padani. Oltre alla Lega Veronese, formatasi nel 1164 con l'appoggio, se non per iniziativa, di Venezia, era sorta nella primavera del 1167 un'alleanza delle città lombarde, che si unì alla prima: Venezia, che aderì nel dicembre all'atto costitutivo della Lega Lombarda (211), ottenne il riconoscimento delle sue esigenze fondamentali, che si concretizzarono nelle clausole dettagliate stabilite per la libertà di navigazione, particolarmente nelle zone nord-orientali (212).
Il conflitto con Bisanzio continuò, nonostante gli sforzi per una pacificazione intrapresi dal duca (213). Con l'Impero d'Occidente si giunse nell'anno 1173 alla collaborazione per l'impresa di Ancona, assediata per terra dalle forze imperiali e per mare dalla flotta veneziana: l'obiettivo di Venezia era principalmente quello di impedire che l'importante porto dell'Adriatico entrasse nell'orbita dell'Impero bizantino, ricevendone protezione e assistenza, proprio nel momento in cui i Veneziani ne erano perseguitati (214).
Ci siamo soffermati nella prima parte sulla 'regolarizzazione' dell'elezione ducale, sottratta all'assemblea del populus e affidata a un collegio di elettori, undici nell'anno 1172, poi quaranta dall'anno 1178. L'attendibilità dell'elenco del 1172 viene confortata dalla constatazione che larga parte di quelli che vi sono compresi appaiono nella documentazione pubblica del periodo: alcuni sono stati o diverranno giudici - Manasse Badoer, Vitale Falier, Orio Mastropiero, futuro duca - e svolgono, con altri, incarichi politici; Leonardo Michiel e Domenico Morosini sono, probabilmente, figli dei duchi precedenti. Otto fra loro portano nomi di famiglia che risalgono almeno al secolo X; nessun nome nuovo.
Il primo atto pubblico, compiuto dal duca Ziani, utilizzabile ai nostri fini, è il provvedimento dell'anno 1173 concernente la regolamentazione delle vendite dei prodotti alimentari - vino, cereali, carni e pesci -, dei pesi e delle misure, un provvedimento conosciuto come 'legge annonaria', poiché tra le finalità principali si proponeva anche quella di assicurare l'approvvigionamento del mercato veneziano (215). Sottoscrivono l'atto cinquantasette persone, fra cui quattro giudici e altri sei ufficiali del comune. Risalgono al secolo X le famiglie di trenta persone, comprese quelle di tre giudici e di quattro ufficiali: più della metà. Cinque i nomi nuovi, meno di un decimo: Pietro Belli, Leonardo Benacci, Pietro Bozzo, Domenico Rainaudo e Pietro Venancio.
Cinquantadue persone, fra le quali cinque giudici e due avvocati del comune, sottoscrivono la donazione ducale del 1175 all'opera di S. Marco (216). Ventisette, oltre la metà, appartengono a famiglie che risalgono a prima del Mille, comprese quelle di tre giudici. Solo quattro i nomi nuovi: Domenico Lequeto, Bono Giovanni da Morzano, Marco Signorello, Pietro Simiteculo.
Nel 1178, al ritiro per malattia dello Ziani, cui seguì poco dopo la sua scomparsa, si procedette all'elezione del nuovo duca, Orio Mastropiero. I compiti politici che attendevano il duca erano molteplici e impegnativi. Sussisteva, anzitutto, la crisi orientale, che solo dopo le guerre della prima metà degli anni Ottanta fra Normanni di Sicilia e Bizantini si poté avviare a conclusione, con la pacificazione tra Venezia e Costantinopoli sancita con i privilegi imperiali del 1187 (217). Verso i comuni cittadini della Padania, Venezia sviluppava la politica degli accordi commerciali bilaterali (218), senza essere coinvolta direttamente nei conflitti, a volte armati, che opponevano le città, nelle quali si stavano delineando anche raggruppamenti politici, più o meno stabili, le partes, che avrebbero condotto nel primo decennio del secolo XIII alle guerre civili (219).
Anche per Venezia, sulla scorta del resoconto di un cronista forestiero (220), è stata prospettata la formazione di partes; rinviamo ad altra sede (221) la discussione circa la presenza di una pars o partito dei populares (222), che sarebbe intervenuto nelle vicende politiche che accompagnarono le trattative che condussero nell'estate del 1177 alla tregua di Venezia tra il pontefice Alessandro III e l'imperatore Federico I.
L'elezione del duca avvenne con un procedimento di doppio grado: quattro persone furono scelte per designare quaranta elettori. La fonte tarda (223) fornisce i nomi degli elettori, che noi riteniamo di potere accettare, sulla scorta delle considerazioni già svolte. I nomi di famiglia che risalgono al secolo X sono ventuno, superiori alla metà. Risultano nomi nuovi quelli di Nicolò Firmo, Giovanni Mocenigo, Rugerio Premarin e Iacobo Viglari, per un decimo: la loro comparsa può essere stata facilitata, forse, dal numero assai più elevato di elettori, in confronto alla composizione del collegio di sei anni prima.
Il nuovo duca, Orio Mastropiero, apparteneva ad una famiglia che, presente nella documentazione pubblica fin dall'anno 971 (224), vi riappare alla fine del secolo XI e all'inizio del successivo, con una incidenza nel complesso sporadica e non significativa. Solo il nostro Orio assume una posizione di prestigio in ambito politico: giudice dall'anno 1158 (225), svolge funzioni di legato a Costantinopoli alla fine del ducato di Vitale II Michiel (226), è fra gli undici elettori ducali nel 1172, continua a rivestire l'ufficio di giudice, è legato nel 1175 presso il re di Sicilia (227).
Il primo atto pubblico del duca Orio Mastropiero, sottoscritto da un gruppo consistente di cittadini, concerne una donazione, effettuata nello stesso anno dell'elezione, alla chiesa di Grado (228): lo sottoscrivono, oltre al duca e al notaio rogatore, un giudice, due avvocati e tre camerari del comune e altre sessanta persone, in tutto sessantasei. Al secolo X risalgono le famiglie di trenta persone, poco meno della metà. Risultano nomi nuovi quelli di sei persone, meno di un decimo: Andrea Calderario, Pietro da Mugla, Vitale de lo Bocasso, Iusto Menguni, Pietro Perleo,, Marco Signorello.
Il documento successivo utilizzabile, concernente la regolamentazione dei maleficio, emanata nel marzo 1181, è sottoscritto da settantanove persone, fra le quali cinque giudici, tre avvocati e due camerari del comune (229). Trentatré, oltre i due quinti, portano nomi di famiglia attestati dal secolo X; assenti dalla documentazione pubblica risultano le famiglie di quattro persone, per il 5%: Giovanni Beaqua, Benedetto Griliono, Pietro Madio e Stefano Previdello.
Il terzo atto del duca, emanato nell'anno 1185 e riguardante la designazione dei singoli agli uffici del comune, è sottoscritto da trentacinque persone, di tre delle quali non è leggibile il nome: risultano pertanto utilizzabili trentadue persone, fra cui due giudici (230). Sono noti dal secolo X i nomi di famiglia di dodici persone, più di un terzo. I nomi nuovi sono tre, cioè un decimo: Iacobo Dardi, Giovanni Lombardo e Marco Suppa Succe (231).
Rimane (232) un ultimo documento, l'ordine di rientro in patria impartito nell'anno 1188 dal duca ai cittadini (233): è sottoscritto da quattro giudici, due camerari e cinque avvocati del comune ed altre diciotto persone. Sono noti fin dal secolo X i nomi di famiglia di quindici persone su ventinove, oltre la metà; assenti i nomi nuovi.
La penetrazione commerciale nell'entroterra e la sicurezza delle vie fluviali, raggiunta con l'estensione delle trattative commerciali bilaterali alle città interne, da Verona (234) a Ferrara (235), poi ad altre città venete (236); le crisi dell'Adriatico, con il risorgente problema della Dalmazia e di Zara (237); i rapporti con l'Impero d'Oriente, resi più difficili dopo l'ascesa al trono di Alessio, fratello dell'imperatore Isacco (238), sono gli aspetti e i problemi principali della politica 'estera' veneziana del periodo ai quali dovette fare fronte il nuovo duca, Enrico Dandolo, già protagonista politico attivo proprio in relazione ad alcuni di questi aspetti.
Il duca Enrico Dandolo apparteneva ad una famiglia di antica tradizione, anche se non sempre apparsa in una posizione di rilievo, ma vieppiù affermatasi, soprattutto nell'ultimo mezzo secolo, anche ad opera del nostro, giunto molto vecchio alla dignità ducale (239).
Ci limitiamo in questa sede a ricordare la prima comparsa di un Dandolo, Vitale, in un documento pubblico nell'anno 982 (240); le loro presenze divengono più numerose dall'inizio del secolo XII. Un Domenico, attestato quale giudice nell'anno 1131 (241), sarebbe stato il padre di Enrico, patriarca di Grado dal quarto decennio al penultimo del secolo, prelato assai attivo anche in ambito propriamente politico e protagonista di un conflitto con il duca Pietro Polani (242). Altri Dandolo nel pieno secolo XII furono fra i protagonisti della vita politica; tre rivestirono per periodi anche lunghi l'ufficio di giudice: Vitale dal 1144 al 1166; Andrea dal 1173 al 1188; Cratone nel 1170 (243).
Il futuro duca Enrico appare nella documentazione pubblica per la prima volta nell'anno 1164: legato a Costantinopoli nel 1172, giudice nel 1176, fra gli elettori del duca nel 1178, legato nuovamente a Costantinopoli nel 1184, ambasciatore a Ferrara per il trattato del 1191 (244).
Fra gli elettori del duca (245), che appartengono in maggioranza, quasi due terzi, a famiglie partecipi della vita pubblica fin dal secolo X, non è presente alcun nome nuovo, quasi a suggerire che da un collegio elettorale siffatto difficilmente poteva scaturire la designazione di un duca appartenente ad una famiglia di recente affermazione politica.
Un solo atto ducale del Dandolo, emanato nello stesso anno dell'elezione e concernente i forestieri (246), è sottoscritto da un numero non esiguo di persone: tre giudici, due consiglieri ed altre dodici persone, identificabili. Le famiglie note dal secolo X sono nove su diciassette, più della metà; una sola persona, Pietro Barbeta, porta un nome di famiglia non apparso fino ad allora.
La designazione del duca Pietro Ziani, avvenuta nell'anno 1205 senza contrasti in un momento di successi in politica estera (247) - è sufficiente ricordare la conquista di Costantinopoli e la formazione dell'Impero latino -, si svolse attraverso il procedimento dell'elezione di doppio grado: i sei consiglieri del consiglio minore del duca defunto, fra i quali si trovava anche il futuro duca, scelsero i quaranta elettori (248). La presenza di membri appartenenti a famiglie antiche, risalenti al secolo X, fu consistente, ma inferiore a quella dei casi precedenti: diciotto elettori su quaranta, poco meno della metà; ma appare un solo nome nuovo: Beli Velio.
Nell'anno 1206 il duca conferma al monastero di S. Giorgio Maggiore una donazione di Marino Zeno, podestà in Costantinopoli, per beni in Armiro ed altri luoghi (249): l'atto è sottoscritto da quattro giudici, due consiglieri, un avvocato, un camerario del comune e da altre ventisei persone individuabili. Antichi i nomi di famiglia di diciassette persone su trentaquattro, esattamente la metà; anche qui, un solo nome nuovo Domenico Ferreta.
