Il reverse charge negli acquisti intracomunitari
Il tema del reverse charge negli acquisti intracomunitari costituisce oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale – che ha coinvolto anche la Corte di giustizia dell’Unione europea – sulle conseguenze della mancata o inesatta osservanza degli obblighi di fatturazione o registrazione posti dalla legge a carico del cessionario o committente residente in Italia. Le questioni controverse concernono la sussistenza dell’obbligo di versamento dell’IVA da parte del cessionario o committente nazionale che non abbia puntualmente osservato i suddetti adempimenti, nonché il trattamento sanzionatorio al quale il medesimo debba essere assoggettato.
La regolazione dell’IVA negli scambi tra Paesi membri dell’Unione europea (cd. intracomunitari) è ispirata ai principi del sistema armonizzato dell’IVA comunitaria e trova la sua sede, nel diritto interno, nel d.l. 30.8.1993, n. 331, conv. dalla l. 29.10.1993, n. 427, emesso in attuazione della dir. 91/680/CEE.
Per quanto in particolare riguarda gli acquisti, l’art. 38 del citato d.l. n. 331/1993 assoggetta all’IVA quelli effettuati, nel territorio dello Stato, nell’esercizio di imprese, arti o professioni; l’IVA però, a seguito dell’abolizione delle barriere doganali tra paesi membri, non viene assolta in dogana ma viene regolata dal cessionario italiano con il sistema del reverse charge (inversione contabile).
Il reverse charge costituisce un particolare meccanismo di assolvimento dell’IVA, alla cui stregua gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi vengono adempiuti dal cessionario del bene o dal committente del servizio. Nelle operazioni regolate da questo meccanismo, quindi, il debitore d’imposta non è, come previsto dalla regola generale fissata nel co. 1 dell’art. 17 d.P.R. 26.10.1972, n. 633, il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, bensì il cessionario dei beni o il committente dei servizi.
Il meccanismo del reverse charge trova applicazione anche in ambiti diversi da quello degli acquisti intracomunitari. Esso è considerato un utile strumento di contrasto all’evasione, in quanto previene il rischio che l’IVA possa essere detratta dal cessionario/committente senza che la stessa sia stata, per qualunque ragione, versata dal cedente/prestatore.
In tempi recenti, pertanto, la sua diffusione è andata aumentando; si veda, in proposito, l’ampio elenco di operazioni interne assoggettate al meccanismo del reverse charge contenuto nei co. 5, 6 e 7 dell’art. 17 d.P.R. n. 633/1972, come modificato dalla l. 23.12.2014, n. 190.
Venendo ad una disamina più ravvicinata delle modalità di funzionamento del reverse charge negli acquisti intracomunitari, come definite dal d.l. n. 331/1993 (i cui artt. 46 e 47 sono espressamente richiamati dall’art. 17, co. 2, d.P.R. n. 633/1972), va innanzi tutto rimarcato che, ai sensi dell’art. 45 d.l. n. 331/1993, l’imposta è ammessa in detrazione a norma degli artt. 19 e seguenti del d.P.R. n. 633/1972. La fattura, emessa dal cedente/prestatore senza addebito di IVA, va integrata dal cessionario dei beni o dei servizi «con l’indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile dell’operazione, espressi in valuta estera, nonché dell’ammontare dell’imposta, calcolata secondo l’aliquota dei beni» (art. 46, co. 1, d.l. n. 331/1993); il cessionario che non riceva la fattura del cedente o del prestatore deve emettere autofattura (art. 46, co. 5, d.l. n. 331/1993); ai sensi dell’art. 47, co. 1, d.l. n. 331/1993 la fattura integrata (o l’autofattura) va annotata dal cessionario sia nel registro di cui all’art. 23, d.P.R. n. 633/1972 (delle fatture emesse), sia, ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione, nel registro di cui all’art. 25 d.P.R. n. 633/1972 (degli acquisti).
In assenza di limiti al diritto alla detrazione – quali potrebbero derivare, ad esempio, dall’assoggettamento del cessionario al meccanismo del prorata di cui all’art. 19, co. 5, d.P.R. n. 633/1972 – la doppia registrazione, nel registro delle fatture emesse e nel registro degli acquisti, garantisce la neutralità fiscale dell’operazione; la coesistenza delle due partite contabili di segno opposto elimina infatti, se il contribuente può esercitare integralmente il proprio diritto
alla detrazione, qualunque riflesso sull’ammontare dei versamenti dal medesimo dovuti.
La tendenziale neutralità fiscale dell’operazione di acquisto intracomunitario in regime di reverse charge ha causato opinioni divergenti, nella giurisprudenza di merito, sulle conseguenze derivanti dalla violazione, da parte del cessionario italiano, degli obblighi di contabilizzazione previsti da tale regime.
