Il ridisegno delle tipologie contrattuali nel Jobs Act
Il contributo analizza la nuova disciplina dei rapporti di lavoro temporanei e dell’apprendistato alla luce della l. 16.5.2014, n. 78, di conversione, con modificazioni, del d.l. 20.3.2014, n. 34, recante «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», situandone l’analisi all’interno della complessiva prospettiva di riforma delineata dal cd. Jobs Act.
Il d.l. 20.3.2014, n. 34, convertito (con significative modificazioni) dalla l. 16.5.2014, n. 781, costituisce la prima parte di un più ampio e ambizioso disegno di riforma del mercato del lavoro italiano, reso noto al pubblico con l’efficace espressione Jobs Act, proprio a voler sottolineare la prioritaria proiezione occupazionale delle misure complessivamente progettate dal governo per contrastare i drammatici effetti depressivi sull’occupazione della perdurante crisi economica.
L’altra parte di tale progetto – che si raccorda, a sua volta, ad una serie di altre misure anticrisi messe in atto dal governo, in particolare sul versante della riforma della pubblica amministrazione2 – è costituita dal d.d.l. delega n. 1428, presentato in Senato il 3.4.2014 e recante «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro».
Il rapporto tra le due parti del progetto riformatore non risulta – al momento – del tutto definito, visto che solo la prima di esse si è tradotta in effettivi atti legislativi, mentre appaiono allo stato assai incerte le prospettive dell’iter parlamentare del disegno di legge delega, specialmente per quanto riguarda la controversa previsione di un contratto di lavoro a tutele crescenti, sulla quale si confrontano punti di vista molto diversi nel dibattito politico. In questo commento focalizzeremo pertanto l’attenzione sulle misure già introdotte dalla l. n. 78/20143, in particolare in materia di rapporti di lavoro a tempo determinato,mettendole in relazione con le prospettive dischiuse dalla eventuale introduzione di una qualche forma di contratto a protezioni crescenti4.
Le tipologie contrattuali maggiormente incise dalla l. n. 78/2014 sono, ancora una volta, quella del contratto a tempo determinato e (ma solo di riflesso rispetto ad essa, secondo una discutibile linea di politica del diritto già seguita dalla l. 28.6.2012, n. 92, come anche dalla l. 9.8.2013, n. 99) quella della somministrazione di lavoro a termine5.
La l. n. 78/2014 realizza una sostanziale espansione dei margini di flessibilità nell’utilizzo del lavoro a termine (diretto e indiretto), generalizzando la linea regolativa – che potremmo (sia pure atecnicamente) definire di “acausalità condizionata” – in tal senso già emersa con la l. n. 92/2012 e poi ulteriormente sviluppata dalla l. n. 99/2013. Tale indubbio elemento di raccordo con le opzioni perseguite dal legislatore nel recente passato non impedisce, peraltro, di cogliere nel Jobs Act il momento di più radicale discontinuità con un’intera tradizione regolativa in materia di lavoro a tempo determinato nell’ordinamento italiano, visto che oggi l’accesso a tale forma di impiego flessibile risulta ormai del tutto disancorato – seppure entro determinati limiti, di natura essenzialmente quantitativa – dalla individuazione di presupposti giustificativi di tipo oggettivo, come tali soggetti, in caso di controversia, al controllo del giudice.
La l. n. 78/2014 interviene, inoltre, sul contratto di apprendistato, benché in modo che risulta assai meno incisivo di quello inizialmente previsto dal d.l. n. 34/20146, che sul punto è stato sostanzialmente modificato in sede di conversione. Come già in passato, quelli sull’apprendistato appaiono, peraltro, interventi piuttosto circoscritti e con ogni probabilità destinati – al pari dei precedenti – ad avere uno scarso impatto sull’utilizzo (che resta largamente sottodimensionato rispetto alle aspettative) di tale tipologia contrattuale, nelle sue diverse articolazioni.
2.1 Il lavoro temporaneo
L’art. 1, co. 1, lett. a), l. n. 78/2014 riformula integralmente l’art. 1 d.lgs. 6.9.2001, n. 368, come già novellato dalla l. n. 92/2012 e dalla l. n. 99/2013.
