Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
È da tempo tramontata l’idea di un Cinquecento teso a evolvere verso un equilibrio classico, verso un disciplinato controllo dello stile. Accanto a fenomeni di dissidenza di artisti che, con modi "irriguardosi" e "affannati" (Longhi), si oppongono a un Rinascimento composto e armonico, si registrano segni di crisi da parte degli stessi protagonisti – Leonardo, Michelangelo, Raffaello – eletti da Giorgio Vasari (Proemio alla Parte Terza delle Vite) a modello della perfezione raggiunta dalla "maniera moderna". Di questa nuova consapevolezza critica ha dimostrato di accorgersi per primo Heinrich Wölfflin (1888) quando, in una frase divenuta ormai celebre, ha paragonato ciò che per convenzione si chiama il pieno Rinascimento a una "cresta sottile" che, non appena raggiunta, viene subito valicata.
La "perfezzione" dell’arte: Leonardo, Michelangelo e Raffaello
L’individuazione di un apogeo culturale di cui sono primi interpreti Leonardo, Michelangelo e Raffaello attraverso le esperienze vissute a Firenze, negli anni della Repubblica, e a Roma, lungo il pontificato di Giulio II (1443-1513, papa dal 15039 fino all’"età dell’oro" di Leone X, è dunque il portato della visione critica e della concezione progressiva della storia dell’arte di Vasari.
Pur essendo riuscito nell’intento di “contraffare […] tutte le minuzie della natura” fino a infondere “alle sue figure il moto e il fiato”, il linguaggio sperimentale di Leonardo rientra tuttavia a fatica nell’“idea di perfezzione” formulata da Vasari. L’inquietudine e l’insaziabilità della ricerca son tratti distintivi della sua biografia: “vario e instabile” negli interessi, Leonardo si mette ad “imparare molte cose”, ma una volta cominciate spesso le abbandona; non accetta senza discutere le certezze consolidate dall’autorità del sapere, ma muove continuamente “dubbi e difficultà” al maestro che gli insegna l’abaco; il suo "cervello" mai cessa di "ghiribizzare". Disseminati nel testo vasariano, molteplici sono gli indizi di una nuova attitudine assunta da Leonardo nello studio della "natura" che vuole "contraffare", pur seguendo anche “buona regola, miglior ordine, retta misura”. Le sperimentazioni scientifiche lo portano infatti a scoprire la qualità mutevole, sempre sfuggente della natura, che continuamente fluisce, si trasforma e si manifesta in nuovi fenomeni. Ne è riflesso la rappresentazione delle forme articolate in uno spazio "biologico", concatenate in gesti e sguardi che non solo costruiscono relazioni fisiche, ma esprimono anche stati d’animo, "moti" interiori, come documenta il cartone londinese della Sant’Anna (National Gallery). Il sistema oggettivo della scienza prospettica, basato sui rapporti proporzionali e matematici, sembra perdere saldezza e nitore per effetto della nuova visione di Leonardo, scientifica perché fondata su un’osservazione diretta della realtà naturale, sull’esperienza sensibile: le linee non contengono più rigorosamente le forme, ma si moltiplicano, incrociandosi e sovrapponendosi per rincorrere la mobilità della figura nello spazio, e si sfumano nei contorni per restituire il senso dell’immersione delle "cose" nei fluidi atmosferici. In scultura Michelangelo perviene invece a una resa plastica degli effetti dinamici: il David (Firenze, Gallerie dell’Accademia), richiesto nel 1501 dai consoli dell’Arte della Lana, fa emergere la personale lettura dei suggerimenti leonardeschi nell’attenzione alla definizione psicologica del personaggio, condensata nel volto pensoso e concentrato, e nella vitalità del corpo del giovane, nonostante la posizione "a riposo" degli arti. L’imitazione della natura tiene conto della tradizione antica e del principio di una bellezza ritmica e regolata: atteggiato secondo il "contrapposto" della statuaria antica, sulla quale Michelangelo si esercita fin dalla prima giovinezza, il marmo si anima per la tensione elastica dei muscoli, il gonfiarsi delle vene, il tendersi dei nervi, l’infossarsi della gola alla base del collo a causa del respiro. David incarna l’immagine atletica dell’eroe e diventa il civis-miles (cittadino-soldato), figura esemplare di difensore dello Stato auspicata da Niccolò Machiavelli, segretario della Repubblica fiorentina, e da lui teorizzata anche nel Principe del 1513. Nella sua interpretazione del’eroe biblico Michelangelo fa confluire l’affermazione orgogliosa di una autonomia e di una libertà repubblicana, conciliando valori civili e religiosi, civiltà umanistica e cristiana. La perfezione formale, espressa dalla rappresentazione del corpo umano attraverso le proporzioni corrette e la potenza vitale dell’anatomia, non è però esente da infrazioni volute: spesso Michelangelo tende a valicare la "misura" classica con un dinamismo esaltato nei volumi, che forza i limiti della regola prospettica e dell’armonia della statuaria antica, aprendo fenditure nella fiducia rinascimentale di un possibile ordine, naturale e razionale. Il giovane Raffaello entra nel vivo di questa cultura e si misura con l’attività di Leonardo e Michelangelo rafforzando il proprio linguaggio individuale, già avviato verso l’assimilazione della “dolcezza nei colori unita” – di Pietro Perugino e Francesco Francia) – come superamento della “maniera secca, cruda e tagliente” della civiltà prospettica quattrocentesca (Vasari). Davanti alle sollecitazioni fiorentine resiste in Raffaello l’impianto compositivo strutturato secondo proporzioni matematiche di radice urbinate che rendono omogenea la costruzione spaziale; l’indagine sui turbamenti dell’anima, spinta da Leonardo fino alle inquietudini più istintive e irrazionali, è ricondotta entro un ordito sorvegliatissimo, e le ricerche sui valori plastici e dinamici di Michelangelo divengono funzionali a una costruzione tridimensionale delle figure.
