Il progetto di edificazione di uno Stato nazionale
Quest’opera sull’unificazione italiana esce in coincidenza con il 150° anniversario dell’Unità. Ma non è, e non vuole essere, un’opera meramente celebrativa. È piuttosto un contributo alla ricostruzione storica e al dibattito storiografico sulla nascita e sui primi passi dello Stato unitario. Un contributo che, attraverso l’apporto di trentadue studiosi di diversa formazione e di diverse competenze, può aiutarci a capire come l’Unità si sia realizzata in concreto, non solo nelle istituzioni e nella cultura politica, non solo nella letteratura e nelle arti, ma anche, sia pur fra mille difficoltà, nella vita reale della società italiana; come un ceto dirigente numericamente ristretto ma determinato e complessivamente preparato sia riuscito a dotarsi, e a dotare il paese, di quella strumentazione essenziale che sola poteva consentire la costruzione di uno Stato in grado di sopravvivere e di crescere.
L’unificazione a cui ci riferiamo è, allora, non tanto quella segnata dalle cospirazioni e dalle guerre, dai moti insurrezionali e dalla politica di ingrandimento dello Stato sabaudo, e ancor più dai miti e dalle idee-forza che animarono quelle battaglie. La storia del Risorgimento nel senso proprio del termine è presente in questo volume (le sono dedicati i tre saggi iniziali) soprattutto come necessaria premessa a un altro e non meno impegnativo processo di unificazione: quello avviato dopo il 1861 – ma per molti aspetti già impostato e preparato nel Piemonte cavouriano nel corso del decennio precedente – e volto a dare base e sostanza a un’unità politica perseguita per decenni da una minoranza militante, peraltro non inconsistente, e raggiunta quasi per miracolo nel breve volgere di un biennio. Si parla dunque di statistica e di cartografia, di scuola, università e istituzioni scientifiche, di dazi e di moneta, di banche e finanza pubblica, di trasporti e comunicazioni, di musei e biblioteche, di stampa e di editoria. Si parla di Chiesa e religione, di notabili e di impiegati, del Mezzogiorno e dei conflitti sociali, della crescita e trasformazione delle città, di un lento e contrastato percorso di emancipazione femminile. E si parla anche di letteratura e di arti figurative, di musica e di teatro. Senza trascurare, naturalmente, la dimensione più propriamente istituzionale (la monarchia, il governo, il Parlamento, l’amministrazione centrale, l’unificazione legislativa, la diplomazia, la magistratura, le forze armate) e quella del dibattito e dell’associazionismo politico.
Abbiamo cercato, in questo modo, di dare conto del grande sforzo collettivo con cui la classe dirigente di matrice risorgimentale pose mano all’unificazione reale del paese. Uno sforzo che si articolò in molte e diverse direzioni, che fu ispirato a visioni generali non sempre concordi, ma che possiamo comunque ricondurre a un progetto in larga misura comune: l’edificazione di uno Stato nazionale modellato sugli esempi dell’Europa più avanzata e capace di proporsi come componente pienamente legittima del sistema internazionale. Questo progetto, la cui riuscita era all’inizio tutt’altro che scontata, doveva scontrarsi con la realtà di un paese diviso, in larga parte sconosciuto a se stesso, attraversato da squilibri profondi e gravato da una generale condizione di arretratezza rispetto ai suoi modelli più vicini; un paese i cui i livelli di alfabetizzazione e di scolarità si avvicinavano a quelli dell’area mediterranea meno sviluppata; un paese che non solo non aveva mai conosciuto una vera unità politica dopo quella dell’Impero romano, ma aveva scarsa e recente esperienza di ordinamenti «moderni», ovvero fondati su criteri di razionalità e di uniformità; un paese che, causa la rottura fra il Regno d’Italia e la Chiesa romana, non poteva giovarsi se non in misura limitata del collante costituito da un credo religioso comune alla quasi totalità della popolazione.
