Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia degli Stati della penisola iberica nel XV secolo è contrassegnata, in politica interna, dalla tendenza al riavvicinamento tra almeno due delle tre compagini statali che costituiscono il sistema degli Stati cristiani. Tale avvicinamento è sancito dal matrimonio di Isabella di Castiglia e di Ferdinando II di Aragona (1469). Il regno di Portogallo della nuova dinastia Aviz, invece, tenta senza esito la strada del rinnovato conflitto con la Castiglia, ma buona parte delle sue energie si concentrano nella straordinaria vicenda che vedrà lo Stato lusitano artefice di una delle grandi imprese della scoperta del mondo, con la circumnavigazione dell’Africa e la nuova via aperta al commercio delle spezie (1497). Nel solco lusitano si muove, a ben vedere, anche la monarchia castigliana, che affida a Colombo l’opportunità di operare una svolta nella storia del mondo (1492).
Il Regno d’Aragona
Nel Regno d’Aragona con la prevista estinzione della dinastia catalana, nel 1410, la successione appare travagliata e viene regolata col compromesso di Caspe (1412), sulla base del quale la corona d’Aragona, dopo l’estinzione della dinastia catalana passerà a Ferdinando I, figlio cadetto della casa regnante di Castiglia. È sotto la dinastia dei Trastámara, che, alla metà del secolo XV, con Alfonso V l’Aragona raggiunge la sua massima espansione, aggiungendo in Italia il Regno di Napoli alle conquistate isole di Sicilia e Sardegna.
Del resto l’incapacità in cui si ritrova la Catalogna di imporre sul trono aragonese un proprio candidato testimonia le difficoltà della regione a mantenere il ruolo dinamico e direttivo che ha avuto fino ad allora, difficoltà che non sono di ordine economico – infatti la vitalità mercantile di Barcellona appare in espansione – quanto di ordine politico. Con il compromesso di Caspe la classe dirigente aragonese prende il sopravvento su quella catalana. Questo perché le cortes catalane si sono rifiutate di intervenire per salvare la compagine aragonese dalla perdita della Sardegna e della Sicilia, con la motivazione che toccava al monarca e non al Parlamento la difesa degli interessi generali dell’Aragona. Come conseguenza la classe dirigente aragonese riesce a imporre una maggiore partecipazione delle sue rappresentanze al governo del Paese e una maggiore considerazione dei suoi interessi, non proprio conformi a quelli catalani. Gli organi di rappresentanza degli ordini sociali aragonesi, nelle loro varie componenti raggiungono, dalla fine del secolo XIII in poi, un notevole rilievo e nel secolo XV si rivelano tra i protagonisti della vita politica e istituzionale, cosa che solo in piccola parte può dirsi per gli altri reami spagnoli.
Se in Inghilterra il parlamentarismo sembra affermarsi già dagli inizi del secolo XIII, come conseguenza dei rapporti di forza determinatisi tra la monarchia e i suoi interlocutori, nell’ambito aragonese prende forza, invece, un principio di base che caratterizza i rapporti tra la monarchia e il paese, fondato sulla salvaguardia delle tradizioni e dei diritti delle varie parti della compagine statale. È questo il pactismo che conferisce all’esperienza aragonese un notevole interesse storico, rinvigorito dallo sforzo di amalgama di quei paesi che rende possibile la coesione attorno agli organi centrali del governo, rappresentati dalla corte del re.
