Il Regno di Gerusalemme e i feudi minori
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Regno di Gerusalemme, passato attraverso successive dinastie, vive in due fasi distinte: la prima con capitale a Gerusalemme fino al 1187, la seconda con capitale ad Acri fino al 1291, per quanto la casa dei Lusignano, cui alla fine del XII secolo era andato il nuovo regno di Cipro, rivendichi anche la corona gerosolimitana. Attorno a Gerusalemme si organizzano principati feudali in qualche caso, come la contea di Edessa e il principato di Antiochia, fondati anteriormente al regno. Ma i legami gerarchici tra il regno e questi principati non saranno mai chiaramente stabiliti. L’offensiva dei sultani mamelucchi d’Egitto cancellerà nella seconda metà del XIII secolo quel che rimane del Regno di Gerusalemme.
I travolgenti successi dei “Franchi” provocano un rapido risveglio dei potentati musulmani locali, che si sono quasi subito riavuti dalla sorpresa e cominciano a riorganizzarsi per contrattaccare. I guerrieri occidentali erano obbligati a chiedere all’Europa latina aiuto per conservare e ampliare le nuove conquiste, e ne ricevono soprattutto sotto forma di spedizioni marinare da parte delle città italiche (Genova e Pisa immediatamente, un po’ più tardi Venezia); inoltre, essi mirano a sfruttare la rivalità tra i califfati concorrenti, quello sunnita di Baghdad e quella fatimide del Cairo, la cui incerta frontiera passa proprio per l’area siro-libano-palestinese. Grazie all’aiuto delle flotte italiche riescono progressivamente a conquistare l’intera costa del Mar di Levante, dal Golfo di Alessandretta fino all’istmo di Suez; frattanto si organizzano spedizioni nell’entroterra, in modo da sottomettere i principali centri demici di Galilea, Samaria e Giudea. Verso la fine del primo quarto del XII secolo, l’intera ampia regione dal Tauro al Sinai e dalla costa del Mediterraneo al Giordano, con un’enclave a est di essa rappresentata dall’area attorno alla fortezza di Kerak, è presidiata dai Franchi: anche se le strade restano insicure e la guerriglia musulmana è endemica.
Il nuovo regno si presenta essenzialmente come il risultato della compresenza di una pluralità di soggetti distinti tra loro: la corona, i principi territoriali con i loro vassalli, le comunità cittadine, i coloni delle città marinare, le comunità di villaggio arabe (musulmane o anche cristiane) e, soprattutto al nord, le numerose e fiorenti comunità armene. Il re di Gerusalemme stende il suo potere diretto su un’area non troppo ampia della Giudea, distinta in circoscrizioni comitali che la inquadrano e tra le quali la più importante è la contea di Giaffa e Ascalona, che controlla la fascia costiera della Palestina meridionale e che i sovrani cercavano di affidare a membri del lignaggio regio. Problematico è il collegamento feudale tra il re e i grandi principi che costituiscono l’alta aristocrazia del regno: il principe normanno d’Antiochia, il conte lorenese di Edessa, quello provenzale di Tripoli, il principe di Galilea e dell’Oltregiordano: almeno nei casi di Edessa e di Antiochia, si tratta di signorie nate addirittura prima del regno gerosolimitano.
LaLe città, abitate da una popolazione composita (milites, burgenses d’origine occidentale ma anche orientale con i i loro organi e i loro privilegi, i communia o, nell’idioma francosettentrionale ch’era il più diffuso, le communes); le colonie commerciali delle città marinare che riproducono in alcuni quartieri dei centri soprattutto portuali la vita e le istituzioni delle rispettive madrepatrie e che si amministrano autonomamente attorno a un nucleo di privilegi concessi loro dalle autorità locali e che in genere comprendono una chiesa, un pozzo o una cisterna, un forno, un “fondaco” o “caravanserraglio” (cioè un magazzino-ospizio): senza di esse sarebbe impossibile spiegare il salto di qualità compiuto dalle città d’origine sulla scena internazionale. Sotto il profilo della vita religiosa, la Chiesa latina impiantata nel regno con l’arrivo dei crociati non ha né abolito né fagocitato le diocesi tenute da vescovi orientali, che sono in genere greci, ma anche arabi: affianca e, per così dire, “doppia” tale istituzioni, e come conseguenza di ciò le due compagini cristiane, quella d’obbedienza pontificia e quella bizantina, convivono mantenendosi separate. E lo stesso accade per le religiones, gli ordini religioso-militari come i Templari e gli Ospitalieri di San Giovanni, che esprimono voti religiosi di tipo monastico ma nella cui compagine è previsto che alcuni fratelli laici portino le armi.
