Il Protocollo d’intesa e la sentenza sull’art. 19 st. lav.
Nel quadro delle nostre relazioni industriali è recentemente intervenuto il Protocollo d’intesa del 31.5.2013 tra Confindustria e Cigl, Cisl e Uil, a completamento di una stagione di accordi interconfederali, all’esito della quale sembra delinearsi una regolazione convenzionale compiuta del sistema di contrattazione collettiva. In un breve arco di tempo, si è avuta anche la sentenza 23.7.2013, n. 231, della Consulta, che ha interrotto una lunga stagione di agnosticismo della giustizia costituzionale in ordine all’art. 19 l. n. 300/1970. A ciò deve aggiungersi il controverso art. 8 l. n. 148 del 2011 che, a sua volta, ha recentemente interrotto una stagione di astensionismo legislativo in materia di efficacia del contratto collettivo, quanto meno a livello aziendale e territoriale.
Il contributo intende analizzare le modalità attraverso le quali si sta ricomponendo ad opera di svariati attori il quadro regolatorio delle relazioni industriali al fine di saggiarne elementi di coerenza e incoerenza anche alla luce del dibattito, mai sopito, relativo all’opportunità di un intervento legislativo in materia di rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva.
Il Protocollo d’intesa sottoscritto il 31.5.2013 da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, da una parte, e la sentenza della Corte costituzionale del 23.7.2013, n. 231, dall’altra parte, rappresentano gli ultimi due atti di “reazione” ad una stagione, inusitatamente lunga, di rottura dell’unità di azione sindacale, che ha posto il sistema di relazioni industriali in estrema sofferenza1.
Tale stagione si è aperta con la mancata sottoscrizione, da parte della Cgil, dell’accordo quadro del 22.1.2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, è proseguita con la contrattazione separata di categoria (a cominciare dal contratto dei metalmeccanici del 2009), per culminare nel cd. caso Fiat, che ha visto la esclusione dal nuovo ordine contrattuale di uno degli attori storici della contrattazione collettiva: la Fiom-Cgil.
Già, dunque, l’accordo interconfederale unitario del 28.6.2011 cercava di porre rimedio a quella rottura dell’unità di azione dei sindacati storici che aveva scosso le fondamenta del sistema di relazioni industriali fino a farne traballare la struttura, dettando regole e procedure per il componimento dei contrasti nella contrattazione collettiva aziendale.
Se l’accordo del 28.6.2011 era focalizzato sulla struttura contrattuale e sulla contrattazione a livello aziendale, il successivo Protocollo d’intesa del 31.5.2013 lo completa e lo integra, dettando principi sulla contrattazione nazionale e sulla costituzione delle rappresentanze sindacali in azienda, prefigurando una modifica dell’accordo interconfederale del 20.12.1993 sulle r.s.u.
Qualcuno si è spinto sino a riconoscere al recente Protocollo una valenza “costituzionale”, ritenendo che tale riconoscimento sia addirittura più appropriato di quanto non lo fosse con riferimento al Protocollo del 19932.
Esso sconta, peraltro, come evidenzieremo, il suo carattere “programmatico”, dal momento che, per la sua piena operatività, implica una successiva attività negoziale di specificazione, vuoi a livello interconfederale, vuoi a livello dei contratti nazionali di categoria.
Il Protocollo e la sentenza della Corte reagiscono alla crisi indotta dalla rottura dell’unità di azione sindacale, ovviamente, in modi diversi e incidendo su snodi diversi del sistema sindacale: il primo, configurando una procedura per la composizione dei conflitti intersindacali nella stipulazione dei contratti collettivi nazionali, la seconda, sganciando la titolarità dei diritti sindacali in azienda di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori dalla stipulazione dei contratti collettivi per ancorarla alla effettiva partecipazione alla negoziazione.
Essi saranno dunque esaminati analiticamente al fine di coglierne l’effettiva portata e le eventuali interrelazioni nel quadro regolatorio delle relazioni sindacali.
1.1 Il Protocollo e la misurazione della rappresentatività
Il 31.5.2013, a completamento, per il momento, di una stagione di accordi interconfederali finalizzati all’autocomposizione del sistema contrattuale3, è stato stipulato un accordo unitario tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil (che poi è stato anche sottoscritto da Ugl, Cisal e Confsal) incentrato su titolarità contrattuale e procedure e condizioni dell’efficacia generale dei contratti nazionali. Accordi pressoché identici sono stati stipulati dalle tre Confederazioni sindacali con Confservizi, l'1.8.2013, e con Agci, Confcoperative e Legacoop, il 18.9.2013.
Nella sua impostazione di fondo, il Protocollo d’intesa si salda al precedente accordo del 28.6.2011, incentrato sulla struttura della contrattazione e sulla contrattazione aziendale. Esso completa innanzitutto l’accordo del 28.6.2011 in merito alla misurazione della rappresentatività delle singole organizzazioni sindacali, al fine della legittimazione alla contrattazione collettiva nazionale e dell’efficacia generalizzata (per tutti i lavoratori e tutte le organizzazioni sindacali) del contratto collettivo. Il Protocollo ridefinisce, inoltre, i principi cui dovrà essere ispirata la nuova disciplina delle rappresentanze sindacali unitarie, già contenuta nell’accordo interconfederale del 20.12.1993, che le parti firmatarie (cioè Confindustria e Cgil, Cisl e Uil) si impegnano a modificare, al fine di renderlo coerente con i principi qui delineati.
Sotto il primo profilo, vale a dire della misurazione della rappresentatività sindacale, si realizza una commistione tra i due criteri storicamente prospettati al fine, il criterio associativo e quello del seguito elettorale, in apparente adesione al modello già delineato nel pubblico impiego (v. ora d.lgs. 30.3.2001, n. 165, cd. Testo Unico sul pubblico impiego). Sono infatti chiamati a partecipare alle trattative i sindacati che raggiungano almeno la soglia del 5% nell’«ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, considerando a tal fine la media tra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) ed il dato elettorale (percentuale dei voti ottenuti sui voti espressi)».
Una volta fissato il tetto del 5% di rappresentatività per l’“accesso” alle trattative, «nel rispetto della libertà ed autonomia di ogni organizzazione sindacale», alle Federazioni di categoria è demandato di individuare, con proprio regolamento, le modalità di definizione della cd. piattaforma, della delegazione trattante e le relative attribuzioni. Va da sé che, in ogni categoria, le organizzazioni sindacali dovranno “favorire” la presentazione di piattaforme unitarie; in mancanza, la parte datoriale dovrà prescegliere di avviare la negoziazione sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel “settore” pari al 50% più 1. Questa è la soglia, infatti, al raggiungimento della quale i contraenti prefigurano che i contratti collettivi debbano essere applicati all’insieme dei lavoratori e siano “esigibili” per tutte le organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie.