L’incontro fra quel progetto e quel paese reale fu, e non poteva non essere, difficile, a tratti traumatico. Ma proprio le difficoltà legate alle condizioni di partenza dovrebbero indurci a guardare con qualche comprensione allo sforzo compiuto e a valutarne con obiettività i risultati. Nel giro di pochi anni, o al massimo di qualche decennio, l’Italia consolidò le sue istituzioni confermando nella sostanza la scelta liberale e costituzionale, si dotò quasi ex novo di una rete di trasporti e di comunicazioni, di un sistema scolastico nazionale (ancorché gravemente carente), ottenne il riconoscimento di tutte le maggiori potenze e riuscì anche, nonostante le poco felici prove militari, a completare, o quasi, il suo processo di unificazione territoriale. Tutto ciò configura obiettivamente un sostanziale successo dell’impresa unitaria: successo che risulta con ancor maggiore evidenza da un confronto dei dati iniziali con quelli di cinquanta, cento o centocinquant’anni dopo. Ma se davvero di un successo si tratta, non si può pretendere di darne conto attraverso una sequenza ininterrotta di soprusi e di fallimenti, come troppo spesso è avvenuto e ancora, a volte, accade. Da qui l’esigenza – cui abbiamo cercato di dare risposta in quest’opera – di approfondire e, se del caso, di valorizzare l’imponente lavoro di state-building messo in atto a partire dal 1861 (o dal 1848) e di dare il dovuto risalto alle figure dei suoi artefici, e non solo dei più celebrati padri della patria.
La struttura di quest’opera riflette naturalmente l’impostazione e gli intenti che abbiamo appena cercato di delineare. I saggi – che ne costituiscono la sezione più corposa, affiancata dalle biografie dei protagonisti e da un apparato illustrativo fuori testo – sono distribuiti in quattro parti. Ma prima c’è una sorta di lunga premessa, costituita dai tre saggi iniziali già citati, tutti dedicati alla stagione del Risorgimento, qui riletta attraverso tre diversi tagli tematici: in primo luogo i miti, i simboli, le idee animatrici sulle quali la rivoluzione nazionale si costruì (e che sole possono spiegarne il successo); quindi le ideologie e i modelli istituzionali; infine i decisivi passaggi politici che segnarono l’affermazione del progetto unitario sui vecchi assetti statuali ereditati dall’antico regime.
La prima parte è centrata sulle condizioni reali del paese al momento dell’unificazione e insieme sullo sforzo compiuto per conoscere meglio quella realtà, a partire dalla ricognizione cartografica e statistica. I sette saggi che vi sono compresi offrono un quadro per nulla idilliaco dell’Italia appena unificata: un territorio che aveva nella geografia le ragioni stesse della sua unità, ma che si scopriva essere quanto mai lontano dall’immagine convenzionale di un paese favorito dal clima e dall’ubertà dei suoli; un regime demografico da paese arretrato, con una mortalità infantile di oltre il 200‰ e una durata media della vita di soli trentacinque anni; un sistema scolastico tutto da costruire e cronicamente povero di mezzi, in seria difficoltà nell’assolvere il suo primo e fondamentale compito, ossia l’insegnamento della lingua nazionale; un Mezzogiorno teatro di una precoce e violenta rivolta, con forti radici politiche e sociali, e di una cruenta repressione militare; una Chiesa che, proprio in coincidenza col compiersi del processo risorgimentale, si arroccava nell’intransigenza dottrinaria e nel rifiuto – totale dopo il 1870 – delle istituzioni unitarie; un notabilato radicato localmente e non sempre portatore di interessi generali; una condizione femminile subalterna, appena sfiorata da fermenti di emancipazione destinati a spegnersi rapidamente o a produrre qualche effetto, sul piano del riconoscimento giuridico e sociale, solo in una fase successiva.