Da un lato, infatti, si è sostenuto che, in assenza di limiti al diritto alla detrazione, la suddetta violazione è ininfluente ai fini delle liquidazioni dell’imposta dovuta dal contribuente, in quanto il debito IVA risultante dall’annotazione della fattura integrata (o dell’autofattura) nel registro delle fatture emesse verrebbe neutralizzato dalla contestuale annotazione dei medesimi documenti nel registro degli acquisti1. D’altro lato, si è sostenuto che gli obblighi di contabilizzazione hanno una funzione sostanziale, e non meramente formale, e pertanto la loro violazione giustifica la pretesa erariale di versamento dell’IVA2. Su questo dibattito giurisprudenziale è intervenuta, nel 2008, la sentenza della C. giust., 8.5.2008, C-95/07 e C-96/07, Ecotrade spa c. Agenzia delle entrate-Ufficio di Genova 3.
La Corte di Lussemburgo era stata investita di una questione pregiudiziale sollevata dalla C.T.P. di Genova nell’ambito di un giudizio, introdotto dalla società Ecotrade spa, avente ad oggetto l’atto impositivo con cui l’Agenzia delle entrate, accertato il mancato rispetto degli obblighi di contabilizzazione connessi ad un acquisto intracomunitario di servizi di trasporto, aveva negato alla contribuente il diritto alla detrazione, per non essere stato il medesimo esercitato entro il termine biennale decorrente dal momento in cui tale imposta era divenuta esigibile.
La Corte di giustizia, dopo aver rilevato che la vicenda oggetto di causa – nella quale la contribuente aveva erroneamente annotato le operazioni controverse nel solo registro degli acquisti in esenzione IVA – si distingueva chiaramente «dall’ipotesi in cui il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale» (§ 36) ha affermato che:
a) Gli artt. 17 e 18, nn. 2 e 3, nonché l’art. 21, n. 1, lett. b), della sesta direttiva (dir. 77/388/CEE del Consiglio, modificata dalla dir. 2000/17/CE del Consiglio) non ostano ad una normativa nazionale che preveda un termine di decadenza per l’esercizio del diritto a detrazione da parte del soggetto passivo, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza (alla cui stregua il termine va applicato allo stesso modo ai diritti derivanti dall’ordinamento interno ed a quelli derivanti dall’ordinamento comunitario) e di effettività (alla cui stregua il termine di decadenza non può rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione); in proposito la Corte ha altresì precisato che il principio di effettività non è violato per il semplice fatto che l’amministrazione fiscale disponga, per procedere all’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto non assolta, di un termine che eccede quello concesso ai soggetti passivi per l’esercizio del loro diritto a detrazione.
b) Tuttavia gli artt. 18, n. 1, lett. d), e 22 della sesta direttiva ostano ad una prassi di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto la quale sanzioni l’inosservanza degli obblighi derivanti dalle formalità introdotte dalla normativa nazionale in applicazione di tale art. 18, n. 1, lett. d), e degli obblighi contabili nonché di dichiarazione risultanti dall’art. 22, nn. 2 e 4, con un diniego del diritto a detrazione in caso d’applicazione del regime dell’inversione contabile.
L’argomentazione su cui poggiano tali statuizioni si snoda nei seguenti passaggi: il principio di neutralità fiscale esige che la detrazione dell’IVA a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi (§ 63); l’amministrazione finanziaria, ove disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che il cessionario nazionale è debitore dell’IVA, non può imporre a quest’ultimo condizioni supplementari per l’esercizio del diritto di detrazione che possano avere l’effetto di vanificarne l’esercizio (§ 64); le misure che gli Stati membri possono adottare per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi non devono eccedere quanto è necessario per conseguire tali obiettivi e non possono quindi essere utilizzate in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell’IVA (§ 66); la prassi che sanziona l’inosservanza degli obblighi contabili e di dichiarazione col diniego del diritto a detrazione eccede chiaramente quanto necessario per conseguire l’obiettivo di garantire il corretto adempimento di tali obblighi (§ 67).
2.1 Il dialogo tra la Cassazione e la Corte di giustizia
L’individuazione degli effetti della sentenza Ecotrade nell’ordinamento interno ha formato oggetto di un contrasto all’interno della giurisprudenza della Cassazione.
Secondo un primo indirizzo (Cass., 20.3.2013, n. 6925; Cass., 11.9.2013, n. 20771; Cass., 23.10.2013, n. 24022) solo il sistema della doppia annotazione consente l’assunzione del debito IVA a monte e il successivo diritto di detrazione dall’IVA a valle; la mancanza della doppia annotazione determina un danno all’erario, con conseguente legittimità del recupero dell’imposta evasa, non compensabile ex post mediante l’esercizio del diritto di detrazione. Nella sentenza Cass. n. 20771/2013, in particolare, si legge (§ 5.7): «Nell’ipotesi in cui ricorrano i presupposti del reverse charge, soltanto il sistema delle due annotazioni consente l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione di questa dall’IVA a valle. Nel nostro caso, invece, la contribuente, avendo omesso le due annotazioni, non si è dichiarata debitrice dell’IVA a monte; per conseguenza, non si è verificato il presupposto d’insorgenza del diritto di detrazione dall’IVA a valle»3.
