Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nato verso la fine del Cinquecento come movimento religioso, il puritanesimo comincia ben presto a permeare tutta la società inglese. I re Stuart, impensieriti da questo successo, costringono molti dei simpatizzanti all’esilio. I suoi valori e la sua dottrina divengono, comunque, una delle principali basi ideologiche della rivoluzione. Il momento di massimo fulgore il puritanesimo lo raggiunge, dunque, proprio durante il periodo della rivoluzione inglese. Dal 1660, anno della Restaurazione, esso ricomincia a soffrire le persecuzioni che si inaspriscono sotto Giacomo II.
Puritanesimo tollerato: i Tudor
Il puritanesimo non è mai stato ristretto a una setta, può essere piuttosto considerato uno stato dello spirito che ha permeato varie congregazioni, religiose e non. Sviluppatosi in riferimento al pensiero zwingliano e calvinista, ha come elementi più importanti l’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, la necessità di un rapporto diretto con il Signore, l’idea della predestinazione e della giustificazione per fede, il rifiuto della Chiesa di Stato e la libera predicazione.
In seguito al rientro in patria di alcuni teologi della Chiesa anglicana che avevano trovato asilo in Svizzera durante il regno di Maria I Tudor, si fa sempre più pressante il richiamo ai veri valori di quella Riforma protestante che, adottata già da Enrico VIII con poca convinzione, era stata vieppiù snaturata nei suoi principi anche da Elisabetta I. Nel periodo elisabettiano, infatti, la nomina regia dei vescovi e il controllo rigoroso dei pulpiti, limitano fortemente l’idea protestante. La religione sembra incidere sulla vita del Paese solo in quanto strumento di controllo politico e sociale. Il potere accentrato e coercitivo delle autorità ecclesiastiche, contravvenendo in modo significativo a quello che è uno degli aspetti fondanti della stessa Riforma, tende ad annullare il valore che ha acquisito l’individuo nella prospettiva luterana e calvinista. Il puritanesimo, comunque, durante il regno di Elisabetta I, riesce a esprimersi senza incorrere in drastiche disposizioni governative. L’intelligenza politica della regina, la sua arte del compromesso e l’incombente pericolo spagnolo contribuiscono, infatti, a non esacerbare le rispettive posizioni.
Puritanesimo perseguitato: gli Stuart
Ben diversa è la situazione dopo la morte di Elisabetta I. Giacomo I Stuart e il figlio Carlo I, di fronte alla crisi d’instabilità provocata da una forte mobilità sociale e da una significativa ridistribuzione della ricchezza, reagiscono tentando di limitare i cambiamenti e di ripristinare l’antico ordine sociale. La loro politica, spesso realizzata da un manipolo di incapaci e arrivisti, rompe l’accordo con quelle forze economiche che durante il periodo elisabettiano avevano contribuito alla ripresa del Paese.
Il deteriorarsi dei rapporti tra i ceti produttivi e la corte, l’aggravio fiscale provocato dai provvedimenti regi, spesso incostituzionali, che divengono sempre più frequenti durante il regno di Carlo I, l’intervento della corona in materia economica, con la creazione di vari monopoli, sono tutti elementi che aumentano i disagi sociali, e questi finiscono per coincidere con i già gravi dissidi religiosi.
La forte connotazione presbiteriana dei puritani, unita al grande peso che vanno assumendo nella loro teologia la predestinazione e la giustificazione per fede, impensieriscono sempre più Giacomo I e Carlo I. Il timore di Giacomo I che “niente vescovo” significhi “niente re” va prendendo corpo. È chiaro quanto sia importante avere il controllo delle piazze facendo perno sui pulpiti e sull’unità dei fedeli all’interno di una sola grande Chiesa: il puritanesimo invece sta minando il sistema.
La Chiesa come organizzazione unificatrice va perdendo la sua presa a vantaggio dell’individuo; i puritani stanno snaturando il suo ruolo di mediatrice tra Dio e il fedele, professando la necessità che ogni uomo instauri un dialogo diretto con il Creatore. Bisogna arrivare a conoscere il proprio stato di grazia di fronte al Signore, e questo è possibile solamente per mezzo dell’introspezione.
Se l’uomo deve imparare a conoscersi, a conoscere Dio e la realtà quotidiana, deve però possedere gli strumenti per farlo. Perciò, per il puritano, l’assidua e attenta lettura della Bibbia costituisce l’esperienza culturale fondamentale. L’esigenza della lettura personale chiama in causa la capacità di leggere, che non può essere negata ad alcuno poiché tutti debbono avere la possibilità di ricorrere direttamente, senza intermediari, alla Verità delle Sacre Scritture.
Il controllo del sistema educativo e l’ideazione di un piano d’istruzione universale sono, dunque, tra le grandi preoccupazioni del puritanesimo che, a tale fine, investirà sempre rilevanti risorse intellettuali ed economiche. Si fa strada l’idea dell’uguaglianza; di fronte a Dio non esistono più distinzioni di classe o di ricchezza, ma questo implica il rifiuto di un sistema religioso gerarchizzato e coercitivo e, conseguentemente, il rifiuto della politica che domina quel sistema.