Alla stregua della previsione ora in vigore del primo comma dell’art. 1 d.lgs. n. 368/2001, è sempre consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, purché questa non superi i trentasei mesi comprensivi di eventuali proroghe, per lo svolgimento di qualsiasi mansione, «sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276». In coerenza con la generalizzazione della regola della “acausalità” della apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro subordinato, così introdotta, l’art. 1, co. 1, lett. a), n. 2, l. n. 78/2014 abroga il co. 1-bis del d.lgs. n. 368/2001, già inserito dalla l. n. 92/2012 e poi ulteriormente modificato dalla l. n. 99/2013 con l’articolazione delle due ipotesi contemplate dalle lett. a) e b)7. E sempre in coerenza con tale regola, espressamente riferita anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, l’art. 1, co. 2, l. n. 78/2014 riscrive il testo dell’art. 20, co. 4, d.lgs. n. 276/2003. Onde anche il contratto (commerciale) di somministrazione di lavoro a tempo determinato diviene possibile, per lo svolgimento di qualsiasi mansione, a prescindere dalla individuazione di qualsivoglia esigenza di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo, ancorché riferita all’ordinaria attività dell’utilizzatore, come già previsto dalla prima parte – ora soppressa – del co. 4 dell’art. 20, d.lgs. n. 276/2003.
Nel nuovo sistema il lavoro temporaneo – diretto e indiretto – diviene dunque generalmente “acausale”, e sotto tale profilo funzionalmente equiparato a quello a tempo indeterminato, nel senso specifico che il ricorso all’una o all’altra tipologia contrattuale non viene più condizionato – in via di principio – alla necessità di individuare, in sede di assunzione ovvero di stipulazione del contratto di somministrazione, un presupposto giustificativo di natura oggettiva (e temporanea)8: la “acausalità”, da eccezione (seppur a largo spettro operativo), qual era ancora configurata dalla l. n. 92/2012 e dalla l. n. 99/2013, diviene la regola generale. Ed in questo senso specifico sembra corretto parlare di sostanziale liberalizzazione delle condizioni di accesso al lavoro a termine9, diretto (ex art. 1, d.lgs. n. 368/2001) o indiretto (ex art. 20, co. 4, d.lgs. n. 276/2003)10, giacché la l. n. 78/2014 – come è stato ben osservato – è sostanzialmente «imperniata sulla libertà di assunzione temporanea», senza che, in via di principio, vi sia più «la necessità della puntuale indicazione, volta per volta, delle ragioni giustificatrici del termine»11.
Nel nuovo sistema delineato dalla l. n. 78/2014 il ricorso “acausale” al lavoro a termine è peraltro condizionato al rispetto di limiti di natura quantitativa.
Fermi i tradizionali divieti di assunzione (art. 3, d.lgs. n. 368/2001) o di somministrazione (art. 20, co. 5, d.lgs. n. 276/2003) a tempo determinato, per il contratto di lavoro subordinato a termine valgono, infatti, i nuovi limiti quantitativi fissati dall’art. 1, l. n. 78/2014.
Il primo è il nuovo limite di durata di trentasei mesi (comprensiva di eventuali proroghe) previsto per ogni contratto a termine concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore – come precisa l’art. 1, co. 1, lett. a), n. 1, l. n. 78/2014 (che novella, come già ricordato, il co. 1 dell’art. 1, d.lgs. n. 368/2001) – «sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato». Si tratta di un limite diverso da quello previsto dall’art. 5, co. 4-bis, d.lgs. n. 368/2001, ancorché con esso convergente12, in quanto diretto a individuare il nuovo presupposto generale di validità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, oggi per l’appunto costituito (unicamente) dal rispetto della durata massima complessiva di trentasei mesi13. Per come risulta lessicalmente formulato, tale limite di durata massima deve ritenersi applicabile ad ogni contratto di lavoro a termine concluso tra un lavoratore ed un qualunque datore di lavoro, anche se quest’ultimo è costituito da un’agenzia di somministrazione14. La disposizione è in tal senso esplicita, come è chiara nel limitare l’applicazione della regola al solo rapporto a termine diretto tra agenzia datrice di lavoro e lavoratore, escludendo dal proprio raggio applicativo il contratto (commerciale) di somministrazione a tempo determinato nel cui ambito è utilizzata la prestazione lavorativa15.
