Il programma nucleare iraniano ha rappresentato uno dei maggiori elementi di preoccupazione della comunità internazionale lungo quasi tutto il primo decennio del nuovo millennio. Nonostante accordi temporanei, incontri diplomatici, pressioni, sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e minacce di interventi militari preventivi, i timori occidentali non sono stati fugati, ed anzi l’Iran progredisce continuamente nel raffinare la propria capacità tecnologica in quel campo, tanto che diversi analisti ritengono che Teheran sia ormai in possesso di una capacità nucleare militare latente.
Capire le motivazioni e le reali intenzioni iraniane è oltremodo difficile, sia per la strutturale complessità delle politiche di sicurezza della Repubblica Islamica dell’Iran, sia per il frazionamento della sua élite di potere, che spinge le contrapposte fazioni ad assumere atteggiamenti contradditori e duplici.
In estrema sintesi sono identificabili tre fasi principali che riguardano il programma nucleare del paese:
1. Dalle prime ricerche ai tempi dello shāh Pahlavi alle rivelazioni del 2002
L’interesse dell’Iran per la tecnologia nucleare è iniziato molto prima della Repubblica Islamica, addirittura negli anni Cinquanta. Tuttavia, fu solo alla fine degli anni Sessanta, allorché gli Usa fornirono al paese un reattore di ricerca (un 5 Megawatt-Thermal Research Reactor, Trr) nell’ambito dell’Atom for Peace Program, che il programma nucleare iraniano ebbe impulso reale e l’Iran entrò nel Trattato di non proliferazione nucleare (Npt). Negli anni successivi, il programma ricevette enormi finanziamenti governativi: lo sh¯ah immaginava addirittura la creazione di una ventina di centrali nucleari (per 23.000 Mw). A tal fine il governo iraniano stipulò una pluralità di contratti e accordi internazionali per la fornitura di impianti nucleari civili e per arrivare alla produzione autonoma di uranio arricchito. Con la rivoluzione del 1979 il programma nucleare iraniano subì una lunga interruzione. Fu solo alla fine degli anni Ottanta che Teheran ritornò a riavviarlo, siglando accordi con alcuni paesi asiatici. Nel gennaio 1995 venne infine annunciato che Mosca avrebbe completato l’abbandonata centrale di Bushehr e ne avrebbe realizzate altre tre, nell’ambito di un ambizioso progetto del governo di Teheran per ridurre il consumo interno di petrolio e gas. Il dibattito sulle reali finalità del programma nucleare iraniano tornò prepotentemente alla ribalta della politica internazionale verso la metà del 2002, dopo che esponenti di un gruppo di opposizione iraniana rivelarono l’esistenza di due impianti fino ad allora sconosciuti (le istallazioni di Arak e Natanz, quest’ultimo per l’arricchimento dell’uranio).
2. I tentativi di accordo con l’Europa (2003-06)
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) rilevò omesse dichiarazioni e una mancanza di trasparenza da parte iraniana, sia pure senza trovare prove evidenti di un programma nucleare militare clandestino. Per evitare una nuova crisi internazionale - evitando una nuova spaccatura tra Europa e Usa dopo quella avvenuta in occasione della decisione statunitense di attaccare l’Iraq nella primavera del 2003 - Francia, Germania e Regno Unito (i cosiddetti E-3) avviarono una fase di trattative con il governo iraniano per raggiungere un compromesso accettabile sulla questione. Nell’ottobre 2003 e nel novembre 2004 due accordi riconobbero il diritto teorico dell’Iran ad avere attività di arricchimento; tuttavia, in cambio di annunciate ricompense politiche, economiche e tecniche, l’Iran accettò di sospendere volontariamente e temporaneamente tutte le sue attività di arricchimento. Intanto però i negoziati per una soluzione definitiva stagnavano. Lo scoglio principale era l’opposizione di Washington a ogni accordo che non prevedesse una sospensione irreversibile delle attività di arricchimento. Su questo punto naufragò la proposta iraniana dell’aprile 2005, che prevedeva che l’Iran continuasse ricerche su un limitato numero di centrifughe, sotto stretto controllo dell’Iaea. Il rifiuto della proposta iraniana rappresentò la fine della possibilità di accordo: la vittoria nelle elezioni presidenziali iraniane del 2005 dell’ultraradicale Ahmadinejad pose gli E-3 dinanzi a negoziatori molto più rigidi, i quali rigettarono sprezzantemente una nuova proposta europea.
