Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il 26 febbraio 1266, Carlo d’Angiò, fratello minore del re di Francia, Luigi IX, sconfiggendo a Benevento Manfredi, figlio naturale di Federico II di Svevia, diventa re di Sicilia, ristabilendo l’ordine dietro espressa richiesta del titolare feudale del regno, papa Urbano IV. Con questo invito il pontefice intende conseguire due risultati: riportare il Regno di Sicilia all’obbedienza feudale dovuta alla Chiesa e trovare il braccio armato che coaguli attorno al papato le forze guelfe dell’Italia centrosettentrionale. Ben presto, però, le attese pontificie e quelle di Carlo I dovranno rimodularsi di fronte al mutato panorama internazionale prodotto dal Vespro.
All’indomani della vittoria di Benevento, Urbano IV constata che Carlo I, pur rimanendo fedele alla Chiesa, non intende rinunciare ad ampi spazi di autonomia decisionale in Italia e nel Mediterraneo orientale, dove aspira a conquistare Costantinopoli e Gerusalemme, la cui Corona – del tutto nominale – ottiene nel 1277. L’angioino, dal canto suo, sperimenta la complessità della gestione del regno. Nel 1267-1270 deve impegnarsi per domare una rivolta filosveva, rinvigorita dall’infelice spedizione dell’ultimo degli Hohenstaufen, Corradino, sconfitto a Tagliacozzo il 23 agosto del 1268, catturato in seguito al tradimento di un feudatario e fatto decapitare a Napoli.
Nel 1270 Carlo I attua una politica di repressione, colpendo i feudatari e le città ribelli, e avvia un programma di francesizzazione dell’aristocrazia regnicola, con l’immissione di parecchi cavalieri transalpini. Anche i dignitari del regno, i quadri amministrativi di livello superiore e le maggiori cariche ecclesiastiche vanno a Francesi e Provenzali. Queste scelte, unite a una fiscalità sempre più pesante, acuiscono tensioni sociali le cui motivazioni profonde risalgono già al regno di Federico II di Svevia, favorendo lo scoppio insurrezionale del Vespro, avvenuto a Palermo il lunedì di Pasqua del 1282.
Sebbene non si possa parlare di un complotto internazionale ordito contro Carlo I dall’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo, che teme un attacco angioino, è certo che le istanze antiangioine del re d’Aragona, Pietro III, marito di Costanza, protettore dei fuorusciti regnicoli filosvevi e sovrano di un regno rivale di quello angioino nella conquista di spazi economici mediterranei, di una parte della curia pontificia ostile allo strapotere di Carlo e, naturalmente quello del basileus bizantino, sono alla base di sforzi che, più o meno coordinati, incoraggeranno la rivolta. I ribelli, infatti, invocano ben presto l’aiuto di Pietro III che, dalla Tunisia dove sta guidando una crociata, si reca in Sicilia e riceve la corona del regno. Urbano IV bandisce una crociata contro gli insorti e il loro sovrano illegittimo, affidandone la guida al re di Francia, Filippo III l’Ardito, spostando la guerra in Catalogna e nel sud dell’attuale Francia, e creando notevoli difficoltà a Pietro III. Ma gli Angioini non riconquistano la Sicilia, perdono a lungo anche la Calabria e rischiano di perdere il regno quando nel 1284 Carlo lo zoppo, figlio di Carlo I, contravvenendo alle direttive del padre impegnato in Francia, ingaggia contro i siculo-aragonesi una battaglia navale nel golfo di Napoli, perdendola e finendo catturato dai nemici. Napoli insorge contro gli Angioini e solo l’immediato rientro del re riporta l’ordine.
Nel 1295, regnando Carlo II lo zoppo, la Sicilia sembra in procinto di tornare alla dinastia angioina in virtù del trattato di Anagni, frutto della tenacia diplomatica di Bonifacio VIII. Il nuovo re d’Aragona, Giacomo II, infatti, accetta l’investitura del Regno di Sardegna e Corsica e si impegna a restituire la Sicilia agli Angioini. Ma i Siciliani offrono la corona al luogotenente di Giacomo nell’isola, il fratello minore Federico che si fa chimare Federico III, in chiara continuità con la politica ghibellina di Federico II di Svevia. Dopo alcuni anni durante i quali Giacomo combatte (o finge di combattere) contro il fratello, nulla cambia, e nell’agosto 1302 Angioini e Aragonesi, nonostante la contrarietà di Bonifacio VIII, firmano un trattato di pace a Caltabellotta, vicino Sciacca: Il pontefice accetta il dato di fatto, ma impone alcune clausole vessatorie, tra cui l’obbligo, quasi subito disatteso, per Federico di intitolarsi re di Trinacria e non di Sicilia, essendo Carlo II l’unico legittimo titolare.