È evidente che, nel favorire gli accordi unitari, il Protocollo stabilisce regole che legittimano, anche socialmente, gli accordi non unitari e «il sindacato dissenziente … non è più considerato un corpo estraneo delle relazioni collettive»4.
Peraltro, la rappresentatività maggioritaria delle organizzazioni sindacali firmatarie non è sufficiente dovendo essa essere “convalidata” da una «consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori» (le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto). A parte il rinvio, per la regolamentazione di questa “consultazione”5 dei lavoratori, ai singoli contratti di categoria, vi è comunque la precisazione che è con la sottoscrizione formale dell’accordo da parte delle associazioni sindacali che esso prenderà efficacia fra le parti.
Con la commistione tra criterio associativo e criterio elettorale ai fini della misurazione della rappresentatività, il Protocollo, secondo il modello collaudato nel pubblico impiego, intende comporre le divergenze tra le opposte visioni del proprio ruolo presenti nei nostri sindacati. Con l’aggiunta della validazione a seguito di una consultazione certificata dei lavoratori, non presente nel pubblico impiego6, si tende a superare anche le contrapposte visioni in ordine agli istituti di democrazia diretta, considerati da una parte del nostro sindacalismo potenzialmente pericolosi per la stessa concezione di democrazia sindacale rappresentativa, che riconosce al sindacato la piena autorità di negoziatore, derivantegli dalla delega dei lavoratori.
1.2 L’efficacia della contrattazione collettiva nazionale
Ai sensi del punto 4 della parte dedicata a “Titolarità ed efficacia della contrattazione”, il rispetto “delle procedure sopra definite comporta … oltre l’applicazione degli accordi all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici, la piena esigibilità per tutte le organizzazioni aderenti alle parti firmatarie della presente intesa. Conseguentemente le Parti firmatarie e le rispettive Federazioni si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti”.
La questione della “esigibilità” dei contratti collettivi si è imposta nel dibattito giuridico-sindacale con l’accordo Fiat per lo stabilimento di Pomigliano del 15.6.20107. Qui si è affrontata, per la prima volta dopo molto tempo, una delle criticità del nostro sistema sindacale: l’espressa assunzione di responsabilità da parte sindacale in ordine agli equilibri raggiunti con il contratto collettivo. E l’esempio dello sciopero che preclude lo svolgimento dei sabati lavorativi convenuti in un contratto collettivo ne è divenuto l’emblema8.
L’esigenza datoriale di fare affidamento sul rispetto delle clausole del contratto collettivo e sulla conseguente regolarità produttiva si era tradotta, nell’accordo di Pomigliano, nell’impegno dei sindacati ad astenersi da «comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate…», in primis dalla proclamazione (o anche dalla semplice indifferenza nei confronti) di scioperi “contro” l’accordo, attraverso la previsione di una penalizzazione economica per quanto riguarda le trattenute dei contributi sindacali ed i permessi previsti dal contratto (allora nazionale e aziendale)9. Anche nell’accordo interconfederale del 28.6.2011, peraltro, si riconosceva l’importanza fondamentale della garanzia dell’“esigibilità” degli impegni assunti con la contrattazione collettiva, ravvisandone lo strumento fondamentale nelle clausole di tregua sindacale, di cui si conveniva l’idoneità a fondare obblighi unicamente in capo alle associazioni sindacali e non in capo ai singoli lavoratori10.
Nel Protocollo in esame il previsto impegno a «dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi» si traduce nella prescrizione per cui «i contratti collettivi nazionali di categoria, approvati alle condizioni di cui sopra, dovranno definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire per tutte le parti l’esigibilità degli impegni assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti sulla base dei principi stabiliti con la … intesa».
Il testo suona come riferito alle clausole di tregua sindacale e alle procedure di raffreddamento, ben note all’esperienza sindacale, ma, di per sé, non sufficienti a garantire la “esigibilità” bensì bisognose, esse stesse, di essere accompagnate da sanzioni quali la sospensione dei diritti sindacali previsti contrattualmente o la esclusione dai tavoli negoziali11. Sanzioni che, come è stato osservato in dottrina12, sono più facili da prevedere che da attuare, a meno che non si preveda una autorità super partes chiamata a decidere sulla sussistenza o meno di una inadempienza ingiustificata.
1.3 La riforma della disciplina delle RSU
Fa tutt’uno con la disciplina della rappresentatività sindacale, misurata secondo il criterio non solo associativo ma anche elettorale, la prefigurata modifica dell’attuale disciplina delle RSU, contenuta nell’accordo interconfederale del 20.12.1993.
L’elemento più innovativo è la fissazione del metodo proporzionale (senza alcun correttivo: «le RSU saranno elette con voto proporzionale»), in cui può ravvisarsi la conferma della volontà, già espressa nell’accordo interconfederale del 21.11.2012, di eliminazione del cd. terzo riservato13.
La clausola del cd. terzo riservato contenuta nell’accordo interconfederale 20.12.1993, fu fortemente voluta da Confindustria (peraltro nella sola, e non particolarmente vigorosa, opposizione della Cgil14) al fine di assicurare un raccordo fra contrattazione a livello nazionale e contrattazione a livello aziendale e, dunque, garantire coesione e tenuta del sistema contrattuale. Un obiettivo poi fortemente condiviso dai contraenti, se è vero che lo stesso accordo interconfederale del dicembre 1993 individuava, sì, le RSU quali soggetti legittimati alla stipulazione dei contratti collettivi aziendali, ma congiuntamente con gli organismi territoriali delle associazioni sindacali nazionali.
Con l’accordo del 28.6.2011, poi, si è prevista la legittimazione a stipulare contratti aziendali, anche derogatori rispetto al contratto di categoria, in capo alle RSU, senza il necessario coinvolgimento delle strutture periferiche delle associazioni sindacali. In questo contesto, con il prospettato venir meno del terzo riservato, il raccordo tra RSU e associazioni sindacali è ora molto più debolmente garantito da una sorta di “mandato imperativo” del membro della RSU15. Prevede, infatti, l’accordo che «il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito». Con tale clausola, dunque, le Parti hanno introdotto un mandato imperativo, rifiutando quell’impostazione che, assimilando il sistema sindacale al sistema politico, riteneva che i rappresentanti, una volta eletti, non fossero più legati al sindacato dalle cui liste provenivano ma, piuttosto, fondassero la propria carica sul voto.