In sostanza, secondo questa impostazione, è la doppia registrazione (nel registro delle fatture emesse e nel registro degli acquisti) della fattura integrata (o dell’autofattura) che, mediante l’elisione delle partite contabili di segno opposto, impedisce l’insorgenza del debito d’imposta (sent. ult. cit. § 5.2); la violazione degli obblighi di registrazione, pertanto, incide sul versamento del tributo ed ostacola l’azione di accertamento dell’ufficio e, conseguentemente, ha natura sostanziale (sent. ult. cit. § 5.8). Detta violazione resta dunque estranea all’ambito applicativo del principio fissato nella sentenza Ecotrade, il quale deve ritenersi applicabile solo alle ipotesi di violazioni che non pregiudichino l’esercizio delle azioni di controllo e non incidano sulla determinazione della base imponibile.
All’orientamento ora illustrato se ne contrappone un altro (Cass., 5.5.2010, n. 10819; Cass., 28.7.2010, n. 17588; Cass., 8.4.2013, n. 8038; Cass., 29.5.2013, n. 13332; Cass., 6.9.2013, n. 20486), alla cui stregua il diritto alla detrazione – costituendo una modalità (alternativa al rimborso) di attuazione del principio di neutralità dell’IVA – sorge a favore del soggetto passivo nel momento stesso in cui l’imposta diviene esigibile (e non invece in seguito all’adempimento delle formalità previste per l’esercizio dell’opzione detrazione/rimborso) e, pertanto, va riconosciuto anche in caso di mancato rispetto, parziale o integrale, degli obblighi di autofatturazione e di registrazione delle fatture; obblighi ai quali va quindi riconosciuta natura formale, con la conseguenza che la relativa violazione può giustificare l’applicazione di sanzioni amministrative ma non determina il venir meno del diritto alla detrazione.
In particolare, nella sentenza n. 8038/2013 si afferma (§ 9.16) che dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea emerge che «fuori dai casi di frode, il fisco non può precludere l’esercizio del diritto di detrazione in tutti i casi di emersione di operazione la cui corretta contabilizzazione non darebbe mai vita ad alcun debito d’imposta, poiché l’accertamento fiscale in materia di IVA ha quale obiettivo principale riattivare il corretto meccanismo impositivo ristabilendone la neutralità»4.
Preso atto della divergenza di opinioni sussistente nella giurisprudenza di legittimità in ordine alle ricadute applicative della sentenza Ecotrade, la stessa Cassazione, sul finire del 2013, ha ritenuto di richiedere alla Corte di giustizia dell’Unione europea un chiarimento sul tema del rapporto tra esercizio del diritto alla detrazione e rispetto degli adempimenti di fatturazione e registrazione previsti dal regime del reverse charge.
Il caso portato in sede di legittimità riguardava una società, la Idexx Laboratories Italia srl, che aveva effettuato acquisti intracomunitari senza rispettare gli adempimenti di cui agli artt. 46 e 47, d.l. n. 331/1993, in quanto alcune delle relative fatture non erano state iscritte nei registri IVA e altre erano state iscritte solo nel registro degli acquisti, con l’indicazione “fuori campo IVA”. Con l’ordinanza interlocutoria n. 25035/2013, depositata il 7.11.13, la Cassazione – dopo aver dato atto del contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’ambito applicativo da assegnare ai principi espressi nella sentenza Ecotrade e dopo aver evidenziato come nelle diverse versioni linguistiche di quest’ultima sentenza fossero ravvisabili talune incertezze semantiche – ha chiesto alla Corte di Lussemburgo di chiarire, in primo luogo, se i principi espressi nella sentenza Ecotrade ostino ad una prassi di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento dell’IVA che sanzioni col diniego del diritto a detrazione la totale inosservanza degli adempimenti di fatturazione e registrazione previsti dal sistema del reverse charge, quando non vi sia comunque dubbio circa la posizione del soggetto tenuto al pagamento della imposta e del suo diritto alla detrazione; in secondo luogo, se le espressioni «obblighi sostanziali», «substantive requirement» e «exigences de fond» leggibili nelle diverse versioni linguistiche della sentenza Ecotrade si riferiscano, rispetto alle ipotesi di reverse charge, alla necessità del pagamento del tributo IVA, oppure dell’assunzione del debito d’imposta, ovvero ancora all’esistenza delle condizioni sostanziali che giustificano l’assoggettamento del contribuente allo stesso tributo e che disciplinano il diritto alla detrazione, come l’inerenza, l’imponibilità e la totale detraibilità.