Il Portogallo degli Aviz e la Castiglia
Alla fine del Trecento, lo Stato portoghese attraversa una grave crisi dinastica, poiché Ferdinando I muore nel 1383 senza lasciare successori in linea maschile e la figlia Beatrice è sposata a Giovanni I di Castiglia alleato della Francia. La soluzione che si prospetta a questa empasse dinastica provoca una lacerazione nella società portoghese, in quanto la feudalità si mostra favorevole alla soluzione castigliana, ma i ceti urbani che si sono sviluppati propendono per una soluzione nazionale, scegliendo come proprio candidato Giovanni, imparentato con il sovrano defunto, gran maestro dell’ordine di Aviz. Alla fine le cortes di Coimbra lo designano come sovrano e Giovanni I inizia la sua politica, scontrandosi con i Castigliani e alleandosi con gli Inglesi, attraverso il trattato di Windsor (1385). Il nuovo sovrano si appoggia sulla parte più dinamica della società portoghese e vede nelle attività marittime una delle componenti più importanti della politica lusitana. In Portogallo, infatti, la corona indirizza già nel 1289 a suo vantaggio le difficoltà con la Chiesa; quelle con l’aristocrazia vengono sciolte solo agli inizi del secolo XV e si costituisce una feudalità più omogenea e più fedele ai sovrani portoghesi. La parte più riottosa si è rifugiata presso i sovrani di Castiglia, dove le grandi contese dinastiche fra il ramo legittimo della casa regnante e quello del ramo bastardo dei conti Trastámara si intrecciano con l’ostilità nei confronti della corona, ma anche con il conflitto anglo-francese. Risolto il problema dinastico a favore di Enrico Trastámara, negli anni seguenti si delinea sempre più chiaramente il primato della Castiglia, rallentato solo dalle difficoltà che lo Stato deve affrontare al suo interno.
Scoperte geografiche e conquiste portoghesi
Le scoperte geografiche trovano il loro momento di avvio nel processo di transizione fra Medioevo ed età moderna. C’è da chiedersi, in via preliminare, quali siano state le ragioni che hanno visto i protagonisti di questa grande stagione, Portogallo e Spagna in primo luogo, investire grandi risorse in queste avventure sui mari del mondo. Una prima risposta può giungere dalla tecnica, poiché nel corso del Quattrocento si assiste a una serie di innovazioni nell’arte e negli strumenti di navigazione che segna una vera e propria rivoluzione nel settore.
Fin dal tempo di Alfonso IV, le navi portoghesi hanno raggiunto le Canarie e nei portolani della seconda metà del Trecento sono indicate Madeira e le Azzorre. In realtà l’avvio di tale formidabile iniziativa sembra avere un carattere strettamente politico-religioso: lo spirito di crociata verso i musulmani che abitano in Marocco. Tuttavia all’impresa avviata nel 1415 con la conquista di Ceuta non sono certo estranei interessi mercantili di gruppi vicini alla giovane monarchia portoghese. D’altra parte il Portogallo è, in questa fase, uno Stato di modeste dimensioni, di modeste risorse economiche e di altrettanto modeste risorse demografiche. Molto presto agli interessi religiosi ed economici citati si aggiungono le possenti motivazioni culturali del principe Enrico, un cadetto della dinastia degli Aviz che ha formato una vera e propria comunità intellettuale presso la sua abitazione a Sagres, costituita da alcune delle figure più prestigiose dell’umanesimo lusitano ed europeo.
Le iniziative di quello che passerà alla storia come Enrico il Navigatore porteranno presto lo Stato portoghese a spingersi oltre il Marocco, poiché i risultati della crociata contro l’islam sono stati, prevedibilmente, modesti. I Portoghesi cominciano a spingersi verso sud e, se in una prima fase si impadroniscono delle isole di Madeira e delle Azzorre, molto presto gli obiettivi delle loro ormai periodiche spedizioni navali lungo le coste occidentali dell’Africa assumono motivazioni del tutto nuove. Se una di queste mantiene un carattere religioso-tradizionale, quello di cercare alleati nella lotta contro l’islam, prendendo contatti con il mitico Prete Gianni, erede della tradizione cristiano-copta, insediata a sud dell’Egitto, le altre assumono un assai più concreto contenuto economico. Si sa da tempo che una parte dell’oro che raggiunge il mondo mediterraneo proviene dal sud dell’Africa sahariana, da una regione che poi gli stessi Portoghesi scopriranno situata sul Golfo di Guinea, abitata da popoli non islamici. Da qui l’interesse a prendere contatto con questi popoli dell’Africa subsahariana.