1.4 Il carattere “programmatico” dell’accordo
Il traguardo di un quadro ordinato e razionale del sistema di relazioni collettive anche dopo l’intesa del 31.5.2013 è ancora lontano. A parte gli incombenti della convenzione con l’Inps, incaricato, nel modello delineato dall’intesa, di acquisire e certificare, sulla base delle deleghe relative ai contributi sindacali, il numero degli iscritti e della messa a punto delle procedure con il Cnel, certificatore finale della rappresentatività dei sindacati, ai fini della riconduzione a regime del complesso meccanismo molto dipenderà dall’esito della scommessa sulla tenuta, se non sul rilancio, delle RSU16.
Ma anche se questi passaggi fossero compiuti, il Protocollo rimarrebbe pur sempre un “manifesto” di «indicazione degli indirizzi politici e comportamentali»17 dell’ordinamento sindacale, che non preclude ai sindacati di categoria di determinarsi in piena autonomia.
Le parti ne sono ben consapevoli tanto che «si impegnano a far rispettare i principi … concordati e si impegnano, altresì, affinché le rispettive strutture ad esse aderenti e le rispettive articolazioni a livello territoriale e aziendale si attengano a quanto concordato nel presente accordo».
Ciò significa allora che lo sforzo profuso nella creazione, a livello confederale, di un quadro di “regole sulle regole” sia privo di rilevanza pratica?
Sarebbe azzardato affermarlo, considerando tra l’altro l’alto livello di condivisione di scelte (in particolare sulla misurazione della rappresentatività), sempre rimandate.
La violazione delle indicazioni e delle regole da parte dei livelli inferiori (ad es., l’ostruzionismo delle Federazioni nei confronti dell’attuazione della prima parte del Protocollo, al pari, su altro piano, del superamento ad opera dei contratti aziendali cd. di prossimità dei limiti di contenuto e procedurali eventualmente stabiliti nei CCNL) comporta pur sempre scelte difficili e l’assunzione di una gravosa responsabilità politico-sindacale18. E ciò anche a non volersi spostare sul piano della responsabilità disciplinare: un piano sostanzialmente non realistico, quando a venire in questione sono comportamenti di gruppi di iscritti o addirittura di strutture interne alle organizzazioni.
1.5 Corte cost., 23.7.2013, n. 231
Poco meno di due mesi dopo la sottoscrizione del Protocollo d’intesa, interveniva l’ennesima sentenza della Corte costituzionale19 chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 19 st. lav. nel testo risultante dall’amputazione referendaria del 1995. A seguito del d.P.R. 28.7.1995, n. 312, che ha proclamato l’esito del referendum, il testo dell’art. 19 st. lav., sottoposto all’esame della Corte, ancorava il diritto ad avere RSA privilegiate, cioè titolari dei diritti e delle prerogative di cui al titolo III st. lav., alla stipulazione di contratti collettivi applicati nella unità produttiva.
Come è noto, nella originaria impostazione dello Statuto dei lavoratori, poi radicalmente modificata dal referendum, RSA titolari dei diritti di cui al titolo III potevano essere costituite, ai sensi della lett. a), anche, se non principalmente, nell’ambito di associazioni sindacali aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Inoltre la lett. b) dell’art. 19 consentiva la costituzione di RSA nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non aderendo alle Confederazioni maggiormente rappresentative, fossero firmatarie di contratti collettivi «nazionali o provinciali» applicati nell’unità produttiva.
La scelta di fondo del legislatore statutario era di sostenere, nei luoghi di lavoro, la presenza e l’attività delle associazioni sindacali storiche, aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I sindacati autonomi (non aderenti alle Confederazioni considerate sicuramente maggiormente rappresentative, vale a dire Cgil, Cisl e Uil) erano nondimeno in grado di costituire RSA in base alla lett. b) – che così rappresentava la “valvola di sfogo” del sistema – purché fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva20.
L’esito referendario non è stato accolto da tutti con favore, considerato il diverso carattere assunto dall’art. 19 st. lav. dopo la citata amputazione referendaria: con essa la norma avrebbe perso il suo originario carattere promozionale della presenza e dell’attività sindacale all’interno dell’impresa per consacrare la posizione dei sindacati che si fossero già auto-legittimati con la stipulazione di un contratto collettivo21.
La nuova formulazione, comunque, aveva superato indenne diversi scrutini di costituzionalità. In particolare Corte cost., 12.7.1996, n. 24422 ha respinto l’eccezione di costituzionalità formulata in relazione agli artt. 3 e 39 Cost. dal momento che l’art. 19 avrebbe valorizzato «l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della normativa contrattuale collettiva (sentenza n. 492/1995) quale indicatore di rappresentatività già apprezzato dalla sentenza n. 54/1974 come non attribuibile arbitrariamente o artificialmente, ma sempre direttamente conseguibile e realizzabile da ogni associazione sindacale in base a propri atti concreti e oggettivamente accertabili dal giudice».
Già secondo alcuni primi commentatori, la sentenza della Corte non dissipava tutti i dubbi, giacché la norma, a seguito della sua nuova formulazione, avrebbe finito per far dipendere la fruizione dei diritti sindacali dalle dinamiche della contrattazione collettiva23. La questione tuttavia è rimasta latente fino agli sviluppi più recenti della contrattazione collettiva, quando è stato messo in discussione il presupposto implicito su cui si reggeva l’art. 19 (ed anche la sentenza della C. cost., 12.7.1996, n. 244), vale a dire la sottoscrizione dei contratti collettivi da parte di tutti i sindacati pacificamente maggioritari.
A fungere da detonatore, come si è anticipato, è stata la cd. contrattazione separata in particolare nel famoso caso Fiat che, tramite una sofisticata operazione di “sganciamento” dal sistema confindustriale e dunque da tutti i contratti stipulati da Confindustria alla quale essa aderiva, ha regolato ex novo i rapporti di lavoro tramite contratti “aziendali” non sottoscritti da Fiom-Cgil. Le conseguenze sono state rilevantissime: il nuovo sistema contrattuale “separato” ha comportato lo sfaldamento delle rappresentanze unitarie, la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali autonome da parte dei sindacati firmatari dell’unico contratto collettivo applicabile, con l’esclusione, dunque, di Fiom – Cgil.