Gli ordini militari si distinguono come costruttori: le fortezze templari e ospitaliere, edificata l’una dietro l’altra in un duplice cordone parallelo dal nord siriano al sud palestinese a presidio della costa marittima, delle strade dell’interno e delle rive del Giordano, restano ancor oggi testimoni impressionanti d’un grandioso progetto di difesa e di razionalizzazione territoriale. Le nuove istituzioni religioso-militari attraggono ben presto molti cavalieri; esse ricevono inoltre molte donazioni di beni mobili e immobili, al punto che gli ordini, nei quali si pratica un’inflessibile povertà personale, divengono tuttavia ricchissimi e impiantano le loro “magioni” in tutta la cristianità. A essi si affidano anche forti somme di danaro, gestendo le quali essi possono avviare nuove e più efficaci forme di attività bancaria. Depositando ad esempio somme di danaro nelle differenti sedi templari, i mercanti possono, per mezzo di lettere autenticate dai sigilli dell’ordine, disporne poi, senza spostare fisicamente il contante, in qualunque luogo nel quale l’ordine fosse insediato.
Ma la risposta musulmana non si fa attendere. Essa parte dalle città siro-mesopototamiche del nord, cioè da Aleppo e da Mosul, governate nel nome del califfo di Baghdad e del suo consigliere-protettore turco-selgiuchide, il sultano, da una dinastia di atabeg (in turco: “padre dei capi”, cioè governatore generale) fondata da Imad al-Din Zengi. La caduta nel 1146 in mani turche della città armena di Edessa (oggi Urfa in Turchia) costituisce un segnale d’allarme. Zengi ambirebbe a unificare sotto il suo potere tutti gli emirati della regione tra il Mar di Levante e l’Eufrate; inoltre, musulmano sunnita intransigente come tutti i turchi, guarda con ostilità al califfato sciita del Cairo.
La nobiltà franco-siriaca, costituita dai discendenti della prima crociata ormai radicati in Terrasanta e che rappresentano la classe dirigente del regno, conosce bene questa situazione e sa che l’ampliarsi e il rafforzarsi del potere dell’atabeg di Damasco e di Mosul sta determinando, in tutto il mondo islamico del Vicino Oriente, paure e sospetti, inimicizie e gelosie: dal sultano di Baghdad al califfo del Cairo agli emiri arabi di Siria, il più forte dei quali è quello di Damasco, si va costituendo un ampio fronte ostile a Zengi. Sarebbe sufficiente collegarsi a esso in un’alleanza cristiano-musulmana per la quale esistono tutte le condizioni (lo stesso accade, in circostanze simili, nella penisola iberica), e il regno sarebbe al sicuro.
Ma gli europei occidentali vedono le cose in un modo diverso. Della necessità d’una nuova grande spedizione tesa a tutelare le conquiste si convince papa Eugenio III. Si coinvolgono i due principali sovrani dell’Occidente, cioè il “re dei romani” – come viene indicato l’imperatore romano-germanico eletto dai principi tedeschi ma non ancora incoronato per mano del papa – Corrado III e il re di Francia Luigi VII che parte con la sua stessa consorte Eleonora d’Aquitania. La grande spedizione partita dall’Europa del 1147 tuttavia fallisce, principalmente per colpa del re di Francia che, ascoltando pessimi consiglieri, non riesce a trovare un accordo né con il basileus Manuele Comneno di Bisanzio né con il re Ruggero II di Sicilia, che sarebbero i due monarchi cristiani da coinvolgere in un progetto di serio controllo del Mediterraneo orientale. Inoltre, il monarca capetingio si lascia convincere ad assediare Damasco, il cui emiro sarebbe il naturale alleato dei Franchi contro il pericolo espansionista dell’atabeg di Aleppo e di Mosul e che invece le scelte errate dei consiglieri di Luigi VII, abbagliati dal miraggio della conquista della ricca capitale della Siria, costringono proprio all’alleanza con il suo naturale avversario (che era e resta tale, a dispetto dell’essere suo correligionario). Dopo un lungo, inutile, rovinoso assedio alla città di Damasco le truppe giunte dall’Europa se ne vanno in un clima di discordie e di recriminazioni reciproche, mentre la lunga scia del rancore coinvolge anche i baroni “franco-siriaci” di Terrasanta e determina la convinzione, tra i principi musulmani di tutta la regione, che sia ormai giunto il momento di cacciare gli intrusi.
