Il primo correttivo al codice dei contratti pubblici
Il d.lgs. 19.4.2017, n. 56, adottato esattamente un anno dopo l’entrata in vigore del nuovo “Codice dei contratti pubblici”, interviene su oltre la metà delle sue disposizioni, talvolta con valenza notevolmente innovativa. Il Legislatore della delega ha voluto che il decreto n. 56/2017 costituisca l’unico correttivo al nuovo Codice, in tal modo innovando rispetto alle scelte operate sia con la l. 11.2.1994, n. 109, sia con il d.lgs. 12.4.2006, n. 163. In sede consultiva il Consiglio di Stato ha osservato che la scelta di “chiudere” la fase dei decreti correttivi prima che il nuovo Codice abbia conosciuto un adeguato livello di attuazione non risulta condivisibile e rischia di generare incertezza nel sistema. Il contributo analizza alcuni fra i principali settori su cui è intervenuto il decreto correttivo (es.: appalto integrato, soccorso istruttorio, subappalto) soffermandosi sugli aspetti di permanente criticità connessi al nuovo modello.
La l. 28.1.2016, n. 11 del 2016 (recante delega al Governo per l’emanazione del nuovo “Codice dei contratti pubblici”)1 è giunta all’esito di un iter parlamentare ingiustificatamente lungo: a fronte dei ventiquattro mesi previsti dal Legislatore UE per il recepimento negli Ordinamenti nazionali del cd. “pacchetto appalti-concessioni” del 2014, l’approvazione della legge di delega ha richiesto ben ventuno mesi, lasciando al Governo un breve spazio di meno di tre mesi per redigere ed approvare il nuovo Codice. Si è trattato di un periodo di tempo evidentemente troppo breve perché fosse possibile disciplinare in modo davvero completo e organico la sterminata materia oggetto di regolazione e perché fosse emanato un testo privo di lacune, omissioni e Ebbene, la consapevolezza di tale difficoltà avrebbe verosimilmente dovuto indurre il Legislatore a lasciare al Governo un adeguato spazio temporale per l’adozione di decreti correttivi (conformemente, del resto, alla previsione dell’art. 31, l. n. 234/2012 – cd. “legge Moavero Milanesi” – la quale che riconosce in via ordinaria un periodo di ventiquattro mesi per l’adozione di decreti legislativi correttivi di testi interni di recepimento delle direttive UE). Del resto, l’esperienza nazionale degli ultimi decenni deponeva proprio in tal senso: la cd. “legge Merloni” 11.2.1994, n. 109 era stata fatta oggetto di ben quattro interventi correttivi (l’ultimo dei quali – la l. 1.8.2002, n. 166 – adottato a ben otto anni dalla sua entrata in vigore), mentre il cd. “Codice de Lise” era stato interessato da ben tre interventi correttivi fra il 2007 e il 20082. Invece, la scelta del Legislatore del 2016 (ad avviso di chi scrive non condivisibile, né oculata) si è mossa nella diversa direzione di dimezzare il periodo di tempo per l’adozione dei decreti correttivi al nuovo Codice, di fatto consentendo al Governo di adottare un solo intervento di tal genere. L’obiettivo sotteso a una scelta così drastica è intuitivo: si intendeva in tal modo limitare al massimo il periodo transitorio necessario alla piena composizione del nuovo impianto normativo e restituire nel più breve tempo possibile agli operatori un corpus tendenzialmente completo e stabile nel tempo.
Tale intenzione era certamente comprensibile nelle sue linee di fondo, ma nella sua traduzione pratica non si è forse adeguatamente tenuto conto di una serie di circostanze idonee a diminuire – e non certo ad incrementare – il livello di certezza giuridica connesso a tale scelta.
In primo luogo, come era stato osservato dal Consiglio di Stato nel suo parere del 30 marzo 2017 (rimasto in parte qua inascoltato), «i correttivi conseguono un effetto utile se intervengono dopo un ragionevole periodo di applicazione pratica, necessario per una compiuta verifica di impatto della regolamentazione.
Nel caso di codificazioni settoriali, specie se, come in questo caso, vi sono numerosi regimi transitori, un periodo ragionevole di osservazione è almeno biennale.
Sicché, l’obiettivo del correttivo rischia di essere vanificato se viene previsto un periodo troppo breve».
È infatti di intuitiva evidenza che la scelta di “chiudere il cantiere” della disciplina primaria in tema di appalti e concessioni prima ancora che il nuovo sistema sia stato compiutamente definito nei suoi aspetti subprimari e nella sua attuazione pratica determini una sorta di “salto nel buio”, precludendo la possibilità di apportare gli interventi correttivi che si palesino come effettivamente necessari all’esito di una adeguata fase di osservazione del nuovo sistema e dei relativi effetti.
Allo stesso modo, la scelta di “blindare” un sistema normativo di cui non si è ancora in concreto saggiata l’effettiva qualità, appare piuttosto ispirata da una sorta di ottimismo della volontà, che non da una oculata scelta di politica legislativa.
È di fatto impensabile che il nuovo Codice possa restare tetragono per un decennio circa (tale è infatti la durata attesa della sua vigenza) agli innumerevoli impulsi che caratterizzano i cruciali settori degli appalti e delle concessioni. Ne consegue che l’effetto connesso alla richiamata scelta del Legislatore non sarà – con ogni probabilità – quello di precludere ulteriori interventi di modifica del testo, quanto – piuttosto – quello di impedire che tali interventi (di fatto inevitabili) si pongano sul consolidato solco istituzionale della delega legislativa, in tal modo lasciando aperta la strada ad incursioni parlamentari di carattere episodico e non organico.
