Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I termini storici della “distensione” vanno situati tra la morte del dittatore comunista sovietico Stalin (1953) e l’assassinio a Dallas (Texas) del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy (1963). Il “disgelo”, dopo la guerra fredda tra i due sistemi di alleanze legati alle superpotenze americana e sovietica, ha il suo fondamento nell’idea che sia possibile una coesistenza tra il modello liberale e quello comunista fondata sul confronto pacifico, che ha nella conquista dello spazio extraterrestre uno dei più significativi campi di manifestazione. I fattori di crisi della distensione si manifestano, peraltro, nelle resistenze al cambiamento che in America e in Unione Sovietica si esprimono, con l’assassinio di Kennedy e con l’allontanamento di Chruscev dalla guida del mondo sovietico.
La politica di disgelo: Chruscev in URSS e Eisenhower in USA
Nikita Kruscev
La coesistenza pacifica
Che cos’è la politica di coesistenza pacifica? Nella sua espressione più semplice è la rinuncia alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ma ciò non esaurisce il concetto di coesistenza pacifica. Oltre all’impegno di rinunciare all’aggressione, la coesistenza pacifica sottintende per ogni stato l’obbligo di rispettare l’integrità territoriale e la sovranità di ogni altro stato e di non violarla sotto qualsiasi forma o pretesto. Prevede inoltre la rinuncia a interferire negli affari interni degli altri paesi per modificarne il regime, il modo di vita o per altri motivi. Implica, per di più, il dovere di basare i rapporti economici e politici tra gli stati sul principio dell’assoluta eguaglianza e del mutuo vantaggio.
N. Kruscev, I problemi della pace, Torino, Einaudi, 1964
La nascita dell’equilibrio del terrore, allorché anche l’URSS a partire dal 1949 può usufruire dell’armamento nucleare, non attenua la durezza del totalitarismo staliniano, mentre negli USA provoca un processo involutivo verso atteggiamenti non solo radicalmente anticomunisti, ma di diffidenza e persecuzione verso ogni posizione non conformista sul piano politico. In URSS la fine dello stalinismo coincide con la morte di Stalin (1879-1953). Il gruppo dirigente che gli succede, composto da personaggi indubbiamente compromessi con la politica stalinista, come Lavrentij Berija (1899-1953), capo della potente polizia segreta, non può non fare proprie le pressioni sempre più ampie provenienti da tutti i settori della vita civile sovietica verso una liberalizzazione del regime, che faccia cessare il clima di paura e di sospetto che circonda tutta la vita politica del partito e dello Stato sovietico. Dopo la liquidazione di Berija nello stesso anno e la messa in disparte, in forme meno violente di Georgij Malenkov (1902-1988), ai vertici del partito giunge Nikita Chruscev (1894-1971), mentre al vertice dell’esecutivo viene posto il maresciallo Bulganin (1895-1975). La nuova direzione collegiale del Partito Comunista Sovietico nel corso del XX Congresso, svoltosi nel febbraio del 1956, denuncia con il rapporto Chruscev le atrocità e il culto della personalità che hanno caratterizzato il periodo staliniano, avviando una fase nuova nell’ambito del partito e dello Stato sovietico, nonché nei rapporti con gli altri Stati comunisti. Oltre allo scioglimento del Cominform, clamorosa è, nel corso del 1955, la visita compiuta dal vertice del partito sovietico in Jugoslavia, con cui vengono ristabiliti i rapporti sul piano del riconoscimento della autonomia di ogni via nazionale al socialismo. Il nuovo gruppo dirigente dell’URSS si dimostra interessato a una politica di disgelo nelle relazioni tra le due superpotenze, i cui leader si incontrano per la prima volta dopo sette anni, a Ginevra nel 1955. Si parla allora di “spirito di Ginevra”, per indicare una tendenza nuova a cercare accordi tra gli ex alleati della seconda guerra mondiale. Chruscev avvia una svolta di fondamentale importanza per la conclusione della guerra fredda, tanto più che a partire dal 1956 egli riesce a trovare un partner nel presidente americano Eisenhower (1890-1969), campione, fino a quel momento, di una politica estera di segno opposto.
