Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il secolo XV, in Francia, si prospetta come quello dell’affermazione dell’identità di un popolo che forza la dinastia a superare le sue angustie e le sue debolezze risolvendo la centenaria guerra con gli Inglesi, definitivamente cacciati dalla massima parte del Regno. Se l’emblema della nuova Francia popolare è Giovanna D’Arco, la risposta della monarchia, dapprima con Carlo VII, poi con Luigi XI non è meno vigorosa. Viene portata a compimento, sia pure con il decisivo aiuto militare degli Svizzeri, la dissoluzione della Borgogna di Carlo il Temerario, che ne minacciava il confine orientale, e con il nuovo sovrano Carlo VIII si prepara l’impresa italiana.
Armagnacchi e Borgognoni
La morte di Carlo V, nel 1380, e la minorità del figlio, il futuro Carlo VI, il quale, una volta salito al trono, è gravemente colpito da turbe psichiche che gli impediscono di governare, minacciano l’autorità della monarchia francese, perché il potere cade nelle mani dei principi di sangue reale, che sono grandi feudatari.
Fra i nuovi signori della Francia, le due personalità di maggiore rilievo politico si dimostrano il duca d’Angiò, Luigi I, e quello di Borgogna Filippo l’Ardito. Il successivo trentennio è dominato dal contrasto fra i due partiti, quello angioino, detto anche armagnacco, e quello borgognone, che ai primi del Quattrocento esplode in una guerra civile. Approfittando della crisi e della debolezza in cui si trova la potenza francese, il sovrano inglese, nel 1415, riprende il conflitto con la Francia, dilagando nel nord-est del territorio francese. La riscossa francese sopraggiunge quando, nel 1420, alla monarchia non restano che i territori a sud della Loira, e si accompagna alle reazioni dei ceti popolari e borghesi all’occupazione britannica.
Successivamente, dal cuore delle campagne francesi, tra Champagne e Lorena, emerge, nel 1428-1429, la figura di Giovanna d’Arco. La “pulzella” ispira e guida le sue milizie, formate in gran parte da contadini, in soccorso di Orléans, assediata dagli Inglesi. Giunta al cospetto del re Carlo VII, riesce a persuaderlo a recarsi con lei a Reims, dove il sovrano viene incoronato e riceve la sacra unzione. Le sorti della guerra volgono a questo punto a favore dei Francesi, anche dopo che Giovanna viene catturata dai Borgognoni e condannata al rogo dagli Inglesi, ai quali viene consegnata. La vicenda di Giovanna identifica il nuovo sentire popolare, esprime l’unione di intenti che si realizza nel Paese e mostra l’emergere dello spirito nazionale. Questa consapevolezza scatena nei Francesi una grande forza di rivalsa nei confronti degli Inglesi, di cui il sovrano diventa l’interprete. Nel 1433, riesce a rompere l’alleanza tra Inglesi e Borgognoni con il trattato di Arras. Quattro anni dopo rientra a Parigi e nel 1453 caccia gli Inglesi dal suolo francese, con la sola eccezione di Calais che rimane inglese fino al 1559.
Dopo la guerra con gli Inglesi
Nessun trattato di pace pone fine alla guerra e il sovrano inglese Enrico VI (1421-1471) continua a intitolarsi re di Francia e d’Inghilterra, sicché il casus belli rimane sull’orizzonte dei due Paesi.
Si sono affrontati due modelli di Stato, due possibili tipi di sviluppo civile con i loro interessi e i loro orientamenti politici. Un punto importante del conflitto è stato la minaccia portata sulle Fiandre, al cui controllo la Francia mira da più tempo. Se le aspirazioni della rinsaldata potenza francese si realizzeranno, sia l’importazione delle lane inglesi nelle Fiandre, sia le manifatture fiamminghe potranno risentirne, dati gli interessi francesi nel settore, con gravi conseguenze per i due Paesi. Per il momento, tuttavia, lo scioglimento del nodo anglo-francese ha altresì comportato un risultato da lungo tempo preparato, come la formazione del dominio borgognone sulle frontiere francesi, a settentrione e a oriente. Con la pace di Arras la Francia ha infatti riconosciuto l’indipendenza dello Stato borgognone-fiammingo, che frena i tentativi di espansione verso Oriente della potenza francese.