Con la sentenza C. giust., 11.12.2014, C-590/13, Idexx Laboratories Italia srl c. Agenzia delle entrate, la Corte di giustizia ha riaffermato principi già consolidati nella propria giurisprudenza (e successivamente ancora riaffermati in C. giust., 9.7.2015, C-183/14, Radu c. Direcția Generală a Finanțelor Publice cluj), ribadendo che le formalità previste dagli ordinamenti nazionali in ordine alle modalità di esercizio del diritto alla detrazione, nonché gli obblighi contabili e dichiarativi che gli Stati membri possono imporre in aggiunta a quelli già previsti dall’art. 22 della sesta direttiva, non devono oltrepassare quanto strettamente necessario per controllare la corretta applicazione della procedura di autoliquidazione e assicurare la corretta riscossione dell’imposta ed il contrasto all’evasione, senza rimettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA (§ 35-37); che quest’ultimo principio impone di accordare la detrazione dell’imposta se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, pur quando taluni obblighi formali siano rimasti inadempiuti (§38), sempre che la violazione di questi ultimi non impedisca di raggiungere la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali (§ 39); che l’amministrazione finanziaria, ove disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti, non può imporre, per l’esercizio del diritto alla detrazione, condizioni supplementari che lo possano vanificare (§ 40).
Sulla scorta di tale apparato argomentativo, la sentenza Idexx distingue tra requisiti sostanziali e requisiti formali del diritto alla detrazione identificando i primi in quelli, previsti all’art. 17 della sesta direttiva, che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto (§ 41) e i secondi in quelli, descritti negli artt. 18 e 22 della sesta direttiva, relativi alle modalità di contabilizzazione, fatturazione e dichiarazione funzionali al controllo dell’esercizio del diritto medesimo (§ 42).
Alla stregua di tali considerazione, la Corte di giustizia – rilevato come dalla decisione di rinvio emergesse che l’Agenzia delle entrate disponeva di tutte le informazioni necessarie per accertare la sussistenza di requisiti sostanziali del diritto alla detrazione (§ 44) – afferma, con una incursione nel merito del procedimento principale non del tutto usuale5, che «il diritto a detrazione, previsto dall’art. 17, paragrafo 2, lettera d), della sesta direttiva, dell’IVA dovuta, relativa agli acquisti intracomunitari oggetto del procedimento principale, non può essere negato alla Idexx per non aver essa assolto gli obblighi risultanti dalle formalità stabilite dalla normativa nazionale istituita in applicazione degli articoli 18, paragrafo 1, lettera d), e 22 della sesta direttiva» (§ 45); per poi concludere, nel dispositivo, che gli artt. 18, par. 1, lett. d), e 22 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni dettano requisiti formali del diritto a detrazione la cui mancata osservanza, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, non può determinare la perdita del diritto medesimo. La Cassazione si è prontamente allineata alle indicazioni contenute nella sentenza Idexx con le sentenze n. 5072 del 13.3.2015 (resa, appunto, nel procedimento da cui era scaturito il giudizio definito con detta sentenza dalla Corte di giustizia) e n. 7576 del 15.4.2015.
In tali sentenze (alle quali sono conformi le coeve Cass., 15.4.2015, n. 7576; Cass., 17.4.2015, n. 7871; Cass., 17.4.2015, n.7872) si stabilisce che, per il principio di neutralità dell’IVA, la detrazione dell’imposta a monte va accordata, nonostante l’inadempimento di taluni obblighi formali, se sono soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali, di cui le violazioni formali non impediscano la prova certa; con la conseguenza che il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui – pur avendo il cessionario omesso la doppia registrazione delle fatture integrate o delle autofatture nei registri di cui agli artt. 23 e 25, d.P.R. n. 633/1972 – sia comunque dimostrato, o non controverso, che gli acquisti siano stati fatti da un soggetto passivo IVA e che le merci siano finalizzate a operazioni imponibili proprie del cessionario. Sul piano probatorio, infine, dette sentenze evidenziano, per un verso, che i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione, se contestati dall’amministrazione, devono essere dimostrati dal contribuente e, per altro verso, che la contestazione di tali requisiti deve essere contenuta già nella motivazione dell’avviso di accertamento, in base al principio che tale motivazione delimita l’oggetto della contesa, definendo l’ambito delle ragioni che l’amministrazione può opporre al contribuente in sede giudiziale.
2.2 Il trattamento sanzionatorio
Il tema della natura formale o sostanziale degli adempimenti di contabilizzazione e registrazione previsti dalla procedura del reverse charge condiziona, evidentemente, le opzioni giurisprudenziali relative al trattamento sanzionatorio delle relative violazioni.
In dottrina si è sostenuto che gli inadempimenti documentali e contabili previsti dal regime del reverse charge – in quanto non incidono sulla determinazione del debito di imposta, né pregiudicano l’azione di controllo dell’amministrazione – andrebbero «degradati al rango di violazioni meramente formali, come tali non punibili né in misura proporzionale (sanzione commisurata al tributo) né in misura fissa»6.
Tale posizione non trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità, che, in larga prevalenza, ritiene le violazioni della procedura contabile del reverse charge punibili con la sanzione amministrativa compresa fra il 100 e il 200 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro, prevista dall’art. 6 d.lgs. 18.12.1997, n. 471 (nel testo anteriore alla modifica recata dal d.lgs. 24.9.2015, n. 158) e, in particolare, nel co. 1, con una disposizione di carattere generale che riguarda «chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto», e nel co. 9-bis, primo periodo, con una disposizione specificamente riferita a «il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, non assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile».
