Il regno italico
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il regno italico, la cui estensione territoriale corrisponde a quella del regnum Langobardorum conquistato dai Franchi nel 774, rimane costantemente appannaggio dei sovrani carolingi fino all’887, anno di deposizione dell’ultimo di essi. Nel settantennio successivo la Corona è contesa tra le principali famiglie dell’aristocrazia dell’Italia settentrionale (duchi e marchesi di Spoleto, di Toscana, di Ivrea e del Friuli) e alcuni signori di aree limitrofe (duchi di Carinzia, re di Borgogna e re di Provenza). Con Ottone I il regno torna a essere inserito nel contesto del Sacro Romano Impero.
Con l’abdicazione di Carlo il Grosso nell’887 si determina la definitiva disgregazione dell’Impero carolingio: il conte di Parigi, Oddone, diventa re dei Franchi; nelle aree orientali Arnolfo di Carinzia è re di Germania; in Italia, nell’888, un’assemblea di nobili assegna la corona del regno a Berengario, marchese delFriuli, per la sua parentela con i Carolingi. È una soluzione precaria che la nobiltà dell’Italia centrale rifiuta, conferendo dopo soli due anni il titolo a Guido, duca di Spoleto. Questo stato di conflittualità induce Berengario a richiedere l’intervento di Arnolfo di Carinzia che nell’894 scende inItalia per riaffermarne i diritti e raggiungere Roma dove nell’896 verrà incoronato imperatore da papa Formoso. Berengario, frattanto, deve scontrarsi con Lamberto di Spoleto (figlio di Guido, già associato alla carica imperiale dal padre nell’891) che lo costringe a una spartizione di fatto del regno, lasciandogli il controllo della sola Italia settentrionale a est dell’Adda. Dopo una breve resistenza, anche Milano cade nelle mani di Lamberto che non riesce a sconfiggere definitivamente Berengario e deve scontrarsi con un altro pretendente alla corona, Adalberto, marchese di Toscana.
Nell’898 Lamberto sconfigge Adalberto, umiliandolo, ma il 15 ottobre dello stesso anno muore durante una battuta di caccia. Con lui si estingue la dinastia degli Spoletini e Berengario, morto anche Arnolfo di Carinzia, può finalmente godersi la Corona italica in solitudine, ma non in pace, perché a partire dall’899 l’Italia viene percorsa dalle sanguinose scorrerie degli Ungari, pericolosamente avvicinatisi alla penisola dopo essersi stanziati in Pannonia intorno all’890 su richiesta di Arnolfo. Nel settembre dell’899, nel tentativo di sbarrare il passo agli Ungari che daAquileia a Pavia hanno già seminato terrore, distruzione e morte, Berengario guida un consistente esercito raccolto tra i nobili italiani, ma dopo una prima vittoria, il 24 settembre viene sbaragliato sul Brenta dai nemici che dilagano nel resto del Settentrione: a Reggio incendiano la cattedrale e uccidono il vescovo Azzone; a Nonantola assalgono il celebre e ricco monastero, depredandolo e uccidendo i monaci.
Nel giro di pochi anni, inoltre, alle violenze endemiche degli Ungari si aggiungono quelle dei Saraceni che, dalla loro testa di ponte di Frassineto, in Provenza, compiranno innumerevoli incursioni.
Lo stato di estrema insicurezza induce per l’ennesima volta parte della nobiltà italica a contrapporre a Berengario un candidato più affidabile, identificandolo in Ludovico III, re di Provenza, nipote di Ludovico II, già re e imperatore carolingio. Berengario deve tollerarne l’incoronazione regia e la conseguente elezione imperiale a Roma nel 901 ma, dopo averlo costretto una prima volta ad allontanarsi dai territori italiani, lo elimina definitivamente nel 905 catturandolo, facendolo accecare e cacciandolo in Provenza.
Nonostante il successo, Berengario continua a controllare solo la parte nordorientale del regno: a nord-ovest il potere è di fatto dei marchesi d’Ivrea, signori di gran parte del Piemonte; nell’Italia centrale i grandi ducati di Tuscia e di Spoleto si mantengono autonomi; nel cuore della Pianura Padana la nobiltà di ascendenza longobarda ha riacquistato prestigio. Il sovrano si limita ad attuare una politica di concessioni di prerogative pubbliche ai più disparati soggetti e di estenuante arbitrato fra i potentati del regno, ma nel 915 riesce a smantellare una temibile base saracena nel Garigliano, venendo perciò incoronato imperatore dal pontefice.