La notazione che precede resta confermata dall’esperienza passata e da quella recente.
Quanto al primo aspetto, ci si limita qui ad osservare che il d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (il quale, pure, è stato fatto oggetto di ben tre interventi correttivi di carattere strutturatoattraverso la figura dei decreti correttivi) è stato altresì inciso nel corso del tempo da un’ulteriore miriade di modifiche e interventi microsettoriali: nei dieci anni circa della sua vigenza il testo in parola è stato infatti modificato per ben quarantaquattro volte3.
Ebbene, ad avviso di chi scrive non vi è alcuna ragione per ritenere che al nuovo Codice sarà in futuro riservato un trattamento significativamente diverso da quello che ha caratterizzato la parabola del “Codice de Lise”.
Quanto al secondo aspetto, si osserva che appena un mese e mezzo dopo l’entrata in vigore (5 maggio 2017) del decreto correttivo (il quale, nelle intenzioni del Legislatore, avrebbe idealmente dovuto chiudere il cantiere del Codice, conferendo alla materia disciplinata una duratura stabilità), il Codice è stato fatto oggetto di un rilevante intervento correttivo, incidente sulla materia – assai sensibile – dei pareri di precontenzioso dell’ANAC ex art. 211 del nuovo Codice4.
In definitiva, appena poche settimane dopo l’entrata in vigore del decreto correttivo (che avrebbe dovuto sancire una sorta di duratura moratoria normativa sulle materie in esame) il Legislatore ha di fatto ritenuto di “correggere il correttivo”, fornendo un esempio piuttosto significativo circa l’effettivo carattere di stabilità che verosimilmente caratterizzerà il nuovo ordito normativo negli anni a venire.
Ebbene, sia pure con i limiti derivanti dal descritto quadro normativo di riferimento, il 19 aprile 2017 è stato emanato il decreto legislativo n. 56, recante – appunto – «Disposizioni integrative e correttive al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50»5.
Nei giorni immediatamente successivi alla sua emanazione (la pubblicazione è avvenuta oltre due settimane dopo – 5 maggio) l’attenzione degli operatori è stata attratta quasi per intero dal clamore mediatico suscitato dalla disposta soppressione della disposizione codicistica relativa alle cc.dd. “raccomandazioni vincolanti” dell’ANAC (art. 211, co. 2 del Codice).
E il fatto che l’attenzione degli stessi addetti ai lavori sia stata per alcuni giorni monopolizzata da tale questione ha inizialmente impedito che si prestasse la dovuta attenzione agli effettivi contenuti del decreto correttivo, nonché ai numerosi e rilevanti aspetti sistematici e disciplinari che lo caratterizzano.
Il decreto correttivo modifica in modo piuttosto significativo il testo del Codice (partendo dalla stessa rubrica legis)6, intervenendo su oltre la metà dei suoi duecentoventi articoli (il decreto correttivo ne contempla centotrentuno). Nelle pagine che seguono (per evidenti ragioni di sintesi e senza pretesa di esaustività) si procederà ad esaminare alcuni degli aspetti disciplinari del testo rinovellato.
Per quanto riguarda la disciplina degli affidamenti di importo inferiore alle soglie di rilevanza UE, il Legislatore della delega (criterio g) aveva previsto «una disciplina (…) ispirat[a] a criteri di massima semplificazione e rapidità dei procedimenti, salvaguardando i princìpi di trasparenza e imparzialità della gara (…)».
La previsione in parola mirava evidentemente a superare l’impianto delineato dal previgente Codice il quale (all’evidente fine di garantire maggiore certezza in questo ambito di affidamenti) aveva esteso in massima parte agli affidamenti sotto soglia le regole valevoli per gli appalti di maggiore rilevanza.
Il Codice del 2016 ha tradotto in modo coerente la richiamata istanza di semplificazione e ha compendiato in un’unica disposizione (l’art. 36) l’intero novero delle disposizioni valevoli per gli affidamenti in esame (già disciplinate dal Capo IV, Tit. II del previgente Codice).
Avvalendosi della previsione di cui all’art. 36, co. 4, poi, l’ANAC ha adottato le Linee guida n. 47, di cui il Consiglio di Stato ha riconosciuto carattere non vincolante8.
Ebbene, il decreto correttivo è intervenuto sulle previsioni dell’art. 36, attenuando in parte il rigore applicativo e l’accentuata procedimentalizzazione recati dalle richiamate Linee guida.
Le modifiche di maggiore interesse hanno riguardato l’art. 36, co. 2, lettera a) relativo agli affidamenti semplificati e diretti per importi inferiori a 40mila euro.
In particolare, il recente decreto correttivo:
a) ha eliminato l’espressa previsione di uno specifico onere di motivazione circa le ragioni dell’affidamento diretto (anche se, ad avviso di chi scrive, un onere in tal senso è immanente nel sistema);
b) ha eliminato (oltretutto, con formulazione non chiarissima) l’obbligo della previa consultazione di due o più operatori economici ai fini dell’affidamento diretto.
Si ritiene inoltre condivisibile la scelta del Governo di espungere dal testo finale del correttivo la possibilità di limitare (per gli affidamenti in esame) la verifica dei requisiti in capo ai soggetti aggiudicatari al solo possesso dei Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC). Ed infatti, la previsione in parola (suggerita dalle Commissioni parlamentari) avrebbe, sì, recato un’ulteriore ed estrema semplificazione nel settore in esame, ma lo avrebbe fatto al notevole costo di ridurre notevolmente il grado di affidabilità degli operatori interessati, con il rischio (ad esempio) di non consentire alle stazioni appaltanti di tener conto della precedente commissione di reati ostativi.
