Il regno dei Franchi da Carlo Magno al trattato di Verdun
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel primo Medioevo, sotto le dinastie dei Merovingi e dei Carolingi, e fino al trattato di Verdun (843) che sancisce la spartizione giuridica dell’eredità giuridica di Ludovico fra i suoi tre figli, il centro del regno dei Franchi si sposta sempre più al di fuori dello spazio romano del Mediterraneo verso un nuovo territorio nel cuore del continente. Tale nucleo costituirà il primo grande regno europeo.
Dopo l’avanzata dei musulmani nel Mediterraneo meridionale fino alla Spagna, nel 711, e alla Francia meridionale, nel 732, in quelle aree non è più attiva la vecchia rete dei trasporti e successivamente gli scambi commerciali sono di nuovo interrotti da Saraceni e Mori provenienti dal Nord Africa e dalla Spagna. Nell’epoca delle migrazioni, la Francia sotto Clodoveo si è creata il suo spazio di impronta latina nel territorio gallo-romano, ma in ultima analisi essa è legata da tempo con vincoli sempre più forti allo spazio tedesco.
Da lì è più facile volgere lo sguardo verso le popolazioni limitrofe del nord e dell’est, in parte affini linguisticamente, anziché verso l’antica capitale Roma. Contemporaneamente, dopo la conquista della Sassonia da parte di Carlo Magno, gli stretti contatti con le popolazioni del nord, a loro volta in espansione, e anche con l’Oriente slavo-occidentale obbligano il regno a misurarsi con vecchi e nuovi problemi, ereditati o comunque in rapporto con la politica di Carlo. In questo senso sono significativi il solenne battesimo del re danese Harald, celebrato vicino a Magonza nell’826, e la fondazione a nord dell’Elba nell’831 dell’arcivescovato di Amburgo che amministra l’area scandinava sotto sant’Anscario. Ulteriori attività di espansione sono peraltro impedite dal sopravvenire di un periodo di crisi dell’impero in concomitanza con le prime invasioni dei Vichinghi e con le insurrezioni degli Slavi. Significativi sono anche gli evidenti tentativi franchi di trovare legami col Nord scandinavo, proponendo una origine comune, promuovendo la trasmissione di conoscenze fondamentali, ad esempio delle rune, e probabilmente anche influenzando la Scandinavia con opere cristiane di poesia popolare, come il grandioso poema dello Heliand (= Il Salvatore) in sassone antico, scritto nella presunta lingua franca del settentrione.
La capitale ai tempi di Clodoveo è fissata a Parigi. La determinazione di Clodoveo nella scelta di questa città come sede del governo e luogo di sepoltura dei re ha privilegiato come centro nevralgico dell’impero l’Europa del nord-ovest almeno fino ai tempi di Carlo Magno. Sarà infatti Ludovico il Pio, figlio di Carlo, a trasferire la capitale ad Aquisgrana, rivelando in tal modo la volontà di spostare l’asse politico verso il centro Europa nonché sottolineando con ulteriore forza il ruolo unificante della comune lingua germanica del Nord e dell’Est tedesco nel regno dei Franchi.
Così, già dai tempi di Ludovico il Pio, i Franchi diventano i veri precursori dell’idea di Europa, gettando un ponte culturale verso il Nord e l’Est germanico e slavo, e allo stesso tempo mantenendo il collegamento con le isole britanniche e con il Sud romano.
Tuttavia le gravissime difficoltà di comprensione tra cittadini di lingua germanica, romanza, slava, celtica e basca e le vecchie tensioni tra i gruppi più rilevanti, derivate dalle precedenti sottomissioni e mai sopite, sono destinate ad approfondire i contrasti interni non appena la guida monarchica mostrerà segni di debolezza, come ben presto di fatto avviene.