Il prestigioso titolo gli attirerà però la rinnovata ostilità del blocco spoletino-papale e di Berta, vedova del marchese diToscana, che aveva fatto sposare in seconde nozze la figlia Ermengarda al marchese d’Ivrea Adalberto. Nel 921 Berta coalizza contro Berengario il genero, il conte palatino Olderico, il nobile longobardo Giselberto e l’arcivescovo di Milano, Lamberto, ben presto sconfitti e umiliati dal re che, nel frattempo, consente agli Ungari di penetrare nuovamente in territorio italiano per mettere in difficoltà i congiurati. Giselberto, allora, invoca personalmente l’aiuto di Rodolfo II di Borgogna cui promette la Corona d’Italia in cambio dell’aiuto contro il rivale: il 17 luglio 923 presso Fiorenzuola d’Arda, Rodolfo sbaraglia l’esercito di Berengario e conquista Pavia, la capitale del regno. Il sovrano sconfitto verrà ucciso a Verona, dove si era rifugiato, da un piccolo funzionario locale il 7 aprile 924. Pochi giorni prima, il 12 marzo, Pavia, abbandonata da Rodolfo subito tornato in Borgogna, è saccheggiata e distrutta dagli Ungari. La feudalità del regno punta allora su un nuovo pretendente e invita Ugo di Provenza che nella primavera del 926 giunge in Italia e ne assume la Corona dopo essersi accordato con Rodolfo di Borgogna.
Il regno di Ugo si caratterizza per l’uso della violenza nell’attuazione di un consapevole disegno di rinnovamento della classe dirigente: da questa dura prova emerge una nuova aristocrazia, spesso di origine longobarda, ben radicata a livello locale, lontana dalla cultura e dai rapporti internazionali della nobiltà di origine carolingia, ma in condizione di garantire, con le armi e la fedeltà personale, un controllo effettivo del territorio. Ugo fa imprigionare e accecare il fratellastro Lamberto, marchese di Toscana, sostituendogli il fratello Bosone, e consegna il ducato di Spoleto a un altro congiunto, Tebaldo. In molte città, da Milano a Piacenza, fa ascendere alla carica vescovile suoi uomini, mentre un suo figlio naturale, Goffredo, diviene abate del monastero di San Silvestro di Nonantola, il più ricco monastero regio d’Italia. Il re, comunque, non esita nemmeno a umiliare e vessare i propri congiunti: nel 936 scaccia Bosone dalla marca di Toscana, assegnandola al figlio naturale Uberto (poi insignito del ducato di Spoleto con Camerino e della carica comitale palatina), mentre nel 940 fa morire il figlio Anscario.
Nel 945, però, una sollevazione costringe Ugo a tornare in Provenza con le ricchezze racimolate spadroneggiando per un ventennio. InItalia lascia un figlio debole e malato, Lotario, già associato al regno, che morirà sul finire del 950 senza eredi. Sostenuto dal re di Germania Ottone I di Sassonia, gli subentra il marchese d’Ivrea, Berengario II che, tentando di rafforzare la propria posizione, imprigiona Adelaide, la vedova di Lotario. Ottone I interpreta questa mossa come il segno dell’inaffidabilità di Berengario IIed ergendosi a difensore di Adelaide di Borgogna, liberata e consegnatagli da Adalberto Atto, un feudatario capostipite dell’importante casa di Canossa, scende inItalia, sconfigge Berengario II, sposa Adelaide e viene incoronato re d’Italia. È però costretto a tornare in Germania, consentendo al re decaduto e ai suoi seguaci di scatenarsi contro Adalberto Atto che resisterà arroccato nella fortezza di Canossa fino al ritorno di Ottone, nel 961, quando il tedesco stronca le pretese di Berengario II ed è incoronato imperatore da papa Giovanni XII il 2 febbraio del 962.
L’anno dopo Ottone consegue la definitiva pacificazione del regno, imprigionando Berengario, esiliato in Baviera con la moglie Willa e, soprattutto, facendo deporre, da un sinodo di vescovi fedeli,Giovanni XII che ha cominciato a tramare contro di lui. È la svolta decisiva per il papato e per il regno d’Italia, ormai definitivamente inglobato nell’Impero germanico dal quale non uscirà più se non durante la breve parentesi “indipendentistica” di Arduino d’Ivrea tra il 1002 e il 1004.