Il decreto correttivo del 2017 ha in parte modificato le previsioni codicistiche relative all’appalto integrato (avente, cioè, ad oggetto in via congiunta le attività di progettazione ed esecuzione degli appalti).
Nell’esperienza nazionale, l’evoluzione disciplinare dell’appalto integrato si è svolta in assenza di una coerente linea di indirizzo.
La l. n. 109/1994 (cd. “legge Merloni”) aveva limitato fortemente la possibilità delle stazioni appaltanti di ricorrere all’appalto integrato sul presupposto secondo cui la figura in esame determinasse una impropria commistione di ruoli fra i soggetti incaricati della progettazione e quelli deputati all’esecuzione delle opere. Il Legislatore del 1994 mirava, al contrario, all’obiettivo di rafforzare le progettualità interna alle amministrazioni.
La scelta in tal modo operata si rivelò solo in parte vincente in quanto il livello spesso non adeguato della progettazione interna comportava spesso l’obbligo di introdurre varianti e conseguenti incrementi di costi a carico dell’amministrazione.
Il d.lgs. n. 163/2006 mosse, al contrario, da un presupposto concettuale diverso e pose l’appalto integrato e quello di mera esecuzione su un piano di piena parità ed equiordinazione.
Anche in questo caso, però, la scelta del Legislatore si rivelò non esente da criticità in quanto il sistematico ricorso all’appalto congiunto di progettazione ed esecuzione poneva le amministrazioni in una condizione di frequente (e quasi strutturale) asimmetria informativa nei confronti della controparte negoziale privata.
Di qui l’ennesimo revirement da parte del Legislatore della delega il quale, al dichiarato fine di rafforzare le progettualità interne alle amministrazioni, ha previsto quale specifico criterio di delega quello volto a «limit[are] radicalmente il ricorso all’appalto integrato» (criterio di delega oo).
Una scelta così drastica si è rivelata fin da subito difficilmente sostenibile, atteso che in alcuni ambiti (si pensi alla disciplina del contraente generale o alla finanza di progetto) è coessenziale alla stessa natura degli istituti un coinvolgimento dei privati nell’attività di progettazione.
Ed infatti il nuovo Codice, dimostrando consapevolezza di tali difficoltà (ma al contempo discostandosi in parte dal rigidissimo contenuto della delega):
i) per un verso – e in via di principio – ha introdotto il generale divieto di ricorso all’appalto integrato («è vietato l’affidamento congiunto della progettazione
e dell’esecuzione»), ma
ii) per altro verso ha introdotto numerose deroghe a tale divieto (al punto da far dubitare della stessa tenuta del rapporto fra regola ed eccezione). In particolare nella sua originaria stesura l’art. 59 del Codice dei contratti pubblici prevedeva che l’appalto integrato fosse comunque possibile in caso di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione, partenariato pubblicoprivato e contratto di disponibilità. Ebbene, nonostante il già rilevante numero di deroghe al divieto già presenti nel testo dell’art. 59, in sede di correttivo si è deciso di aggiungere ulteriori ipotesi di possibile ricorso all’istituto dell’appalto integrato. In particolare, la novella del 2017 vi ha aggiunto le ipotesi: i) di locazione finanziaria (art. 187); ii) di opere di urbanizzazione a scomputo; nonché iii) le ipotesi in cui «l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori». Nel suo parere in data 30.3.2017 il Consiglio di Stato ha comunque osservato che l’inclusione nell’area di ammissibilità della locazione finanziaria e opere di urbanizzazione a scomputo non comporti effettivi problemi di tenuta della delega, trattandosi di fattispecie che presentano significativi punti di contatto con la nozione generale di partenariato pubblico privato, per la quale l’affidamento congiunto è già consentito. Va invece osservato che, proprio su indicazione del Consiglio di Stato, il Governo ha infine deciso di espungere dal correttivo l’ulteriore previsione secondo cui il ricorso all’appalto integrato sarebbe stato altresì ammesso in caso di partenariato per l’innovazione (art. 65) e di dialogo competitivo (art. 64).
Uno dei principali aspetti di novità che hanno ispirato la riforma del 2016 consiste nella profonda rimeditazione delle scelte operate con il Codice del 2006 in relazione al delicato tema delle Commissioni di gara nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Ed infatti:
a) mentre il “Codice de Lise” aveva fissato il principio generale secondo cui la composizione delle Commissioni dovesse interessare soggetti interni alla stessa stazione appaltante;
b) al contrario, il nuovo Codice (all’evidente fine di garantire un più alto livello di terzietà dei componenti) ha fissato l’opposto principio secondo cui le Commissione debbano in via ordinaria essere composte da membri esterni, tratti da un apposito elenco fornito dall’ANAC e tratti per sorteggio da un albo istituito e tenuto presso la stessa Autorità9.
In tal modo il d.lgs. 18.4.2016, n. 50 ha in effetti recepito in modo fedele lo specifico criterio di delega hh), il quale ha previsto (fra l’altro) «l’assegnazione dei componenti alle commissioni giudicatrici mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti in numero almeno doppio rispetto ai componenti da nominare e comunque nel rispetto del principio di rotazione» Il sistema in tal modo delineato è stato ulteriormente integrato dalle Linee Guida n. 5 dell’ANAC del 26.10.2016 (sui «criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giugiudicatrici») le quali hanno disciplinato nel dettaglio i presupposti, le condizioni e le modalità di iscrizione all’Albo in questione10.