Comincia da allora, sia pur con alterne vicende, l’irreversibile decadenza del regno franco di Gerusalemme. Quando un geniale principe curdo, Salah al-Din ibn Ayyub, conosciuto dagli occidentali come “il Saladino”, unisce in un unico sultanato Damasco e Il Cairo, egli matura l’obiettivo di cacciare i Franchi da Gerusalemme e impadronirsi della Palestina, conseguendo la continuità territoriale dei suoi principati.
La corona è cinta in quel momento da re Baldovino IV, che fin da bambino aveva contratto la lebbra. Egli riesce a lungo a tener a bada il Saladino e al tempo stesso a dominare il clima di rivalità e d’intrighi che lo circonda: ma quando nel 1185 egli muore consunto dal male che lo aveva da tempo costretto a trascinarsi in lettiga sui campi di battaglia e per le strade del suo regno, sua sorella ed erede Sibilla, moglie di Guido di Lusignano, non può evitare che la situazione precipiti.
Nell’estate del 1187 il Saladino invade dalla Siria il territorio del regno e l’esercito franco muove da Gerusalemme per fermarlo. Lo scontro avviene in Galilea, sulle alture prospiciente il lago di Tiberiade dette “corni di Hattin”. Nella battaglia sono catturati il re Guido di Lusignano e il Maestro templare, poi utilizzati come ostaggi per ottenere la resa di varie piazzeforti. La reliquia della Vera Croce, che i Franchi recano in battaglia come santa insegna, è presa e distrutta. La strada per Gerusalemme è aperta. Il Saladino vi pone l’assedio, ma non ha bisogno di espugnarla: il suo difensore, Baliano d’Ibelin, ottiene una capitolazione onorevole che permette agli occidentali che vi sono rinchiusi di evacuarla ordinatamente e senza subir perdite. Il Saladino vi entra trionfalmente il 2 ottobre.
Quando la notizia di questi tristi avvenimenti giunge in Occidente, papa Gregorio VIII promulga il 29 ottobre da Ferrara la bolla Audita tremendi, con la quale invita a una nuova spedizione. I sovrani d’Europa, in quel momento in lotta tra loro, accolgono l’invito del pontefice e, giunti a una serie di sia pur precarie paci, marciano per differenti strade verso Gerusalemme. Ancora una volta i principali monarchi sono coinvolti nell’impresa: l’anziano imperatore Federico I Barbarossa, che morirà in Anatolia durante il viaggio, il re di Francia Filippo II Augusto, il re d’Inghilterra Riccardo I Cuor di Leone. Quest’ultimo ottiene l’unico risultato utile, la riconquista della città costiera di Acri, che diviene la nuova capitale del regno. Ma nel 1192 anche il re d’Inghilterra decide di rientrare in patria, dopo aver tuttavia strappato l’isola di Cipro ai Bizantini e avervi insediato come re il suo protetto Enrico di Lusignano, fratello del re di Gerusalemme Guido (ch’era tuttavia stato esautorato). Da allora i Lusignano, il regno dei quali sull’isola sarebbe durato tre secoli, avrebbero rivendicato alla loro dinastia il titolo di re di Gerusalemme; mentre in Terrasanta i baroni, gli ordini militari e le città marinare, ridotti a un regno che comprende ormai quasi soltanto i porti costieri, riducono la corona a oggetto di continue contese tra varie dinastie. Essa passa dai Brienne agli Hohenstaufen con Federico II e con Corrado di Svevia (Corradino); viene poi rivendicata dagli Angioini e si trasforma alla fine del XIII secolo in un titolo puramente nominale, da allora ai giorni nostri rivendicato attraverso complesse pretese giuridiche da tutte le principali dinastie europee, dagli Asburgo ai Borboni ai Savoia.
