di Lucia Marta
Se tra il 1957 (anno del primo satellite in orbita) e il 1970 erano solo dieci, oggi più di 60 paesi e un gran numero di attori privati hanno almeno un satellite in orbita e ne sfruttano i relativi servizi. L’utilizzo dello spazio non è più soltanto relegato alla sfera militare, scientifica e governativa di pochi paesi, ma è parte integrante della vita quotidiana di molti cittadini e risponde alla domanda di un mercato di massa (servizi di telecomunicazioni satellitari, telefonia, internet, Tv, come pure il Gps). In poche parole, assistiamo oggi a un importante finanziamento tanto pubblico quanto privato per lo sviluppo, la costruzione e lo sfruttamento dei satelliti.
Ciò comporta il dispiegamento di un numero crescente di tali infastrutture in orbita intorno alla Terra, e soprattutto in determinate orbite molto utilizzate, come quelle basse o quella geostazionaria. Tali orbite sono ancora più congestionate a causa della presenza di una grande quantità di detriti, costituiti da frammenti staccati dai satelliti o dai lanciatori, e che viaggiano intorno alla Terra a grande velocità, nonché da vecchi satelliti non più operativi. Al di là delle dimensioni, è la velocità con cui viaggiano a trasformare i detriti in veri e propri proiettili, costituendo un rischio per gli altri oggetti in orbita, compresa per esempio la Stazione spaziale internazionale e il suo equipaggio. Poiché in passato questo tipo di incidente è già avvenuto, e poiché è evidente che il numero di satelliti in orbita continuerà a incrementare, i paesi che oggi svolgono attività spaziali, ma anche coloro che pensano di farlo in futuro nonché il settore privato, hanno tutti interesse a diminuire il più possibile tali rischi e a condurre attività in maniera sostenibile.
La sicurezza nello spazio è anche strettamente legata alla cosiddetta ‘arsenalizzazione’ dello spazio o ‘corsa agli armamenti’ nello spazio. Fin dalle origini (anni Cinquanta) la possibilità di poter piazzare in orbita diversi tipi di armamenti per minacciare la Terra o altri oggetti in orbita o l’idea di usare un’arma da terra o dall’aria verso lo spazio sono state pensate e collaudate dalle due superpotenze. Per quanto riguarda le armi di distruzione di massa, si é rapidamente giunti a un accordo che vietasse il loro uso e dispiegamento nello spazio (Trattato sullo spazio del 1967). Ma nulla ha vietato – né vieta tutt’oggi – il dispiegamento o l’utilizzo nello spazio di armi ‘convenzionali’ (che sfruttino per esempio l’energia cinetica, le interferenze radio o il laser). Alcuni eventi avvenuti negli anni 2000 – tra cui il collaudo di un’arma anti-satellite da parte della Cina o il tenore della Strategia spaziale americana – hanno sottolineato l’urgenza della questione, ma anche l’immobilismo della comunità internazionale, incapace di prendere iniziative concrete per far fronte alla situazione dell’arsenalizzazione dello spazio e dello sviluppo di Asat(armi anti-satellite).
È in questo contesto, e in risposta a una domanda precisa da parte dell’Un, che l’Italia ha preso l’iniziativa presentando, nel 2007, un documento di riflessione. Rilevando il vuoto non solo giuridico, ma anche in tema di misure di trasparenza e costruzione della fiducia (Tcbm l’acronimo inglese) in ambito spaziale, ha proposto una serie di Tcbm e ha compiuto il primo passo verso la stesura di un Codice di condotta che, diversamente da un vero e proprio trattato, avesse più chances di essere accettato dalla comunità internazionale. Il testo, elaborato e portato avanti col sostegno europeo, è stato poi ufficialmente adottato dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2008 come base per le negoziazioni con i paesi terzi. Ottenuto l’appoggio di alcuni paesi, il testo incontra anche molte critiche e resta ancora oggi oggetto di negoziazioni.
Il Codice non è uno strumento giuridicamente vincolante, fa parte piuttosto della famiglia degli strumenti di soft law e chiede perciò agli stati un impegno volontario e di tipo politico a rispettarlo per il bene collettivo. Lo scopo del codice è di incrementare la sicurezza e la sostenibilità delle attività spaziali attuali e future. Affronta quindi il tema dei detriti ma anche dell’arsenalizzazione dello spazio.
Esso si basa su una serie di principi generali, quali il diritto di tutti gli stati ad accedere, esplorare e sfruttare lo spazio liberamente e a scopi pacifici, senza subire interferenze dannose, ma anche la responsabilità di ogni stato di astenersi dall’uso della forza e di evitare che lo spazio diventi un’arena di conflitti.
Sulla base di tali principi, il Codice prevede concretamente un insieme di misure che ogni attore (pubblico e privato) che vi aderisca dovrebbe rispettare nello svolgimento delle sue attività. Tra queste ricordiamo l’attuazione di politiche e procedure per minimizzare rischi di incidenti e collisioni che portino alla creazione di detriti, nonché ogni forma di intereferenza dannosa con le attività di un altro stato, a meno che tale azione non sia giustificata da motivi di sicurezza (quali il diritto all’autodifesa o la non creazione di detriti, oppure se vite umane sono a rischio). Il Codice prevede anche alcuni meccanismi, come per esempio quello per cui gli stati che aderiranno al Codice si impegnano a notificare agli altri stati aderenti – e in maniera preventiva – alcune delle loro attività (per esempio, la notifica del lancio di un oggetto, o eventuali manovre anti-collisione o ancora il malfunzionamento o la perdita di controllo dei satelliti). Inoltre, e sempre al fine di incrementare la trasparenza e la fiducia reciproca, il codice prevede meccanismi di consultazione e dialogo tra gli stati, la presentazione di una relazione annuale sulle proprie strategie spaziali e sui propri programmi, nonché visite organizzate nelle proprie basi e infrastrutture dedicate alle attività spaziali.