L’art. 1, co. 1, lett. a), n. 1, l. n. 78/2014, novellando il testo del co. 1 dell’art. 1, d.lgs. n. 368/2001, introduce, in secondo luogo, un tetto massimo pari al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, pur facendo salvo il diverso limite eventualmente previsto dal contratto collettivo16. Il limite numerico – che nel testo del d.l. n. 34/2014 era più ampiamente riferito all’organico complessivo in forza presso il datore di lavoro – è derogabile unicamente dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi (fermo, peraltro, il potere derogatorio attribuito dall’art. 8, l. 14.9.2011, n. 148, alla contrattazione «di prossimità»).
Tale previsione legale di contingentamento del numero dei contratti a termine “acausali” – da cui sono espressamente esclusi i datori di lavoro che occupano sino a cinque dipendenti – non si applica al contratto di somministrazione a tempo determinato17.
Essa, tuttavia, proprio perché riferita al «numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo», il quale come visto fa espresso riferimento anche all’apposizione del termine ai contratti conclusi «nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato», deve ritenersi applicabile anche ai rapporti a tal fine costituiti dalle agenzie di somministrazione. Si tratta di un effetto, diremmo “collaterale” (e probabilmente eccedente le intenzioni del legislatore)18, di discutibile irrigidimento della disciplina applicabile alle agenzie di somministrazione, cui sembra possibile rimediare solo facendo buon uso del potere di deroga attribuito alla contrattazione collettiva nazionale di lavoro dalla stessa legge.
Incerte appaiono, del resto, nonostante l’introduzione d’un’apposita previsione dagli intenti chiarificatori nel nuovo co. 4-septies aggiunto dalla legge di conversione all’art. 5, d.lgs. n. 368/2001, anche le conseguenze in senso lato sanzionatorie derivanti dalla violazione del tetto legale (come dell’eventuale clausola collettiva di contingentamento). L’intenzione palesata dal legislatore con l’aggiunta di tale previsione sembrerebbe, in effetti, quella di limitare le conseguenze della violazione del limite percentuale di cui all’art. 1, co. 1, d.lgs. n. 368/2001 al solo piano della neo-introdotta sanzione amministrativa19.
Sennonché il necessario riferimento ai principi generali fa propendere per l’applicabilità, sul piano contrattuale, anche del rimedio della “conversione» del rapporto, ormai tipizzato dallo stesso legislatore, in considerazione della circostanza che il limite percentuale (legale o contrattuale) costituisce – ove operante – requisito di validità dell’apposizione del termine20.
Quelli descritti sono, pertanto, i soli limiti – di carattere eminentemente quantitativo – ora previsti dall’ordinamento per l’apponibilità di un termine al contratto di lavoro subordinato (stipulato con un datore di lavoro privato, visto che per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni continua, sotto tale profilo, a valere la diversa disciplina speciale dettata dal d.lgs. 30.3.2001, n. 165)21.
Pare inevitabile che un tale assetto di disciplina, improntato ad una decisa liberalizzazione delle condizioni d’uso del contratto a termine, sia destinato a sollevare nuove questioni di compatibilità del diritto nazionale con le previsioni della direttiva 1999/70/CE.
Volendo concentrare l’attenzione sul profilo che appare maggiormente problematico – costituito dalla potenziale “tensione” delle nuove regole sul contratto a termine con la previsione sul divieto di “abuso di reiterazione”, di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva22 –, occorre riconoscere che l’unica misura di effettivo rilievo23 all’uopo contemplata dal d.lgs. n. 368/2001 è ora quella del limite di durata massima di trentasei mesi, stabilito, sia pure per fini solo in parte sovrapponibili, dagli artt. 1 e 5, co. 4-bis. Ma un siffatto limite – in particolare quello stabilito dal co. 4-bis dell’art. 5, direttamente volto a garantire il rispetto della clausola 5 della direttiva, in quanto avente una funzione di prevenzione dell’abuso di reiterazione (avendo quello posto dall’art. 1 la diversa finalità di individuare il presupposto di legittimità della apposizione di un termine, anche del primo, al contratto di lavoro) – è affetto da un potenziale ma significativo difetto di effettività, laddove se ne prevede espressamente la derogabilità da parte del contratto collettivo, anche aziendale: ciò che potrebbe non assicurare adeguatamente un risultato di piena conformità al diritto euro-unitario24. Non pare quindi azzardato ipotizzare che la disciplina del lavoro a termine – già oggetto d’un vasto contenzioso “europeo” 25 – sia destinata ad essere nuovamente sottoposta al vaglio della Corte di giustizia sotto i rinnovati profili problematici aperti dalla riforma.