Così si spiega che, nel nutrito contenzioso che ne è seguito, sia stata nuovamente sollevata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3 e 39 Cost., e che da alcuni giudici essa sia stata ritenuta rilevante e non manifestamente infondata.
Il punto di partenza del ragionamento della prima ordinanza di rimessione24, sostanzialmente ripresa dalle successive25, è stata l’impossibilità di un’interpretazione estensiva della nozione di associazione firmataria di contratto collettivo, fino a comprendervi l’associazione sindacale che avesse comunque partecipato alle trattative, a prescindere dalla sottoscrizione dello stesso. Un’interpretazione suggerita da una parte della dottrina26 e fatta propria da alcuni giudici di merito27. Se il dato letterale appariva insormontabile, non è sembrata percorribile ai giudici rimettenti altra via se non la (ri)proposizione della questione di legittimità costituzionale, giacché la norma, consentendo la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali alle sole associazioni firmatarie di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, adottava «un criterio che prescinde dalla misurazione dell’effettiva rappresentatività e dall’accesso e partecipazione al negoziato, come tale irragionevole oltre che lesivo della libertà sindacale»28.
La Corte costituzionale non si è accontentata di una sentenza conservatrice di rigetto o di rigetto-monito e neppure additiva di principio, ma ha pronunciato una sentenza manipolativa del testo della norma, che essa stessa definisce di tipo additivo (cioè di implementazione del diritto vigente29). Essa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 nella parte in cui «non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda». È così stata allargata la porta d’ingresso ai diritti sindacali del titolo III anche a chi, pur non sottoscrivendo il contratto, abbia tuttavia partecipato “effettivamente” alla negoziazione.
Si tratta di una sentenza manipolativa del testo della norma che, come già rilevato dai primi commentatori, non solo non è risolutiva dei problemi di legittimità costituzionale prospettati, ma è a sua volte fonte di non irrilevanti dubbi interpretativi, che potrebbero dare la stura ad un nuovo contenzioso giudiziario.
D’altra parte, è la stessa Corte a rilevare l’insufficienza dell’operazione additiva compiuta, nell’ipotesi in cui «manchi un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva per carenza di attività negoziale o per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale»: mentre dunque “manipola” il testo della norma nell’unico senso ritenuto possibile, essa rivolge un monito al legislatore affinché determini nuovi criteri per la costituzione delle rappresentanze sindacali titolari della tutela privilegiata di cui al titolo III, soffermandosi ad indicare persino alcuni possibili criteri (dalla rappresentatività misurata in base al numero degli iscritti all’associazione sindacale alla investitura dei lavoratori mediante elezioni nei luoghi di lavoro). Ciò vuol dire che la sentenza può essere considerata solo come una prima tappa verso la piena costituzionalità della norma, che potrà aversi a fronte di un intervento legislativo30.
Giustamente si è osservato31 che vi è nella sentenza una “incostituzionalità rimossa” e una soltanto “accertata”. Gli effetti, nel caso dell’incostituzionalità rimossa, sono stati puntualmente esplicitati nel dispositivo; nel caso della incostituzionalità accertata, ma non rimossa, la Corte formula alcune ipotesi di soluzione (del persistente problema di costituzionalità), affidate alla discrezionalità del legislatore, che, quindi, solo in quanto accolte, saranno parte dell’ordinamento giuridico positivo. L’impegno cui viene sollecitato il legislatore potrà essere assolto in modo minimale, individuando il rimedio per lo specifico vizio di incostituzionalità; ma potrebbe anche dischiudere una prospettiva più ambiziosa e complessa di una generale riforma della rappresentatività sindacale, non solo per selezionare i soggetti titolari dei diritti sindacali in azienda, ma anche per individuare chi è legittimato ad esercitare l’autonomia collettiva nel rispetto dell’art. 39 Cost.: una prospettiva verso cui la Corte non sembra essere del tutto indifferente32.
Tra i due “avvenimenti”, Protocollo d’intesa e sentenza della Corte, non vi sono connessioni dirette, ma entrambi costituiscono i tasselli di un mosaico in “ricomposizione”: il “sistema” sindacale post-contrattazione separata e rottura del caso Fiat. Soprattutto dopo la sentenza della Corte costituzionale, la questione dell’opportunità di un intervento legislativo su rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva è tornata ad occupare – come peraltro periodicamente accade – il dibattito politico-sindacale, sia pure con diverse sfumature ed accenti.
2.1 Rappresentanza e contrattazione: autonomia ed eteronomia
Dopo i primi trent’anni di sostanziale oblio, se non di rifiuto, dall’adozione della Carta costituzionale, il discorso sull’intervento legislativo negli ultimi trent’anni, per usare una periodizzazione grossolana, torna ciclicamente33.
Una legge così detta sulla rappresentanza sindacale oggi sembra ineludibile a molti ed è chiesta a gran voce da uno dei protagonisti della attuale stagione del diritto sindacale, se è vero che Fiat nel suo comunicato del 2.9.2013, lungi dal preannunciare “distensivamente” il riconoscimento della RSA di Fiom-Cgil, pone l’accento sull’ineludibilità di un intervento legislativo perché «la certezza del diritto in una materia così delicata come quella della rappresentanza sindacale e dell’esigibilità dei contratti» è una condicio sine qua non per la strada intrapresa in Italia (anzi, testualmente, «per la continuità stessa dell’impegno industriale di Fiat in Italia»). Si pone qui l’accento su un problema reale, cioè la tenuta degli accordi sindacali (espresso con la formula suggestiva della “esigibilità” dei contratti collettivi) che, tuttavia, difficilmente di per sé una legge sulla rappresentanza sindacale – in una situazione di radicale divisione del movimento sindacale, sconosciuta in altri Paesi – potrebbe risolvere, a meno che non si accompagni ad una limitazione del conflitto.
D’altra parte, con il Protocollo d’intesa del 31.5.2013, i principi di un nuovo assetto contrattuale quanto a soggetti, procedure, efficacia degli accordi sembrano finalmente scritti, tra l’altro in apparente aderenza ad un modello già conosciuto – quello del pubblico impiego –, sicché ad alcuni è parso che il vagheggiato intervento legislativo fosse lì a portata di mano: basterebbe riprendere i contenuti di questi accordi34.