L'anno seguente il duca impegna, a garanzia di prestiti, le rendite del comune, particolarmente quelle ricavabili dal mercato di Rialto (250): l'atto è sottoscritto da sei giudici, quattro consiglieri, sei avvocati e un camerario del comune e da altre trentatré persone. Risalgono a prima del Mille le famiglie di ventuno persone su cinquanta, poco più dei due terzi; due i nomi nuovi: Pietro da Vidor e Pietro Wido o Guido.
La situazione, quale emerge da questa ultima documentazione, non ricca invero di dati, non sembra cambiata nella sostanza; il che appare ancora più rilevante se si considera che numerosi membri delle famiglie più potenti e di più antica tradizione si trovavano in quegli anni impegnati in Oriente, al servizio dello stato o intenti alle conquiste personali (251). Non risulta una affermazione più ampia, rispetto al passato, lontano o recente, di persone e famiglie nuove, nonostante si possa supporre che maggiore spazio, economico, sociale e infine politico, si sarebbe dovuto aprire per loro.
Rimane valida anzitutto la constatazione che per lunghi periodi, eccettuati alcuni momenti specifici, abbiamo potuto trarre dall'analisi delle presenze nella documentazione pubblica nei secoli anteriori (252): negli ultimi decenni, ora come allora, è presente una forte componente, costituita dalle famiglie affermatesi prima del Mille, in una proporzione che oscilla tra i due quinti e la metà, a volte superiore. Ma i tre quinti o la metà rimanente, in proporzioni che, via via che il tempo procede, divengono sempre più 'bilanciate', sono occupati assai largamente o pressoché per intero da famiglie non antiche, certo, ma non per questo definibili come nuove, risalendo esse a periodi anteriori variabili.
Esigua, limitata cioè a percentuali basse o molto basse, quand'anche nulla, è la presenza di uomini nuovi, appartenenti a famiglie mai apparse nella documentazione pubblica anteriore: anzi, come già si intuisce dall'accenno or ora fatto, si constata che con il tempo il processo di ascesa e di ricambio sociali è andato vieppiù diminuendo, proprio mentre ci si addentrava in quella che consideriamo l'età del primo comune veneziano.
E sufficiente richiamare i dati desumibili da alcuni documenti pubblici relativi alla prima metà del secolo: nell'anno 1112 la percentuale delle persone connotate da un nome di famiglia nuovo è di un quinto (253); nell'anno 1122 è poco più dei due quinti (254); nell'anno 1152 è ancora di un quinto (255). Se li poniamo a confronto coi dati sommariamente indicati per la documentazione pubblica dagli anni Sessanta in poi, possiamo constatare che la presenza in questa di nomi nuovi non supera la percentuale di un decimo rispetto al totale; in alcuni casi si riduce ad una sola persona o anche a nessuna.
L'analisi della dinamica sociale, quale appare nelle presenze della documentazione pubblica, conferma le considerazioni sul carattere conservatore dell'evoluzione istituzionale, avvenuta in funzione degli interessi delle famiglie e dei gruppi preminenti. L'evoluzione della società veneziana, che nei secoli anteriori, per gli aspetti considerati, era stata contrassegnata da aperture, in alcuni momenti anche assai consistenti, a membri di famiglie nuove, contrassegnata cioè da un ricambio sociale più o meno intenso, proprio in relazione all'attività pubblica e politica, in senso stretto, conosce ora un forte processo di rallentamento.
La considerazione delle persone che hanno rivestito nel primo periodo le magistrature del comune, ad iniziare da quella di giudice, confermerà quanto siamo venuti dicendo, pur sottolineando differenziazioni e offrendo motivi di riflessione, soprattutto sui differenti ruoli svolti, nella prospettiva ora assunta, da giudici, giudici del comune, avvocati e camerari, da un lato, consiglieri dall'altro lato.
Mentre i giudici mantengono nel primo periodo comunale le loro funzioni giudiziarie, che vanno consolidandosi con la formazione di un apparato stabile, la curia, costituita da duca, giudici e boni homines, spettando l'elaborazione della sentenza ai giudici (256), non viene meno la loro attività nell'ambito politico: è sufficiente scorrere le cronache del tempo o i documenti concernenti l'attività politica veneziana in Oriente per constatare l'assunzione frequente da parte di giudici di incarichi diplomatici o delle funzioni di legati ducali. Ma il loro ruolo politico va indebolendosi, se non altro per il fatto della costituzione dei consigli e delle altre magistrature del comune, come vedremo. Significativo il provvedimento emanato nel 1189 dal duca Orio Mastropiero sull'obbligo di accettare l'elezione agli uffici del comune (257): all'atto, sottoscritto da sei consiliatores, non è presente alcun giudice, il che non ci sembra imputabile ad un'ostilità del duca nei confronti del ceto dei giudici, dal momento che egli stesso ha svolto tutta la sua precedente attività pubblica nella veste di giudice.
Anche durante il ducato di Enrico Dandolo, già giudice, assistono il duca, in due importanti atti politici, solo i consiliatores: sei negli atti relativi alla pacificazione dell'anno 1196 con Pisa (258); quattro nel trattato dell'anno 1200 con Ferrara (259). Con il ducato seguente di Pietro Ziani, giudice per un lungo periodo precedente, i consiliatores, per posizione politica e per quantità di presenze accanto al duca, superano i giudici (260).
Non disponendo dello spazio sufficiente per segnalare tutti i documenti, pubblici (261) e privati, nei quali appaiono i giudici, né potendo procedere ad una elaborazione complessa dei dati, ci limitiamo a riportare un elenco, approntato con altri, che verranno pubblicati in contributi successivi, ove sarà segnalata la documentazione completa e discussi gli studi anteriori in merito (262. Nell'elenco i giudici del primo periodo comunale sono suddivisi per famiglia, con l'indicazione per anno delle attestazioni della loro funzione.
Elenco di giudici per famiglie e per annualità: Domenico Badoer 1145; Giovanni Badoer 1170, 1174, 1175, 1180, 1181, 1204; Manasse Badoer 1177, 1183; Domenico Barozzi 1167, 1168; Marino Bembo 1168; Domenico Gelso 1152, 1160, 1161; Domenico Centoquori 1167, 1168; lacobo Contarini 1173, 1174; Pietro Corner 1185; Vitale Dandolo 1153, 1156, 1158, 1161, 1163, 1164, 1166; Craton Dandolo 1170, 1175; Andrea Dandolo 1173, 1174, 1175, 1184, 1187, 1188; Enrico Dandolo 1176; Giovanni Dandolo 1176; Guiberto Dandolo 1200; Andrea Dolfin 1176, 1178, 1182, 1183, 1188, 1189; Orio Doro 1144, ?, 1183, 1184; Giovanni Enzo 1170; Vitale Falier 1172; Giovanni Falier 1196; Pietro Foscarini 1173, 1175; Marco Gausoni 1182; Bartolomeo Gradenigo 1196, 1197, 1200, 1201; Marco Maciamano 1198, 1200; Orio Mastropiero 1158, 1163, 1164, 1173, 1175; Pietro Memo 1170; Domenico Memo 1188; Giovanni Michiel 1184, 1187, 1192; Domenico Michiel 1152; Marino Michiel 1164, 1165, 1179; Pietro Michiel 1176, 1180, 1181, 1186, 1188, 1191, 1192, 1193, 1196, 1200, 1203, 1204; Stefano Moro 1160, 1161; Enrico Morosini 1147; Enrico Morosini 1203; Leonardo Navigaioso 1197, 1200, 1202, 1203; Giovanni Orio 1143, 1144, 1145; Pietro Orseolo 1148/1149, 1176; Domenico Querini 1156; Guido Querini 1179, 1181, 1182; Domenico Querini 1204; Pietro Ruibulo 1148/1149, 1152; Stefano Sanudo 1140, 1142, 1143, 1144; Domenico Sanudo 1172, 1173, 1175, 1178, 1179, 1181, 1185, 1187; Angelo Sanudo 1203; Pancrazio Saponario 1175, 1176; Andrea Scaldario 1179, 1188; Giovanni Tonisto 1198, 1200; Pietro Trundomenico 1152, 1160, 1161; Widoto Zane 1195, 1197; Andrea Zeno 1157; Rainerio Zeno 1192, 1193; Sebastiano Ziani 1156, 1158, 1161, 1163, 1164, 1165; Pietro Ziani 1186, 1190, 1199, 1203.
È facile constatare che singole persone mantengono la qualifica di giudice per lunghi periodi (263): segnaliamo, fra i casi di lunga durata, Giovanni Badoer giudice per trentaquattro anni, Pietro Orseolo e Pietro Michiel per ventotto anni, Orio Mastropiero e Pietro Ziani, entrambi in seguito duchi, per diciassette anni, Marino Michiel, Domenico Sanudo e Andrea Dandolo per quindici anni.
Alcune famiglie vantano fra i loro membri giudici numerosi: sei giudici fra i Dandolo, quattro fra i Michiel; tre giudici fra i Badoer, i Querini e i Sanudo. Di antica tradizione le famiglie dei Badoer, Michiel e Dandolo; più recenti, quelle dei Sanudo e dei Querini.
Quasi tutte le famiglie di giudici sono attestate nella documentazione pubblica anteriore, per la maggioranza da lungo tempo: su trentaquattro famiglie, tra le quali si ripartiscono i cinquantatré giudici, risalgono al secolo X quelle dei Badoer, Barozzi, Bembo, Contarini, Dandolo, Dolfin, Doro, Enzo, Falier, Gradenigo, Maciamano, Mastropiero, Memo, Michiel, Moro, Morosini, Navigaioso, Orio, Orseolo, Ruibolo, Saponario e Zeno, in tutto ventidue famiglie, per quasi due terzi del totale, con un numero complessivo di trentasei giudici su cinquantatré, poco più dei due terzi. Risalgono al secolo XI sei famiglie: Sanudo all'anno 1024; all'anno 1090 Corner, Foscarini, Gausoni, Querini, Ziani; in tutto undici giudici per un quinto del totale. Sono di tradizione pubblica più recente altre sei famiglie: Gelso all'anno 1107; Scaldario all'anno 1112 Trundomenico all'anno 1122 (264), Tonisto e Zane all'anno 1152; Centoquori all'anno 1167, per i quali comparsa del giudice e prima presenza pubblica coincidono.
La storiografia veneziana, fin dal periodo più antico, non è stata in grado di determinare, per il secolo XII, le competenze dei giudici del comune. La cronaca di Andrea Dandolo (265) attribuisce l'istituzione della magistratura al duca Orio Mastropiero, che le avrebbe affidato il compito di decidere in merito alle controversie fra il comune e i cittadini. La magistratura si sarebbe, nel corso del Duecento, trasformata in quella dei "giudici del forestier" o iudices forinsecorum (266). L' attribuzione dell'istituzione della magistratura al duca Mastropiero troverebbe una conferma indiretta nel fatto che la prima comparsa di un iudex communis cadrebbe nell'anno 1179.
Ma l'istituzione è anteriore, come è deducibile da una precisa indicazione documentaria, che risale a quindici anni prima, indicazione che viene in genere rifiutata: nel giugno 1164, all'atto ducale di donazione alla chiesa di S. Marco di beni in Tiro (267), si sottoscrivono Vitale Dandolo, giudice, e Domenico Morosini, giudice del comune (268).
