Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Quando nel 1942 Mussolini progetta la grande esposizione per celebrare il XX anniversario della nascita del regime, Marcello Piacentini, responsabile dell’architettura e dell’urbanistica, ottiene l’incarico di costruire l’“E 42”: il progetto che rappresenterà l’apogeo dell’architettura fascista. Ancora oggi tutti gli esperti internazionali ritengono quell’episodio la fine dell’architettura moderna italiana.
L’occasione
La Roma fascista è stata oggetto di varie trasformazioni architettoniche e urbanistiche, quasi tutte compiute in modo da valorizzare i siti archeologici esistenti e testimoniare la grandezza del rinnovato impero. Se si esclude il progetto per il Palazzo Littorio, respinto per la sua eccessiva modernità, vengono realizzate due assi di grande prestigio: via dei Trionfi e via dell’Impero. La nuova città universitaria viene portata a termine con successo, e così gli impianti sportivi del Foro Mussolini. Per lo più si tratta però di interventi isolati all’interno del centro storico. Ciò che manca è un’occasione di urbanistica e architettura che qualifichi l’espansione della città, facendo della capitale l’immagine esemplare del regime fascista. Nel 1936, da questa necessità, nasce l’idea di una Grande Esposizione, da tenersi nel 1942 per celebrare il ventennale del fascismo. Al termine dell’esposizione il nuovo quartiere sarebbe dovuto divenire il modello simbolo della Roma fascista e imperiale.
Dopo vari sopralluoghi Mussolini stabilisce l’ubicazione
dell’Esposizione, rianimando con la sua decisione le antiche aspirazioni di una Roma proiettata verso il mare e affermando contemporaneamente l’idea dell’egemonia italiana sul Mediterraneo. Il nuovo quartiere imperiale sarebbe infatti sorto a sud di Roma in zona Tre Fontane, e si sarebbe sviluppato verso l’antica Ostia, lungo la spina di via dell’Impero che parte da piazza Venezia, il nucleo romano-fascista del centro storico.
Per la realizzazione dell’Esposizione del 1942, la cui sigla ufficiale diventa presto “E 42”, viene istituito un ente autonomo che incarica gli architetti, Giuseppe Pagano, Marcello Piacentini, Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti, di progettare un piano generale. Tale gruppo, anche se non omogeneo, è decisamente moderno, vale a dire vicino al movimento razionalista. I suoi due personaggi decisivi, Marcello Piacentini e Giuseppe Pagano, hanno già collaborato in diverse occasioni, come ad esempio per la città universitaria, conciliando le loro posizioni di razionalista della prima ora (Pagano) e di accademico “convertito” a un razionalismo di impronta classico-monumentale (Piacentini). Nel marzo del 1937 i cinque architetti presentano un progetto di massima che verrà approvato da Mussolini e pubblicato su diverse riviste d’architettura. Il nuovo quartiere si innalza su una superficie di 400 ettari ed è “appeso” a via dell’Impero in modo tale che quest’ultima faccia da asse specchiante per l’impostazione dell’impianto stradale quasi perfettamente simmetrico e alleggerito ai margini da un andamento ondulatorio delle strade, effetto che nasce dall’esigenza di adattabilità alle caratteristiche topografiche.
Osservando gli schizzi che accompagnano il primo piano regolatore, si nota innanzitutto il sovradimensionamento del piano generale; infatti, via dell’Impero si è ora trasformata in un’autostrada sopraelevata di una larghezza di più di 100 metri, che attraversando un lago artificiale si dirige verso il Palazzo della Luce, mentre i palazzi dell’Esposizione sono degli imponenti grattacieli di vetro e acciaio di 35 piani. L’intero scenario evoca le visioni urbanistiche di Hilbersheimer o di Le Corbusier, ed è inutile dire che un tale piano non poteva essere realizzato, non solo perché le condizioni economiche in tempo di guerra non avrebbero mai potuto permettere costruzioni in acciaio (materiale raro e costoso), ma anche perché questo primo piano regolatore non è in grado di soddisfare Mussolini nella sua ricerca di uno “stile fascista”. In un rapporto dell’Ente dell’E 42 viene spiegato più esplicitamente il compito che l’architettura avrebbe dovuto svolgere nel nuovo quartiere imperiale: “L’Esposizione di Roma tenderà a creare lo stile definitivo della nostra epoca: quello dell’anno XX dell’era fascista: lo stile ‘E 42’. Ubbidirà a criteri di grandiosità e monumentalità”.