Già ai tempi del re Ludovico, allorché il regno mostra segni del proprio tramonto, la lunghissima reggenza di Carlo Magno (dal 768 all’814) viene considerata come il “culmine dell’età carolingia”. L’unico figlio superstite di Carlo Magno in un primo momento trae vantaggio dal ricevere un regno indiviso, dato che già dall’813 è stato designato ad Aquisgrana come coreggente dal padre. Tuttavia, al pari di Carlo Magno, Ludovico non può a sua volta assicurare l’unità e l’indivisibilità del regno, sempre a causa del diritto di successione che riconosce i medesimi diritti a tutti i figli legittimi. Gli stessi consiglieri ecclesiastici, molto presenti nella gestione dell’impero fin dall’inizio del governo del nuovo re (non a caso chiamato “il Pio”), aspirano al mantenimento di uno Stato indivisibile, che si configuri come una specie di monarchia universale di stampo romano-cattolico e operano con convinzione per il raggiungimento di questo obiettivo.
L’idea illusoria di passare dal grande regno multiculturale, unificato solo con la forza, a una unità inattaccabile attraverso una concezione dello Stato rigorosamente “ecclesiastica”, non implica ancora effetti negativi, perlomeno fino a che non si configurino gravi minacce esterne.
Nell’817 viene reso noto ad Aquisgrana, un nuovo ordine per la successione (Ordinatio imperii): il figlio maggiore di Ludovico, Lotario è destinato a ricevere la carica imperiale con effetto immediato; si insedia ad Aquisgrana e viene fregiato della sovranità suprema sui due fratelli minori, Pipino di Aquitania e Ludovico il Bavaro. Quest’ultimo, poi chiamato il Germanico, è quello dei tre eredi che vivrà più a lungo. Modificare radicalmente le modalità della successione al trono e consolidare così l’unità del regno, non sono tuttavia rimedi sufficienti a rimuovere le spinte centrifughe in atto. Da un lato, infatti, i fratelli minori non si rassegnano facilmente a rivestire un ruolo secondario, dall’altro gli incarichi governativi che vengono loro assegnati vanno a loro volta a scalfire altrui privilegi, gestiti fino ad allora da radicate tradizioni gentilizie.
Si aggiunga che, dopo il secondo matrimonio di Ludovico con l’ambiziosa guelfa Giuditta e la nascita di Carlo (detto poi “il Calvo”), si introduce nel già fragile complesso di norme relative alla successione un elemento di irriducibile contrasto, in quanto Ludovico vuole riservare anche al quarto figlio uno spazio di governo.
Si alternano allora varie coalizioni e si arriva infine alla destituzione dell’imperatore e alla sua penitenza ecclesiale in seguito al tradimento del suo esercito sul cosiddetto campo delle bugie (Lügenfeld), presso Colmar nell’833; Ludovico sarà poi rimesso sul trono da uno dei figli e governerà fino alla morte, nell’840. Soltanto nel corso degli anni successivi si renderanno evidenti i gravissimi fattori di disgregazione rappresentati dall’indebolirsi della posizione imperiale e dai disaccordi – che giungono fino a scontri militari – causati dalle lotte per la successione e per la divisione dell’eredità. Alcuni indicatori della successiva divisione dell’impero sono individuabili fin dai primi anni del regno di Carlo Magno: già nel 786, ad esempio, il termine theodiscus (per indicare i parlanti di lingue germaniche dell’impero, raggruppabili sotto la voce popolare di deutsch) è documentato per iscritto per la prima volta a indicare un soggetto collettivo.
Ai tempi di Ludovico il Pio il termine torna sempre più spesso e anche caute perifrasi di testi ufficiali alludono a questa nuova entità. Nei famosi giuramenti di Strasburgo dell’842, prestati tra il re della parte occidentale, Carlo il Calvo, e quello dei territori orientali, Ludovico il Germanico, prima del trattato di Verdun dell’843 col quale si chiudono per sempre le discussioni sull’eredità accese anche dopo la morte del vecchio imperatore nell’840, sono usate due lingue: latino e tedesco. Le due lingue sono espressione della comune cultura del ceto superiore, che evidentemente le padroneggia entrambe: i due re, infatti, giurano ciascuno nella lingua dell’altro (mentre non si dispone di alcuna documentazione che consenta di supporre il bilinguismo dei ceti inferiori).