Il decreto correttivo del 19 aprile 2017 ha ulteriormente completato il quadro disciplinare in parola, ponendosi a propria volta su una linea di continuità con le previsioni della legge delega (criterio hh).
In particolare, il d.lgs. n. 56/2017:
i) ha limitato in modo ulteriore (negli appalti sottosoglia) la possibilità di nominare commissari interni, limitando tale possibilità solo ad alcuni di essi. In tal modo sono stati superati taluni profili di incertezza connessi all’iniziale (e invero, non perspicua) formulazione dell’art. 77 del Codice;
ii) ha in ogni caso escluso che il ruolo di Presidente della Commissione possa essere attribuito a un professionista interno alla stazione appaltante (art. 77, co. 3);
iii) ha ammesso la possibilità di nominare commissari interni «in caso di affidamento di contratti per i servizi e le forniture di elevato contenuto scientifico tecnologico o innovativo, effettuati nell’ambito di attività di ricerca e sviluppo»;
iv) ha espunto (e in senso conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato)11 il generale divieto per il RUP di essere membro delle commissioni (in tal senso il rinovellato co. 4 dell’art. 77). In tal modo il decreto correttivo ha recepito un’indicazione fornita (questa volta in sede consultiva) dallo stesso Consiglio di Stato in sede di espressione del parere sullo schema di Linee guida sul RUP del 26 ottobre 2016. Nell’occasione l’Alto Consesso aveva rilevato che gli atti di regolazione subprimaria non possono rappresentare l’occasione per porre in discussione l’interpretazione e l’applicazione delle norme di diritto per come delineata dai correnti orientamenti giurisprudenziali12.
L’evoluzione normativa italiana in tema di criteri di aggiudicazione si è svolta sulla base di linee di indirizzo non sempre coerenti e ha troppo spesso risentito di condizionamenti di contesto e dell’eco mediatica connessa a fatti di cronaca giudiziaria. Come è noto, la legge Merloni del 1994 aveva indicato come paradigmatico il criterio del prezzo più basso e aveva di fatto impedito alle stazioni appaltanti (se non in ipotesi del tutto residuali) il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’orientamento in questione prendeva evidentemente le mosse da un diffuso clima di sfiducia nei confronti della possibilità, da parte delle amministrazioni, di orientare in modo corretto l’esercizio della propria discrezionalità in tema di pubbliche gare.
Nell’ottobre del 2004, tuttavia, la Corte di giustizia dichiarò che il rigido sistema di preclusioni fissato dal Legislatore italiano in tema di criteri di aggiudicazione risultasse in contrasto con il diritto UE il quale – al contrario – postula la piena e sostanziale equiordinazione fra il criterio del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa13.
Pertanto – anche al fine di conformarsi al dictum dei Giudici di Lussemburgo – il “Codice de Lise” del 2006 pose effettivamente i due criteri di aggiudicazione su un piano di sostanziale parità, rimettendo la scelta del ricorso all’uno o all’altro di essi alla stessa stazione appaltante.
Successivamente è però avvenuto che il Legislatore UE abbia modificato funditus gli orientamenti che avevano ispirato il precedente pacchetto normativo.
In particolare, le tre direttive del 2014 hanno di fatto espunto dall’ordinamento UE la stessa figura dell’aggiudicazione al criterio del prezzo più basso ed hanno indicato come criterio paradigmatico – e sostanzialmente unico – quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo.
Ora, nella sua iniziale stesura, il nuovo Codice dei contratti (art. 95, co. 4) ha ammesso il ricorso al criterio del prezzo più basso (del quale medio tempore era divenuta dubbia la stessa compatibilità con l’ordinamento UE), relegandone l’operatività ad ambiti del tutto residuali, e in particolare:
a) per i lavori di importo inferiore a un milione di euro;
b) per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate;
c) per i servizi e le forniture (sotto-soglia) caratterizzati da elevata ripetitività. Il decreto correttivo n. 56/2017 ha in parte ampliato le ipotesi di possibile ricorso al criterio del prezzo più basso (sia pur limitando tale possibilità ai soli affidamenti sottosoglia)14.
In particolare è stato previsto:
i) che sia sempre possibile ricorrere al criterio in esame per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro (e ciò sarà possibile anche nei contratti di servizi sociali e ad alta intensità di manodopera);
ii) che sia possibile ricorrere al criterio in parola nel caso di lavori per affidamenti di valore fino a due milioni di euro, a condizione che l’appalto sia indetto sulla base del progetto esecutivo (con la conseguenza che l’esecuzione non comporti rilevanti difficoltà operative)15.
In sede di approvazione finale del decreto correttivo non è stata invece accolta la richiesta delle Commissioni parlamentari che avevano proposto di ammettere il ricorso al criterio del prezzo più basso nelle ipotesi di procedure negoziate senza la previa pubblicazione di un bando di gara nelle ipotesi di somma urgenza (art. 63, co. 2, lett. d).
Il d.lgs. n. 56/2017presenta altresì aspetti di indubbio interesse per quanto concerne la vexata quaestio dell’anomalia delle offerte.