Ma si tratta di una valutazione affrettata: appunto solo i principi – e non senza sbavature – sono scritti, demandandosi, come si è visto, la definizione di regole decisive (si pensi, ad es., alle modalità di consultazione dei lavoratori, prevista dal Protocollo d’intesa quale condizione aggiuntiva per l’acquisizione di efficacia generalizzata dei contratti) alla contrattazione nazionale.
E poi come si fa ad ipotizzare un intervento legislativo consacratore senza neppure una fase di sperimentazione? E dal momento che, in questo periodo di grandi sommovimenti, non è chiara nella realtà – ma, a ben vedere, neppure negli accordi – la struttura contrattuale, ed in particolare la posizione del contratto nazionale e del contratto aziendale?
Del tutto diversa è la situazione nel pubblico impiego. Venendosi da una disciplina autoritativa (la legge), era chiara e pressoché inevitabile – stante anche la peculiarità del datore di lavoro e delle regole che ne disciplinano l’azione – la struttura a due livelli con prevalenza del livello superiore costruito su comparti predefiniti. Non così per il settore del lavoro privato, dove pure la definizione dei comparti resta un problema aperto, lasciato (volutamente?) indefinito dallo stesso Protocollo d’intesa. In base al Protocollo, la misurazione della rappresentatività avviene nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro. Dunque, come è stato giustamente rilevato35, l’ambito di applicazione è invocato a monte per la definizione della rappresentatività, ma esso risulta tale solo a valle a seguito della stipulazione del contratto nazionale. Va da sé che la questione è solo apparentemente teorica, se si considera che già l’accordo del 22.1.200936 reputava necessaria una ridefinizione del sistema attraverso la riduzione, semplificazione o razionalizzazione del numero dei contratti nazionali. Viceversa, il Protocollo sembra presupporre un modello di sopravvivenza statica degli ambiti di applicazione contrattuale.
Anche questo appare un ostacolo alla realizzazione dell’ipotesi di una legificazione del contenuto del Protocollo. E ciò ancor prima di considerare la questione della sua compatibilità col quadro giuridico-costituzionale, su cui qualcuno ha già avanzato riserve37, e che, appunto, sarebbe prematuro affrontare.
2.2 Le implicazioni della sentenza della Corte
Tanto vale allora abbandonare facili suggestioni (“la soluzione è a portata di mano”) ed affrontare con pazienza l’analisi di come si sta componendo ad opera di svariati attori (dalla Corte costituzionale alle parti sociali, al legislatore storico, con l’art. 8 della l. n. 148) il quadro regolatorio delle relazioni industriali al fine di saggiarne elementi di coerenza ed incoerenza e da qui, forse, pervenire a più meditate conclusioni.
Bandolo della matassa è indubbiamente l’art. 19 st. lav. così come risultante dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013. Del resto, l’art. 19 st. lav. è sempre stato punto d’attacco privilegiato per chi intendesse affrontare qualsiasi discorso sulla democrazia e sulla rappresentanza sindacale, perché, come è stato giustamente osservato38, è qui che la legge seleziona, include ed esclude, al fine della attribuzione di una serie importante di prerogative funzionali alla presenza del sindacato in azienda e anche, sia pure indirettamente, alla contrattazione collettiva.
La Corte costituzionale ha mostrato di non credere alla prospettazione, fatta propria dalla difesa datoriale, circa la ragionevolezza dell’attribuzione della tutela privilegiata al sindacato che assuma la funzione di gestione responsabile del conflitto industriale: vale a dire la prospettazione per cui ben si giustifica il privilegio del sindacato che, stipulando il contratto applicato nell’unità produttiva, assume una concreta responsabilità contrattuale, giacché condivide il raggiungimento di un equilibrio che consente la composizione e la prevenzione del conflitto. Si tratta di una impostazione che, portata fino in fondo, implicherebbe un sindacato di merito sulle opzioni di politica sindacale perseguite, sulla giustificatezza del rifiuto della soluzione negoziale prescelta da altri attori; un sindacato confliggente con il principio stesso di autonomia e, dunque, di libertà contrattuale e sindacale.
Nell’ottica dell’ordinamento intersindacale, ben si comprende che determinati diritti e prerogative vengano attribuiti in funzione del mutuo riconoscimento e dello scambio negoziale (in sostanza, della adesione ad un determinato ordine contrattuale). Ma che l’ordinamento statuale riconosca diritti e prerogative in funzione della sottoscrizione di un contratto collettivo, dunque di una determinata composizione di interessi che dovrebbe essere lasciata alla libera determinazione delle parti, finisce per impingere nella stessa autonomia e dunque libertà sindacale. È quanto osserva la Corte quando parla di «una forma impropria di sanzione del dissenso, che innegabilmente incide, condizionandola, sulla libertà del sindacato in ordine alla scelta delle forme di tutela ritenute più appropriate per i suoi rappresentati»; con evidente vulnus «all’art. 39, primo e quarto comma, Cost. per il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione della organizzazione sindacale».
Quella libertà contrattuale che solo sbrigativamente la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 345/199639, aveva ritenuto non incisa dall’art. 19 st. lav., e solo perché si era in presenza di regole, non scritte, che rendevano i sindacati più rappresentativi componenti strutturali della contrattazione collettiva.
Dunque, come già rilevato, la Corte, nella nuova pronuncia, precisando «in coerenza con il petitum…e nei limiti di rilevanza della questione sollevata», dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 lett. b) nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita «anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda».
Qui interessa, non tanto soffermarsi sul punto se la Corte abbia rispettato, sia pure con la relatività con cui essa lo applica, il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dal momento che i giudici rimettenti ed in particolare il Tribunale di Modena, con l’ordinanza del 4.6.2012, replicata poi dalle altre ordinanze, prospettavano l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 perché esso, consentendo la costituzione di RSA alle sole associazioni firmatarie di contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, adottava un criterio che non teneva conto della «misurazione effettiva della rappresentatività e dell’accesso e partecipazione al negoziato» (dunque la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata sotto un doppio, congiunto profilo). E neppure sui problemi interpretativi e applicativi non trascurabili circa la nuova ulteriore porta di ingresso ai diritti sindacali (partecipazione «alla negoziazione» relativa ai contratti applicati nella unità produttiva «quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda»). Che cosa vuol dire, in mancanza di una disciplina legale del procedimento di contrattazione collettiva, «partecipazione alla negoziazione»? È sufficiente la presentazione di una piattaforma rivendicativa? E se il datore di lavoro, o l’associazione dei datori di lavoro, non ammette il sindacato alla trattativa?40
Interessa piuttosto interrogarsi sulla coerenza ed efficienza, o meglio sufficienza, del criterio entro il quale comunque resta irretita la Corte: quello che crea una connessione necessaria tra attività contrattuale e fruizione dei diritti sindacali di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori (e che, come sopra chiarito, è un criterio “di scarto” nella impostazione dello Statuto). Ora, è la stessa Corte a negarlo nel momento in cui si pone l’interrogativo dei possibili criteri per l’accesso alla tutela privilegiata di cui al titolo III «nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale». Sicché essa, da una parte, “manipola” il testo della norma nell’unico senso ritenuto possibile e, d’altra parte, rivolge un monito al legislatore affinché determini nuovi criteri per la costituzione di rappresentanze sindacali titolari della tutela privilegiata di cui al titolo III.
