Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il consolidamento delle istituzioni monarchiche, l’influenza pratica della dottrina giuridica, la forza esemplare della legislazione ecclesiastica sono i fattori più visibili della modernizzazione dei sistemi penali nel secondo Medioevo. Mentre in Inghilterra si delineano, a partire dal XII secolo, le articolazioni processuali del trial by jury di stampo accusatorio, nell’Europa continentale del XIII secolo si afferma il paradigma inquisitorio del processo romano-canonico.
L’evoluzione delle istituzioni politiche, l’affermazione della nuova scienza del diritto, il dinamismo normativo della Chiesa romana contribuiscono a trasformare, nel secondo Medioevo, i metodi e le strutture dell’attività giurisdizionale, delineando lentamente, tra inerzie e resistenze, il paradigma della giustizia punitiva che caratterizzerà l’Europa moderna. Si tratta di un processo storico-istituzionale rivelatore di mutamenti più profondi, attinenti al piano della mentalità collettiva. Nel graduale abbandono delle procedure ordaliche come strumento di soluzione delle vertenze giudiziarie si riflette infatti, con tutta evidenza, la crisi della Weltanschauung magica, tipica dei popoli germanici, e l’emergere di una nuova razionalità.
La civiltà tardomedievale cessa di confidare in (e pertanto di affidarsi a) quegli esperimenti probatori formalizzati nei giudizi pubblici, il cui esito veniva riguardato, in precedenza, come la manifestazione del giudizio di Dio. L’accertamento della responsabilità comincia a seguire vie diverse dal duello giudiziario (pur tenacemente persistente), dal giuramento purgatorio e dai riti ordalici dell’acqua bollente, del ferro rovente o dei carboni ardenti, in cui il verdetto scaturiva dagli effetti prodotti dagli elementi della natura sui corpi costretti alla temibile sfida. È la stessa autorità religiosa a suggellare definitivamente il discredito di tali cimenti, quando nel 1215 il pontefice Innocenzo III proibisce agli ecclesiastici di suffragarli con la benedizione, privandoli così del crisma della sacralità e accelerando il passaggio dagli irrazionali giudizi di Dio alla razionalità investigativa dei giudizi umani.
La modernizzazione delle procedure giudiziarie tra primo e secondo Medioevo si accompagna all’incipiente diversificazione degli ambiti giurisdizionali. Fino al XII secolo non è possibile individuare una sfera penale distinta da quella civile, né due diverse tipologie di processo. A livello giudiziario, tanto nelle corti feudali e locali quanto negli organi della giustizia regia, il ricorso alle ordalie vale a risolvere indiscriminatamente conflitti di diverso genere, classificabili, secondo un’ottica moderna, nei domini differenziati del civile e del penale.
La determinazione dello spazio della giustizia punitiva si lega alla costruzione (istituzionale e ideologica) del potere monarchico, precocemente avviata nei grandi regni feudali di Francia e d’Inghilterra. In particolare, in quest’ultimo, tra XII e XIII secolo, si configura una specifica dimensione giuridica di proibizioni, connesse alla garanzia della pax pubblica assicurata dal re, e di punizioni, irriducibili al tradizionale criterio risarcitorio delle composizioni pecuniarie. Nasce così, fissato negli elenchi a tendenza espansiva dei pleas of the Crown, il diritto penale inglese, disciplinante violazioni non riscattabili da parte degli autori e perseguibili esclusivamente dalla giustizia regia. Parallelamente prende forma un procedimento giudiziario finalizzato ad accertare le responsabilità penali e punire i perturbatori della King’s peace.
Elemento caratterizzante della giustizia regia, connaturato alla sua funzione di controllo sociale e mantenimento dell’ordine pubblico, è l’inchiesta giudiziaria, sistematicamente esperita, a partire dal regno di Enrico II, come alternativa alla procedura per accusa privata tipica del Medioevo ordalico. Modelli diversificati di inchiesta si diffondono contemporaneamente anche sul continente, ma la recognitio inglese assume una fisionomia del tutto peculiare, restando scevra dai tratti vessatori dell’Inquisizione.
Il ruolo dei recognitores, cioè dei 12 probiviri scelti d’autorità per riferire al giudice sui fatti rilevanti per il giudizio, diventa infatti quello del giurì d’accusa, inserito nel sistema giudiziario regio, inizialmente imperniato sull’attività dei giudici itineranti. Nel 1166 le assise di Clarendon attribuiscono ai recognitores, nominati dallo sceriffo in ciascuna centena, il compito di presentare agli itinerant justices le liste dei delitti e dei sospetti. Le loro dichiarazioni giurate, assunte non come testimonianze bensì come imputazioni, costituiscono la base della procedura per indictment, che, evitando i rischiosi difetti del tradizionale appeal, conserva tuttavia al rito penale inglese l’impronta accusatoria.