Questo orientamento della Cassazione si rinviene non soltanto nelle sentenze che hanno ritenuto che dalle suddette violazioni derivi per il contribuente l’obbligo di versamento del tributo (sul punto, con chiarezza, Cass. n. 20771/2013, cit.) ma anche in alcune delle pronunce che, al contrario, già prima della sentenza Idexx, avevano sostenuto che tali violazioni non determinano il venir meno del diritto alla detrazione (cfr. Cass. n. 8038/2013, cit., ove si afferma che la sanzione amministrativa compresa fra il 100 e il 200 per cento dell’imposta «realizza un giusto contemperamento fra gli interessi finanziari dello Stato e quelli del contribuente inadempiente agli obblighi di fatturazione, non perpetuando alcuna lesione di principi comunitari di proporzionalità ed adeguatezza»).
Sul tema, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità non è priva di oscillazioni, giacché si è sostenuto anche – proprio partendo dal presupposto che le violazioni degli adempimenti previsti dalla procedura del reverse charge non determinino il venir meno del diritto alla detrazione (e quindi, in definitiva, non incidano sul debito di imposta del contribuente) – che il relativo trattamento sanzionatorio vada individuato nel più mite disposto dell’art. 6, co. 9-bis, terzo periodo, d.lgs. n. 471/1997 (sempre nel testo anteriore alla modifica recata dal d.lgs. n. 158/2015), alla cui stregua «qualora l’imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore … la sanzione amministrativa è pari al 3 per cento dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro» (così Cass. n. 20486/2013, cit.).
Deve peraltro darsi atto che, mentre questo lavoro andava in stampa, la disciplina del trattamento sanzionatorio delle violazioni degli adempimenti previsti dalla procedura del reverse charge è stata radicalmente innovata dal citato d.lgs. n. 158/2015, attuativo della delega conferita al Governo con l’art. 8, co. 1, della l. 11.3.2014, n. 23. L’art. 15, co. 1, lett. f), d.lgs. n. 158/2015 ha infatti recato molteplici modifiche al testo dell’art. 6 d.lgs. 18.12.1997, n. 471 e, per quanto specificamente interessa la materia del reverse charge, ne ha sostituito, col n. 7) della menzionata lett. f), il previgente co. 9-bis con quattro nuovi commi, da 9-bis (riformulato) a 9-bis 3.
La nuova disciplina prevede una sanzione fissa (compresa tra 500 e 20.000 euro) ed una sanzione proporzionale (compresa tra il 5 e il 10 per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro). La sanzione fissa si applica – purché non ricorrano limiti soggettivi od oggettivi alla detraibilità dell’Iva (nel qual caso la sanzione va dal 90 al 180 per cento dell’imposta che non avrebbe potuto essere detratta) – nel caso di operazione soggetta alla disciplina del reverse charge in cui il cessionario ometta compiere i relativi adempimenti, pur registrando (ai fini delle imposte dirette) la fattura in contabilità.
La sanzione proporzionale si applica, invece, qualora il cessionario ometta di annotare in contabilità la fattura emessa dal cedente o, nel caso di mancata emissione della fattura da parte di quest’ultimo, ometta di procedere all’autofatturazione.
Inoltre i co. 9-bis 1 e 9-bis 2 prevedono, rispettivamente, l’ipotesi di operazione soggetta al regime del reverse charge in cui il cedente abbia irregolarmente assolto l’Iva secondo il regime ordinario e quella, simmetrica, di operazione soggetta al regime ordinario in cui sia stato erroneamente applicato il regime del reverse charge. In entrambi tali casi la sanzione (rispettivamente a carico del cessionario e del cedente, ma sempre con la responsabilità solidale di entrambi) va da 250 a 10.000 euro, con esclusione dell’obbligo di versamento del tributo e salvezza del diritto alla detrazione (salvo che una delle parti del rapporto avesse intenti evasivi o frodatori di cui l’altra parte fosse consapevole).
Come precedentemente esposto (v. supra, § 2.1), a seguito della sentenza Idexx la giurisprudenza della Cassazione si è consolidata sul principio che la violazione degli adempimenti previsti dagli artt. 46 e 47, d.l. n. 331/1993 non preclude il diritto alla detrazione, sempre che sia dimostrata, o incontroversa, la sussistenza dei requisiti sostanziali di tale diritto.
Detta conclusione, tuttavia, non risolve tutti i profili problematici del nostro tema. Residua, infatti, la questione se il contribuente che abbia violato i suddetti adempimenti in relazione ad acquisti intracomunitari possa opporre alla pretesa erariale di versamento dell’IVA il diritto alla detrazione che gli competa in ragione della titolarità dei relativi requisiti sostanziali pur dopo il decorso del termine fissato all’esercizio di tale diritto dall’art. 19, co. 1, d.P.R. n. 633/1972.