Pochi sono i dati in nostro possesso circa le persone che hanno rivestito la magistratura di giudice del comune, dati scarsi, oltre che per il primo periodo, anche e soprattutto per l'ultimo decennio del secolo e i primi del successivo, una situazione diversa da quella concernente i giudici, come è facile constatare.
Elenco dei giudici del comune per famiglie ed annualità: Manasse Badoer 1179, 1187; Pietro Badoer 1187, 1188 e 1192; Giovanni Barozzi 1200; Filippo Baseggio 1191; Andrea Dandolo 1181; Andrea Delfino 1181 Orio Doro 1181; Giovanni Enzo 1179; Filippo Falier 1187, Vitale Falier 1188, Pietro Falier 1198, Domenico Morosini 1164; Iacopo Navigai0so 1187; Pancrazio Saponario 1179.
Dei quattordici giudici del comune, documentati dall'anno 1164 all'anno 1200, nessuno appartiene a famiglie nuove. Anzi, diversamente che per i giudici, è facilmente constatabile, mediante un raggruppamento per famiglie, una prevalenza schiacciante di membri di famiglie di antica tradizione pubblica: Manasse e Pietro Badoer; Giovanni Barozzi; Andrea Dandolo; Andrea Delfino; Orio Doro; Giovanni Enzo; Filippo, Vitale e Pietro Falier; Domenico Morosini; Iacopo Navigaioso; Pancrazio Saponario. La sola eccezione è rappresentata per l'anno 1191 da Filippo Baseggio, la cui famiglia appare nella documentazione pubblica dall'ultimo decennio del secolo XI. Caratteristica è la 'carriera' funzionariale di Filippo Falier, che non è mai giudice: camerario del comune nel 1173, avvocato del comune nel 1179, giudice del comune nel 1187, consigliere nel 1189.
Tutti i giudici del comune appartengono a famiglie, fra i cui membri sono già apparsi giudici, anche numerosi, quand'anche non siano stati loro stessi giudici nel passato; alcuni hanno rivestito poche volte, o, di frequente, rivestiranno in seguito anche le funzioni di altri ufficiali del comune e, talvolta, anche di componenti dei consigli, nonché le funzioni di elettori ducali o di legati del duca.
Nel complesso, sembra che le funzioni di giudice del comune, che sarebbero state connesse ad aspetti fiscali, almeno nel secolo seguente, abbiano richiesto persone esperte, per una materia che viene considerata, evidentemente, ancor più importante e delicata di quella dell'amministrazione della giustizia.
Avvocati del comune e camerari del comune appaiono nella documentazione pubblica nello stesso anno 1173 (269). Come per le altre magistrature veneziane, anche maggiori, non è facile conoscere per il nostro periodo le loro competenze, che concernevano l'ambito amministrativo.
Gli avvocati difendevano gli interessi del comune: alla loro presenza e con il loro consenso il duca procedeva a donazioni ed alienazioni; a loro spettava la difesa di questi interessi nei tribunali (270). I camerari ricevevano in consegna e custodivano i proventi dei tributi e delle sanzioni: in un atto dell'anno 1187 il duca dispone che gli introiti del comune, provenienti dal sale, dalla moneta e dal comitato di Ossero, e riscossi dai camerari, siano devoluti a coloro che hanno sottoscritto il prestito pubblico (271).
Elenco degli avvocati del comune per famiglie ed annualità: Stefano Badoer 1191; Giovanni Barozzi 1188, 1200; Giovanni Baseggio 1198; Marco Caisolo 1181; Stefano Calbo 1187, 1188; Michele Citino 1173; Enrico Civrano 1181; Domenico Coppo 1200; Vitale Dandolo 1188; Giovanni Dandolo 1200; Vitale Falier 1173; Filippo Falier 1179; Giovanni Falier 1187; Enrico Georgio 1200; Iacobo Gradenigo 1178, 1181; Marco Martinacio 1187; Pietro Morosini 1200; Enrico Navigaioso 1179; Domenico Orio 1187; Avorlino Pantaleo 1175; Domenico Secreto 1187; Giovanni Vilioni 1188; Andrea Vituri 1188; Rainerio Zeno 1178; Michele Ziani 1175.
I venticinque avvocati del comune, documentati dall'anno 1173 all'anno 1198, appartengono ad un numero elevato di famiglie, ben ventitré: se si toglie quella dei Falier, con tre membri, e quella dei Dandolo, con due membri, possiamo constatare che quasi tutti gli avvocati del comune appartengono a famiglie diverse.
Quattordici famiglie, cui appartengono diciassette avvocati su venticinque, oltre i due terzi del totale, appaiono nella documentazione pubblica anteriore al Mille. Tre Baseggio, Georgio e Ziani sono apparse nell'ultimo decennio del secolo XI; due, Citino e Secreto, nell'anno 1122; altre due, Civrano e Vituri, nell'anno 1152; una, quella dei Coppo, è nuova.
Diversamente da quanto abbiamo constatato per i giudici del comune, pochissimi avvocati del comune hanno rivestito o rivestiranno le funzioni di giudice ed anche di giudice del comune, di elettore o di legato del duca e, infine, di consigliere. E quando ciò accade, avviene solo, in tre casi su quattro, per membri di famiglie rilevanti, come appunto quella dei Falier.
Possiamo dedurre che l'ufficio di avvocato del comune, per quanto sia anch'esso in larga parte appannaggio di gruppi familiari di tradizione antica, è rivestito singolarmente da membri meno influenti.
I camerari appaiono per la prima volta in un documento ducale dell'anno 1173, assieme agli avvocati del comune (272): la loro funzione, come abbiamo accennato, consisteva nel ricevere in consegna e custodire i proventi dei tributi e delle sanzioni.
Elenco per famiglie ed annualità: Pietro Barbamaiore 1181; Giovanni Barbani 1178; Vitale Barozzi 1178, 1188; Raffaele Betani 1188; Filippo Falier 1173; Filippo Greco 1173; Pietro Marcello 1181; Domenico Memo 1179, Profeta da Molin 1187, 1198; Giovanni da Molin 1200; Filippo Stornato 1178; Domenico Trevisan 1191; Filippo Zancarolo 1187; Iacobo Zulian 1179.
I quattordici camerari del comune, documentati dall'anno 1173 all'anno 1200, sono distribuiti per tredici famiglie, uno per famiglia, se si eccettuano i due da Molin.
La maggior parte delle famiglie, nove su tredici, risalgono a prima del Mille: Barbani, Barozzi, Falier, Greco, Marcello, Memo, da Molin, Stornato, Trevisan; alcune anche illustri, per essere divenuto un loro membro duca. Poche, tuttavia, quelle ancora attive intensamente nell'ambito politico, che sembrano ridursi ai soli Falier. Rilevante la presenza di camerari o di membri delle loro famiglie quali elettori dei duchi negli anni precedenti: Greco per il 1172 da Molin, Barozzi e Betani per il 1178; Stornato nel 1192, Zulian nel 1205. Solo due su quattordici, un settimo cioè, i membri delle famiglie nuove: Barbamaiore e Zancarolo.
Analoghe, e più nette, a quelle svolte per gli avvocati del comune, le considerazioni su eventuali altri uffici rivestiti dai singoli camerari, se si eccettua, come per gli avvocati, Filippo Falier.
Nella prima parte abbiamo trattato della formazione dei consigli del comune, della oro progressiva differenziazione e della specializzazione delle funzioni, della prima menzione, infine, a partire dall'anno 1160, della qualifica funzionale di consiliatores o onsiliarii peri componenti dei consigli, indicati accanto al duca e ai giudici. La qualifica, dapprima attribuita genericamente a tutti i componenti del consiglio del comune (273), divenne propria dei componenti del consiglio minore, la cui costituzione è accertata nell'anno 1187 (274) e la cui composizione in sei consiglieri è documentata due anni dopo (275).
La loro comparsa avviene, dunque, in un tempo più tardo rispetto a quelle degli altri ufficiali del comune: 1164 per i giudici del comune, 1173 per gli avvocati e i camerari. Il ritardo, precisiamo subito, non indica una rilevanza minore dei consiliatores rispetto agli altri ufficiali; anzi, come già abbiamo posto in luce, il ruolo politico loro e del consiglio minore, che essi costituiscono, si afferma tra XII e XIII secolo fino a superare anche quello dei giudici e della loro curia. Proprio per il rilievo del consiglio minore e dei consiglieri prospettiamo, invece che un solo elenco, due elenchi di consiglieri, distinti per annualità e per famiglie, in modo che risulti immediata la composizione numerica del consiglio. Rinunciamo, come per gli elenchi precedenti, a fornire la documentazione specifica.
Elenco dei consiglieri per anno: 1187 Aldagerio Badoer, Enrico Navigaioso, Pietro Corner, Orio Doro; 1189 Iacobo Ziani, Filippo Falier, Domenico Sanudo, Giorgio Vitolini, Widoto Zane, Giovanni Pini; 1191 Giovanni Falier; 1192 Pietro Regini, Rugerio Premarin; 1196 Domenico Contarini, Pietro Regini, Pietro Falier, Benedetto Grilioni, Peregrino Ghisi, Profeta da Molin; 1198 Domenico Contarini, Giovanni Falier, Pietro Regini; 1200 Ottaviano Querini, Domenico Contarini, Stefano Badoer, Benedetto Grilioni, Bartolomeo Gradenigo, Ottaviano Corner, Giovanni Pini; 1205 Pietro Ziani, Pietro Barbani, Lorenzo Querini, Giovanni Tonisto, Pietro Giustinian.
Elenco dei consiglieri per famiglia e per annualità: Aldagerio Badoer 1187; Stefano Badoer 1200; Pietro Barbani 1205; Domenico Contarini 1196, 1198, 1200; Pietro Corner 1187; Ottaviano Corner 1200; Orio Doro 1187; Filippo Falier 1189; Pietro Falier 1196; Giovanni Falier 1191, 1198; Peregrino Ghisi 1196; Bartolomeo Gradenigo 1200; Benedetto Grilioni 1196, 1200; Pietro Giustinian 1205; Profeta da Molin 1196; Enrico Navigaioso 1187; Giovanni Pini 1189, 1200; Rugerio Premarin 1192; Ottaviano Querini 1200; Lorenzo Querini 1205; Pietro Regini 1192, 1196, 1198; Domenico Sanudo 1189; Giovanni Tonisto 1205; Giorgio Vitolini 1189; Widoto Zane 1189; Iacobo Ziani 1189; Pietro Ziani 1205.
I consiglieri, per il periodo 1187-1205, sono ventisette: due consiglieri - Domenico Contarini e Pietro Regini - rivestono la funzione per tre volte e tre consiglieri - Giovanni Falier, Benedetto Grilioni e Giovanni Pini - per due volte.
Le famiglie interessate sono ventuno, poiché i Falier sono presenti con tre consiglieri, i Badoer, i Corner, i Querini e gli Ziani con due. Risalgono a prima del Mille, con presenze e tradizione politica diversificate, le famiglie di Badoer, Barbani, Contarini, Doro, Falier, Gradenigo, Giustinian, da Molin, Navigaioso, Regini; al secolo XI quelle di Corner, Querini, Sanudo, Ziani; recenti quelle di Tonisto, Vitolini, Zane.