Una volta rieletto alla presidenza degli Stati Uniti, Eisenhower, sul piano interno, intraprende una politica di integrazione razziale della popolazione di colore nella vita civile, imposta peraltro da una sentenza della Corte Suprema che dichiara incostituzionale la mancata ammissione dei neri nel sistema educativo bianco degli Stati del sud, e il presidente deve inviare la guardia nazionale per rendere operativa questa sentenza; nelle relazioni con l’URSS la spinta alla politica della coesistenza pacifica diventa assai forte e si concretizza in accordi internazionali, in visite reciproche dei capi di Stato o comunque di alti responsabili dei due governi a Mosca e a New York, nella proposta di riduzione bilanciata degli armamenti e infine nell’avvio di una grande gara tecnologica per la conquista degli spazi che mette in concorrenza pacifica le due potenze.
Gli anni Sessanta: nuovi protagonisti, “nuove frontiere”
Gli inizi degli anni Sessanta sembrano all’opinione pubblica mondiale caratterizzarsi per una forte ripresa d’immagine degli Stati liberaldemocratici occidentali. Nel 1960 viene eletto alla presidenza degli USA John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), il primo presidente di religione cattolica nella storia americana, soprattutto giovane esponente del Partito Democratico in grado di esprimere un progetto politico, “la nuova frontiera”, su cui richiama l’impegno morale e civile del suo Paese. Egli chiede ai suoi connazionali di spingersi, da pionieri, nei territori della conquista degli spazi extraterrestri, in quelli assai accidentati della costruzione di una pace disarmata nel mondo contemporaneo, ancora nei drammi planetari della povertà e del bisogno, infine nella sfida al pregiudizio razziale.
A Roma, un papa anziano, Giovanni XXIII (1881-1963), che per la sua età deve essere di transizione, succede, nel 1958, alla vigorosa personalità di Pio XII (1876-1958), difensore intransigente della fede cattolica. Papa Giovanni apre la Chiesa al mondo moderno; chiede la collaborazione tra popoli ricchi e popoli poveri e il rifiuto di nuove forme di colonialismo, mentre il vecchio agonizza; sostiene l’essenzialità del dialogo tra cattolici e non cattolici (sia atei, che appartenenti ad altre religioni) ove in questi sia presente “la luce della verità” che ivi opera attraverso la “ragione” e “l’onestà naturale”. Centinaia di milioni di persone in tutto il mondo sono spinte al dialogo nella luce della verità comune con tutti gli avversari, e spesso anche i nemici, di ieri. Lo strumento della rivoluzione spirituale della Chiesa è naturalmente il Concilio, che egli convoca a Roma e che si apre nel 1962 sotto il nome di Vaticano II.
C’è, infine, nel mondo sovietico la prorompente personalità politica di Chruscev il quale si fa sostenitore di due progetti che appaiono a molti un azzardo: un programma per l’edificazione del comunismo in URSS e l’altro per il superamento entro breve tempo del primato industriale americano nel mondo. Il tutto per raggiungere l’obiettivo di dare a ciascuno secondo il suo bisogno, dando corso storico all’utopia; poiché la libertà dal bisogno è libertà tutt’intera, per questa parte i progetti chrusceviani frequentano gli stessi territori di frontiera solcati da Giovanni XXIII e Kennedy.