Allo stesso tempo emerge, tra le motivazioni delle spinte espansionistiche portoghesi, quella di raggiungere i grandi Paesi delle spezie in Estremo Oriente, sia per sostituire il controllo monopolistico che i Veneziani esercitano sulle vie che passano attraverso il Mediterraneo, sia per rispondere alle difficoltà del flusso delle spezie verso Occidente sopravvenute come conseguenza della guerra e della conquista ottomana di ciò che resta dell’Impero bizantino. Da qui l’idea, frutto di reminiscenze classiche, che sia possibile raggiungere i Paesi delle spezie circumnavigando l’Africa.
La complessa storia della scoperta e degli insediamenti portoghesi lungo le coste occidentali africane ha momenti esaltanti: i Portoghesi prima prendono contatto con i regni negro-africani del Golfo di Guinea (il Mali, il Ghana), dove incontrano città costruite in muratura e case con i tetti d’oro; poi si spingono più a sud e incontrano le foci del grande fiume Congo, prendendo contatto con un altro formidabile Stato, quello del Mani -Congo. Stabiliscono rapporti diplomatici con il sovrano, che si converte al cattolicesimo e qualche anno dopo visiterà il “fratello” sovrano portoghese. Spingendosi sempre più a sud la spedizione guidata da Bartolomeo Diaz, nel 1488, doppia la punta estrema dell’Africa, che battezzerà Capo di Buona Speranza, e tocca il Madagascar, dove incontra tracce certe dei rapporti secolari del grande impero cinese con l’Africa orientale.
La Castiglia e l’Atlantico
La proiezione sull’Atlantico della Castiglia si avvia con la conquista dell’Andalusia e del corso navigabile del fiume Guadalquivir, in virtù della quale viene acquisita una delle regioni più ricche della penisola e uno sbocco sull’oceano di valenza rilevante. Non è casuale che proprio da questa fase il regno si trasformi in una potenza marittima. A Siviglia affluiscono, infatti, navi e mercanti di ogni parte d’Europa, Asia e Africa. Lo Stato migliora la struttura viaria, rilanciando le attività mercantili e promuovendo le fiere di Siviglia, di Medina, di Santiago de Compostela.
Il rapido evolversi della potenza castigliana verso una dimensione anche marittima costituisce la premessa di nuovi contrasti dinastici e guerreschi tra la Castiglia e l’Aragona. Nel 1375 la dinastia dei Trastámara, con Enrico, diviene la guida politica della Castiglia, ma la prima metà del Quattrocento è caratterizzata e condizionata da una travagliata vicenda di successioni dinastiche che si avvia con la morte nel 1406, a soli venticinque anni, di Enrico III. La lunga minorità dell’erede Giovanni II, che diventa re all’età di due anni, segna negativamente la politica del regno, poiché la reggenza viene assunta dalla madre e da uno zio, che non sono in grado di gestire la complessa situazione interna. La situazione non migliora col matrimonio (1417) tra il tredicenne sovrano con Maria d’Aragona (1396-1445), in quanto il governo passa sotto l’influenza di Enrico e Giovanni d’Aragona, fratelli della regina e promotori di un’azione politica non favorevole agli interessi castigliani, dei quali, invece, si fa patrocinatore il gran conestabile, Alvaro de Luna. La sua fama di ministro e la sua capacità politica è contrastata dall’aristocrazia feudale e dal partito aragonese presente a corte. Più volte espulso ed esiliato, riesce a ottenere di nuovo la fiducia di re Giovanni, ma alla fine viene decapitato dalle fazioni a lui ostili. L’anno successivo muore il sovrano e gli succede il figlio Enrico IV. L’andamento contrastato della sua vicenda matrimoniale con Giovanna del Portogallo si ripercuote negativamente sulle sorti della dinastia, tanto che nel 1465 Enrico viene detronizzato e al suo posto viene proclamato