I consiglieri connotati da nomi di famiglia nuovi sono Ghisi, Grilioni, Pini, Premarin: quattro su ventisette, poco più del settimo del totale; una proporzione, per la prima età comunale, di poco superiore a quella constatabile nella considerazione dei partecipanti agli atti pubblici, dagli anni Sessanta in poi, che non supera, in genere, il decimo rispetto al totale, riducendosi in alcuni casi ad una sola persona o ad anche a nessuna (276); analoga a quella di un settimo per i camerari del comune. Per quanto scarsa, la proporzione risulta ben maggiore di quella dei giudici, fra i quali appare un solo nome nuovo su cinquantatré presenze, dei giudici del comune, con nessun nome nuovo, e degli avvocati, con uno solo.
Una parte minore dei consiglieri, undici su ventisette ovvero due quinti, vanta una 'carriera pubblica', un cursus honorum, per così dire, sufficientemente definito - avvocati e camerari, da un lato, giudici, dall'altro lato -, senza che avvenga, in genere, come era pur possibile, ricordiamo, la contaminazione tra i due percorsi, se non nel caso dei giudici del comune, ufficio cui giungono avvocati e camerari e ufficio, nel contempo, da cui possono provenire i giudici, se non sono stati, però, avvocati e camerari: tale è il caso di Orio Doro. Possiamo concludere che all'ufficio di consigliere è possibile accedere percorrendo vie pubbliche diverse: dagli uffici di avvocato - Stefano Badoer, Giovanni Falier, Enrico Navigaioso - e di camerario - Profeta da Molin -, o, soprattutto, da quello di giudice Bartolomeo Gradenigo, Domenico Sanudo, Giovanni Tonisto, Widoto Zane, Pietro Ziani -. Un giudice del comune, Filippo Falier, era stato in precedenza camerario ed avvocato; un giudice, Orio Doro, era stato giudice del comune.
Il numero maggiore di consiglieri, sedici su ventisette, ovvero i tre quinti, non ha rivestito altri uffici pubblici maggiori: giudice, giudice del comune, avvocato, camerario. Sono Aldagerio Badoer, Pietro Barbani, Domenico Contarini, Pietro e Ottaviano Corner, Pietro Falier, Peregrino Ghisi, Benedetto Grilioni, Pietro Giustinian, Giovanni Pini, Rugerio Premarin, Ottaviano e Lorenzo Querini, Pietro Regini, Giorgio Vitolini, Iacobo Ziani.
Un'ulteriore constatazione: siano stati o non siano stati in precedenza ufficiali del comune, i consiglieri, limitatamente al periodo da noi esaminato, non sembrano rivestire, in genere, uffici pubblici dopo aver fatto parte del consiglio minore, il che induce a ritenere la partecipazione a tale consiglio quale momento particolarmente qualificante dell'attività politica, tanto da sancire, per una parte, minore, il coronamento di una carriera pubblica; da precludere, per la parte rimanente, la più ampia, l'assunzione degli uffici stessi.
Se il fatto di non aver ricoperto in precedenza uffici pubblici per i consiglieri delle famiglie nuove appare ovvio, assenti come sono anche dalla documentazione pubblica tradizionale, così non è per i rimanenti, fra i quali sono annoverati membri di famiglie illustri. Possiamo ritenere che, in analogia alle considerazioni svolte per gli avvocati, nell'ambito di gruppi familiari di tradizione antica divengano consiglieri i membri meno influenti.
Ma forse questa presenza maggioritaria di persone, che non hanno svolto in precedenza una carriera pubblica, può essere spiegata supponendo che fin dagli anni Ottanta l'elezione dei consiglieri, come quella dei camerari, avvenisse secondo le norme fissate nell'anno 1207 (277), sulla base cioè della ripartizione topografica della città: per i membri del consiglio minore essa avveniva per sestiere, donde il numero di sei, stabilito in quell'anno, ma probabilmente già tale dall'inizio (278), se nel secondo elenco di consiglieri, che si sottoscrivono ad un documento dell'anno 1189, essi sono appunto nel numero di sei; né appare una contraddizione grave il fatto che la somma delle presenze dei consiglieri nei due documenti pubblici del giugno 1200 sia di sette, potendosi spiegare la presenza di un settimo consigliere con una sostituzione e un rinnovo interno, che poteva appunto essere stato effettuato per i motivi più vari.
La scelta dei consiglieri, che tre 'grandi elettori' compivano su base topografica (279), prescindeva, in linea di principio, dalla carriera pubblica dei singoli, anche se questa non era certo ignorata; in tal modo veniva ad essere facilitato l'accesso ai consigli di membri di famiglie nuove: in linea di principio, tuttavia. Poiché appare evidente che, se la designazione su base topografica conduceva, e forse implicitamente costringeva, ad una scelta dei consiglieri, non basata sulla carriera pubblica, in particolare sull'avere rivestito gli uffici più prestigiosi di giudice e di giudice del comune, quindi ad una scelta che in linea di principio si presentava favorevole agli uomini nuovi, il fatto che molti di questi uomini nuovi, eletti consiglieri, che non avevano rivestito in precedenza uffici pubblici, appartenessero, invero, a famiglie che certo nuove non erano alla vita pubblica, agli uffici e agli incarichi politico-diplomatici, conferma, nell'ambito di una prospettiva politico-sociale, il predominio che le famiglie di antica tradizione pubblica continuavano a mantenere nel comune veneziano, un predominio che non si presentava né voleva prospettarsi in forme chiuse, ora come nel passato, permettendo un accesso limitato al consiglio minore a membri delle famiglie nuove: una conferma, come abbiamo già sottolineato, di un processo di ricambio sociale, che continua a caratterizzare la società veneziana, ma in proporzioni, ora, più ridotte rispetto all'età precomunale o, almeno, rispetto ad alcuni periodi di quest'età.
1. Il contributo presente costituisce una anticipazione parziale di un più ampio studio, tuttora non concluso, dal titolo provvisorio Territorio, società e politica a Venezia dall'età ducale alla prima età comunale (secoli VIII-XII). Sulla scorta di questo studio sono già stati redatti due contributi, relativi all'età ducale, Insediamenti e "populi", e Famiglie e affermazione politica, editi nel I volume di questa Storia di Venezia (rispettivamente pp. 577-612, 613-644). È stato intanto pubblicato un ulteriore contributo: La società veneziana nel medioevo. I. Dai tribuni ai giudici, Verona 1992, e un nuovo studio, dal titolo La società veneziana nel medioevo. II. Le famiglie ducali dei Candiano, Orseolo e Menio e la famiglia comitale vicentino-padovana di Vitale Ugo Candiano (secoli X-XI), è attualmente in corso di stampa.
2. Roberto Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, pp. 294 ss., pone in rilievo come, verso la fine del secolo IX, iniziò "la serie dei duchi elevati all'alta dignità dal suffragio popolare"; Id., Venezia ducale, 11/1, Commune Venetiarum, Venezia 1965, pp. 11-14, sottolinea che, con la fine della pratica attuazione dell'istituto della coreggenza, si rafforza il peso politico del populus, riunito nella publica concio, anche se questa è di fatto controllata dai potenti e dai loro sostenitori; Giovanni I. Cassandro, Concetto, caratteri e struttura dello Stato veneziano, "Rivista di Storia del Diritto Italiano", 36, 1963, p. 25 (pp. 23-49); Giorgio Zordan, Le persone nella storia del diritto veneziano prestatutario, Padova 1973, pp. 330-334; Id., L'ordinamento giuridico veneziano, Padova 1980, pp. 35 ss., 50-51.
3. G. Zordan, Le persone, pp. 330-331
4. Gina Fasoli, Comune Veneciarum, in Ead., Scritti di storia medievale, a cura di Francesca Bocchi - Antonio Carile - Antonio Ivan Pini, Bologna 1974, pp. 483-484 (pp. 473-497)
5. A. Castagnetti, Famiglie, pp. 620-623: "Primates" e giudici; Id., Dai tribuni, pp. 89 ss., in partic. pp. 106 ss.
6. Vittorio Lazzarini, Originali antichissimi della cancelleria veneziana, in Id., Scritti di paleografia e diplomatica, Venezia 1938 (1904), p. 179, nr. 3, 1100 luglio (pp. 156-186).
7. S. Giorgio Maggiore, II, Documenti (982-1159), e III, Documenti (1160-1199), a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1967-1968: II, nr. 69, 1090 luglio; V. Lazzarini, Originali antichissimi, pp. 181-182, nr. 4, 11 08 settembre; ecc. La menzione del populus si trova ancora nei privilegi per Cittanova (Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, I-X, Venezia 1853-1861: I, pp. 388-390, nr. 17, anno 1024, e Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di Roberto Cessi - Fanny Bennato, Venezia 1964, pp. 72-73; per la datazione si v. la discussione in Marco Pozza, I Badoer. Una famiglia veneziana dal X al XIII secolo, Abano Terme 1982, p. 32 n. 27); per Loreo S. Romanin, Storia documentata, I, pp. 392-395, nr. 19, anno 1094, e Venetiarum historia, pp. 84-85; per la traslazione della sede vescovile di Malamocco a Chioggia Ferdinando Ughelli, Italia sacra, I-X, Venezia 1717-1722: V, col. 1344, doc. 1110 aprile, riedito in Venetiarum historia, pp. 90-92.
8. Walter Lenel, Un trattato di commercio fra Venezia ed Imola dell'anno 1099, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 16, 1908, pp. 66-67 (pp. 62-67), 1099 novembre; Andrea Castagnetti, Mercanti, società e politica nella Marca Veronese-Trevigiana (secoli XI-XIV), Verona 1990, pp. 167-173, doc. 1107 maggio (= Id., Le città della Marca Veronese, Verona 1991, app. II, nr. 1).
9. A.S.V., Codice diplomatico veneziano, a cura di Luigi Lanfranchi, dattiloscritto, nr. 1114, 1144 aprile; S. Giorgio Maggiore, II, nr. 216, 1145 settembre; Famiglia Zusto, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1955, nr. 23, 1156 febbraio.
10. Gino Luzzatto, I più antichi trattati tra Venezia e le città marchigiane (1141-1345), "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., II, 1906, pp. 43-44, nr. 1, 1141 gennaio (?) (pp. 5-91).
11. Ibid., pp. 47-49, nr. 3, 1141 marzo 1°.
12. Alcune esemplificazioni: nella donazione ducale dell'anno 919 al monastero dei SS. Felice e Fortunato (Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, a cura di Roberto Cessi, I-II, Padova 1940-1942: II, nr. 31, 919 febbraio), primates e fideles che assistono il duca sono distinti dal resto del populus; nella donazione dell'anno 1090 al monastero di S. Giorgio Maggiore (S. Giorgio Maggiore, II, nr. 69, 1090 luglio) e in una seduta giudiziaria dell'anno 1100 (doc. citato sopra, n. 6) il duca agisce con il consenso dei suoi giudici e "alii boni homines nostri fideles"; si v. anche Famiglia Zusto, nr. 8, 1121 novembre.
13. Ottavio Banti, Civitas e Commune nelle fonti italiane dei secoli XI e XII, "Critica Storica", n. ser., 9, 1972, p. 576 (pp. 568-584).