Visti gli insuccessi delle due ultime spedizioni, il nuovo pontefice Innocenzo III matura la decisione di affermare in modo esplicito il diritto dei papi a gestire direttamente il movimento crociato, salvo beninteso delegarne la conduzione militare. Per ogni spedizione il pontefice stabilisce i privilegi spirituali e temporali dei quali i crociati godranno e stabilisce i particolari relativi alla sua predicazione, alla raccolta dei fondi necessari a finanziare le spese, alla “decime” (tasse) e alle elemosine che contribuiranno a questi finanziamenti. Nasce così pian piano un’organizzazione giuridica della crociata, il cui nome viene assunto dal distintivo (una croce cucita o ricamata sugli abiti) che viene indossato da chi ha formulato il voto di partire e combattere per il Santo Sepolcro.
Sul piano pratico, però, le cose non avanzano. La crociata bandita nel 1202 (la “quarta”) si concluderà con la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati e dei Veneziani e con lo smembramento dell’impero bizantino. Ormai, le speranze di strappar di nuovo con le armi Gerusalemme ai musulmani si vanno assottigliando: tanto più che la riconquista degli infedeli non ha in fondo né impedito né rallentato il flusso dei pellegrinaggi cristiani. La crociata del 1217-1221 e poi quella del 1248-1254 (la prima delle due guidate da Luigi IX di Francia) si dirigono contro i porti del Nilo: per quanto san Luigi, che nell’aprile del 1250 era stato preso prigioniero dai musulmani, una volta liberato dalla prigionia, passi poi ben quattro anni sulla costa siropalestinese – tutto quel che resta del regno crociato – riparando fortificazioni e cercando di mediare tra le contrastanti forze che la egemonizzavano.
Si sono tentate frattanto molte vie alternative. Nel 1228-1229 Federico II riceve dal sultano d’Egitto, in forza d’una tregua, una Gerusalemme smantellata e indifendibile; più tardi, tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta del Duecento, si spererà tenacemente in un soccorso da parte della potenza tartara. Nel 1244 le milizie nomadi kwarizmiane entrano nella Gerusalemme smantellata così come l’aveva voluta l’accordo fra l’imperatore germanico e il sultano egiziano, cacciando o uccidendo i numerosi cristiani che vi restano. Nel 1250 gli schiavi-guerrieri mamelucchi al servizio dei sultani ayyubidi d’Egitto rovesciano i loro signori e con un colpo di mano ne prendono il posto giurando vendetta contro i crociati che preferirebbero l’ordine preesistente; nel 1258, infine, i Mongoli di Hulagu Khan conquistano Baghdad e uccidono l’ultimo califfo abbaside. In pochi anni l’equilibrio della “fertile mezzaluna” è sconvolto.
Nel 1274 papa Gregorio X, che come legato pontificio aveva risieduto a lungo in Terrasanta, chiede durante il concilio di Lione che gli vengano indirizzati circostanziati memoriali sulla possibilità concreta di organizzare una nuova, efficace crociata. Ne nasce una ricca e per molti versi interessante letteratura de recuperatione Terrae Sanctae, caratterizzata da una folta messe d’informazioni strategiche, tattiche, geografiche, logistiche, economiche, finanziarie; alcuni autori di questi talora ponderosi trattati sono illustri personaggi, come il Gran Maestro templare Giacomo di Molay, il celebre avvocato di Filippo IV di Francia Pietro Dubois, l’ammiraglio genovese Benedetto Zaccaria, il veneziano Marin Sanudo Torsello. Vi si propongono molte soluzioni ai problemi dell’impasse della crociata: l’assedio ai porti nilotici in modo da obbligare i sultani mamelucchi, padroni di Gerusalemme, a ceder la Città Santa in cambio dello sblocco; l’unificazione degli ordini militari; varie forme di riorganizzazione del sistema di finanziamento delle spedizioni future. Ma tutto ciò non impedisce che i sultani mamelucchi d’Egitto liquidino in pochi anni le residue piazzeforti costiere di Terrasanta ancora in mano ai Franchi. L’ultima, Acri, cadrà nel 1291.