Il conflitto con la Borgogna diventa, perciò, il nuovo obiettivo della monarchia dei Valois, proprio mentre, in Italia, la Francia ha perso importanti posizioni, poiché gli Aragonesi, con Alfonso il Magnanimo (1396-1458), non solo dominano la Sicilia, ma hanno anche conquistato il Regno di Napoli, mettendo insieme una costellazione di Stati – che costituiscono la compagine aragonese – che egemonizza il Mediterraneo centro-occidentale, escludendo i Francesi dall’area mediterranea. Inoltre, il Ducato di Savoia, che si muove nell’orbita imperiale, si è rafforzato e costituisce un nemico del confinante Ducato di Milano, alleato dei Francesi.
Carlo VII riorganizza dalle fondamenta le istituzioni dello Stato francese, che dota di un esercito permanente, grazie alle compagnie d’ordinanza, a partire dal 1445. Egli mette insieme le ingenti risorse economiche necessarie alla realizzazione di questa riforma attraverso la formazione di un razionale sistema di imposizione fiscale fondato, oltre che su imposte e gabelle, sulla taille, che determina la nascita dell’obbligo personale di contribuzione fiscale nei confronti dello Stato. Anche nei confronti della Chiesa il sovrano riprende la politica di intromissione negli affari ecclesiastici già esercitata da Filippo IV, creando la Chiesa gallicana, che viene riconosciuta dalla Prammatica Sanzione di Bourges, nel 1438. Vi si mettono in evidenza gli abusi del papato e viene affermata la dottrina conciliarista, che afferma la superiorità del concilio sul papa e la possibilità che i vescovi e gli abati vengano liberamente eletti, rispettivamente, dai capitoli diocesani e dai monasteri. Viene abolito, altresì, l’obbligo di inviare a Roma contributi finanziari in relazione alle nomine ecclesiastiche; è inoltre sancita la limitazione degli effetti delle scomuniche e degli interdetti lanciati dalla Chiesa di Roma. Il documento di Bourges viene contestato dal papato e fatto oggetto di ripetute intromissioni da parte di rappresentanti pontifici presso la corte francese, come nel caso di Francesco di Paola. Si tratta di una ripresa della politica di intervento dello Stato francese negli affari della Chiesa ma, dopo il concilio di Costanza, il papato su sollecitazione anche dell’imperatore viene riportato a Roma, spogliando la Chiesa francese dell’influenza che può esercitare sul soglio pontificio.
La guerra contro i feudatari e la Borgogna
Nel 1461, il nuovo sovrano, Luigi XI , riprende la politica di accentramento del potere nelle mani del sovrano e, con la guerra della Lega del bene pubblico, sconfigge la coalizione di grandi feudatari francesi che gli si oppongono. Il re si appoggia sempre più sulla borghesia urbana di cui accresce i privilegi e amplia, a spese della grande feudalità francese, il suo dominio diretto sul territorio metropolitano, annettendo l’Angiò, il Maine e la Provenza. Egli si convince altresì che l’origine delle attuali difficoltà della Francia è costituita dalla presenza sul confine orientale della nuova e potente realtà borgognona, che sollecita, negli anni Sessanta, ancora una volta, pretese inglesi sul suolo francese.