14. Nell'anno 983 il patriarca Vitale rende quietanza al duca Tribuno per la restituzione dei propri beni (Documenti relativi, II, nr. 66, 983 giugno 15), avvenuta in seguito alla sentenza emessa dal duca con i suoi giudici (ibid., nr. 65, 983 giugno 15): nel documento il patriarca fa riferimento all'atto del duca, compiuto con il consenso, "per commune consilium et voluntatem", del populus, "a maximo ad minimum". In un periodo più tardo e prossimo all'età comunale, l'espressione "communi voluntate" appare in relazione all'approvazione, da parte di duca e giudici, di una serie di atti giudiziari, ma si tratta di un resoconto fatto da un ufficiale inferiore, non di un documento pubblico attestante lo svolgimento della seduta giudiziaria, l'enunciazione della sentenza dei giudici e l'emanazione della stessa ad opera del duca e dei giudici: nell'anno 1134 un ripario della curtis palacii riferisce che duca e giudici avevano approvato, "communi voluntate" ovvero per volontà concorde, gli atti relativi all'esecuzione pratica di una precedente sentenza (S. Giorgio Maggiore, Il, nr. 1117, 1134 aprile).
15. Documenti relativi, II, nr. 57, 978 ante 31 agosto.
16. Ibid., nr. 58, anni 978-979; nr. 59, anni 979-991.
17. Codice diplomatico veneziano, nr. 344, 1095 dicembre.
18. Bartolomeo Cecchetti, Programma dell'i.r. scuola
scolastico 1861-1862, Venezia 1862, pp. 33-36, doc.
111 2 settembre.
19. S. Romanin, Storia documentata, I, nr. 20, 1097 maggio; cf. R. Cessi, Venezia ducale, II/ 1, p. 129 n. 3.
20. G. Zordan, Le persone, p. 350.
21. Sotto, n. 35.
22. II termine è presente anche nel documento dell'anno 1143 (citato sotto, n. 25), al momento in cui il duca stabilisce le sanzioni per i trasgressori, i cui beni debbono essere confiscati a vantaggio del "nostro [scil. del duca> donnicale"; ancora, nei documenti dell'anno 1144 aprile (citato sopra, n. 9) e dell'anno 1173 (B. Cecchetti, Programma, pp. 48-50, doc. 1173 novembre, riedito da Nicolò Papadopoli Aldobrandini, Le monete di Venezia, I, Milano-Venezia 1893, pp. 307 ss., nr. 3, e da Giovanni Monticolo, L'ufficio della Giustizia Vecchia a Venezia dalle origini sino al 1330, Venezia 1892, pp. 81-85, app., nr. 1).
23. Sotto, testo corrispondente alle nn. 48-49.
24. G. Zordan, Le persone, p. 353.
25. Acta consilii sapientum, in Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Roberto Cessi, I, Bologna 1950, pp. 235-236, nr. 1, 1143 febbraio.
26. Roberto Cessi, Politica, economia, religione, in AA.VV., Storia di Venezia, II, Dalle origini del ducato alla IV crociata, Venezia 1958, p. 374 (pp. 67-476).
27. Doc. dell'anno 1143, citato sopra, n. 25 (p. 236).
28. Non sorprende l'esclusione degli alti dignitari ecclesiastici, presenti tuttavia subito dopo, al momento dell'emanazione del provvedimento, nella persona del vescovo di Castello: da tempo il clero non prendeva più parte attiva allo svolgimento dei placiti e all'emanazione dei provvedimenti ducali. Cf. R. Cessi, Venezia ducale, 11/ 1, p. 126.
29. Doc. dell'anno 1143, citato sopra, n. 25.
30. Documenti relativi, II, nr. 31, 919 febbraio; nr. 57, 978 ante 31 agosto; nr. 58, anni 978-979; nrr. 65 e 66, 983 giugno 15; Codice diplomatico veneziano, nr. 344, 1095 dicembre; doc. dell'anno 1097, citato sopra, n. 19; ecc.
31. Andrea Castagnetti, La Marca Veronese-Trevigiana (secoli XI-XIV), Torino 1986 (ma in estratto anticipato, 1983), p. 59; Id., Le città, pp. 119-120.
32. Ibid., pp. 82-85.
33. Doc. del maggio 1107, citato sopra, n. 8.
34. Non è questa la sede, anche per la ristrettezza dello spazio concesso per il nostro saggio, i cui limiti già abbiamo superato, per soffermarci ad esporre ed esaminare le 'teorie' sulla costituzione del comune veneziano. Una sintesi storiografica efficace è stata recentemente tracciata da Gerhard Rösch, Der venezianische Adel bis zur Schließung des Grossen Rats, Sigmaringen 1989, pp. 81-83, che propende per accettare e fondere insieme le 'cause' prospettate dagli studiosi precedenti: la crescita per quantità del commercio e dei mercanti, i conseguenti riflessi sociali, la volontà di affermazione delle famiglie ducali, particolarmente dei Michiel-Polani, il contrasto del duca con il patriarca e, soprattutto, con l'aristocrazia, il distacco di questa dal populus ovvero dagli strati inferiori, il ruolo della capitale Rialto e dei suoi abitanti o dei cives, la politica estera ed in particolare quella adriatica, la guerra con Padova (ibid., pp. 87-88). Vogliamo, tuttavia, ricordare in questa sede, oltre ai numerosi studi del Cessi, in parte già citati, le due opere di Giorgio Cracco, uno studioso che più degli altri, negli ultimi decenni, si è dedicato alla storia di Venezia nel periodo comunale, e sulle cui proposte di interpretazione in una prospettiva essenzialmente di storia sociale ci proponiamo di tornare a soffermarci in altra sede: Giorgio Cracco, Società e stato nel medioevo veneziano (secoli XII-XIV), Firenze 1967, pp. 3-4 e ss., e Id., Un "altro mondo". Venezia nel medioevo. Dal secolo XI al secolo XIV, Torino 1986, p. 44.
35. Si v., per ora, le osservazioni svolte in A. Castagnetti, Insediamenti, pp. 604-606, e riprese in Id., Famiglie, p. 639 n. 10, ove si prospetta, per il periodo precomunale e il primo periodo comunale, un rapporto fra 'centro', ovvero Rialto, e 'periferia', ovvero gli insediamenti ormai minori del Ducato, accostabile a quello fra città e contado dei comuni padani. Un ruolo intermedio assume il gruppo insulare di Torcello, ove sussistono fino al secolo XII alcune famiglie maggiori, che partecipano attivamente alla vita politica, ma anch'esse si trasferiranno in Rialto, ove risultano risiedere nella seconda metà del secolo ovvero nel primo periodo comunale.
36. R. Cessi, Venezia ducale, II/1, pp. 13-14.
37. Sotto, testo corrispondente alle nn. 162 ss.
38. A. Castagnetti, Le città, pp. 103-107, con rinvio alla letteratura precedente.
39. Ibid., pp. 126-128.
40. Ibid., pp. 126-127.
41. Sotto, testo corrispondente alle nn. 65, 88-89, 118 e 158.
42. Doc. dell'anno 1144, citato sopra, n. 9.
43. S. Giorgio Maggiore, II, nr. 216, 1145 settembre.
44. Codice diplomatico padovano dal secolo sesto a tutto l'undecimo, a cura di Andrea Gloria, Venezia 1877 (= I); Codice diplomatico padovano dal 1101 alla pace di Costanza (25 giugno 1183), a cura di Id., I-II, Venezia 1879-1881 (= II e III): II, nr. 440, 1144 ottobre 14.
45. Gottlieb L.Fr. Tafel-Georg M. Thomas, Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig mit besonderer Beziehung auf Byzanz und die Levante, I-III, Wien 1856-1857: I, nr. 48, 1145 dicembre.
46. Ibid., nr. 49, 1147 settembre, riedito in Nuovi documenti del commercio veneto dei sec. XI-XIII, a cura di Antonino Lombardo - Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1953, nr. 8, e in S. Giorgio Maggiore, II, nr. 224, ove non viene citata l'edizione Tafel-Thomas.
47. Doc. del febbraio 1148, inserito in Acta consilii, nr. 3, 1152 settembre.
48. Doc. citato sopra, n. 9.
49. G. Zordan, Le persone, pp. 340-345.
50. Sopra, testo corrispondente alle nn. 25 ss.
51. Doc. dell'anno 1179, citato sotto, n. 115.
52. Acta consilii, nr. 7, 1163 agosto 3; in seguito, con
qualche incertezza, in modo regolare.
53. Doc. dell'anno 1160, citato sotto, n. 77.
54. Sotto, testo corrispondente alle nn. 91 e 114.
55. Marin Sanudo, Le vite dei Dogi, a cura di Giovanni Monticolo, in R.I.S.2, XXII, 4, 1900-191 I, p. 235 n. 2, doc. 1152 giugno 26, già in Antonio S. Minotto, Acta et diplomata e r. Tabulario Veneto. IV/1. Res Bononiae, Forilivii, Ravennae et caeterarum Romaniolae nec non Marchiae Anconitanae atque Umbriae civitatum, Venezia 1885, p. 12.
56. Sulla scorta dell'edizione del Minotto, citata alla n. precedente, si è soffermato sul giuramento Bernhard Schmeidler, Der Dux und das Comune Venetiarum von 1141-1229. Beiträge zur Verfassungsgeschichte Venedigs vornehmlich im 12. Jahrhundert, Berlin 1902, pp. 15-17, sottolineando soprattutto l'importanza dei distretti territoriali, le trentaciae, per la formazione del comune; pochi cenni in R. Cessi, Politica, p. 394, e G. Fasoli, Comune Veneciarum, p. 487 n. 39. Da ultimo, Agostino Pertusi, Quedam regalia insigniti. Ricerche sulle insegne del potere ducale a Venezia durante il Medioevo, "Studi Veneziani", 7, 1965, pp. 23-24 (pp. 3-123), in partic. n. 60, afferma che il giuramento del duca Morosini deve essere considerato "di carattere istituzionale", una effettiva promissio, il cui testo o meglio i cui testi conosciamo con certezza ad iniziare dall'assunzione al ducato di Enrico Dandolo: sotto, testo corrispondente alle nn. 128 ss.
57. Documenti relativi, II, nr. 65, 983 giugno 15; doc. dell'anno 1097, citato sopra, n. 19.
58. Ibid., nr. 54, 976 ottobre 25, riedito in I placiti del "Regnum Italiae", a cura di Cesare Manaresi, I-II, Roma 1955-1958: II/1, nr. 181.
59. G. Zordan, Le persone, p. 331.
60. G. Fasoli, Comune Veneciarum, p. 486, situa il giuramento in oggetto nel solco della tradizione, avanzando l'ipotesi che fin dai primi tempi del Ducato il giuramento del popolo al duca presupponesse anche un giuramento del duca al popolo, dal momento che giuramenti siffatti sono in genere sinallagmatici, non diversamente dall'elezione regia e imperiale.
61. Ben presto il termine comune nel significato di università degli abitanti di un territorio definito ed organizzato amministrativamente viene assunto anche dalle popolazioni del Ducato. Nell'anno 1158 (Codex Publicorum [Codice del Piovego>, a cura di Bianca Lanfranchi Strina, Venezia 1985, p. 37, 1158 giugno), vertendo una controversia per lo sfruttamento delle acque 'comuni' di Malamocco, un teste, con evidente anacronismo, riferisce che questa aqua, oggetto della contesa, era "comunis tocius Metamauci" - di Malamocco Vecchia, avanti il 1107 (Luigi Lanfranchi - Gian Giacomo Zille, Il territorio del ducato veneziano dall' VIII al XII secolo, in AA.VV., Storia di Venezia, II, Dalle origini del ducato alla IV crociata, Venezia 1958, p. 28 [pp. 3-65>) - e che vi si poteva pescare solo "per licenciam totius comunis": nelle espressioni appare immediata la correlazione fra i beni comuni di un populus, quello di Malamocco, e l'identificazione di questo stesso populus nella sua organizzazione amministrativa, non del passato, ma coeva, il totum comune di Malamocco, appunto, come il cunctus comunis populus di Venezia.
