Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel primo Novecento il Principato di Monaco consolida le basi della propria economia sul turismo di lusso, per allargarle, più tardi, alle attività finanziarie e bancarie. La politica del piccolo Stato resta in mano ai principi di casa Grimaldi, che, sebbene non siano più sovrani assoluti dal 1911, restano titolari di ampi poteri nella legislazione e nel governo. Sul piano dei rapporti internazionali, il principato è formalmente subalterno alla Repubblica francese.
Un’economia basata su turismo di lusso e attività finanziarie
Il Principato di Monaco (1,5 km2) è il più piccolo dei microstati europei dopo il Vaticano. Il suo territorio è inserito nel dipartimento francese delle Alpi Marittime e copre un breve tratto della costa provenzale. Già negli ultimi decenni del XIX secolo, Monaco orienta la sua economia verso il turismo di lusso, con la fondazione della Société des bains de mer e l’istituzione del casinò, i cui introiti permettono, fin dal 1869, l’abolizione delle imposte dirette. Nel corso del primo Novecento l’incremento degli ingressi stagionali di stranieri procede parallelamente allo sviluppo di strutture alberghiere di alto livello, la cui capacità di attrazione su una clientela facoltosa accresce la fama monegasca di centro della mondanità. Il turismo resta una voce importantissima dell’economia del principato, anche quando, nella seconda metà del secolo, comincia a costituirsi un tessuto industriale moderno, all’interno del quale prevalgono i settori della chimica, della farmaceutica e dell’elettronica. La crescente prosperità, di cui lo Stato e la società monegasca beneficiano negli ultimi decenni del secolo, non deriva però dal comparto produttivo, bensì dall’espansione del sistema bancario e delle attività finanziarie, stimolati da una legislazione estremamente favorevole, che, rendendo possibile il riciclaggio di denaro sporco, attira capitali da tutto il mondo. Negli anni Novanta, inoltre, aumenta il numero delle multinazionali che trasferiscono nel principato la propria sede legale per beneficiare dei vantaggi del regime fiscale monegasco. Contemporaneamente, le autorità politiche del principato si preoccupano di incentivare gli investimenti stranieri nelle industrie locali, che, alla fine del secolo, danno impiego a circa 20 mila lavoratori, residenti e pendolari. Il principale artefice della fortuna economica di Monaco è il principe Ranieri III Grimaldi (1923-2005), che succede a suo nonno Luigi II (1870-1949) nel 1949, quando ancora pesano sul piccolo Stato le conseguenze dei bombardamenti e dell’occupazione subiti durante la seconda guerra mondiale a opera degli eserciti dell’Italia fascista e della Germania nazista.
Le riforme istituzionali della seconda metà del secolo
A Ranieri III si deve anche la Costituzione del 1962, che sostituisce quella, già più volte emendata, del 1911, a partire dalla quale Monaco, per volontà dell’allora principe regnante Alberto I (1848-1922), cessa di essere una monarchia assoluta. Il nuovo ordinamento politico del principato, che esplicitamente si richiama al modello dello Stato di diritto e riconosce le libertà fondamentali, disegna il profilo istituzionale di una monarchia ereditaria di tipo costituzionale, che assicura il primato politico del principe, titolare del potere esecutivo e promotore e supervisore dell’attività legislativa. La deliberazione e il voto delle leggi spetta a un Parlamento, denominato Consiglio Nazionale, composto da diciotto deputati, eletti ogni cinque anni a suffragio universale dai cittadini monegaschi. L’iniziativa legislativa è però monopolio del principe, il quale è dotato anche del potere di sanzione. Il governo, formato da un “ministro di Stato” e tre consiglieri è responsabile soltanto di fronte al principe, cui spetta il potere di nomina (e di revoca) dei suoi membri. Tuttavia, nella designazione del ministro di Stato e del consigliere di governo per gli affari interni, la discrezionalità del principe non è assoluta. Infatti, in base alla Convenzione franco-monegasca del 28 luglio 1930, egli deve effettuare la scelta all’interno di una rosa di candidati selezionati dal governo francese tra i vertici della propria amministrazione (solitamente tra i diplomatici). La base giuridica dei rapporti tra Monaco e la Francia è costituita da un trattato “di amicizia protettiva” siglato tra i due Stati nel 1918, che definisce i reciproci obblighi, a partire dalla garanzia francese dell’indipendenza e dell’integrità territoriale del piccolo principato, e dall’impegno del principe di Monaco a esercitare i propri diritti di sovranità in conformità agli interessi politici, militari ed economici della Francia. In virtù di questi accordi, la Francia ottiene, nella seconda metà del Novecento, che i cittadini francesi domiciliati a Monaco restino soggetti al fisco francese e, successivamente, preme affinché le autorità monegasche adottino una legislazione bancaria meno permissiva e combattano il riciclaggio di denaro sporco. I primi passi in tal senso cominciano nel 1993, allorquando il piccolo principato entra a far parte delle Nazioni Unite; tuttavia, ancora alla fine del secolo, l’attività delle banche monegasche continua a difettare di trasparenza.