Il tema non viene affrontato espressamente né nella sentenza Ecotrade né nella sentenza Idexx, giacché tali sentenze enunciano il principio che il diritto alla detrazione non viene meno per la violazione degli adempimenti formali previsti dal regime del reverse charge senza, tuttavia, analizzare la questione se, nel caso di acquisti intracomunitari, tale diritto possa essere esercitato anche oltre il termine di decadenza di cui all’art. 19, co. 1, d.P.R. n. 633/1972.
Tra il primo ed il secondo capo del dispositivo della sentenza Ecotrade, peraltro, può individuarsi, se non una contraddizione sul piano logico, quanto meno una tensione sul piano pratico. Il primo capo infatti, come si è visto, afferma che la sesta direttiva non osta alla previsione di un termine per l’esercizio del diritto alla detrazione più breve di quello concesso all’amministrazione per procedere all’accertamento dell’IVA, mentre il secondo capo afferma che «tuttavia» la sesta direttiva osta ad una prassi di verifica e accertamento che sanzioni col diniego del diritto alla detrazione l’inosservanza degli adempimenti formali previsti dal regime del reverse charge.
Ciò posto, si osserva che, se non c’è alcuna incompatibilità logica tra l’affermazione che il diritto alla detrazione non viene meno in presenza di inadempimenti formali nella procedura del reverse charge e l’affermazione che il medesimo diritto si estingue per mancato esercizio nel termine di legge, non può negarsi che il diritto alla detrazione (la cui centralità viene fortemente enfatizzata nel § 39 della sentenza) perde completamente effettività in tutti i casi in cui il termine per il relativo esercizio sia già decorso al momento della verifica fiscale nella quale i suddetti inadempimenti formali vengano accertati.
La sensazione di un non perfetto allineamento tra il primo ed il secondo capo del dispositivo della sentenza Ecotrade si rafforza, poi, considerando che la C.T.P. di Genova aveva interrogato la Corte di giustizia proprio sulla questione se la sesta direttiva osti alla normativa nazionale (l’art. 19 d.P.R. n. 633/1972) che subordina, anche nel caso di applicazione del regime del reverse charge, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA all’osservanza di un termine di decadenza più breve rispetto al termine per l’accertamento dell’imposta; consentendo, quindi, all’amministrazione di esigere il pagamento del tributo quando il contribuente già sia decaduto dal diritto alla detrazione.
La Corte di giustizia ha riformulato le questioni proposte dal giudice genovese come tendenti a chiarire se la sesta direttiva osti, da un lato, alla previsione di un termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA e, d’altro lato, alla prassi di sanzionare col diniego del diritto alla detrazione irregolarità contabili e dichiarative nella procedura di reverse charge. Con tale riformulazione la Corte di Lussemburgo ha in sostanza separato questioni che nel quesito del giudice remittente erano proposte unitariamente, scindendo, quanto agli effetti sul diritto alla detrazione, il tema della violazione degli adempimenti formali previsti dal regime del reverse charge dal tema della decadenza ex art. 19, co. 1, d.P.R. n. 633/1972; e proprio in forza di tale scissione la sentenza Ecotrade può affermare che la sesta direttiva, mentre non osta alla previsione di cui all’art. 19, co. 1, d.P.R. n. 633/1972, osta, invece, alla prassi dell’amministrazione finanziaria di sanzionare col diniego del diritto alla detrazione le irregolarità contabili e dichiarative in cui il contribuente sia incorso nell’applicazione della procedura del reverse charge. Ma la chiarezza concettuale di questa scissione, netta sul piano teorico, si appanna proprio nella fattispecie oggetto del giudizio in cui era stato disposto il rinvio pregiudiziale, nel quale l’amministrazione contestava il diritto alla detrazione della società Ecotrade appunto sul rilievo che la contribuente era decaduta da tale diritto per non averlo esercitato nel termine di legge.
Detto appannamento, del resto, emerge dal contenuto del § 68 della sentenza Ecotrade, laddove si legge che una prassi di rettifica e di accertamento che sanziona l’inosservanza degli obblighi contabili e di dichiarazione con un diniego del diritto alla detrazione «eccede inoltre quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare le frodi, ai sensi dell’art. 22, n. 8, della sesta direttiva, poiché essa può addirittura comportare la perdita del diritto a detrazione qualora la rettifica della dichiarazione da parte dell’amministrazione fiscale intervenga solamente dopo la scadenza del termine di decadenza di cui dispone il soggetto passivo per effettuare la detrazione.» Tale argomentazione non si coordina agevolmente con l’affermazione che la norma su cui si fonda la prassi contrastante con la sesta direttiva (l’art. 19 d.P.R. n. 633/1972) è, invece, con quest’ultima compatibile e, in definitiva, pare postulare che, pur quando la verifica fiscale intervenga dopo la scadenza del termine per l’esercizio del diritto alla detrazione, la causa della perdita di tale diritto risieda nella inosservanza degli obblighi contabili e dichiarativi del regime di reverse charge, invece che nella decadenza del diritto alla detrazione conseguita al decorso del detto termine7.