62. Quanto affermato nel testo diviene esplicito più tardi: si v. sotto, testo corrispondente alle nn. 128 ss.
63. Secondo R. Cessi, Politica, p. 393, trentaciae e contradae hanno significati differenti: le prime concernono l'organizzazione della città, le seconde quella del territorio e fra esse era distribuito il servizio della militia, soldati e navi. Segnaliamo, in modo occasionale, alcuni indizi documentari che sembrano suggerire un significato di contrada connesso a fini amministrativi e fiscali. Un documento, posteriore di alcuni decenni al giuramento del 1152 (Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, I-II, a cura di Raimondo Morozzo della Rocca - Antonino Lombardo, Torino 1940: I, nr. 365, 1188 gennaio), attesta l'esistenza dei capi delle contrade, ad uno dei quali, nel caso specifico, è assegnato il compito di ripartire una somma di denaro, elargita al comune veneziano dall'imperatore bizantino per il risarcimento di danni. In un documento, infine, dell'anno 1223, concernente i divieti, banna, in materia di commercio del legname, emanati dal duca, questi è assistito dai consigli minore e maggiore, dai capita contratarum e da altri ufficiali: Acta consilii, p. 129, nr. 1, 1223 novembre 13.
64. A. Castagnetti, Insediamenti, p. 584.
65. Capitulare maioris consilii, in Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Roberto Cessi, I, Bologna 1950, p. 263, nr. A, 1207 aprile; cf. sotto, n. 158.
66. M. Sanudo, Le vite dei Dogi, p. 235 n. 2, doc. 1152 agosto, già in A.S. Minotto, Acta, IV/1, p. 12.
67. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, nr. 55, 1153 maggio.
68. Doc. dell'anno 1175, citato sotto, n. 86.
69. Nuovi documenti del commercio, nr. 12, 1151 dicembre.
70. Famiglia Zusto, nr. 23, 1156 febbraio.
71. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, nr. 51, 1147 ottobre, con la data errata 1148; cf. Silvano Borsari, Venezia e Bisanzio nel XII secolo. I rapporti economici, Venezia 1988, p. 21 n. 89.
72. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, nr. 50,
1148 marzo; cf. S. Borsari, Venezia, p. 21.
73. Doc. dell'anno 1156, citato sotto, n. 76.
74. M. Sanudo, Le vite dei Dogi, pp. 238-256, doc. 1152 gennaio: le espressioni citate nel testo si leggono a p. 239 e sono ripetute a p. 240; un estratto del documento è in Acta consilii, nr. 2.
75. Famiglia Zusto, nr. 21, 1152 giugno.
76. Ibid., nr. 24, 1156 marzo.
77. Acta consilii, nr. 4, 1160 maggio.
78. Ibid., nr. 5, 1160 agosto, data da correggere in 1160 maggio.
79. Ibid., nr. 6, 1160 maggio.
80. In alcuni casi è stabilita la modalità di ripartizione fra duca e comune: ad esempio, in caso di confisca dei beni ai forinseci, al duca spettava un terzo, al comune due terzi: ibid., nr. 21, 1192 agosto 16.
81. Ibid., nr. 8, 1164 agosto, riedito in Documenti del commercio, I, nr. 163.
82. Documenti del commercio, I, nr. 226, 1170 agosto.
83. Acta consilii, nr. 9, 1164 agosto.
84. Ibid., nr. 13, 1168 settembre, riedito in S. Giovanni Evangelista di Torcello, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1948, nr. 53.
85. M. Sanudo, Le vite dei Dogi, pp. 277-281, doc. 1164 giugno, riedito in Gino Luzzatto, I prestiti della Repubblica di Venezia (sec. XIII-XV). Introduzione storica e documenti, Padova 1929, nr. 1.
86. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, nr. 61, anno 1175; cf. sopra, testo corrispondente alla n. 67.
87. Acta consilii, nr. 7, 1163 agosto 3.
88. Ibid., nr. II, 1166 luglio, data da correggere in 1166 giugno 28, e G. Luzzatto, I prestiti, nr. 2, 1187 maggio.
89. Sotto, testo corrispondente alla n. 158.
90. Acta consilii, nr. II, 1166 giugno 28.
91. Ibid., nr. 10, 1165 maggio.
92. R. Cessi, Politica, p. 396.
93. Giuseppe Maranini, La costituzione di Venezia, I-11, Firenze 1927: I, pp. 113-115; G. Zordan, Le persone, p. 352.
94. Cf. sopra, testo corrispondente alla n. 49, con il rinvio al documento dell'anno 1148.
95. G. Zordan, Le persone, p. 338.
96. A. Castagnetti, Dai tribuni, pp.102-133, per l'età precomunale; per il nostro periodo, si v. sotto, testo corrispondente alle nn. 256 ss.
97. Sotto, testo corrispondente alle nn. 273 ss.
98. A. Castagnetti, Dai tribuni, pp. 102 ss.
99. V. l'Introduzione di Roberto Cessi a Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Id., I, Bologna 1950, p. X.
100. Acta consilii, nr. II, 1166 giugno 28, con trentuno sottoscrittori; altri documenti segnalati dal Cessi nella Introduzione citata alla n. precedente: Acta consilii, nr. 17, 1185 agosto, con la sottoscrizione di tre giudici e trentaquattro altre persone; nr. 23, 1206 luglio, con la sottoscrizione di quattro giudici, due consiliatores e altre ventisette persone. Si noti che nei primi documenti il duca agisce da solo con i giudici, non sono nominati sapientes e consilia, se non in via indiretta; nell'ultimo documento, poi, i consiliatores, nominati espressamente, appaiono distinti dai giudici come dagli altri sottoscrittori. Non basta certo il fatto che il numero di sottoscrittori si aggiri intorno a trenta o sia di poco superiore, per considerare i sottoscrittori quali consiliatores.
101. Sotto, testo corrispondente alle nn. 121-123.
102. Sotto, §§ 2 e 3.
103. Sotto, testo corrispondente alle nn. 192 ss.
104. Venetiarum historia, p. 122.
105. Margarete Merores, Der venezianische Adel (Eine Beitrag zur Sozialgeschichte), "Vierteljahrschrift für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte ", 19, 1926, pp. 193-237, specialmente pp. 221-222; R. Cessi, Politica, p. 411; G. Cracco, Società, p. 49. Si v. più oltre per l'attendibilità dei nomi degli elettori, tramandatici dalla cronaca per questa elezione ducale e per quelle successive degli anni 1178 e 1192.
1o6. Ci è giunta la descrizione dell'elezione di un duca avvenuta nel 1071: esposizione e commento in G. Fasoli, Comune Veneciarum, pp. 487-488; G. Cracco, Un "altro mondo", pp. 18-19; A. Pertusi, Quedam regalia, pp. 67-68, ove viene anche riportato il testo, redatto dal chierico Domenico Tinto.
107. Venetiarum historia, p. 122.
108. Ibid., p. 114, in riferimento al duca Vitale II Michiel "per potentiam [...> ultimus creatus".
109. Ibid., p. 129, da cui deriva Historia ducum Veneticorum, a cura di Henry Simonsfeld, in M.G.H., Scriptores, XIV, 1883, p. 89.
110. Venetiarum historia, pp. 131-132, e Supplementum, pp. 90-91.
111. Venetiarum historia, pp. 144-145.
112. Rinunciamo a segnalare direttamente i documenti, molti dei quali saranno utilizzati in seguito, particolarmente quando illustreremo le magistrature comunali.
113. Doc. dell'anno 1143, citato sopra, n. 25.
114. Doc. dell'anno 1165, citato sopra, n. 91.
115. Acta consilii, nr. 16, 1179 novembre.
116. In questa occasione appaiono per l'ultima volta i preordinati che, tuttavia, stando alla lettera dell'espressione riportata nel testo, sembrerebbero distinti dai sapientes, diversamente che nella documentazione precedente, nella quale sono presenti gli uni o gli altri, per cui abbiamo supposto una loro equivalenza: siamo propensi a ritenere che non di due categorie distinte di consiglieri si tratti, ma della stessa, qui indicata con la doppia accezione, giustificata dal fatto che la prima è in via di sparizione.
117. Acta consilii, nr. 17, 1185 maggio.
118. Il provvedimento è confermato anche da un atto posteriore di quattro anni, in cui viene condannato Iacobo Zulian a non rivestire più alcun ufficio - noi diremmo: all'interdizione dai pubblici uffici - per avere egli rifiutato l'officium consulendi, cui era stato designato dagli electores: Acta consilii, nr. 20, 1189 luglio [ma giugno>. Riteniamo che l'officium consulendi dovesse consistere nella funzione di membro di uno dei due consigli: cf. G. Maranini, La costituzione, I, p. 130.
119. Sotto, testo corrispondente alla n. 158.
120. G. Luzzatto, I prestiti, nr. 2, 1187 maggio.
121. S. Romanin, Storia documentata, II, pp. 421-423, nr. 7, 1187 giugno.
122. L'opera di S. Marco sembra essere stata la 'cassa' del comune: R. Cessi, Politica, p. 411.
123. Sotto, testo corrispondente alle nn. 273 ss.
124. Acta consilii, nr. 18, 1187 novembre, riedito da G. Luzzatto, I prestiti, nr. 3.
125. Doc. del maggio 1107, citato sopra, n. 8.
126. Doc. dell'anno 1173, citato sopra, n. 22; cf. R. Cessi, Politica, p. 413.
127. Sotto, testo corrispondente alla n. 134.
128. Sopra, testo corrispondente alle nn. 55 ss.
129. R. Cessi, Politica, p. 443.
130. Le promissioni del doge di Venezia dalle origini alla fine del Duecento, a cura di Gisella Graziato, Venezia 1986, pp. 1-6: il testo della promissio del duca Enrico Dandolo è distinto in capitoli, mediante lo stacco di una riga in bianco, ma senza numerazione; per comodità espositiva noi abbiamo assegnato ai capitoli un numero progressivo, che il lettore può facilmente assegnare a sua volta.
131. G. Fasoli, Comune Veneciarum, p. 495.
132. Le promissioni, p. 2, cap. 4.
133. Ibid., p. 2, cap. 7.
134. Ibid., p. 3, cap. 11.
135. Ibid., p. 2, cap. 3.
136. Ibid., p. 2, cap. 4.
137. Ibid., p. 3, cap. 13.
138. Ibid., p. 3, cap. 15.
139. Ibid., p. 2, cap. 7.
140. Ibid., pp. 2-3, cap. 8.
141. Ibid., p. 3, cap. 14.
142. Ibid., p. 3, cap. 12.
143. Ibid., pp. 3-4, cap. 16.
144. Ibid., p. 4, cap. 17. Si tenga presente, prudentemente, che la lettura dell'espressione concernente i consiliarii del consiglio minore è frutto di integrazione: "omnes consil[iarii> minoris consilii [...> "; si osservi, tuttavia, che, per analogia a quanto rileviamo sotto, n. 151, un consiglio maggiore implica l'esistenza di un consiglio minore.
145. Acta consilii, nr. 21, 1192 agosto; nr. 22, 1198 settembre; si v. anche nr. 23, 1206 luglio, e doc. dell'aprile 1207, citato sopra, n. 65.