2.2 L’apprendistato
La l. n. 78/2014 interviene invece sul contratto di apprendistato in modo decisamente più contenuto, riducendo peraltro la portata delle più ambiziose previsioni inizialmente introdotte dal d.l. n. 34/2014 con la prevalente finalità di semplificarne la disciplina.
La pretesa semplificazione introdotta dalla legge novellando l’art. 2, co. 1, lett. a), d.lgs. 14.9.2011, n. 167, è invero solo apparente, visto che la disposizione finisce, in realtà, per aggravare gli oneri datoriali attinenti alla forma-contenuto del contratto di apprendistato, che deve ora contenere ab origine – sia pure in forma sintetica26 – il piano formativo individuale, che in precedenza poteva essere definito, sempre sulla base dei moduli o dei formulari definiti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto.
Anche la successiva previsione di cui al nuovo co. 3-bis dell’art. 2, d.lgs. n. 167/2011 (così come modificato dall’art. 2, co. 1, lett. a, n. 2, l. n. 78/2014), pure diretta a ridurre i vincoli gravanti sul datore di lavoro, potrebbe avere un impatto meno significativo di quello divisato dal legislatore. La disposizione riduce, in astratto, sensibilmente la portata dell’onere di stabilizzazione, già introdotto dalla l. n. 92/2012, escludendo anzitutto i datori di lavoro che occupano meno di cinquanta dipendenti. Soltanto per quelli collocati oltre tale soglia occupazionale stabilisce, infatti, che l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. E tuttavia, la riduzione della percentuale di stabilizzazione prima prevista dalla legge potrebbe, in pratica, risultare largamente vanificata dalla espressa (ed invero doverosa) salvezza della facoltà dei contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, di prevedere – come in effetti normalmente prevedono – limiti percentuali diversi e maggiori27.
Quanto all’apprendistato professionalizzante, la soppressione dell’obbligo della formazione pubblica di base e trasversale – inizialmente prevista dal d.l. n. 34/2014 – è stata opportunamente superata dalla legge di conversione, per i profili di contrasto con l’art. 117 Cost. (oltre che di probabile incompatibilità con la disciplina europea in materia di divieto di aiuti di Stato) che essa esibiva28. Ora l’art. 4, co. 3, d.lgs. n. 167/2011, come novellato dall’art. 2, co. 1, lett. c), l. n. 78/2014 stabilisce che le «Regioni provvedono a comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni dalla comunicazione dell’instaurazione del rapporto, le modalità dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili, ai sensi delle linee guida adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 20 febbraio 2014». La previsione – di sicura rilevanza ai fini ispettivi – addossa in buona sostanza alle Regioni l’onere di attivarsi entro il termine stabilito, esonerando in corrispondenza il datore di lavoro (salvi, comunque, gli obblighi direttamente rivenienti dal contratto collettivo). In tal modo, come è stato ben osservato, «la novella subordina l’obbligo della formazione formale ad una comunicazione che la Regione dovrà effettuare al datore di lavoro entro 45 giorni dall’assunzione (termine da considerare ordinatorio e non perentorio), proponendo attività formative organizzate, indicazione delle sedi e relativi calendari»29.
Le altre misure introdotte in materia dal legislatore sono animate dalla lodevole intenzione di fornire qualche incentivo normativo all’utilizzo – rimasto davvero marginale – delle figure dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale e di quello di alta formazione e di ricerca, ma è difficile preconizzarne un impatto di un qualche significato concreto.