Con i dieci saggi che compongono la seconda parte, l’attenzione si sposta dal paese reale al cosiddetto paese legale, dalla società allo Stato e ai soggetti che ne incarnavano la presenza e l’autorità: ovvero a quell’intelaiatura istituzionale cui spettava il difficile compito di tenere assieme, e in parte di costruire, la nuova e ancora precaria compagine unitaria. Si comincia con la monarchia e con la scelta costituzionale che sola ne legittima, in assenza di un vero processo costituente, il ruolo egemone (e in qualche misura «rivoluzionario»). Si prosegue con i plebisciti, atto fondante del nuovo Stato e garanzia della sua natura non puramente dinastica, e con le regole elettorali, lontanissime da qualsiasi criterio di universalità democratica, ma pur sempre segno caratterizzante di un sistema pluralista e rappresentativo. Si parla quindi dell’istituzione-governo, del suo rapido emanciparsi dalla condizione di semplice emanazione della Corona e del suo legame sempre più stretto (anche se mai garantito costituzionalmente) col Parlamento e con le maggioranze da esso espresse. All’opera, anch’essa fondamentale, di unificazione legislativa e di codificazione è dedicato un saggio specifico: dove si rileva come essa non si limitasse alla semplice trasposizione su scala nazionale degli ordinamenti piemontesi, ma comportasse un cospicuo lavoro di adattamento e di ammodernamento. Il saggio sulla pubblica amministrazione, vero sistema nervoso centrale del nuovo Stato, si sofferma non solo sugli aspetti ordinamentali, ma anche sulla condizione sociale e sulle carriere di impiegati e funzionari, collegandosi in questo ai tre contributi successivi, dedicati ad altrettanti settori-chiave degli apparati statali: la magistratura, le forze armate e la diplomazia. Corpi dotati di strutture e tradizioni proprie e protagonisti, soprattutto gli ultimi due, della fase di consolidamento dello Stato, anche se necessariamente frutto di un difficile, e non sempre riuscito, lavoro di amalgama. Con gli ultimi due saggi di questa seconda parte si affronta il tema delle organizzazioni politiche: di partiti che ancora non si possono definire tali, confinati come sono in una dimensione essenzialmente elettorale e parlamentare, spesso sostenuta e tutelata da alcuni giornali di riferimento; di movimenti che nascono dalle aree politiche e sociali escluse dalla legittimazione costituzionale e prefigurano forme di aggregazione più strette e vincolanti; di una massoneria (qui oggetto di un contributo specifico) che, pur senza aver svolto alcun ruolo di rilievo nel processo di unificazione, si trova a surrogare l’assenza di organizzazioni partitiche e a farsi carico, a suo modo, di un progetto di nazionalizzazione del paese.
I temi legati all’economia sono trattati nei quattro saggi della terza parte. Nel primo, il più ampio di tutto il volume, si offre un quadro d’insieme del processo di formazione di un mercato nazionale e di modernizzazione economica del nuovo Stato, partendo dall’analisi della situazione al 1861 e gettando uno sguardo indietro alla condizione dell’Italia preunitaria, segnata da un vistoso divario rispetto ai paesi più avanzati: divario destinato a crescere nei primi due decenni post-unificazione (nonostante l’aumento della produzione agricola e il ruolo trainante di alcuni settori votati all’esportazione), al punto da rendere poco significativo il differenziale comunque esistente fra Nord e Sud. Tanto più impegnativo appare dunque lo sforzo messo in atto dalla classe politica e dalle strutture tecniche del Regno nel portare a compimento l’opera di unificazione della moneta, delle tariffe doganali, della contabilità e del debito pubblico. E ancora – questi i temi trattati in dettaglio negli altri tre contributi – nella creazione di un sistema bancario nazionale, nel riordinamento e nel risanamento del bilancio dello Stato, nel rapido potenziamento delle infrastrutture ferroviarie e stradali e, in genere, delle comunicazioni. Questo percorso, a partire dalla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, avrebbe visto l’abbandono del modello liberista e l’adozione di una politica protezionista che, pur con i suoi costi economici e sociali, avrebbe consentito il graduale ingresso dell’Italia nel novero dei paesi industrializzati.
Gli otto saggi della quarta e ultima parte sono dedicati ai temi della cultura, intesa in senso ampio e sotto un doppio aspetto: da un lato, come luogo di incontro e di collaborazione di una già esistente comunità intellettuale italiana degli Stati preunitari, e dunque come premessa e come fattore coadiuvante del processo di unificazione; dall’altro, come sforzo di adattamento alla nuova realtà nazionale o addirittura di costruzione di quella realtà, anche dal punto di vista dei simboli visibili e delle infrastrutture istituzionali. Il primo aspetto è affrontato nei quattro saggi dedicati rispettivamente alla letteratura, alla musica e al teatro, alle arti figurative, alle scienze (dove la cesura dell’Unità appare decisiva nell’accelerare le aperture e la diffusione di nuovi saperi su scala nazionale). Il secondo è oggetto soprattutto dei quattro contributi successivi, che trattano di argomenti fra loro molto diversi (lo sviluppo delle città, la conservazione e tutela del patrimonio culturale, l’università, l’editoria libraria e giornalistica), ma hanno almeno un tema in comune: la dialettica, non sempre facile da comporre, fra spinte unitarie e spinte localistiche, fra l’esigenza di ricondurre anche le manifestazioni della cultura a logiche statuali e nazionali e la varietà delle tradizioni e delle iniziative locali.