146. Ibid., nr. 5, 1160 agosto, e nr. 8, 1164 agosto: sapientes consiliatores; nr. 12, 1168 luglio: consiliarii; G. L. Fr. Tafel - G. M. Thomas, Urkunden, I, nr. 63, 1175 giugno: consiliatores; Acta consilii, nr. 16, 1181 gennaio: consiliatores.
147. Tralasciando le due menzioni di consiliarii nel cap. 8 e di consiliarii minoris consilii nel cap. 17 della promissio del Dandolo (Le promissioni, rispettivamente pp. 3 e 4), poiché sono frutto di integrazioni del testo, guasto per il cattivo stato della pergamena (ibid., p. 1 n. introduttiva al documento), possiamo accettare, invece, i consiliarii nostri minoris consilii menzionati nel cap. 4 della promissio del duca Ziani (ibid., p. 6).
148. Sopra, testo corrispondente alle nn. 121-123, e sotto, testo corrispondente alla n. 275.
149. Acta consilii, nr. 20, 1189 giugno.
150. Sotto, testo corrispondente alla n. 158.
151. Le promissioni, pp. 5-6: anche per questo testo abbiamo proceduto ad una suddivisione e ad una numerazione per capitoli (cf. sopra, n. 130). A. Pertusi, Quedam regalia, p. 118 n. 336, considerando i caratteri della promissio del duca Ziani - brevità, incompletezza e frammentarietà -, ritiene che essa si rifaccia ad un modello di promissio anteriore a quella del duca Dandolo e a noi non pervenuta.
152. Le promissioni, pp. 5-6, cap. 1.
153. Ibid., p. 6, cap. 4.
154. In un documento del 1160 (citato sopra, n. 78) i sapientes appaiono quale componente dei viri consiliatores.
155. Cf. sopra, testo corrispondente alla n. 149.
156. R. Cessi, Introduzione a Deliberazioni, pp. X-XI; cf. sopra, n. 100.
157. Nella promissio del Dandolo la collaudatio populi è ricordata solo in relazione alla nomina dei notai: Le promissioni, p. 3, cap. 14. Cf. sotto, n. 180.
158. Doc. dell'anno 1207, citato sopra, n. 65.
159. Liber comunis, in Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di Roberto Cessi, I, Bologna 1950, p. 135, nr. 1, 1225 ottobre 9; p. 151, doc. 1227 ottobre 4; p. 159, doc. 1228 settembre 30; p. 165, doc. 1226 settembre 30; p. 190, doc. 1227 ottobre. Segnaliamo un provvedimento ducale, adottato con il parere concorde della maggior parte del consiglio minore, "maior pars consiliariorum", una 'maggioranza' come viene specificato, che è costituita da quattro consiglieri: ibid., p. 207, nr. 132, 1228 novembre 23.
160. Ibid., p. 53, nrr. 23 e 25, 1223 dicembre 22; p. 63, nr. 66, 1224 giugno; p. 69, nr. 87, 1224 settembre 27.
161. Ibid., p. 129, nr. 1: "per XL ordinatos".
162. Sopra, testo corrispondente alla n. 40.
163. Sopra, testo corrispondente alla n. 38.
164. I conti avevano cessato, dopo il secolo XI, di svolgere le loro funzioni pubbliche principali, compresa quella dell'amministrazione della giustizia, anche nella Marca (Andrea Castagnetti, I conti di Vicenza e di Padova dall'età ottoniana al comune, Verona 1981, pp. 34-35), ove essi continuarono ad essere presenti e a svolgere attività politica, a volte in posizione di preminenza, per tutto il periodo comunale, ma su basi, ormai, prevalentemente signorili (ibid., pp. 125 ss.; Id., Le città, passim).
165. Id., Le città, pp. 75-95.
166. Id., La Marca Veronese-Trevigiana, pp. 8-35.
167. Id., Le città, pp. 107-112.
168. Ibid., pp. 112 - 117.
169. Antonio Ivan Pini, Dal comune città-stato al comune ente amministrativo, in Id. - Ovidio Capitani - Raoul Manselli - Giovanni Cherubini - Giorgio Chittolini, Comuni e Signorie: istituzioni, società e lotte per l'egemonia (Storia d'Italia, diretta da Giuseppe Galasso, IV), Torino 1981, pp. 466, 475 (pp. 451-587); per le città della Marca, solo per Verona è stato delineato il processo di evoluzione istituzionale verso organismi rappresentativi stabili: dal coinvolgimento diretto negli atti politici fondamentali dell'assemblea cittadina, concio o parlamentum civitatis, alla costituzione del consilium sapientum, dapprima coesistente con l'assemblea cittadina, poi, divenuto consiglio maggiore o generale, organismo delegato all'elaborazione e alla gestione dell'attività politica, affidata per l'esecuzione ai consoli o, tra XII e XIII secolo in via generalizzata, al podestà e ai suoi ufficiali (A. Castagnetti, Le città, pp. 184-185).
170. Sopra, testo corrispondente alle nn. 71-72.
171. Sopra, testo corrispondente alla n. 45.
172. G.I. Cassandro, Concetto, p. 29, con rinvio e discussione della letteratura precedente, dalle opere di B. Schmeidler e G. Maranini a quelle di R. Cessi.
173. Ibid., p. 30.
174. A. Castagnetti, Insediamenti, pp. 599-606, e sopra, testo corrispondente alla n. 35.
175. S. Borsari, Venezia, p. 22.
176. A. Castagnetti, Dai tribuni, pp. 39 ss. e passim; in particolare, le osservazioni conclusive: pp. 136-139.
177. Id., Famiglie.
178. Ibid., p. 634, testo corrispondente alla n. 120.
179. Ibid., p. 636, testo corrispondente alla n. 131: Si correggano le espressioni "due terzi" con "un terzo".
180. Melchiorre Roberti, Le magistrature giudiziarie veneziane e i loro capitolari fino al 1300, I, Padova 1906, p. 244; G. Zordan, Le persone, p. 338, ben sottolinea come, mentre la confirmatio e la collaudatio del populus divengono un formalismo, vadano riducendosi i lunghi elenchi di sottoscrittori ai documenti pubblici.
181. G. Fasoli, Comune Veneciarum, pp. 483-484.
182. Per una trattazione ampia in materia rinviamo ad ulteriori contributi parziali o agli studi, parziali o complessivi, citati sopra, n. 1, nei quali saranno elencate nominalmente tutte le presenze e i dati saranno elaborati in modi più complessi.
183. Sulla famiglia nella società veneziana, intesa in senso ristretto o allargato, quale gruppo familiare, sulla coscienza della famiglia e sulla volontà di nobilitazione della stessa, poggiante, soprattutto, in una tradizione di antica e costante partecipazione alla vita pubblica e all'attività politica, rinviamo alla bibliografia e alle considerazioni svolte in A. Castagnetti, Dai tribuni, pp. 51-60.
184. Id., Famiglie, pp. 633-637 e passim; per il manifestarsi di una tendenza all'affermazione in senso dinastico, si v. sopra, testo corrispondente alla n. 36.
185. Codice diplomatico padovano, III, nr. 766, 1161 agosto.
186. Acta consilii, nr. 7, 1168 agosto 3.
187. A. Castagnetti, Le città, pp. 159- 160.
188. Doc. del giugno 1164, citato sopra, n. 85.
189. Acta consilii, nr. 9, 1164 agosto.
190. Ibid., nr. 10, 1165 maggio.
191. Ibid., nr. II, 1166 giugno 28.
192. G. Cracco, Un "altro mondo", pp. 50-51.
193. Historia ducum, p. 80: "quidam latro nefandissimus"; ibid., n. 6; ibid., p. 61 n. 1; Origo civitatum Italiae seu Veneciarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di Roberto Cessi, Roma 1933, p. 120: "a quodam vvilissimo Marco Cassulo". Accoglie il giudizio dei cronisti Roberto Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, I, Milano-Messina 1944, p. 161, che definisce l'assassino, appunto, "un volgare ladrone"; l'autore (nel luogo citato e in Id., Politica, p. 405), nel suo costante intento di nobilitare la storia veneziana, non ne ricorda nemmeno il nome, anche se, come subito vediamo, inquadra poi il grave fatto nella prospettiva di storia istituzionale.
194. R. Cessi, Politica, p. 407: l'ostilità degli ottimati è suggerita dalla Historia ducum, p. 80, quando sottolinea l'abbandono del duca da parte dei sapientes.
195. G. Cracco, Società, p. 9, ribadito a pp. 8-9 n. 2, ove si prospettano i legami di Casulo con i mercanti e con i Grandi, per cui l'autore si riavvicina, per via diversa, alla tesi del Cessi.
196. M. Merores, Der venezianische Adel, pp. 220-221, secondo la quale Marco Casulo non è "einer unbekannter Popolane", ma appartiene ad una famiglia inclusa fra i tribuni anteriores. Anche se la proposta dell'autrice non è dimostrata criticamente, noi siamo propensi ad accettarla, discutendola in altra sede mediante un'ampia disamina delle fonti, soprattutto di quelle documentarie, alla luce delle vicende delle famiglie.
197. Sotto, testo corrispondente alla n. 245.
198. Heinrich Kretschmayr, Geschichte von Venedig, I, Gotha 1905, p. 408.
199. Daniela Rando, Le istituzioni ecclesiastiche veneziane nei secoli VI-XII. Il dinamismo di una Chiesa di frontiera, Trento 1990, p. 60.
200. G. Cracco, Società, pp. 8-9.
201. Rinviamo per ora a S. Borsari, Venezia.
202. Documenti del commercio, I, nr. 91, 1147 agosto; nr. 120, 1156 febbraio; nr. 316, 1180 giugno.
203. Sulla violenza nella vita politica e sui conflitti civili, dei quali sono spie le deposizioni, le congiure, le espulsioni e le uccisioni dei duchi, si v. G. Fasoli, Comune Veneciarum, p. 478.
204. All'inizio del secolo XII un Domenico Michiel stipula, in Rialto, una colleganza 'bilaterale' con Giovanni Baro per un trasporto di vettovaglie da Otranto ad Antiochia, che il secondo avrebbe compiuto sulla nave di Stefano Marango; una clausola assicura il Michiel sulla possibilità di riscuotere la propria parte di capitale e di utili nella stessa Antiochia, clausola che implica la partecipazione diretta del Michiel alle attività commerciali con l'Oriente: Documenti del commercio, I, nr. 31, 1104 febbraio. Ricordiamo gli otto Michiel imbarcati sulla nave che trasportava le reliquie di S. Stefano: Translatio sancti Stephani dell'anno 1110, in S. Giorgio Maggiore, III, pp. 504-505; sull'attendibilità della fonte si v. S. Borsari, Venezia, p. 66 n. II.
205. Nel secolo XII numerosi Michiel partecipano ad attività commerciali, recandosi anche in Oriente, come appare dalla documentazione edita in Documenti del commercio, I, e Nuovi documenti. Per ora, ci limitiamo a segnalare la divisione della loro fraterna compagnia compiuta dai figli del duca defunto Vitale II Michiel: Documenti del commercio, nrr. 253 e 254, 1174 maggio.
206. Origo civitatum, p. 128.
207. A. Castagnetti, Famiglie, p. 632 e passim. Ma si v. ora la documentazione raccolta e regestata da Irmgard Fees, Reichtum und Macht im mittelalterlichen Venedig. Die Familie Ziani, Tübingen 1988, pp. 265 ss., e la relativa illustrazione a pp. 12 ss.