Più tardo e più sfumato è il cambiamento della procedura nella fase successiva all’indictment. I sospetti rinviati a giudizio per il presentment dei recognitores si trovano a dover affrontare comunque le consuete prove ordaliche (nel più favorevole dei casi, il giuramento). Comincia ad affermarsi, però, una modalità giudiziaria differente, impetrata caso per caso dagli imputati come grazia sovrana: la rimessione del processo a una giuria di giudizio incaricata del verdetto. Intorno ai cardini istituzionali del jury of presentment e del petty jury si snoderà, dopo il definitivo tramonto dei giudizi di Dio, l’iter processuale (esemplarmente garantista) della giustizia penale inglese.
Benché non manchino nell’Europa continentale esperienze d’inchiesta simili alla recognitio d’Oltremanica, il tipo di istruttoria giudiziaria che, prevalendo su tutti gli altri modelli, si impone nel XIII secolo come momento centrale del processo penale ha caratteri assai diversi e marcatamente autoritari. La sua matrice storica va individuata nelle strategie repressive poste in atto dalla Chiesa cattolica contro gli eretici, nel cui contesto emergenziale si spezza il nesso tra indagine d’ufficio e testimonianza di gruppo attorno al quale si erano strutturati, in precedenza, i sistemi di azione penale pubblica.
Decisivo è il ruolo di Innocenzo III, che riforma il meccanismo processuale congegnato dal concilio di Tours (1163) e ridefinito dalla decretale Ad abolendam (1184) di Lucio III, assegnando agli inquirenti ecclesiastici piena facoltà di attivazione investigativa sul mero presupposto della fama facti. La vecchia inchiesta vescovile ancorata al ruolo ricognitivo dei testes synodales è sostituita così da una procedura inquisitoria intrinsecamente discrezionale, che viene affidata alle competenze degli ordini francescano e domenicano. Su questo pericoloso terreno giudiziario si innestano successivamente ulteriori elementi offensivi nei confronti dell’imputato, quali la segretezza dei nomi dei testimoni, la pratica della tortura e l’irrogazione di pene straordinarie.
I tribunali laici seguiranno presto l’esempio, orientando la persecuzione dei crimini più gravi ai moduli dell’inquisitio haereticae pravitatis. La dottrina giuridica asseconda questa metamorfosi giudiziaria, accogliendo i nuovi istituti inquisitori nella trama processuale elaborata a partire dall’ordo in procedendo del tardo diritto romano. Dal convergente indirizzo normativo di leggi e scienza del diritto prende corpo, nelle corti di giustizia, il cosiddetto processo romano-canonico: modello di lunga durata che segnerà la civiltà giuridica europea, in campo penale, fino al rivoluzionario secolo XVIII.
I connotati fondamentali di tale modello sono: la segretezza dell’istruzione probatoria, la carcerazione preventiva dell’accusato, la gerarchia predefinita degli elementi di prova, la posizione di inferiorità della difesa rispetto all’accusa, la confusione tra organi requirenti e organi giudicanti.
Il magistrato inquisitore avvia il procedimento, svolge l’inchiesta ed emette il giudizio.
L’imputato, privato della libertà, è informato dell’accusa e delle prove a suo carico solo al termine della fase istruttoria che, svolta in segreto, consiste nella raccolta e nella registrazione scritta degli indicia, dei documenta e delle testimonianze. Per iscritto sono esposte altresì le difese e le eccezioni dell’imputato, che può ottenere l’assistenza di un avvocato solo dopo aver assistito alla ripetizione dei testimoni.
La sentenza non si lega più alle irrazionali prove ordaliche, ma a un sofisticato meccanismo probatorio costruito dalla razionalità calcolatrice della dottrina giuridica, che assegna preventivamente a ciascun tipo di prova un determinato grado di forza probante. L’esito pratico di questo sistema di “prove legali” è tuttavia paradossale: inteso a comprimere la discrezionalità potestativa dei giudici in nome dell’oggettività del giudizio, esso finisce per accrescere il carattere offensivo e arbitrario del processo, incentivando, data la difficoltà di raggiungere la probatio plena in base alle sue regole, il ricorso alla tortura per ottenere la confessione dell’imputato e procedere alla condanna.
Il rifiuto della tortura come strumento di inchiesta e la critica del valore probatorio della confessione saranno temi centrali nella polemica contro il rito inquisitorio, che culminerà nel progetto illuministico di un processo penale opposto al paradigma romano-canonico: un modello garantista, ancorato al principio della presunzione di innocenza e strutturato sulla parità e il contraddittorio tra le parti, sulla pubblicità e l’oralità della procedura, sulla terzietà e imparzialità del giudice. Un modello che avrà il suo principale punto di riferimento empirico nel processo penale inglese e che orienterà le riforme giudiziarie nei principali Stati europei.