Nel giugno 1961 si svolge a Vienna un vertice tra Kennedy e Chruscev; nell’agenda dei lavori un posto di rilievo assume la questione tedesca, poiché a distanza di sedici anni dalla conclusione del conflitto mondiale, non è stato ancora firmato un trattato di pace. Esso deve sanzionare la divisione politica tedesca e quella della città di Berlino, posta praticamente al centro della Germania comunista, con una sezione, Berlino Ovest, controllata dalla fine della guerra dagli alleati occidentali che le consentono di diventare parte integrante della Germania Federale, pur sotto la tutela delle forze anglo-franco-americane. A Vienna Kennedy e Chruscev si trovano di fronte all’impossibilità di conciliare le preoccupazioni di sicurezza sovietiche e tedesco-orientali, aggravate dalla fuga verso l’Occidente, attraverso Berlino Ovest, dei migliori quadri operai e intellettuali della Germania comunista, con la volontà degli occidentali di stabilizzare la situazione tedesca, che testimonia d’altra parte le insufficienze del regime comunista. Nella Germania federale è in atto un processo di sviluppo economico con un tasso di crescita superiore al 7 percento all’anno che la pone al primo posto nel mondo, e le consente non soltanto di accogliere i tedesco-orientali che “scelgono la libertà”, bensì anche centinaia di migliaia di emigrati provenienti dal mezzogiorno d’Europa. Il vertice russo-americano fallisce e la scelta della Germania orientale di costruire nell’agosto successivo un muro tra la parte orientale della città e Berlino Ovest, visualizza, al di là di ogni dubbio, la spaccatura del Vecchio Continente e la sindrome da accerchiamento da cui è afflitta l’Europa delle democrazie popolari. La crisi della distensione rafforza la vocazione all’integrazione economica e politica dell’Europa, in una situazione di partnership (cioè di collaborazione alla pari) con gli Stati Uniti kennediani, mentre le potenze europee democratiche liquidano le loro eredità coloniali e in Inghilterra, in Germania e in Italia maturano le condizioni per l’avvento al potere di nuove maggioranze, quella tra DC e liberali in Germania nel 1961, quella di centrosinistra in Italia nel 1962 e quella laburista di Harold Wilson in Inghilterra nel 1964. Tutta la complessa azione politica kennediana è traumaticamente interrotta il 22 novembre 1963 dall’assassinio di Dallas, per il quale viene immediatamente indicato il responsabile in Lee Harvey Oswald, sostanzialmente uno sbandato.
Un processo destinato a continuare
Alla morte di Kennedy, la distensione vive sotto le improvvise impennate della politica sovietica, che riportano periodicamente le relazioni internazionali a forti livelli di conflittualità tra le due superpotenze. Sia il problema di Berlino, che la questione cubana appaiono incomprensibili rispetto a una scelta strategica di coesistenza pacifica ma, a parte gli errori di Kennedy e dei Paesi occidentali, il presidente sovietico si trova sempre isolato sul piano interno, per cui non può permettersi di abbandonare posizioni consolidate delle potenze comuniste (Berlino) o di fresca acquisizione (Cuba), senza rischiare che una coalizione dei suoi nemici, sempre più numerosi tra i conservatori disturbati dalle sue riforme, lo cacci dal potere. Il carattere sostanzialmente autoritario del potere politico in URSS non è affatto mutato con la destalinizzazione; Chruscev stesso ha nelle mani un potere autoritario che, fortunatamente per il suo Paese, non utilizza in maniera arbitraria e inumana. Nei momenti di difficoltà perciò egli non può rivolgersi a un’opinione pubblica nazionale, a grandi correnti politiche e ideali che lo sostengano nel portare avanti il suo programma. D’altra parte i risultati economici della sua gestione gli danno torto: il piano settennale 1959-1965, vicino alla scadenza, testimonia le consuete difficoltà in agricoltura, dove il progetto chrusceviano di colonizzare le terre vergini siberiane si dimostra irrealizzabile; mentre nel settore industriale la crescita produttiva fissata a un inverosimile 13 percento all’anno, raggiunge il 7 percento, apprezzabile ma non in linea con le previsioni della pianificazione. Infine quando, nell’ottobre 1964, Chruscev ritiene giunto il momento di cercare una soluzione del problema di Berlino attraverso un’intesa con la Germania federale, intuendo che è questa la chiave strategica di una normalizzazione politica ed economica dei rapporti con l’Occidente, egli viene sostituito ai vertici del partito e dello Stato.
In poco meno di un anno, tra il 1963 e il 1964, scompaiono dunque i protagonisti di un’importante stagione politica del dopoguerra e, sempre nello stesso periodo, si spegne Giovanni XXIII. Le trasformazioni avviate dai tre riformatori non possono, naturalmente, essere bloccate, anche se le personalità chiamate a sostituirli, Johnson (1908-1973) quale presidente degli USA, Breznev (1906-1982) come guida politica dell’URSS e infine Paolo VI (1897-1978) alla testa della Chiesa cattolica sono caratterialmente e, ciò che conta, politicamente, personalità assai diverse, che indirizzano i processi di trasformazione già avviati verso esiti non sempre in sintonia con le intenzioni dei loro primi attori.