Per ciò che riguarda gli aspetti di continuità con il passato, si segnala che il decreto correttivo ha confermato (nuovo art. 97, co. 8) la possibilità per le stazioni appaltanti di prevedere (negli affidamenti sottosoglia e laddove l’aggiudicazione avvenga con il criterio del prezzo più basso) l’esclusione automatica di offerte che si pongano al di sotto di soglie matematiche predeterminate (una previsione in tal senso era già contenuta all’art. 122, co. 9 del Codice del 2006).
Sotto tale aspetto il Governo non ha tenuto conto delle perplessità manifestate sul punto dal Consiglio di Stato il quale aveva sottolineato i profili di criticità emersi in ambito eurounitario in relazione alla previsione di automatismi escludenti (in tal senso C. giust., 15.5.2008, C147/06, Secap)16.
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti di novità introdotti dal decreto correttivo in relazione al tema dell’anomalia delle offerte, se ne segnalano in particolare due.
In primo luogo viene in rilievo l’incremento (dal 10 al 20 per cento del totale) delle offerte da assoggettare al cd. “taglio delle ali” per come già disciplinato dall’art. 86 del Codice del 2006 (in tal senso il nuovo art. 97, co. 2, lett. a).
In secondo luogo, il d.lgs. n. 56/2017 ha stabilito che l’applicazione dei criteri matematici per la determinazione della soglia di anomalia nel caso in cui operi il criterio del prezzo più basso sarà possibile soltanto laddove gli offerenti siano più di cinque (nuovo art. 97, co. 3 bis).
La specificazione (certamente condivisibile) muove dalla consapevolezza per cui l’applicazione di un criterio matematico per l’individuazione delle offerte anomale potrà fornire risultati attendibili solo se riferita a un campione significativo di offerte, mentre restituirà – al contrario – risultati del tutto inattendibili se riferita a un numero esiguo di offerte.
Il dibattito nazionale sul tema del soccorso istruttorio ha conosciuto – al pari di altri istituti – un andamento del tutto peculiare e il recente decreto correttivo non ha risparmiato l’aggiunta di ulteriori elementi a tale evoluzione.
Nonostante l’ordinamento interno già contenesse da molto tempo disposizioni riconducibili alla teorica del soccorso istruttorio (in particolare, l’art. 6, co. 1, lett. b, della legge sul procedimento del 1990 e l’art. 46, co. 1 del Codice dei contratti del 2006), il dibattito sull’argomento si è sviluppato in modo poco vivace sino a metà del 2014 Al contrario, il tema ha conosciuto una fase di rinnovato e vivace interesse all’indomani dell’emanazione del d.l. 24.6.2014, n. 90 (c.d. “decreto Madia”) il quale ha introdotto nel corpus del “Codice de Lise” due disposizioni (il co. 2 bis dell’art. 38 e il co. 1 ter dell’art. 46) che la dottrina ha in breve tempo ritenuto espressive dell’istituto del “soccorso istruttorio a pagamento”17. L’evoluzione del dibattito nazionale sul tema ha certamente influenzato la stesura dell’art. 59, par. 4 della Dir. 2014/24/UE (cd. “Direttiva appalti”), secondo cui «l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere a offerenti e candidati, in qualsiasi momento nel corso della procedura, di presentare tutti i documenti complementari o parte di essi, qualora questo sia necessario per assicurare il corretto svolgimento della procedura»18. Ebbene, questo era il panorama normativo alla vigilia dell’entrata in vigore della legge delega 28.1.2016, n. 11 la quale ha dedicato un espresso criterio di delega (si tratta del criterio z) «[alla] piena possibilità [per i concorrenti] di integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento di natura formale della domanda, purché non attenga agli elementi oggetto di valutazioni sul merito dell’offerta (…)». Nella sua iniziale formulazione il d.lgs. 50/2016 aveva recepito in modo sostanzialmente fedele le indicazioni desumibili dalla legge di delega, ma aveva comunque lasciato residuare alcune aree di incertezza. In particolare, all’indomani dell’emanazione del nuovo Codice:
a) non era ancora chiaro il tratto distintivo fra – da un lato – la nozione di “elemento di natura formale della domanda” (la cui mancanza o incompletezza avrebbe comunque consentito il beneficio del soccorso istruttorio) e – dall’altro – la nozione di “irregolarità essenziale non sanabile” (che, al contrario, avrebbe comunque comportato l’esclusione dalla gara);
b) non appariva rispettato il criterio di delega z), che imponeva il carattere non oneroso del soccorso istruttorio (e ciò, nonostante la sensibile riduzione introdotta dal Codice in ordine all’ammontare della sanzione connessa al soccorso istruttorio).
A seguito dell’approvazione in via preliminare del decreto correttivo, il Cons. di Stato aveva osservato:
i) che appariva risolto il richiamato profilo di incompatibilità con la delega (attraverso l’introduzione del principio della gratuità del soccorso);
ii) che restava invece da chiarire la nozione di “elemento formale della domanda”;
iii) che occorreva mantenere nel testo la figura delle “irregolarità essenziali non sanabili” (le quali non avrebbero comunque consentito il ricorso al soccorso istruttorio).