Sull’apprendistato di primo livello la l. n. 78/2014 interviene inserendo anzitutto un co. 2-ter all’art. 3 del d.lgs. n. 167/2011, a mente del quale, fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, «in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione almeno nella misura del 35 per cento del relativo monte ore complessivo». La disposizione, applicabile solo in assenza di diverse previsioni dell’autonomia collettiva, benché non impeccabile nella formulazione, è sufficientemente chiara nello stabilire che la retribuzione spettante all’apprendista di primo livello per le ore di formazione – oggetto di discipline regionali fortemente differenziate – è dovuta in una misura ridotta, che non potrà essere inferiore alla indicata percentuale. La legge di riforma inserisce, poi, un ulteriore co. 2-quater all’art. 3 del t.u., che, per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, autorizza ora i contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi a prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato di primo livello, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali30.
Quanto, infine, all’apprendistato di terzo livello, l’art. 2, co. 2, l. n. 78/2014 introduce una modifica al d.l. 12.9.2013, n. 104 (cd. “decreto Carrozza”)31, autorizzando la partecipazione degli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado ai programmi sperimentali per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda anche in deroga ai limiti di età stabiliti dall’art. 5 del t.u. (a beneficio, quindi, anche di quanti non abbiano ancora compiuto la maggiore età).
Tra le numerose deleghe al governo, quali prefigurate dal d.d.l. delega n. 1428/2014, quella in tema di «riordino dei rapporti di lavoro», anche mediante la redazione di un testo organico semplificato «che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti» (art. 4, co. 1, lett. b), è senz’altro tra le più significative, oltre che tra le più problematiche.
In sede di conversione del d.l. n. 34, la l. n. 78/2014, con il prolisso preambolo inserito in premessa del co. 1 dell’art. 1, ha in qualche modo voluto rafforzare questa intenzione riformatrice, che ha subito riacceso il dibattito – sinora prevalentemente accademico32 – legato alla controversa figura del contratto unico a tutele crescenti. Al momento in cui si scrive, a dibattito parlamentare appena avviato, è azzardato formulare previsioni sulla concreta articolazione, e tanto più sul possibile effettivo sviluppo, di una tale previsione di delega, la cui attuazione implicherebbe, comunque, un inevitabile, ulteriore depotenziamento del ruolo di tutela affidato all’art. 18 st. lav.33. È utile tuttavia proporre qualche osservazione conclusiva di taglio generale sul rapporto tra il disegno di legge delega e il potenziale impatto della riforma già realizzata con la l. n. 78/2014.
Il primo rilievo è che la generalizzazione della regola della acausalità della apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato rafforzerà il ruolo egemone già saldamente acquisito da tale tipologia contrattuale come strumento privilegiato di accesso al mercato del lavoro, togliendo spazio (ed interesse, specie da parte delle imprese) per altre fattispecie flessibili di assunzione34. Ciò naturalmente non vale solo per il contratto di apprendistato ma, in prospettiva, anche per quello a protezioni crescenti visualizzato dall’art. 4 d.d.l. delega n. 1428/2014. La ragione è duplice: da un lato, il contratto a termine esclude, per definizione, costi di estinzione del rapporto che, per quanto ridotti rispetto all’attuale disciplina dei licenziamenti, sarebbero comunque presenti in quello a protezioni crescenti; d’altro lato, la trasformazione del contratto a tempo determinato in una «fattispecie quantitativa» di lavoro flessibile35, eliminando il controllo del giudice sul presupposto giustificativo (con le conseguenti incertezze applicative nella lotteria giudiziaria), offre un incentivo normativo difficilmente eguagliabile.
Ciò suggerisce un secondo rilievo conclusivo sulla (ennesima) riforma in fieri. Già oggi si può infatti rilevare che essa non guarda, propriamente, ad un modello di contratto “unico”, in una qualunque delle tante varianti proposte in sede teorica o politica36, giacché queste – nelle stesse scarne indicazioni della Commissione europea – presuppongono, comunque, un corrispondente contenimento degli spazi applicativi del contratto a tempo determinato, il cui utilizzo dovrebbe tornare a essere limitato ad esigenze di lavoro temporaneo oggettivamente definibili e giustificabili37. È evidente che il Jobs Act va, sia pure confusamente, in un’altra direzione, nella quale il contratto a tutele crescenti aspira a porsi come forma di inserimento nel mercato del lavoro funzionalmente alternativa a quella del contratto a tempo determinato>38, di cui dovrebbe quantomeno tentare di emulare il fortissimo appeal concorrenziale.