208. M. Sanudo, Le vite dei Dogi, p. 192 n. 2; cf. I.
Fees, Reichtum, p. 14 n. 16, e p. 236 n. 21.
209. Documenti del commercio, I, nr. 95, 1150 marzo.
210. Famiglia Zusto, nr. 24, 1156 marzo.
211. Cesare Manaresi, Gli atti del Comune di Milano
fino al 1216, Milano 1919, nr. 56, 1167 dicembre 1°.
212. Ibid., cap. 12. Cf. A. Castagnetti, Le città, p. 168.
213. R. Cessi, Politica, pp. 413-414.
214. Antonio Carile, L'assedio di Ancona nel 1173. Con-tributo alla storia politica e sociale della città nel secolo XII, "Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche", ser. VIII, 7, 1971-1973, pp. 43-44 (pp. 23-57).
215. Doc. dell'anno 1173, citato sopra, n. 22.
216. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, nr. 63, 1175 giugno.
217. R. Cessi, Politica, pp. 427-428.
218. Un nuovo trattato con Verona, dopo quello precoce dell'anno 1107 (doc. citato sopra, n. 8), viene stipulato nell'anno 1175, seguito poi da altri (sotto, n. 234): A. Castagnetti, Mercanti, società, pp. 29-31; per i trattati con Ferrara, stipulati a partire dall'anno 1191, si v. Bernardino Ghetti, I patti tra Venezia e Ferrara dal 1191 al 1313, Roma 1906, pp. 161 ss., doc. 1191 ottobre 26.
219. Per i comuni cittadini della Marca si v. A. Castagnetti, Le città, pp. 239 ss.; per Ferrara Id., Società e politica a Ferrara dall'età postcarolingia alla signoria estense (secoli X-XIII), Bologna 1985, pp. 187 ss.
220. Romualdi Salernitani Chronicon, a cura di Carlo Alberto Garufi, in R.I.S.2, VII, 1, 1909-1935, pp. 279-282; notizie e bibliografia essenziali sull'autore e sull'opera in Ferruccio Bertini, Letteratura latina medievale in Italia (secoli V-XIII), Busto Arsizio 1988, pp. 97-98.
221. Cf. sopra, n. 1.
222. Per l'esistenza di una pars dei populares, sostenuta con argomentazioni diverse, si v., ad esempio, G. Cracco, Società, pp. 51-52, e G. Rösch, Der venezianische Adel, pp. 106-107.
223. Venetiarum historia, p. 129.
224. Documenti relativi, II, nr. 49, 971 luglio.
225. I. Fees, Reichtum, p. 280, reg. nr. 34, 1158 agosto.
226. Historia ducum, p. 78.
227. R. Cessi, Politica, p. 406.
228. Deliberazioni, nr. 14, 1178 luglio.
229. Codice diplomatico veneziano, nr. 3403, 1181 marzo, edito parzialmente in H. Kretschmayr, Geschichte, I, pp. 494-497, con omissione dei nomi dei sottoscrittori.
230. Acta consilii, nr. 17, 1185 agosto.
231. Nel documento citato alla n. precedente appare, invero, un Marco Suppa, che, confuso fra i testi, è definito giudice (iud.), qualifica che noi riteniamo derivi da una lettura errata del nome completo Suppa Succe, ad opera dell'editore o, ancor prima, dei redattori delle copie. Si tenga presente che nessun Marco Suppa appare nella documentazione pubblica né alcun altro con il nome di famiglia Suppa, mentre un Marco Suppa Suce appare in un documento dell'anno 1168: Nuovi documenti, nr. 21, 1168 agosto, Costantinopoli.
232. Tralasciamo di considerare la documentazione pubblica dell'anno 1187, che riguarda i prestiti e la fornitura di navi per esigenze belliche.
233. Acta consilii, nr. 19, 1188 novembre.
234. Il trattato dell'anno 1107 (citato sopra, n. 8) fu rinnovato nell'anno 1175 (Carlo Cipolla, Verona e la guerra contro Federico Barbarossa, in Scritti di Carlo Cipolla, a cura di Carlo Guido Mor, I-II, Verona 1978 [1895>; II, pp. 363-364 n. 119, doc. 1175 maggio 25) e nell'anno 1192 (Id., Trattati commerciali e politici del sec. XII inediti o imperfettamente noti, ibid. [1898>, pp. 581-586, nr. 3, 1192 settembre 21).
235. Trattati dell'anno 1191 (citati sopra, n. 218) e dell'anno 1200 (B. Ghetti, I patti, pp. 167 ss., doc. 1200 giugno 5).
236. R. Cessi, Politica, pp. 445-447.
237. Ibid., pp. 434-438.
238. Ibid., pp. 438 ss.
239. Un esauriente profilo di Enrico Dandolo è stato recentemente tracciato da Giorgio Cracco, Dandolo, Enrico (duca), in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXII, Roma 1986, pp. 450-458.
240. Documenti relativi, II, nr. 61, 982 dicembre 20 = S. Giorgio Maggiore, II, nr. 1.
241. Vittorio Lazzarini, Malipiero e Mastropiero, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 42, 1921, p. 245 n. 5 (pp. 242-247); cf. A. Castagnetti, Dai tribuni, p. 119.
242. Giorgio Cracco, Dandolo, Enrico (patriarca), in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXII, Roma 1986, pp. 448-449.
243. Si v. l'elenco dei giudici, sotto, testo corrispondente alle nn. 256 ss.
244. G. Cracco, Dandolo, Enrico (duca), pp. 451-452. Possiamo integrare le notizie fornite dall'autore, assegnando la prima comparsa di Enrico Dandolo nella documentazione non all'anno 1172, ma all'anno 1164 (doc. citato sopra, n. 85), e segnalando l'assunzione della funzione di giudice, come risulta da un documento dell'anno 1176 (Codice diplomatico veneziano, nr. 3109, 1176 ottobre; cf. M. Roberti, Le magistrature, I, p. 144, e G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 93 n. 77), non utilizzato dal Cracco, secondo il quale, quindi, il nostro non compare mai con la qualifica di giudice.
245. Venetiarum historia, p. 90.
246. Acta consilii, nr. 21, 1192 agosto 16.
247. R. Cessi, Storia, I, pp. 199 ss.; G. Cracco, Società, p. 76 e passim.
248. Venetiarum historia, pp. 144-145.
249. Acta consilii, nr. 22, 1206 luglio.
250. G. Luzzatto, I prestiti, nr. 6, 1207 aprile.
251. G. Cracco, Società, pp. 58-59.
252. A. Castagnetti, Famiglie, pp. 637-638: "Osservazioni conclusive".
253. Ibid., p. 633.
254. Ibid., pp. 634 s.
255. Ibid., pp. 635-637.
255. Id., Dai tribuni, pp. 100- 101.
256. Acta consilii, nr. 20, 1189 giugno; cf. M. Roberti, Le magistrature, I, p. 168.
257. Codice diplomatico veneziano, nr. 4497, 1196 settembre 1°.
258. B. Ghetti, I patti, p. 168, doc. 1200 giugno 5.
260. G. Cracco, Società, pp. 72-73; per la progressiva affermazione politica dei consilia e dei consiliatores nella seconda metà del secolo XII si v. sotto, il testo corrispondente alle nn. 273 ss.
261. Un'ampia parte dei documenti pubblici, nei quali appaiono i giudici, come i membri di altre magistrature, sulle quali ci soffermiamo nei paragrafi seguenti, è stata segnalata in modo sparso ed utilizzata nelle pagine precedenti.
262. Cf. sopra, n. 1. La tabella, che qui presentiamo, si avvale, correggendo ed integrando, di elenchi elaborati da studiosi precedenti, ai quali per ora rinviamo: Melchiorre Roberti, Dei giudici veneziani prima del 1200, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 8, 1904, pp. 236-240 (pp. 230-245), e da Id., Le magistrature, I, pp. 143-145, che si arresta all'anno 1180 (ma 1181); da ultimo, G. Rösch, Der venezianische Adel, pp. 91-96.
263. Dall'elenco delle presenze dei giudici per anno, non riportato nel presente contributo, appare che il loro numero supera raramente le cinque unità, probabilmente il numero consueto e regolare; sulla possibilità che la qualifica di giudice sia mantenuta, a volte, anche dopo la cessazione dall'ufficio v. A. Castagnetti, Dai tribuni, pp. 123-126.
264. La famiglia Trundomenico è riconducibile probabilmente ad un periodo ben anteriore, come abbiamo altrove ipotizzato: ibid., p. 66.
265. Andreae Danduli ducis Venetiarum Chronica per extensum descripta, a cura di Ester Pastorello, in R.L.S.2, XII, 1, 1938-1958, p. 268.
266. M. Roberti, Le magistrature, I, pp. 186-189, alle cui ipotesi in genere si rifanno gli studiosi successivi: si v., per tutti, G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 101.
267. Doc. del giugno 1164, citato sopra, n. 85.
268. Dapprima B. Schmeidler, Der Dux, p. 64 n. 89, poi Pastorello in Andreae Danduli Chronica, p. 268 n. 1, suggerirono di correggere l'espressione iudex communis in ladre comes; l'ipotesi è accettata, senza riserve, da G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 101 n. 173. Spiegheremo in altra sede perché l'ipotesi non ci convince.
269. Doc. dell'anno 1173, citato sopra, n. 22.
270. M. Roberti, Le magistrature, I, pp. 180 ss.; R. Cessi, Politica, p. 412.
271. Acta consilii, nr. 18, 1187 novembre, riedito da G. Luzzatto, I prestiti, nr. 3, p. 14. Cf. M. Roberti, Le magistrature, I, p. 181; B. Schmeidler, Der Dux, p. 63; R. Cessi, Politica, p. 412.
272. Doc. 1173 citato sopra, n. 22; cf. sopra, testo corrispondente alla n. 269. L'elenco dei camerari per il periodo è già stato redatto da G. Rösch, Der venezianische Adel, pp. 98-99, dal quale elenco ci discostiamo in un solo caso.
273. Cf. sopra, testo corrispondente alle nn. 78, 112, 146-147
274. Cf. sopra, testo corrispondente alla n. 121.
275. Acta consilii, nr. 20, 1189 giugno; cf. sopra, testo corrispondente alle nn. 149-150. Una notizia di quattro consiglieri per l'anno 1183 ci è giunta in modo indiretto, attraverso una citazione isolata in un'opera tarda: Marco Barbaro - A. Tasca, Arbori de' patrizii veneti, VI, ms. del sec. XVIII, in A.S.V., Miscellanea Codici, I, Storia Veneta, 22, c. 209, ove, in relazione alla famiglia Premarin, vengono elencati per l'anno 1183, senza alcuna indicazione della documentazione relativa, i nomi di quattro consiglieri: Domenico Rainaldo, Pancrazio Martinacio, Leonardo Lissado e Rugerio Premarin. La notizia è accettata da G. Rösch, Der venezianische Adel, p. 102 n. 184, con rinvio ad un altro esemplare del codice.
276. Sopra, testo che segue la n. 255.
277. Doc. dell'anno 1207, citato sopra, n. 65.
278. Possiamo citare un passo del cronista Andrea Dandolo (Andreae Danduli Chronica, p. 266), ove si sottolinea che il duca Orio Mastropiero, alla sua elezione nell'anno 1178, spartì il potere con il consilium di sei cittadini.
279. Sopra, testo corrispondente alle nn. 65 e 157.