Vero è che la selezione legale dei soggetti abilitati a fruire dei diritti sindacali in azienda non può dipendere dall’esercizio della funzione di contrattazione collettiva. Come insegna anche l’esperienza comparata, essa è un prius e non un posterius rispetto all’attività contrattuale (anche se poi i soggetti possono, anzi auspicabilmente dovrebbero, pure coincidere). A ben vedere è la stessa Corte a postularlo, anche al di fuori dell’ipotesi “residuale” di mancanza di contratto collettivo per carenza di attività negoziale, in un passaggio – veramente enigmatico – in cui sembra prefigurare una sorta di diritto di trattare in capo al sindacato già rappresentativo, con conseguente applicazione, in caso di «non giustificato, suo negato accesso al tavolo delle trattative», della tutela dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.
Si tratta di un passaggio poco chiaro e probabilmente disinvolto, nella sua assolutezza, rispetto alle tradizionali acquisizioni, dal momento che, non essendovi una disciplina legale della contrattazione collettiva, non sono individuati i soggetti titolari di questo supposto diritto di trattare (ed il richiamo, contenuto nella giurisprudenza di legittimità, ad un eventuale “uso distorto” della libertà negoziale da parte del datore di lavoro appare per lo più clausola di stile41). Una disinvoltura che tuttavia appare chiaro indice del fatto che è la rappresentatività del sindacato il vero criterio di selezione, da cui potrà dipendere vuoi la fruizione dei diritti sindacali, vuoi, come avviene in tutti gli ordinamenti in cui è disciplinata la contrattazione collettiva, il diritto di partecipare alle trattative. Rappresentatività del sindacato che, comunque la misuriamo (privilegiando il criterio associativo ovvero quello elettorale), nelle valutazioni dell’ordinamento statuale nulla ha a che vedere con la, o almeno non può ridursi alla, stipulazione del contratto collettivo; mentre la continuativa partecipazione alla attività negoziale è uno dei tanti indici della maggiore rappresentatività42.
E non è un caso che il modello della RSA si sia poi inverato nella RSU, di cui sono chiamati a far parte tutti i sindacati dotati di una certa consistenza.
Quali conclusioni trarre da questa analisi? Se la sentenza della Corte costituzionale risolve il caso Fiat, non risolve in generale i problemi della regolamentazione legale della rappresentanza sindacale in azienda. Naturalmente se vi sarà una tenuta (e una ripresa) delle RSU, questi problemi, come è avvenuto fino ad un certo punto, potranno restare occultati: la disciplina convenzionale delle RSU è inclusiva anche dei soggetti che non sono partecipi del sistema contrattuale, potendo, come è noto, concorrere alle elezioni, non solo le associazioni firmatarie del contratto collettivo (nazionale) applicato nella unità produttiva, ma anche i sindacati sostenuti dal 5% dei lavoratori aventi diritto al voto.
E il Protocollo d’intesa del 31.5.2013 rende ancora più ampia l’inclusione attraverso l’indicazione che le RSU saranno elette con metodo proporzionale; indicazione per la verità ambigua, ma nella quale i primi commentatori43 sembrano cogliere la conferma della volontà, già espressa nell’accordo interconfederale del 21.11.2012, di abbandono del cd. terzo riservato.
Ma, come è a tutti noto, trattandosi di disciplina convenzionale, l’efficacia di questa disciplina si regge esclusivamente sulla convenienza di tutti gli attori ad aderirvi. Sicché non si possono fare pronostici sulla sua tenuta.
Ciò vuol dire che il problema della incoerenza della disciplina legale della RSA, già sottolineato – o quanto meno della sua insufficienza, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale – resta intatto.
Non è un caso che, anche all’indomani della pronuncia della Corte, siano stati presentati disegni o proposte di legge che rivisitano la disciplina legale delle RSA44, magari nell’ambito di disegni più complessi di regolamentazione della contrattazione collettiva e dell’efficacia del contratto collettivo. Va da sé che, in un sistema razionale e ordinato di relazioni collettive, non è concepibile che un sindacato acquisisca e mantenga un diritto pieno di cittadinanza solo “per condurre meglio la guerriglia dall’interno”45 e questo significa che sarebbe opportuno regolare insieme i diritti sindacali a livello aziendale e la contrattazione collettiva (e, in tale contesto, una vera razionalizzazione sarebbe rappresentata dall’adozione del doppio canale).
Ma se, per i motivi esposti, un intervento onnicomprensivo su soggetti, livelli e procedure della contrattazione collettiva pare allo stato velleitario e inattuale, sembra possibile e più a portata di mano un intervento mirato proprio sulle rappresentanze sindacali aziendali. Diverse proposte, tutte meritevoli di discussione, sono già state messe in campo: dalla legificazione della disciplina delle RSU46, alla definizione di un organismo elettivo aperto47, perfino al ripristino della lettera a) dell’art. 19 “rivisitata”48: una soluzione che, a dispetto della sua vetustà, ha il vantaggio di lasciare impregiudicata la questione degli assetti e della struttura della contrattazione collettiva (come già nell’impostazione originaria dello Statuto dei lavoratori).
Sembra però possibile ipotizzare una interrelazione tra la (attuale) disciplina delle RSA e il Protocollo d’intesa, se esso verrà attuato. Poiché il diritto alla partecipazione al procedimento di negoziazione sorge al raggiungimento della soglia del 5%, questa soglia segna anche il presupposto necessario per la costituzione delle RSA49. Tutto ciò comporta un’accentuata omologazione con il sistema previsto per il lavoro pubblico dall’art. 42, co. 2, d.lgs. n. 165/2001, per il quale «le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell’art. 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell’art. 19 e seguenti della legge 20 maggio 1970, n. 300».