Ipotesi assai difficile, dopo la l. n. 78/2014, anche sterilizzando in modo sostanziale l’art. 18 st. lav., se non si mettono in campo pure robusti incentivi di tipo economico (fiscale o contributivo).
1 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 19.5.2014 e in vigore dallo stesso giorno.
2 V. principalmente la l. 11.8.2014, n. 114, di conversione, con modificazioni, del d.l. 24.6.2014, n. 90, recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari» (e contenente incisivi interventi di riforma dei rapporti di lavoro nel settore pubblico), e la l. 11.8.2014, n. 116, di conversione del d.l. 24.6.2014, n. 91 sulla “competitività”.
3 Per un primo commento organico alle previsioni della legge cfr. Tiraboschi, M., a cura di, Jobs Act: il cantiere aperto delle riforme del lavoro, Adapt Labour Studies, e-Book Series 2014, 23.
4 Per primi elementi di analisi in tal senso, in una prospettiva critica ampiamente condivisibile, v. Zoppoli, L., Il “riordino” dei modelli di rapporto di lavoro tra articolazione tipologica e flessibilizzazione funzionale, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 213/2014.
5 Per prime valutazioni critiche di diverso segno sulla riforma del lavoro a termine v.Magnani,M., La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato: novità e implicazioni sistematiche, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 212/2014; Speziale, V., Totale liberalizzazione del contratto a termine, in Lavoro Welfare, 2014, 4, 30 ss.; Brollo,M., La nuova flessibilità “semplificata” del lavoro a termine, in Argomenti dir. lav., 2014, 567 ss.; Bosco, A.-Falasca,G., Contratto a termine e somministrazione di lavoro, supplemento di Guida lav., Milano, 2014.
6 Cfr. Tiraboschi, M., a cura di, Decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34. Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, Adapt Labour Studies, e-Book Series, 2014, 22.
7 Rinviamo sul punto all’esegesi svolta in Giubboni, S., Lavoro a tempo determinato e dintorni, in Il libro dell’anno del diritto 2014, Roma, 2014, 348 ss.
8 L’utilità d’una siffatta individuazione può tuttavia restare ad altri fini, quali tipicamente quelli correlati alla fruizione di regimi contributivi di favore (previsti, ad es., per l’assunzione per ragioni sostitutive) ovvero alla esclusione dai limiti quantitativi fissati dalla legge, di cui si dirà più avanti nel testo. Discorso analogo vale per le speciali ipotesi, già “acausali”, di somministrazione a tempo determinato tuttora contemplate dall’art. 20, co. 5-bis, d.lgs. n. 276/2003. V. più in dettaglio Bosco, A.-Falasca, G., Contratto a termine e somministrazione, cit., rispettivamente 16 e 87.
9 In senso solo apparentemente diverso ci sembra la posizione espressa sul punto da Magnani, M., La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, cit., 5, secondo la quale «è sbagliato parlare di “liberalizzazione” del contratto a termine in senso proprio, nel senso cioè di una sua equiparazione al contratto a tempo indeterminato; piuttosto, ad una fattispecie qualitativa si sostituisce una fattispecie quantitativa: la durata massima del contratto e delle relative, eventuali, proroghe, che, appunto, non può eccedere i trentasei mesi». La l. n. 78/2014 non giunge, in effetti, ad una integrale equiparazione del contratto a termine a quello a tempo indeterminato, che resta «la forma comune di rapporto di lavoro» (art. 1, co. 01, d.lgs. n. 368/2001, come riformulato dalla l. n. 92/2012), con dirette implicazioni sul piano del sistema rimediale e sanzionatorio. L’equiparazione è limitata al (pur decisivo) profilo delle condizioni d’uso del lavoro temporaneo, che – entro i limiti quantitativi, legali o contrattuali, di cui si sta per dire nel testo – diviene ora sempre utilizzabile al pari di (e dunque in luogo di) quello a tempo indeterminato, del quale diventa, per l’appunto, equivalente del tutto fungibile sul piano funzionale.