Ne è scaturito il testo finale del nuovo art. 83, co. 9, secondo cui «le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. In particolare, in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85, con esclusione di quelle afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. In caso di inutile decorso del termine di regolarizzazione, il concorrente è escluso dalla gara. Costituiscono irregolarità essenziali non sanabili le carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa». Ebbene, pur dovendosi dare atto che il recente “correttivo” ha chiarito numerosi dei profili problematici connessi alla disciplina dell’istituto, permangono almeno due aspetti di incertezza:
i) in primo luogo non è del tutto chiaro se la «mancanza (…) degli elementi» che consente il ricorso al soccorso istruttorio sia da riferire anche agli elementi di carattere sostanziale (come sembra emergere da un’interpretazione di ordine testuale) ovvero se essa sia da riferire (come appare preferibile in base a una lettura di carattere sistematico) ai soli elementi di carattere dichiarativo;
ii) in secondo luogo non è del tutto chiaro se, all’indomani della novella del 2017, siano ancora ipotizzabili ipotesi di «irregolarità non essenziali», la cui assoluta tenuità non onera neppure l’amministrazione ad attivare il soccorso istruttorio.
Ad avviso di chi scrive, quindi, la breve ma tormentata evoluzione dell’istituto del soccorso istruttorio non è ancora giunta al suo epilogo.
Il d.lgs. n. 56/2017 ha inciso su numerose fra le previsioni codicistiche in tema di subappalto (art. 106). Qui di seguito, per ragioni di brevità, ci si soffermerà in particolare su tre interventi di particolare rilievo. In primo luogo (e all’evidente fine di ampliare le possibilità riconosciute alle stazioni appaltanti) si segnala che il decreto correttivo ha abrogato la disposizione (art. 105, co. 8, lett. a) che ammetteva il ricorso al subappalto solo se tale possibilità fosse stata espressamente prevista dalla lex specialis di gara. In secondo luogo (e in accoglimento delle indicazioni fornite dalle Commissioni parlamentari) il d.lgs.
n. 56/2017 ha introdotto il divieto per le stazioni appaltanti di affidare prestazioni in subappalto in favore di un operatore economico, laddove lo stesso abbia partecipato – nella diversa veste di concorrente – alla medesima procedura di gara (nuovo co. 4, lett. a)19. È stata in tal modo risolta (e in modo assai rigoroso) una questione sulla quale si erano registrati nel corso del tempo orientamenti difformi. Il testo finale del decreto risulta ancora più restrittivo di quello inizialmente proposto dal Governo (il quale aveva ipotizzato di rimettere alle stazioni appaltanti la mera facoltà – ma non l’obbligo – di impedire l’affidamento in subappalto in favore del concorrente il quale avesse presentato un’offerta in proprio). Non è stata invece accolta l’indicazione del Consiglio di Stato il quale suggeriva di chiarire se sussista per le imprese il divieto di indicare il medesimo operatore nell’ambito delle terne di diversi concorrenti partecipanti alla medesima procedura. La questione resta quindi allo stato aperta e dovrà probabilmente essere risolta in sede giurisprudenziale20. In terzo luogo il decreto correttivo è intervenuto sulla vexata quaestio relativa al se la quota subappaltabile del 30 per cento sia da riferire all’intero valore del contratto ovvero alla sola categoria prevalente. Nel suo testo iniziale (aprile 2016) il nuovo Codice riferiva il richiamato limite quantitativo all’importo complessivo del contratto (in tal modo determinando una soluzione di continuità rispetto al previgente regime normativo, nel cui ambito tale quota era riferita alla sola categoria prevalente)21. Lo schema di decreto correttivo approvato in via preliminare dal Governo proponeva sul punto un sostanziale cambio di passo (e un altrettanto sostanziale ritorno al passato), riferendo il 30 per cento della quota subappaltabile alla sola categoria prevalente. Con il parere allo schema di decreto correttivo i Magistrati di Palazzo Spada, pur prendendo atto della ratio ampliativa dell’istituto sottesa alla nuova formulazione del testo e pur riconoscendo che la stessa giurisprudenza UE sembra orientarsi nella medesima direzione22, rappresentavano tuttavia che era altresì ipotizzabile il mantenimento del (più restrittivo) testo licenziato nell’aprile del 2016. Al riguardo il Cons. di Stato rappresentava:
a) che, pur dandosi atto della giurisprudenza UE favorevole all’ampliamento del ricorso al subappalto, nondimeno la motivata introduzione di vincoli e limiti rispetto a quelli previsti dalle direttive UE non violerebbe il generale divieto di gold plating;
b) che la sentenza sul caso Wroclaw del luglio 2016 (con la quale la C. giust. ha sancito il contrasto con il diritto UE dei limiti nazionali al subappalto) è stata resa in relazione al quadro giuridico delineato dalla Direttive del 2004, laddove il nuovo “pacchetto appalti/concessioni” del 2014 non sembra impedire in via di principio agli Stati l’introduzione di regìmi di maggior rigore in tema di subappalto;
c) che, in definitiva, «il Governo ben potrebbe scegliere “l’opzione zero” ossia di non intervenire sulla scelta di fondo già operata dal codice, difendendo la scelta italiana in sede di eventuale procedura di infrazione (ove essa venisse avviata dalla Commissione europea […]), e se del caso modificando in un secondo momento la norma de quo, a seguito di una eventuale condanna in sede comunitaria»23.
Il Governo ha infine aderito al suggerimento fornito dai Magistrati di Palazzo Spada e ha quindi deciso di non intervenire ulteriormente sul testo, in tal modo lasciando invariata la scelta originaria del nuovo Codice di riferire il limite della quota subappaltabile all’importo complessivo dei lavori. Spetterà probabilmente alla Commissione europea (già sollecitata sul punto dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili – ANCE) e in seguito alla Corte di giustizia stabilire se la scelta in tal modo (non) operata dal Legislatore nazionale risulti compatibile con i dettami del diritto UE.