Naturalmente tutto ciò varrà solo per le imprese aderenti alle associazioni firmatarie dei contratti attuativi: non varrà per le imprese aderenti ad associazioni diverse o non associate. Per queste imprese l’applicazione della sentenza avverrà “in presa diretta”50, cioè senza alcuna mediazione convenzionale in ordine alla rappresentatività sindacale, con tutti i problemi sopra segnalati.
1 Cfr. Magnani, M., Problemi vecchi e nuovi del diritto sindacale italiano, in AA.VV., Lavoro, istituzioni, cambiamento sociale. Studi in onore di Tiziano Treu, Napoli, 2011, I, 467 ss.
2 Cfr. Maresca, A., Il contratto collettivo nazionale di categoria dopo il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 707 ss., spec. 709 ss.
3 Ad iniziare dagli accordi del 22.1.2009 e del 15.4.2009, stipulati senza la sottoscrizione della Cgil, per poi proseguire con l’accordo interconfederale del 28.6.2011 sottoscritto da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, l’accordo del 21.11.2012 sottoscritto da Confindustria, Abi, Ania, Alleanza delle Cooperative italiane, Rete imprese Italia e Cisl, Uil e Ugl. L’ultima tappa è, appunto, rappresentata dal Protocollo d’intesa del 2013.
4 Così Maresca, A., Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. Lav.: connessioni e sconnessioni sistemiche, in AA.VV., La RSA dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, Adapt University Press, 2013, 18 ss.
5 Non è chiaro se essa sia un vero e proprio referendum: spetterà alle Federazioni il compito di chiarirlo, specificando altresì gli aventi diritto al voto, le procedure di votazione e la vincolatività o meno dell’esito: cfr. Tosi, P., Il protocollo Confindustria, CGIL, CISL e UIL del 31 maggio 2013, in Dir. rel. ind., 2013, 638 ss., spec. 641.
6 Come giustamente sottolineato da Carinci, F., Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), in Dir. rel. ind., 2013, 598 ss., spec. 612 ss.
7 Pubblicato in Riv. it. dir. lav., 2010, III, 329 ss. Sul tema dell’“esigibilità” del contratto collettivo, cfr., da ultimo, Viscomi, A., Prime note sul protocollo 31 maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 749 ss, spec. 771 ss.
8 Cfr. De Luca Tamajo, R., Accordo di Pomigliano e criticità del sistema di relazioni industriali italiane, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, 797 ss., spec. 806 ss.
9 Cfr., sulla cd. clausola di “responsabilità” contenuta nell’accordo Pomigliano del 15.6.2010, Magnani, M., Problemi vecchi e nuovi del diritto sindacale italiano, cit., 472 ss. Sulla tormentata storia delle clausole di tregua sindacale, Magnani, M., Contrattazione collettiva e governo del conflitto, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1990, 687 ss.; Id, Tregua sindacale, in Dig. comm., XVI, Torino, 1999, 136 ss.
10 Con tale precisazione le Parti firmatarie hanno inteso prendere esplicitamente posizione in merito alla valenza obbligatoria o normativa della clausola di tregua sindacale prevista, sottolineandone la natura meramente obbligatoria. Sul tema – e sugli equivoci che vi si annidano – cfr. Magnani, M., Contrattazione collettiva e governo del conflitto, cit., 705 ss.
11 Cfr. Carinci, F., Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), cit., 614; Marazza, M., Il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 c’è, ma la volontà delle parti?, in Dir. rel. ind., 621 ss, spec. 632.
12 Carinci, F., Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), cit., 614.
13 Cfr. Carinci, F., Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), cit., 608 ss.; Marazza, M., Il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 c’è, ma la volontà delle parti?, cit., 632. Contra, v. però, Viscomi, A., Prime note sul protocollo 31 maggio 2013, cit., 767 ss., sulla base della considerazione che il “voto proporzionale” era già previsto nell'accordo interconfederale del 20.12.1993 sia per la parte dei 2/3 (art. 18) sia per il terzo riservato (art. 2), sicché non sarebbe possibile, dalla sola menzione del metodo proporzionale, far discendere l’abolizione del terzo riservato.
14 Cfr. D’Antona, M., Il protocollo sul costo del lavoro e l’“autunno freddo” dell’occupazione, in Riv. it. dir. lav., 1993, I, 411 ss.
15 Cfr. Carinci, F., Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), cit., 608; Viscomi, A., Prime note sul protocollo 31 maggio 2013, cit., 763 ss.; De Rosa, M., Il rappresentante sindacale “transfugo” nel Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013, in Riv. it. dir. lav., 2013, III, 129 ss.
16 E l’esito della scommessa è tutt’altro che scontato essendo ora, dopo la sentenza n. 231/2013 della Corte Cost., abilitati a costituire RSA anche i sindacati che abbiano unicamente partecipato alle trattative: dunque la RSU non costituisce l’esclusivo veicolo di accesso ai diritti sindacali per i sindacati non firmatari di contratti collettivi applicati in azienda: cfr. Tosi, P., Il protocollo Confidustria, Cgil, Cisl e Uil del 31 maggio, cit., 639.
17 Così Trib. Roma, 13.5.2013, in Giur. it., 2013, 1604 ss., con nota di Tosi, P., L’esclusione della Fiom dalle trattative per il rinnovo del CCNL nel contesto dell’ordinamento sindacale di diritto comune, e in Dir. rel. ind., 2013, 771 ss., con nota di Panizza, G.B., Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e contrattazione separata nel settore metalmeccanico: tra ordinamento intersindacale e ordinamento statuale.
18 Tosi, P., L’esclusione della Fiom dalle trattative per il rinnovo del CCNL nel contesto dell’ordinamento sindacale di diritto comune, cit.
19 L’art. 19 st. lav. è stato oggetto di un numero considerevole di scrutini di legittimità costituzionale. Cfr. C. cost., 12.7.1996, n. 244, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 447 ss.; C. cost., 18.10.1996, n. 345, in Mass. giur. lav., 1996, 696 ss.; C. cost., 23.5.1997, n. 148, in Giur. cost., 1997, III, 1616 ss.; C. cost., 26.3.1998, n. 76, in G.U., 1998, serie speciale, 13. Sul testo originario della norma, cfr. C. cost., 6.3.1974, n. 54, in Foro it., 1974, I, 963 ss.; C. cost., 24.3.1988, n. 334, in Foro it., 1988, I, 1774 ss.; C. cost., 26.1.1990, n. 30, in Mass. giur. lav., 1990, 3 ss.; C. cost., 12.1.1994, n. 1, in Foro it., 1994, I, 305 ss.