sovrano il fratello Alfonso (1453-1468). La sua morte, appena tre anni dopo, riapre la questione della successione al trono, in cui si inserisce, ancora una volta, il detronizzato Enrico. Solo quando gli avversari riescono a imporgli il trattato di Los Toros de Guidando la situazione si risolve, poiché erede al trono viene designata la sorella Isabella, nel frattempo andata in sposa a Valladolid a Ferdinando d’Aragona, figlio ed erede di Giovanni d’Aragona alla guida della monarchia catalano-aragonese. La regina sale al trono di Castiglia nel 1474, mentre Ferdinando, a sua volta, diviene re d’Aragona nel 1479, con il nome di Ferdinando II. L’unione fra i due sovrani non comprende l’unità politica fra le due compagini statali, tuttavia, in particolare Ferdinando, influenza non poco la politica castigliana fino alla morte della stessa Isabella (1504). Nell’ultimo ventennio del secolo la regina è costretta a difendere la sua corona dalle minacce di re Alfonso V di Portogallo e a procedere a una riorganizzazione dell’Inquisizione nell’ambito del suo regno.
Quanto a Ferdinando, detto il Cattolico, egli attua nella compagine aragonese una politica accentratrice, realizzando una riforma della finanza che gli consente di convocare molto di rado le cortes, per richiedere contributi finanziari. Interviene nella designazione delle alte cariche ecclesiastiche e nell’assegnazione dei benefici più importanti, grazie allo ius supplicationis concesso dal papa. Infine, ordina la distruzione dei castelli fortificati della grande feudalità per garantire la sicurezza del governo centrale.
Cinque anni prima dell’impresa di Colombo, i Portoghesi tracciano la strada della nuova rotta verso le Indie e solo le vicende interne al loro regno e ai loro rapporti con la nuova possente realtà dello Stato spagnolo, nato dal matrimonio (1479) di Isabella di Castiglia e di Ferdinando il Cattolico, impediscono che la rotta verso oriente, circumnavigando l’Africa, sia definitivamente sanzionata.
È in questo ambito che si inserisce la vicenda di Cristoforo Colombo. Bene informato delle scoperte e delle iniziative lusitane, nel 1478 giunge a Madeira e l’anno successivo a Lisbona, dove nel 1484 presenta a re Giovanni II un memoriale. Il sovrano portoghese, impegnato nella ripresa dei progetti espansionistici in Africa Occidentale e verso le Indie, non gli dà ascolto e Colombo, dopo avere tentato improbabili approcci con i sovrani francese e inglese, tramite il fratello Bartolomeo affida il suo progetto a Isabella di Castiglia. Le resistenze della corte di Valladolid all’impresa proposta da Colombo cessano in seguito alla vittoria dei reali di Spagna sul regno islamico di Granada che, proprio nel 1492, segna la definitiva esclusione dell’ultimo Stato islamico dalla penisola iberica. Con la convenzione di Santa Fe, dell’aprile 1492, Colombo ottiene tre piccole navi, l’impegno, in caso di riuscita, a ricevere il titolo di ammiraglio del mare oceano, quello di viceré e governatore delle terre conquistate e, inoltre, la percentuale del 10 percento sugli affari commerciali. I sovrani spagnoli affidano a Colombo l’incarico della riconquista cattolica fino ai confini della terra. Partito dal porto di Palos il 3 agosto 1492, nel corso del viaggio porta sul piano operativo tutti i nuovi strumenti che la tecnica mette a disposizione per condurre la navigazione d’altura verso occidente, ivi compreso la capacità di calcolare l’errore insito nell’uso oceanico della bussola, dato che il polo nord terrestre non coincide con quello magnetico. L’impresa di Colombo si conclude il 12 ottobre 1492 con l’avvistamento di un atollo delle Bahamas, Guanahani, che Colombo ribattezza San Salvador.