Proprio sulla menzionata dicotomia, con riferimento agli effetti sul diritto alla detrazione, tra la violazione degli adempimenti formali previsti dal regime del reverse charge ed il decorso del termine di decadenza ex art. 19 d.P.R. n. 633/1972 si fonda la sentenza della Cass., 15.7.2015, n. 14767, la quale, pronunciandosi su un caso in cui la cessionaria italiana aveva omesso le dovute registrazioni, affronta espressamente, per la prima volta, il tema della decadenza dal diritto alla detrazione in materia di acquisti intracomunitari.
Tale sentenza – pur rilevando che nella specie, in base ai principi della sentenza Idexx, il diritto alla detrazione doveva ritenersi sorto in capo alla contribuente, perché la sussistenza dei relativi presupposti sostanziali era stata accertata dal giudice di merito e, d’altra parte, l’irregolare attuazione della procedura del reverse charge non aveva pregiudicato l’attività di controllo dell’amministrazione – ha però ritenuto dovuto il versamento dell’IVA perché il suddetto diritto non era stato esercitato entro il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 19 d.P.R. n. 633/1972; si argomenta, al riguardo, che «Il diritto alla detrazione sorge infatti, come si è detto, nel momento stesso in cui diviene dovuta l’imposta da detrarre.
Ma, in tale momento, quel che si verifica non è l’automatica estinzione del debito d’imposta, bensì la nascita del diritto del cessionario ad estinguere detto debito esercitando il diritto a detrazione. Quest’ultimo è certamente un diritto potestativo, ma l’estinzione per compensazione del debito – che ne costituisce l’effetto – è condizionata al fatto che il diritto sia effettivamente esercitato» (§ 3.2). Nella sentenza Cass. n. 14767/2015, dunque, la scissione, implicita nella sentenza Ecotrade, tra gli effetti della violazione degli adempimenti formali di cui agli artt. 46 e 47 d.l. n. 331/1993 e gli effetti del decorso del termine di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633/1972 viene portata fino in fondo.
La Cassazione, peraltro, percepisce la tensione tra tale posizione e l’affermazione della sentenza Ecotrade secondo cui la disciplina armonizzata dell’IVA osta alla prassi di negare il diritto alla detrazione per l’inadempimento di obblighi solo formali che sia stato accertato dopo il decorso del termine di decadenza di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633/1972 (§ n. 68 della sentenza Ecotrade, citato sopra) e risolve tale tensione facendo leva sul distinguo operato nel § 36 della sentenza Ecotrade tra l’ipotesi in cui il contribuente commetta in buona fede un’irregolarità contabile incidente sulla dichiarazione dell’IVA e l’ipotesi in cui il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale per tardività o per negligenza.
In sostanza, secondo il più recente approdo della Cassazione, in caso di violazione degli adempimenti formali previsti dalla procedura del reverse charge, l’esercizio del diritto alla detrazione (del quale sussistano i requisiti sostanziali) non viene meno, ma è destinato ad estinguersi se per negligenza non venga esercitato nel termine di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633/19728. Si perviene così ad una forte valorizzazione dell’elemento psicologico della condotta del soggetto passivo, giacché il contribuente può evitare gli affetti della decadenza ex art. 19 d.P.R. n. 633/1972 solo allegando e provando «l’insussistenza di una tardività dovuta a negligenza oppure di una negligenza tout court» (§ 5.1).
Con la sentenza Cass. n. 14767/2015 il dibattito sul diritto alla detrazione nel sistema del reverse charge pare dunque essersi spostato dalla questione degli effetti della violazione degli adempimenti formali di cui agli artt. 46 e 47, d.l. n. 331/1993, ormai definita dalla sentenza Idexx, alla questione degli effetti del decorso del termine di decadenza di cui all’ art. 19 d.P.R. n. 633/1972.
Un ultimo cenno al profilo sanzionatorio. In Cass. n. 14767/2015 si afferma (§ 7.1) che, nel caso di decadenza del contribuente dal diritto alla detrazione, l’imposta a monte non può dirsi assolta neanche irregolarmente e, quindi, trovano applicazione tanto l’art. 6, co. 1, d.lgs. n. 471/1997 (che, prima della modifica recata dal d.lgs. n. 158/2015, puniva la violazione degli obblighi di documentazione e registrazione di operazioni imponibili con la sanzione dal 100 al 200 per cento dell‘imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato ai fini IVA), quanto l’art. 5, co. 4, del medesimo decreto legislativo (che, prima della modifica recata dal d.lgs. n. 158/2015, puniva l’esposizione in dichiarazione di un’imposta inferiore a quella dovuta con la sanzione dal 100 al 200 per cento della differenza rispetto all’imposta dovuta).
Peraltro in detta sentenza si afferma anche (§ 7.2), che - alla luce dei principi enunciati nei § 44 e 45 di C. giust., 17.7.2014, C-272/13, Equoland soc. coop. a r.l. c. Agenzia delle dogane – il trattamento sanzionatorio previsto dalle suddette disposizioni risulta eccedente quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione
dell’IVA ed evitare l’evasione; con la conseguenza che le stesse vanno disapplicate in ordine alle modalità di determinazione delle sanzioni e che compete al giudice di merito il compito di graduare e ragguagliare il trattamento sanzionatorio alle circostanze specifiche del caso. È evidente che l’intero impianto di questo ragionamento risulta oggi superato dalla jus novum recato dal d.lgs. n. 158/2015 (v. supra, § 2.2.).