20 Secondo il testo originario della norma l’unico sindacato cui fosse preclusa in radice la possibilità di costituire RSA ex art. 19 st. lav. era quello meramente aziendale.
21 Cfr. Giugni, G., La rappresentanza sindacale dopo il referendum, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1995, 357 ss.
22 V. in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 447 ss. con nota di Pera, G., Va tutto bene nella norma relativa alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali deliberata dal popolo sovrano?
23 Così Pera, G., Va tutto bene nella norma relativa alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali deliberata dal popolo sovrano?, cit., 447 ss.
24 Trib. Modena, 4.6.2012, pubblicata in Riv. it. dir. lav., 2012, II, 996 ss., con note di Bellocchi, P., e Caruso, B., e in Dir. rel. ind., 2012, 821 ss., con note di Leccese, V., e Bollani, A.
25 V. Trib. Vercelli, 25.9.2012, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, 996 ss.; Trib. Torino, 12.12.2012, in Argomenti dir. lav., 2013, 709 ss., e Trib. Melfi, 28.11.2012, in G.U., 2013, serie speciale, 34.
26 Garofalo, M. G., in Dell’Olio, M.-Garofalo, M.G.-Pera, G., Rappresentanze aziendali e referendum. Le opinioni di, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1995, 657 ss.
27 Cfr., fra le altre, Trib. Bologna, 27.3.2012, in Mass. Giur. Lav., 2012, 339 ss.
28 Così Trib. Modena, 4.6.2012, cit.
29 Ghera, E., L’articolo 19 dello Statuto, una norma da cambiare, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, 185 ss.
30 Così Mezzacapo, D., La dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 19 Stat. lav. alla luce dei nuovi dati di sistema e di contesto, in AA.VV., La RSA dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, cit., 68 ss.
31 Cfr. Maresca, A., Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. Lav.: connessioni e sconnessioni sistemiche, in AA.VV., La RSA dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, cit., 6 ss.
32 Così, esplicitamente, Maresca, A., Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. Lav.: connessioni e sconnessioni sistemiche, cit., 5.
33 Anche l’Associazione italiana di diritto del lavoro si è occupata, a più riprese, della necessità di un intervento del legislatore per la verifica della rappresentatività del sindacato, a partire dalle Giornate di Studio di Macerata del 1989 i cui atti sono pubblicati in AA.VV., Rappresentanza e rappresentatività del sindacato, Milano, 1990.
34 Cfr. Liso, F., La decisione della Corte costituzionale sull’articolo 19 della legge n. 300/1970, in www.federalismi.it; Vallebona, A., Rappresentanza: prime osservazioni sul protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil, in Dir. rel. ind., 2013, 649 ss.
35 Cfr. Viscomi, A., Prime note sul protocollo 31 maggio 2013, cit., 764.
36 Cfr. punto 19 ove si prevedeva l’obiettivo di «semplificare e ridurre il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro nei diversi comparti».
37 Tosi, P., L’esclusione della Fiom dalle trattative per il rinnovo del CCNL nel contesto dell’ordinamento sindacale di diritto comune, cit.; Prosperetti, G., Il Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013: come suggerire al legislatore l’applicazione dell’art. 39 Cost., in Mass. giur. lav., 2013, 438 ss.; Tursi, A., L’accordo del 31 maggio 2013 su rappresentatività per la stipula dei Ccnl: appunti in tema di rappresentatività, legittimazione negoziale, efficacia soggettiva e contrasto agli “accordi separati”, in Dir. rel. ind., 642 ss.
38 Bellocchi, P., Rappresentanza e diritti sindacali in azienda, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2011, 543 ss.
39 Vedila pubblicata in Mass. giur. lav., 1996, 696 ss.
40 Cfr. Ichino, P., Rappresentanze sindacali aziendali: la Corte costituzionale non risolve il problema, in www.pietroichino.it; Pessi, R., Rappresentanza e rappresentatività sindacale tra contrattazione collettiva e giurisprudenza costituzionale, in corso di pubblicazione in Dir. rel. ind., 2013; Mezzacapo, D., La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 19 St. lav. alla luce dei nuovi dati di sistema e di contesto, cit., 64 ss.; Lama, L., Sul concetto di negoziato rilevante ai sensi del “nuovo” art. 19 Stat. lav., in AA.VV., La RSA dopo la sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, cit., 121 ss.
41 Cfr. recentemente Cass., 10.6.2013, n. 14511.
42 Cfr. Giugni, G., La rappresentanza sindacale dopo il referendum, cit., 357 ss. e, più recentemente, Persiani, M., Ancora sul caso Fiat: eccessiva spericolatezza nel tentativo di soddisfare le aspettative sociali ovvero eccessiva prudenza nella fedeltà alla legge, in Giur. It., 2012, 1375 ss.
43 Cfr. Carinci, F., Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, St.), cit., 607 ss; Marazza, M., Il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 c’è, ma la volontà delle parti?, cit., 632 ss.
44 V. ad es. il d.d.l. n. 993, presentato al Senato il 5.8.2013 dai senatori Ichino ed altri; la proposta di legge n. 1376, presentata alla Camera il 18.7.2013 dal deputato Polverini.
45 Così Carinci, F., Il grande assente: l’art. 19 dello Statuto, in Argomenti dir. lav., 2012, 333 ss.
46 V. la proposta di legge n. 519, presentata alla Camera il 25.3.2013 dai deputati Damiano ed altri.
47 V. il d.d.l. n. 993, presentato al Senato dai senatori Ichino ed altri.
48 Pessi, R., Rappresentanza e rappresentatività sindacale tra contrattazione collettiva e giurisprudenza costituzionale, cit.
49 Ma anche sufficiente? Così, a quanto pare, Maresca, A., Prime osservazioni sul nuovo articolo 19 Stat. Lav.: connessioni e sconnessioni sistemiche, cit., 39; rileva invece che il negoziato è cosa diversa dal'ammissione alle trattative Lama, L., Sul concetto di negoziato rilevante ai sensi del "nuovo" articolo 19 Stat. lav., cit., 125 ss.
50 Cfr. Maresca, A., op. loc. ult. cit., 41.