3.Le sanzioni Un e le aperture del presidente Obama (2006-11)
Con la ripresa delle attività per l’arricchimento dell’uranio da parte iraniana, agli inizi del 2006, l’Iaea comunicò di non essere in grado di stabilire se in Iran vi fosse o meno un programma nucleare clandestino a scopi militari. Per certo, vi erano state omissioni e comportamenti anomali da parte del governo iraniano che imponevano il trasferimento del file iraniano al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Dopo molti compromessi e dibattiti, e dopo una nuova offerta di un pacchetto di incentivi da parte dei ‘P5+1’ – ossia i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania – fra il 2006 e il 2008 vennero imposte diverse risoluzioni che intimavano la sospensione del programma di arricchimento e imponevano sanzioni finanziarie e tecnologiche, rese più dure da misure finanziarie unilaterali decise da Unione Europea e Usa. Aumentarono poi le minacce di azioni militari aeree preventive da parte israeliana o statunitense contro i siti del programma nucleare iraniano.
Nel 2009, la nuova presidenza Obama cambiò strategia, offrendo trattative dirette e senza precondizioni. Del resto, dopo la drammatica crisi finanziaria globale e dopo il deterioramento dello scenario di sicurezza in Afghanistan, la passata politica di chiusura sembrava insostenibile, anche alla luce dei nuovi rapporti dell’Iaea, che confermavano gli allarmanti progressi nel numero e nella qualità degli impianti iraniani. A Teheran anche gli ultraradicali sembravano voler raggiungere un compromesso, sia per la loro crisi di legittimità seguita alle contestate elezioni presidenziali del 2009, sia per i costi politici, economici e finanziari delle sanzioni.
È difficile dire quanto vi sia stato di tattico e quanto di strategico nella maggiore disponibilità iraniana. In ogni caso a Ginevra e Vienna (ottobre 2009) si andò vicinissimi a un accordo di compromesso che rassicurasse la comunità occidentale ma permettesse all’Iran di continuare l’arricchimento. Le divisioni interne al sistema di potere iraniano e l’ostilità della Guida Suprema, Ali Hoseini-Khamenei, tuttavia, fecero naufragare anche questa opportunità. Da allora, la situazione sembra essersi fatta più confusa: un attacco informatico israelo-statunitense (con il virus Stuxnet) sembra aver rallentato il programma, mettendo fuori uso circa mille centrifughe per l’arricchimento delle 9000 installate a Natanz; l’Iran ha continuato nella realizzazione di nuovi siti collegati all’arricchimento dell’uranio, nonostante l’impatto crescente delle nuove sanzioni decise nel 2010 sulla sua economia; è entrata in funzione la centrale atomica di Bushehr nell’agosto del 2010 (che non pone problemi di diversione di materiali dual-use). L’alternanza di toni concilianti e aggressivi da parte iraniana è continuata per tutto il 2010, accentuando le paure e le ostilità della maggior parte degli stati arabi verso l’Iran, mentre la Turchia ha cercato di proporsi quale risolutore regionale della crisi, pur apparendo sempre più sbilanciata a favore dell’Iran.
Analizzati in retrospettiva, i negoziati di quest’ultimo decennio dimostrano come la sfiducia reciproca abbia rappresentato l’ostacolo maggiore a ogni accordo. Molte volte lo si è sfiorato; non lo si è mai raggiunto, a volte per colpa del radicalismo della Repubblica Islamica, a volte per colpa dell’intransigenza di Washington. Ogni soluzione tecnica, per quanto brillante e praticabile, si è scontrata con la mancanza di fiducia politica. In più, per la Repubblica Islamica, le differenze interne sul compromesso nucleare sono solo un surrogato di una questione ben più ampia: come deve porsi l’Iran verso la comunità internazionale? Per alcuni, il paese deve cercare di veder garantito il proprio ruolo di potenza regionale, ma cercando di ridurre le tensioni con l’Occidente; per altri, questa contrapposizione deve continuare, ma con la garanzia fornita dal possesso della tecnologia nucleare, anche a fini militari. E forse proprio quest’ultima convinzione spiega l’ambiguità oggettiva dei comportamenti della Repubblica Islamica dell’Iran. Un’ambiguità tuttavia non priva di conseguenze: il paese è ormai vicinissimo alla potenzialità nucleare militare, ma è sempre più isolato politicamente sulla scena internazionale e sta pagando costi economici spaventosi per questa sua sinistra ambizione.