1 Si vedano C.T.P. Trento, 31.1.2007, n. 85; C.T.P. Chieti, 30.1.2007, n. 157; C.T.P. Reggio Emilia, 16.11.2006, n. 122; tutte riprodotte per stralci in Maccuro, D., Operazioni con l’estero, conseguenze dell’omessa auto fatturazione (3), in http://www.fiscooggi.it.
2 In tal senso, C.T.R. Piemonte, 18.4.2007, n. 14, parzialmente riportata in Orsi, E., Davvero non è sanzionabile la violazione di omessa auto fatturazione di operazioni imponibili?, in Il Fisco, 2007, 40, 5882 e ss.
3 Sul punto si veda Guarnerio, G., Reverse charge tra forma e sostanza: rinvio alla corte di Giustizia europea, in Il Fisco, 2014, 10, 955 e ss., ove si nota criticamente che «l’imposta ‘‘a valle’’ cui si riferisce l’art. 19 (del d.P.R. n. 633/1972, n.d.r.) non è l’imposta a debito che si genera per effetto della registrazione dell’autofattura, ma è l’imposta che sarà dovuta quando il contribuente fatturerà le operazioni successive di vendita dei beni o servizi acquistati oggetto di autofattura. Il presupposto di detraibilità previsto dalla legge è che l’acquisto effettuato sia inerente rispetto alle attività fatturate dal contribuente, che si tratti di cessioni di beni o prestazioni di servizi. Questa è l’IVA ‘‘a valle’’» (v. spec. 958).
4 Al secondo dei due orientamenti menzionati nel testo risulta allineata la Risoluzione dall’Agenzia delle entrate 6.3.2009, n. 56/E (poi confermata dalla circ., 17.12.2013, n. 35/E), alla cui stregua «laddove sia constatata una violazione del regime dell’inversione contabile che comporti, in quella sede, l’assolvimento del tributo da parte dei contribuenti, contestualmente all’accertamento del debito deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione della medesima imposta.»
5 Il rilievo si trova in Basilavecchia, M., Inadempimenti formali nell’inversione contabile europea, in Corr. trib., 2015, 6, 403 e ss.
6 Sirri, M.-Zavatta, R., Sulla legittimità di un termine decadenziale per l’esercizio del diritto alla detrazione IVA in ipotesi di “reverse charge”, in Riv. giur. trib., 2008, 8, 659 e ss.; per tali Autori, la fattispecie sarebbe riconducibile alla previsione degli art. 10, co. 3, l. 27.7.2000, n. 212 e art. 6, co. 5-bis, d.lgs. 18.12. 1997, n. 472 (v. spec. 663); in termini sostanzialmente conformi Sottocasa, S., Violazioni relative al meccanismo del reverse charge: tra diritto alla detrazione dell’IVA e sanzioni applicabili, in Il fisco, 2009, 22, 3566 e ss.
7 Al riguardo si è sostenuto, per l’appunto, che la dichiarazione di incompatibilità con la sesta direttiva della prassi seguita dall’amministrazione italiana osterebbe a che il termine ex art. 19 d.P.R. n. 633/1972 – ancorché compatibile con tale direttiva – trovi applicazione nelle situazioni regolate dal meccanismo del reverse charge nelle quali l’imposta risulti dovuta solo a seguito di una rettifica intervenuta dopo la scadenza del termine stesso: cfr. Gianoncelli, S., Il diritto alla detrazione dell’IVA negli acquisti intracomunitari: termine per l’esercizio ed irrilevanza degli adempimenti formali, in Giur. it., 2008, 11 e ss. Un supporto di tale assunto potrebbe ravvisarsi nelle conclusioni dell’Avv. Gen. Sharpston del 13.3.2008 nella causa Ecotrade, laddove si afferma che nella situazione in cui da una verifica fiscale effettuata dopo la scadenza del termine di decadenza del diritto alla detrazione «emerga un debito IVA non dichiarato il quale, se fosse stato dichiarato, avrebbe dato origine ad un concomitante diritto alla detrazione, il debito non può essere riscosso coattivamente senza tener conto del diritto alla detrazione (§ 69, punto 3)».
8 In Paolini, A., Reverse charge, linea dura della cassazione: sanzioni anche se manca il danno, in Il sole 24Quotidiano digitale - Edilizia e Territorio, 19.8.2015, in www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/ si rileva che, alla stregua dell’indirizzo espresso in Cass. n. 14767/2015, «qualsiasi violazione contestata oltre il termine dell’art. 19 d.P.R. n. 633/1972 non potrebbe più essere ascritta tra quelle inidonee a generare un pagamento di imposta» e si auspica che per le violazioni in materia di reverse charge venga riconosciuta l’applicazione dell’art. 60, co. 7, d.P.R. n. 633/1972.