Di conseguenza Marcello Piacentini, al vertice della sua potenza politica grazie alle sue relazioni con il governo e con il sindacato degli architetti fascisti, viene incaricato della revisione del piano presentato, divenendo così guida del gruppo, mentre prima tutti i membri godevano di pari diritti. Il nuovo piano del 1938 si presenta in veste decisamente diversa: lo schema si irrobustisce e dà spazio a una simmetria rigida basata sempre sull’asse simmetrica di via dell’Impero, il cui compito però è cambiato. Se il primo progetto prevedeva una gigantesca autostrada sopraelevata, un asse di scorrimento, ora questa si trasforma in un asse di prestigio lungo il quale si sviluppa, successivamente, un sistema di piazze gigantesche, pronte ad accogliere le parate militari fasciste. Il piano di Piacentini, monumentale e accademico allo stesso tempo, assicura a ogni asse una prospettiva e a ogni piazza un suo fondale. Queste caratteristiche dello schema revisionato conferiscono al quartiere dell’esposizione la monumentalità necessaria e adatta alla rappresentazione di un nuovo centro fascista di Roma.
Lessico più che architettura: l’omologazione
Per alcuni degli edifici espositivi vengono banditi dei concorsi nazionali, ai quali partecipano i migliori architetti delle nuove generazioni. Il risultato è sorprendente, in quanto tutti i progetti si somigliano in modo preoccupante: largo uso di archi e colonnati, simmetrie e volumi chiusi degli edifici, rigorosamente rivestiti di marmo, travertino o granito. Le torri di vetro del primo progetto spariscono e lasciano il posto a edifici pesanti che ripetono gli stereotipi della classicità in chiave fascista. Piacentini, che assume la totale responsabilità della progettazione architettonica e dunque è presente nelle giurie dei concorsi, chiede agli architetti di costruire edifici “nelle masse e nelle linee ardite e grandiose dell’architettura romana, in un sentimento classico e monumentale”. I progettisti si piegano alle volontà di Piacentini e le diverse posizioni dell’architettura italiana appaiono, così, ormai annullate.
Gli architetti italiani di ogni tendenza, impegnati nella ricerca dell’autentico stile fascista, si lasciano alle spalle l’individualismo a favore di un’architettura in grande scala, un’architettura di regime che si basa sul semplice ragionamento che colonne, archi, simmetria e monumentalità, il tutto rigorosamente rivestito in materiali puramente “italiani”, erano i soli elementi capaci di creare uno vero “stile E 42”, lo stile imperiale voluto da Mussolini. L’architetto Ludovico Quaroni, anch’egli impegnato con archi e colonne nella costruzione del centro imperiale di Roma, ricorda a proposito del nuovo conformismo architettonico: “Il punto determinante è che s’era capito, da come andavano le faccende, che qui o si faceva una cosa che piaceva a Mussolini, oppure non si vinceva. E siccome in quel momento avevamo voglia di vincere, abbiamo scelto questa strada”.
Lo stile omologato degli architetti suscitava le polemiche di Giuseppe Pagano, membro del gruppo per il primo progetto del quartiere espositivo, il quale critica duramente il classicismo piacentiniano, consistente in “grandi spazi” e “grandi colonnati” che peccano però in “chiarezza e onestà logica” della costruzione.
Due edifici in particolare sono divenuti i simboli rappresentativi del quartiere E 42: il Palazzo della Civiltà Italiana e il Palazzo dei Ricevimenti e Congressi, collocati l’uno di fronte all’altro come fondale della prima trasversale di via dell’Impero. Il concorso per il primo palazzo viene vinto dagli architetti Giovanni Guerrini, Ernesto B. La Padula e Mario Romano, che presentano un cubo perforato da 416 archi distribuiti uniformemente sui quattro lati, creando così una drammaturgia di luci e ombre vicina alla pittura metafisica di Giorgio de Chirico. Il vincitore del concorso per il Palazzo dei Ricevimenti e Congressi sarà invece Adalberto Libera il cui progetto si caratterizza per il fatto che avrebbe potuto “contenere esattamente il Pantheon di Roma”, in un ideale rapporto con l’architettura romana. Alla fine però si realizzerà un’altra versione dell’edificio, in cui l’architetto rinuncia alla soluzione della pianta circolare a favore di un parallelepipedo. Nel nuovo Palazzo dei Ricevimenti e Congressi di Libera lo spirito moderno riesce comunque a entrare, sebbene per così dire dalla porta posteriore, grazie all’uso di grandi vetrate. Si tratta di due curtain wall che esprimono tutto il fascino del linguaggio del movimento moderno internazionale, anche se per ovvie ragioni l’architetto credette opportuno smussare in qualche modo la loro originalità. Così la vetrata anteriore, che doveva affacciarsi sulla piazza antistante, verrà nascosta dietro a uno smisurato colonnato improntato al più classico stile fascista.
A causa della guerra, la Grande Esposizione non avrà luogo. Il centro imperiale di Roma era pronto, ma il destino dell’Impero fascista era segnato. Al termine del secondo conflitto mondiale il quartiere sarà denominato semplicemente EUR (Esposizione Universale di Roma), e vari interventi (come gli impianti sportivi per le Olimpiadi del 1960) tenteranno di attenuarne il carattere eccessivamente monumentale, ancora oggi palpabile dal visitatore.