Nei giorni immediatamente successivi all’approvazione in via definitiva del decreto correttivo, l’attenzione mediatica è stata di fatto monopolizzata dalla notizia dell’abrogazione del co. 2 dell’art. 211 del Codice (il quale disciplinava la possibilità per l’ANAC di rivolgere alle stazioni appaltanti raccomandazioni vincolanti finalizzate all’esercizio – eteroindotto – dell’autotutela in materia di pubbliche gare). Una vibrante campagna di stampa (seguita da un altrettanto vivace confronto in sede politica) ha infatti paventato che l’abrogazione del comma in questione mirasse in qualche misura ad “evirare”24 i poteri di vigilanza e controllo dell’Autorità, sottendendo l’inconfessata intenzione di limitarne lo stesso ruolo istituzionale. Nella sua formulazione iniziale l’art. 211, co. 2 del Codice prevedeva che, laddove l’Autorità nell’esercizio delle proprie funzioni avesse ritenuto sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura, avrebbe potuto rivolgere all’amministrazione una raccomandazione (vincolante) alla rimozione in autotutela dell’atto in odore di illegittimità25. In caso di mancata conformazione a tale raccomandazione (vincolante), l’ANAC avrebbe irrogato una sanzione posta a carico del dirigente responsabile, con conseguenze estese al sistema reputazionale di cui all’art. 36 del nuovo Codice. Il modello in tal modo congegnato era stato sottoposto a serrate critiche da parte della dottrina26 e del Cons. di Stato il quale, nel parere del 1.4.2016, ne aveva sottolineato i possibili profili di incostituzionalità. La stessa ANAC, nel periodo compreso fra l’emanazione del d.lgs. n. 50/2016 e quella del “correttivo”, aveva prudentemente evitato di attivare i poteri di cui all’art. 211, co. 2, cit. In sede di approvazione definitiva del correttivo il Governo ha infine deciso di espungere dal testo la disposizione in esame ma, a seguito delle vibranti polemiche che immediatamente ne sono seguite in sede mediatica e politica, autorevoli esponenti dello stesso Governo hanno assicurato che la disposizione sarebbe stata prontamente ripristinata.
Ebbene, l’occasione per porre mano alla questione si è presentata di lì a poco, in occasione dell’approvazione del d.d.l. di conversione del d.l. 24.4.2017, n. 50 (cd. “manovrina”).
Utilizzando tale veicolo normativo il Governo ha infatti ottenuto l’introduzione nell’ambito dell’art. 211 di tre nuovi commi (1-bis, 1-ter e 1-quater) i quali, pur non riprendendo puntualmente il modello dell’abrogato co. 2, introducono rilevanti poteri di intervento dell’ANAC per le ipotesi di «gravi violazioni del presente codice».
Lo schema in questione è in qualche misura ispirato al modello della legittimazione processuale differenziata riconosciuta all’Autorità Antitrust dall’art. 21 bis della l. 10.10.1990, n. 287, nonché (mutatis mutandis) al modello delle procedure di infrazione UE di cui all’art. 258 del Trattato di Roma.
In particolare, il nuovo art. 211, co. 1-ter stabilisce che «l’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati».
Contestualmente, l’Autorità assegna alla stazione appaltante un breve termine (non superiore a 60 giorni) per rimuovere i dedotti profili di illegittimità.
Decorso infruttuosamente tale termine senza che la stazione si sia conformata, l’ANAC è legittimata ad agire in giudizio per ottenere in via giudiziale la rimozione dell’atto.
È di tutta evidenza la profonda diversità fra il modello di cui al soppresso art. 211, co. 2 e quello da ultimo istituito: nel primo caso l’Autorità si vedeva impropriamente riconosciuto un ruolo para-giurisdizionale e l’irrogazione della sanzione seguiva in modo pressoché automatico alla mera non conformazione alla raccomandazione. Al contrario, a seguito della novella del 2017 il modello viene ricondotto in un alveo maggiormente compatibile con il principio costituzionale della separazione dei poteri.
Il d.lgs. n. 56/2017 ha certamente posto rimedio a numerose fra le criticità presenti nel nuovo Codice dei contratti ma non risulta esso stesso esente da profili problematici. Si osserva in primo luogo che il recente correttivo è stato predisposto nell’assenza di una chiara linea di indirizzo, affiancando a disposizioni chiaramente miranti alla semplificazione del sistema (si pensi solo a mo’ di esempio all’attenuazione dei vincoli negli affidamenti sotto-soglia) altre il cui effetto può essere quello di rendere meno agevole l’ordinato sviluppo del sistema (si pensi all’incremento del numero di operatori da invitare nel caso di affidamenti di lavori di importo compreso fra 150.000 e un milione di euro).
Restano inoltre sullo sfondo, pure a seguito dei recenti interventi, i rischi di possibile incompatibilità del Codice con il diritto UE (si pensi alla disciplina del subappalto), nonché con la stessa legge di delega (come nel caso dell’appalto integrato).
Nel complesso, tuttavia, il bilancio del recente intervento di modifica è piuttosto favorevole: il Codice che emerge all’esito di tale intervento risulta – sotto numerosi aspetti – più chiaro e funzionale del precedente.
Resta purtroppo la consapevolezza per cui una scelta legislativa ispirata da ingiustificato massimalismo impedirà per il tratto a venire l’adozione di nuovi decreti correttivi di carattere strutturato, demandando così per il futuro le modifiche a singole iniziative governative o parlamentari.