Da questo momento il regno angioino, esteso su tutto il Mezzogiorno, inizierà a “italianizzarsi”, soprattutto a partire dal successore di Carlo II, Roberto il Saggio, re dal 1309 che, oltre a dedicarsi alla conduzione non sempre fortunata della lega guelfa nell’Italia centro-settentrionale, estingue le finanze del regno in ripetute fallimentari campagne di guerra per la riconquista della Sicilia. Il regno di Roberto è culturalmente splendido ma politicamente travagliato, soprattutto dopo la morte di Carlo, unico erede maschio al trono.
Roberto decide che la corona vada comunque alla primogenita di Carlo, Giovanna, nonostante le trame dei rami cadetti degli Angiò di Taranto, degli Angiò di Durazzo e degli Angiò d’Ungheria, che sperano di sostituire o almeno affiancare alla sovrana designata un loro rappresentante di sesso maschile. Nel 1343 Giovanna I sale al trono, coadiuvata da un consiglio di reggenza voluto dal pontefice per tutelarla.
Giovanna I regna fino al 1382 e ha quattro mariti, il primo dei quali è Andrea, fratello minore del re d’Ungheria, Luigi il Grande (1326-1382) che, per vendicarne l’uccisione ordita da una congiura di palazzo, invade il regno dal 1348 al 1352. È una delle fasi più gravi della storia del regno, che si risolleva grazie allo sforzo finanziario e alle capacità politiche di Niccolò Acciaiuoli (1310-1365), membro di una prestigiosa famiglia mercantile fiorentina che, da tutore di Luigi di Angiò-Taranto (1320-1362), secondogenito di Caterina di Valois-Courtenay (1303-1346), vedova di Filippo di Angiò-Taranto (1278-1332), riesce, facendo sposare Luigi a Giovanna e poi difendendo il regno dagli Ungheresi, a diventare gran siniscalco e artefice della politica angioina fino alla morte, nel 1365. Acciaiuoli riesce anche nell’impresa di conquistare quasi tutta la Sicilia tra il 1354 e il 1357 (ma Messina resterà angioina fino al 1364).
La pace, comunque, è vicina. Nel 1372 si viene all’accordo definitivo: la Sicilia è subinfeudata dagli Angioini alla dinastia aragonese isolana. Gli ultimi anni di Giovanna sono funestati dallo scisma che a partire dal 1378 divide la cristianità tra seguaci del pontefice romano e sostenitori di quello avignonese. La regina, nonostante Urbano VI sia un regnicolo e la popolazione napoletana parteggi apertamente per lui, si schiera a sostegno del pontefice avignonese. Ciò suscita l’ostilità di gran parte dei sudditi, della quale approfitta un nipote, Carlo, del ramo degli Angiò-Durazzo, proclamandosi re di Sicilia e facendo imprigionare e poi uccidere la zia scismatica che, però, nel contempo ha adottato Luigi d’Angiò (1339-1384), fratello del re di Francia, designandolo suo erede.
Carlo III è un sovrano particolarmente intraprendente: favorito dall’improvvisa morte di Luigi d’Angiò pacifica il regno e riesce a farsi incoronare re d’Ungheria. Ma proprio in Ungheria, dove si reca per l’incoronazione, è ucciso nel 1386 dalla nobiltà a lui ostile. Seguono anni duri per il regno, conteso tra Luigi II d’Angiò (1377-1417), che si stanzia a Napoli, e la moglie di Carlo III, Margherita di Durazzo che, in qualità di tutrice dei figli Ladislao e Giovanna, si rifugia a Gaeta. Solo intorno al 1398 Ladislao può dirsi padrone del regno, rintuzzando le velleità di un’aristocrazia molto forte e sempre pronta a cambiare bandiera, approfittando dell’esistenza contemporanea di due re, e iniziando un’aggressiva politica di espansione nella penisola italiana che lo porterà a scontrarsi duramente con Firenze. Nel 1414 muore improvvisamente: gli succede la sorella Giovanna II, che regna debolmente fino al 1435, e che nel 1420 prende una decisione gravida di conseguenze, adottando Alfonso V d’Aragona: pur tornando sulla decisione con l’adozione di Luigi III d’Angiò, fornirà ad Alfonso una motivazione legittima per strappare il regno a Renato d’Angiò (1409-1480), erede di Luigi III. Nel 1442 Alfonso, entrando vittorioso a Napoli, porterà il Mezzogiorno nell’orbita dei domini aragonesi e metterà la parola fine alla quasi bicentenaria dominazione angioina.