10 In tal senso, tra gli altri, Speziale, V., Totale liberalizzazione, cit., 30 ss.
11 Brollo,M., La nuova flessibilità “semplificata”, cit., 580.
12 Cfr. Rausei, P., Tra sanzioni civili e amministrative si gioca l’incertezza del contenzioso, in Tiraboschi,M., a cura di, Jobs Act, cit., 75 ss., sul punto 83.
13 Ai sensi dell’art. 4, d.lgs. n. 368/2001, come novellato dall’art. 1, co. 1, lett. b), l. n. 78/2014, il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato col consenso del lavoratore, nel predetto arco di durata massima complessiva, sino ad un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi, alla sola condizione che le proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa oggetto del contratto. La legge di conversione ha qui modificato il testo del d.l. n. 34/2014, che prevedeva un massimo di otto proroghe nell’arco dei complessivi trentasei mesi, precisando – opportunamente – che il limite vale a prescindere dal numero dei rinnovi.
14 Cfr. Spattini, S.-Tiraboschi,M., La somministrazione di lavoro dopo il decreto Poletti: una prospettiva di flexicurity?, in Tiraboschi, M., a cura di, Jobs Act, cit., 60 ss., sul punto 69-70.
15 V. Bosco, A.-Falasca, G., Contratto a termine e somministrazione, cit., 88-89, anche per la (problematica) delineazione del raccordo con la nuova disciplina collettiva del settore.
16 L’espressa salvezza della previsione di cui all’art. 10, co. 7, d.lgs. n. 368/2001 implica anche la sottrazione delle fattispecie di apposizione del termine ivi contemplate a qualunque limite quantitativo eventualmente fissato dalla contrattazione collettiva.
17 V. anche Bosco A.-Falasca, G., Contratto a termine e somministrazione, cit., 86.
18 V. Spattini, S.-Tiraboschi, M., La somministrazione di lavoro dopo il decreto Poletti, cit., 71.
19 Pari, rispettivamente, al 20 ovvero al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, a seconda che il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia inferiore ovvero superiore ad uno. L’art. 5, co. 4-octies, d.lgs. n. 368/2001 precisa che i maggiori introiti derivanti dalla erogazione della sanzione amministrativa pecuniaria affluiscono ad apposito capitolo d’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnati al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, di cui all’art. 18, co. 1, lett. a), l. 28.1.2009, n. 2.
20 Requisito che risulta, anzi, oggettivamente rafforzato, anche in un’ottica di interpretazione conforme al diritto euro-unitario, nel nuovo contesto normativo di generale “acausalità” (e di ampia prorogabilità) del contratto di lavoro a tempo determinato. Tra i primi commenti, per l’applicabilità della sola sanzione ammnistrativa, Magnani, M., La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, cit., 8-9; nel senso qui sostenuto v. invece Zoppoli, L., Il “riordino” dei modelli di rapporto di lavoro, cit., 18; Rausei, P., Tra sanzioni civili e amministrative, 89; Tiraboschi,M.-Tomassetti, P., Il nuovo lavoro a termine, in Tiraboschi,M., a cura di, Jobs Act, cit., 1 ss., spec. 12.
21 Talune previsioni in tema di assunzioni a tempo determinato sono dettate, per il settore pubblico, a conferma della specialità e dell’autonomia della relativa disciplina, dal d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni nella già citata l. n. 114 dello stesso anno.
22 Si condivide infatti l’opinione di Magnani,M., La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, cit., 5, sulla tendenziale evanescenza dell’altra clausola sovente invocata per contestare la conformità alla direttiva, quella di “non-regresso” di cui all’art. 8 dell’accordo quadro, cui come noto la giurisprudenza della Corte di giustizia riconnette effetti che si risolvono (e diremmo si dissolvono) in oneri di esplicitazione delle finalità di politica del lavoro, sottostanti alla revisione della disciplina interna di recepimento, facilmente assolvibili dallo Stato membro interessato.