Ad avviso di chi scrive, comunque, l’auspicio per l’immediato futuro è che il Legislatore si astenga per un tempo adeguato da qualunque ulteriore intervento sul Codice, evitando interventi estemporanei che, pur ispirati dalle migliori intenzioni, finirebbero per reintrodurre anzitempo nel sistema in esame un pericoloso clima di incertezza.
Si ritiene infatti che gli operatori di settore (i quali si stanno faticosamente abituando all’adozione centellinata nel tempo della normativa subprimaria) debbano essere tenuti esenti da continui e ripetuti stress di sistema e possano dedicarsi all’applicazione di un corpus normativo il più possibile stabile nel tempo.
Note
1 Sul punto sia consentito rinviare a Contessa, C., Dalla legge delega al nuovo “Codice”: opportunità e profili di criticità, in Contessa, C.Crocco, D., Codice degli appalti e delle concessioni commentato articolo per articolo, Roma, 2017, 207 ss.
2 I decreti correttivi emanati fra il 2007 e il 2008 ai sensi del previgente “Codice dei contratti” sono stati: i) il n. 6 del 2007; ii) il n. 113 del 2007 e iii) il n. 152 del 2008.
3 Il dato in questione è stato sottolineato dal parere reso dal Consiglio di Stato del 1.4.2016 sullo schema di nuovo “Codice” (par. 1.a.4).
4 Sul punto, cfr. infra, § 3.6.
5 Sul punto: Chiti, M.P., Le modifiche al Codice dei contratti pubblici: un “correttivo scorretto?”, in Giorn. dir. amm., 2017, 453 ss.; Contessa, C., Il primo (e unico) correttivo al ‘Codice dei contratti’: Un passo avanti verso la semplificazione del sistema?, in www.giustiziaamministrativa.it; Sandulli, M.A.Lipari, M.Cardarelli, F., a cura di, Il correttivo al codice dei contratti pubblici: guida alle modifiche introdotte dal D.Lgs 19 aprile 2017 n. 56, Milano, 2017.
6 Il d.lgs. n. 56/2017 ha infatti modificato e semplificato la complessa (e perplessa) rubrica legis del nuovo Codice conferendole in modo del tutto corretto la titolazione di “Codice dei contratti pubblici”.
7 Si tratta delle Linee guida del 26.10.2016 aventi ad oggetto «Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici».
8 In tal senso il parere n. 1903 del 13.9.2016 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di Linee guida in questione.
9 Contessa, C., Il primo (e unico) correttivo al ‘Codice dei contratti’, cit., par. 4.5.
10 Contessa, C., Il primo (e unico) correttivo al ‘Codice dei contratti’, cit., par. 4.5.
11 Sul punto – ex multis – Cons. St., V, 23.3.2015, n. 1565.
12 In tal senso: Cons. St., Commissione speciale, parere 2.8.2016, n. 1767.
13 C. giust., 7.10.2004, C247/02 (Sintesi), in Corr. Giur., 2004, 12, 1668; in Giorn. dir. amm., 2005, 2, 133, con nota di Lacava, C.; Giur. It., 2005, 158.
14 Avanzini, G., I rapporti fra i criteri di aggiudicazione: le novità del correttivo e l’immediata contestazione del bando di gara, in Urb. app., 2017, 449, ss.
15 Contessa, C., Il primo (e unico ) correttivo al ‘Codice dei contratti’, cit., par. 4.6.
16 Come è noto, la sentenza in questione (in Giur. It., 2008, 10, 2321) è stata resa su un caso italiano (su ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato del 25.10.2005) ad aveva ad oggetto la compatibilità con il diritto UE dell’art. 21, co. 1-bis della legge Merloni il quale ammetteva, appunto, l’esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti di lavori sottosoglia.
17 Sul punto, v.: Ceruti, M., Il soccorso istruttorio a pagamento, in www.appaltiecontratti.it; Contessa, C., Soccorso istruttorio e principio di stabilità della soglia di anomalia, in Urb. app., 2015, 1685 ss.; Frediani, E., Il soccorso istruttorio: un istituto in cerca di identità, in Gior. dir. amm., 2014, 503 ss.
18 È altresì noto che una previsione riconducibile alla teorica del soccorso istruttorio era altresì contenuta nell’art. 45 della Dir. 2004/CE/18 (cd. “Direttiva settori classici”).
19 Contessa, C., Il primo (e unico) correttivo al ‘Codice dei contratti’, cit., par. 4.9.
20 Contessa, C., Il primo (e unico) correttivo al ‘Codice dei contratti’, cit., par. 4.9.
21 In tal senso il co. 2 dell’articolo 118 del previgente “Codice” e il co. 1 dell’art. 170 del relativo regolamento. Sul punto: Cavallari, C., Il subappalto nella disciplina dei lavori pubblici: limiti e condizioni di ammissibilità, in Corr. Merito, 2012.
22 In tal senso: C. giust., 14.7.2016, C406/14 (Wroclaw).
23 Parere del 30.3.2017, 87.
24 In tal senso: Chiti, M.P., Le modifiche al Codice dei contratti pubblici, cit., par. 7.
25 Contessa, C., Il primo (e unico) correttivo al ‘Codice dei contratti’, cit., par. 4.8.
26 Veltri, G., Il contenzioso nel nuovo Codice dei contratti pubblici: alcune riflessioni critiche, in www.giustizia-amministrativa.it; Quinto, P., La morale del motorino e le “raccomandazioni” di Cantone, in www.lexitalia.it; Cosmai, P., I pareri di pre-contenzioso e le raccomandazioni ANAC nel nuovo codice dei contratti, in Aziendaitalia, 2016.