Motivi sociali e motivi religiosi cominciano a intrecciarsi fra loro e a diffondersi sempre più capillarmente, grazie all’intensa attività predicativa dei puritani che, in quanto “popolo dei santi”, sono convinti che sia loro dovere farsi portavoce della Parola di Dio.
Il controllo dei pulpiti passa nelle mani dei puritani, che dispongono di un numeroso corpo di predicatori capaci e convinti della propria vocazione, ai quali il clero incolto della Chiesa non è in grado di opporre valide alternative. L’arcivescovo di Canterbury, William Laud, di tendenze arminiane e filocattoliche, in accordo con Carlo I, decide allora di seguire la linea dell’intransigenza e molti predicatori puritani, perseguitati con sempre maggiore veemenza, sono costretti all’esilio.
Nel 1620 un nutrito gruppo di puritani, rifugiati già da dodici anni a Leida, emigrano, a bordo del Mayflower, verso la Nuova Inghilterra, dove fondano una comunità. Solo nel 1630, però, a seguito dei provvedimenti regi, queste emigrazioni si faranno più frequenti; e il viaggio assume una valenza simbolica.
I predicatori, nonostante le numerose interdizioni, divengono sempre più numerosi. Sovvenzionati direttamente dalle collettività presso le quali operano, anche se perseguitati dall’autorità regia, trovano facilmente una differente occupazione grazie all’oramai strutturata organizzazione puritana. Molti hanno piena coscienza del fatto che le istanze religiose procedono di pari passo con quelle politico-economiche e che la battaglia può essere condotta sotto il baluardo puritano. I mercanti e i ceti produttivi della piccola borghesia capiscono che sostenendo quelle posizioni e puntando sulla vittoria del presbiterianesimo è possibile modificare lo status quo. Il popolo di poveri e di diseredati, d’altro canto, acquisisce finalmente una propria dignità e la consapevolezza che la nobiltà non è portatrice di uno stato di grazia: i puritani spiegano che nella società cristiana voluta da Dio tutti debbono godere degli stessi diritti.
Puritanesimo politico: la rivoluzione e Cromwell
Quando nel 1629 Carlo I scioglie d’autorità il Parlamento, senza più convocarlo per undici anni, si approfondisce ulteriormente lo scarto tra le forze produttive del Paese e la corte. Nel 1640, agli esordi di quella che passerà alla storia come rivoluzione puritana per alcuni, rivoluzione borghese per altri, il re commette l’ennesimo errore: nel tentativo di imporre il proprio controllo sulla Chiesa riformata scozzese provoca una reazione armata: la prima guerra dei vescovi durante la quale Carlo I si scontra con i membri aderenti al Covenant, un patto solenne per la difesa della religione riformata.
Segue un periodo di profonda crisi. Nell’aprile del 1640 il re, per reperire i fondi necessari a pagare l’esercito, convoca il Parlamento e quando quest’ultimo non acconsente alle sue richieste lo scioglie nuovamente (Corto Parlamento). La Scozia nel frattempo occupa alcune città inglesi; il potere regio vacilla e Carlo I è costretto a convocare di nuovo il Parlamento. Il 3 novembre 1640 si riunisce quello che verrà chiamato il Lungo Parlamento e da questo momento, sino al 1660, protagonisti della politica inglese saranno i puritani, che contano tra le forze parlamentariste numerosi seguaci.
Le dottrine teologiche e le istanze sociali ed economiche entrano a far parte di uno stesso programma. L’uguaglianza davanti al peccato diviene uguaglianza degli uomini di fronte alla legge, la libertà di coscienza si trasforma in libertà costituzionale. Ma ciò causa, anche, un processo di disgregazione: si forma un numero sempre maggiore di congregazioni e ognuna con un proprio teorico. Quelle più radicali reclamano riforme sociali di spirito democratico e una totale libertà religiosa, ma per i moderati presbiteriani ciò costituisce il primo passo verso l’anarchia e l’anomismo. Oliver Cromwell riesce a tenere in equilibrio le forze in campo, ma alla sua morte si assiste al crollo di quel puritanesimo che già da tempo si era trasformato da movimento religioso in movimento politico. I moderati favoriscono così, per paura dell’opposizione radicale, la restaurazione monarchica, chiamando sul trono Carlo II, figlio del re decapitato.
Il nuovo Parlamento - detto il Parlamento dei Cavalieri - fortemente episcopalista, sembra dimenticare l’aiuto ricevuto, nei momenti cruciali, dai puritani moderati e convince Carlo II a promulgare l’ Atto di uniformità . Si torna alle persecuzioni che, inaspritesi sotto Giacomo II, dureranno sino al 1688.
Con il periodo della Restaurazione finisce una grande paura, ma il puritanesimo non scompare nel nulla. Ha lasciato in eredità esigenze di giustizia e di libertà, politica e religiosa, che non saranno più dimenticate. E se ne giova anche il mondo della cultura, non solo scientifica.