23 Tale non sembra – contrariamente a quanto ritiene Magnani, M., op. loc. ultt. citt. – la debole previsione (che peraltro riduce il livello di tutela in precedenza garantito al lavoratore) sul limite massimo delle cinque proroghe nell’arco dei trentasei mesi, in quanto essa non riguarda la diversa fattispecie del rinnovo del contratto, rilevante ai fini della clausola 5 della direttiva. Né può rilevare a tal fine il blando potenziamento del diritto di precedenza nelle assunzioni previsto dall’art. 1, co. 1, lett. b-quinquies) e b-sexies), l. n. 78/2014.
24 In termini analoghi Giovannone, M.,-Tiraboschi, M.- Tomassetti, P., La disciplina del contratto a termine tra istanze di semplificazione e logiche di sistema, in Tiraboschi,M., a cura di, Disposizioni urgenti, cit., 3 ss., spec. 12-13; Zoppoli, L., Il “riordino” dei modelli di rapporto di lavoro, cit., 21 (che si spinge più discutibilmente a profilare un contrasto della nuova regola della acausalità ex art. 1, l. n. 78/2014 pure con gli artt. 1, 2, 4, 35 e 41 Cost., anche alla luce dell’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sulla base di un non convincente «parallelismo funzionale tra licenziamento e apposizione del termine»).
25 Quello più significativo investe oggi, come noto, principalmente il settore del lavoro pubblico, in particolare nel comparto della scuola: v. più di recente, ex multis, l’analisi (e diremmo quasi la testimonianza) di De Michele, V., Il contratto a tempo determinato, in Cinelli,M.-Ferraro, G.-Mazzotta, O., a cura di, Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Torino, 2013, 19 ss., e di Coppola, P., I recenti interventi legislativi sul contratto a termine. A forte rischio la tenuta eurounitaria del sistema interno, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 198/2014.
26 Ma, anche sotto tale profilo, la semplificazione era stata a ben vedere già conseguita con la previsione di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 99/2013, che ha limitato l’obbligo del piano formativo individuale agli aspetti relativi alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche.
27 Cfr. Tiraboschi,M., Apprendistato: una semplificazione di facciata, in Id., a cura di, Il Jobs Act, cit., 33 ss., spec. 39.
28 Come subito segnalato in dottrina: v. ad es. Tiraboschi, M., Apprendistato: una semplificazione che non aiuta, in Id., a cura di, Disposizioni urgenti, cit., 69 ss., spec. 71 (il quale metteva icasticamente in evidenza «l’involuzione di sistema» che sarebbe così derivata dalla degradazione dell’apprendistato professionalizzante «a mero percorso di inserimento occupazionale, sussidiato e normativamente agevolato»).
29 Valsiglio, C., Apprendistato. Novità e disciplina per aziende e professionisti dopo la legge 16 maggio 2014, n. 78, supplemento a Guida lav., Milano, 2014, 11.
30 In analogia con quanto già previsto dall’art. 4, co. 5, del t.u. per l’apprendistato professionalizzante.
31 Convertito, con modificazioni, nella l. 8.11.2013, n. 128.
32 Cfr., per tutte, la recente sintesi di Casale,G.-Perulli, A., Towards the Single Employment Contract. Comparative Reflections, Oxford - Portland (Oregon), 2014.
33 Sulle cui ulteriori ipotesi di revisione (o addirittura di superamento) si è, infatti, subito rinfocolato il dibattito (dai consueti tratti di polarizzazione ideologica) in sede politico-sindacale.
34 Cazzola,G., Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: cronaca di una morte annunciata, in Bollettino Adpat del 7.7.2014 (www.bollettinoadapt.it), parla addirittura di una prevedibile «cannibalizzazione» di altre figure contrattuali da parte del contratto a termine.
35 Per riprendere ancora Magnani, M., La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, cit., 5.
36 Cfr. da ultimo Ouaissi, H., Le travail de demain: rénovation ou révolution?, Issy-les-Moulineaux, 2014, 72 ss.
37 Si rinvia ancora a Casale, G.-Perulli, A., Towards the Single Employment Contract, cit., spec. 4, 35 e 55.
38 Cfr. pure Zoppoli, L., Il “riordino” dei modelli di rapporto di lavoro, cit., 5, nonché Id., Flex/insecurity. La riforma Fornero (l. 28 giugno 2012, n. 92) prima, durante e dopo,Napoli, 2012, 31.