È per queste motivazioni che Luigi XI avvia le operazioni belliche contro la Borgogna, il cui sovrano, Carlo il Temerario , sviluppa un disegno politico espansionista che mira alla conquista della Valle del Reno, isolando la monarchia francese rispetto all’impero tedesco. Al conflitto franco-borgognone prendono parte anche l’impero, le leghe dei cantoni svizzeri e il Ducato di Savoia. Luigi XI riesce, però, a impedire che i Borgognoni riprendano l’alleanza con l’Inghilterra. Nella successiva battaglia di Nancy del 1477, gli Svizzeri uccidono Carlo il Temerario. Con lui va in frantumi l’apparato statale di cui è stato alla guida, poiché la Francia ottiene con il trattato di Arras, nel 1482, il Ducato di Borgogna e la Piccardia; il resto dei territori, e cioè le intere Fiandre, passano agli Asburgo, come conseguenza del matrimonio della figlia del Temerario Maria di Borgogna con Massimiliano d’Asburgo, futuro imperatore.
Legisti e diritto comune
Alla fine del XIV secolo la vita civile europea ha fatto emergere una realtà formata da più ordinamenti, che convivono e si sovrappongono, sul fondamento dei diritti germanici, locali e particolari, del diritto romano, di quello canonico e di quello feudale. In questo panorama pluralistico, in cui si inserisce anche la Francia, viene rilanciato il diritto romano, che si afferma sia sul piano del diritto pubblico e della sovranità, sia sul piano del diritto privato e della vita civile.
Nasce allora lo ius comune, che si fonda sulla risistemazione romanistica, a base scientifica, di norme e principi, istituti e negozi, obbligazioni e diritti, procedure e sanzioni che riguardano tutto il complesso della vita civile. Non si determina un sistema ordinamentale vero e proprio e non si tratta nemmeno del frutto di un’attività legislativa. Le “glosse” e i “commenti” elaborati dai maggiori giuristi lo adattano alle esigenze di una società e di una vita che si differenzia da quelle del passato. La pluralità degli altri diritti continua a sopravvivere, in particolare nella Francia settentrionale.
Tra il 1430 e il 1480, Carlo VII e soprattutto Luigi XI assecondano l’elaborazione del diritto comune, frutto dell’attività dei legisti, per affermare il carattere assoluto e di origine divina della monarchia francese. Il primo sovrano raccoglie tutte le consuetudini del regno, il secondo opera addirittura una codificazione unica, ma la sua attuazione non riesce a estendersi in tutto il regno e la Francia resta divisa tra la zona del diritto romano, a sud, e quella del diritto consuetudinario, a nord. Altro elemento, che interviene a caratterizzare tutto il Paese, è l’istituzione del parlamento, che nasce, a Parigi, intorno alla metà del XIV secolo, quando grazie a un’ordinanza reale viene reso permanente un organismo costituito da giuristi che si specializza, su nomina reale, in questioni giudiziarie che riguardano i rapporti tra il sovrano e le giurisdizioni feudali ed ecclesiastiche. A metà del Quattrocento, questi organismi vengono estesi a tutte le grandi province del regno (a Tolosa, a Grenoble, a Bordeaux, a Digione), ma tutti i parlamenti provinciali sono sottoposti a quello di Parigi.
Successivamente, Luigi XI riconosce al Parlamento il diritto di presentare rimostranze al re. Il Parlamento, dunque, è un organismo giudiziario e amministrativo che ha come compito essenziale quello di regolare e sciogliere i contrasti fra le diverse giurisdizioni e di registrare gli atti e i decreti del re, compiendo rimostranze quando, a giudizio dello stesso Parlamento, questi atti non sembrano consoni con la tradizione giuridica del regno.
Dal punto di vista giudiziario il Parlamento è un organo di prima istanza per le cause che riguardano il sovrano e la feudalità, e di seconda istanza per quelle giudicate in prima istanza dai giudici dei baliaggi. Quanto agli Stati Generali essi hanno svolto un percorso politico diverso, nel corso del secolo. Con Carlo VII essi vengono convocati ogni anno e costituiscono una manifestazione di volontà di collaborazione tra il sovrano e le grandi forze sociali del regno. Nell’età di Luigi XI, durante i 20 anni del suo regno, la convocazione degli Stati Generali diviene saltuaria, poi, con Carlo VIII, cessa del tutto.