Come si può evincere da questo breve sommario, molti sono i temi specifici trattati nel volume. Diversi sono dunque i tagli narrativi e interpretativi, corrispondenti alle scelte e alle competenze degli autori. E anche le periodizzazioni possono variare, fermo restando che tutte – eccezion fatta per i due saggi iniziali, impostati su un arco cronologico più lungo – fanno centro sul nodo dell’unificazione, ovvero sul periodo che va dal 1848 agli anni Settanta dell’Ottocento (ma in qualche caso lo sguardo si spinge fino al decennio successivo). Il tema generale, come si è detto, è però uno solo: la fase costituente dello Stato unitario, considerata nei suoi diversi e complessi aspetti e rivisitata – lo si fa nella seconda sezione del volume – attraverso le figure dei suoi protagonisti. Non solo statisti e politici, militari, cospiratori e combattenti delle guerre del Risorgimento, ma anche tecnici, scienziati, artisti, professori e magistrati, imprenditori, banchieri e funzionari pubblici. Oltre trecentocinquanta brevi biografie che mirano non tanto a comporre un’appendice prosopografica o una galleria di medaglioni patriottici, quanto a ricostruire il ritratto collettivo di una classe dirigente divisa su molte questioni importanti, eppure in larga parte unita da un nucleo di valori condivisi e anche, in molti casi, da esperienze comuni. La delimitazione cronologica è la stessa adottata per i saggi: sono stati inseriti quei personaggi che svolsero un ruolo di qualche rilievo negli anni a cavallo dell’unificazione, e anche nelle battaglie risorgimentali dei decenni precedenti. Il criterio, come si può immaginare, non può essere matematicamente rigoroso: esclusioni e inclusioni potranno, naturalmente, essere contestate. Tuttavia pensiamo che uno strumento del genere, ancorché imperfetto, possa utilmente integrare il contenuto dei saggi, offrendo la possibilità di confrontare i percorsi individuali e di sovrapporli a quelli collettivi.
L’apparato illustrativo del volume, svincolato dai singoli saggi, intende suggerire alcuni percorsi iconografici che rimandano non solo agli eventi e ai loro protagonisti, ma anche al processo di costruzione della nazione, inteso sia come formazione di una coscienza e di un’identità nazionali sia come unificazione del territorio. Alcuni temi propongono quindi luoghi, circostanze e personaggi direttamente legati al compimento dell’Unità, mentre altri rimandano alle aspettative e alle trasformazioni innescate dalla rivoluzione nazionale, lasciando intravedere, attraverso un’iconografia meno ufficiale, accanto agli eroi del Risorgimento, anche gli artefici silenziosi e anonimi della trasformazione del paese.
Analizzare nel dettaglio le forme, le fasi, i protagonisti e le immagini della costruzione unitaria può aiutarci a conoscere meglio le origini dell’Italia unita. Ma può anche – o almeno così ci auguriamo – stimolare una riflessione pacata, né piattamente agiografica né pregiudizialmente demolitoria, sulle modalità e sugli esiti di quel processo. Lo schema della «conquista regia», base e alimento principale di diversi filoni polemici antichi quanto l’Unità stessa, non regge a un’analisi ravvicinata. Non perché sia falsa la ricostruzione – che nasce al contrario da una constatazione oggettiva – di un processo unitario realizzato essenzialmente attraverso l’estensione al territorio nazionale di istituzioni e ordinamenti dello Stato-guida. Ma perché questa modalità, peraltro priva di alternative plausibili (che ne sarebbe stato di un’Italia rivoluzionaria e repubblicana nel contesto dell’Europa delle grandi potenze? E quali reali possibilità di attuazione aveva, nelle condizioni date, un’ipotesi federale?), non fu semplicemente calata dall’alto e si realizzò in forme meno meccanicamente autoritarie di quanto spesso si pensi, attraverso un faticoso e quotidiano lavoro di adattamento e di amalgama che impegnò duramente una parte non trascurabile della società. E poi, come si è detto, non si può prescindere dai risultati, o meglio dal risultato principale: la sopravvivenza di uno Stato retto da istituzioni rappresentative e da ordinamenti giuridici relativamente avanzati, guidato da una classe dirigente che si dimostrò complessivamente all’altezza del compito e che per questo non merita di essere chiamata a rispondere di crisi e fallimenti di mezzo secolo o di un secolo e mezzo dopo. Dare conto di questi risultati, e insieme dell’opera di chi pose le premesse perché potessero essere conseguiti, è forse il modo più corretto per ricordare l’anniversario dell’unità nazionale e soprattutto per renderlo attuale, al di là delle forzature retoriche e delle polemiche pretestuose.