Una lingua "illustre"
Fin dal soggiorno fiorentino Raffaello va definendo il proprio linguaggio: vocaboli di etimologia classica, accostati secondo regole di eufonia ad altri di uso moderno, ma pur sempre colti; una sintassi sviluppata in ritmi che rendono scorrevole e logica la concatenazione degli accadimenti; una prosa elevata che sembra fondarsi sulla concordanza fra argomento e stile. Ne è esempio il Trasporto di Cristo morto (1507, Roma, Galleria Borghese) in cui, entro la narrazione a fregio, scandita in una successione armonica di verticali e diagonali, risaltano le tangenze con Michelangelo: la Maria inginocchiata che si volge a reggere la Vergine, ispirata al Tondo Doni (1503-1504, Firenze, Uffizi), e il corpo di Cristo con il braccio abbandonato come nella Pietà in San Pietro (Roma), invenzione a sua volta desunta da un antico sarcofago con la Morte di Meleagro. La civiltà classica, anche nelle scoperte recenti (il Laocoonte, rinvenuto nel 1506 sull’Esquilino, preso a modello per il volto di Nicodemo), e la tradizione contemporanea sono fonti per un’eloquenza che ha significative analogie con la discussione coeva sulla questione della lingua. La proposta di Raffaello ha molte affinità con l’ipotesi elaborata da Pietro Bembo, già entro il 1512, nei primi due libri delle Prose della volgar lingua (edite nel 1525). Si cerca un linguaggio letterario perfetto, cui attribuire dignità pari al latino: l’italiano fissato in norma da Bembo deve essere modellato sulla miglior tradizione del volgare illustre; non deve essere quello della lingua parlata, ma dei letterati; deve essere composto da parole scelte, disposte sapientemente secondo principi di eufonia, e da costrutti dotati di varietà, gravità, piacevolezza. Caratteristiche, queste, che appartengono da tempo alla "parlata" di Raffaello e che si specificano ancor meglio nelle opere della sua maturità per trasmettere senza limiti regionali i contenuti universali della Chiesa.
Dipingere la "vita perfetta": fra’ Bartolomeo
Il domenicano fra’ Bartolomeo, monaco al convento di San Marco a Firenze, coglie subito le potenzialità dell’oratoria, solenne ma priva di ostentazione, ideata da Raffaello attraverso una sintesi delle proposte di Leonardo e Michelangelo. I suoi dipinti devono alimentare la devozione e promuovere un ideale morale e spirituale in linea con il messaggio di Girolamo Savonarola, morto sul rogo nel 1498, ma vivo nel ricordo dei suoi sostenitori. Il loro linguaggio, come quello dei monaci predicatori dell’ordine domenicano, che “più s’affaticano [ …] di ridurre gli uomini, ostinati nel peccato, a la vita perfetta” (Vasari), deve esser chiaro e convincente nel delineare esempi da seguire. Nella pala oggi al Louvre, realizzata nel 1511 per la chiesa di San Marco e acquistata l’anno successivo dal governo repubblicano per farne dono all’ambasciatore francese Jacques Hurault, la sacra conversazione include il tema del matrimonio mistico di santa Caterina da Siena. Il soggetto è adatto alla destinazione monastica poiché allusivo all’unione con Dio, meta del cammino contemplativo condotto dal religioso in convento. Stimolo alle meditazioni spirituali dei monaci, e alla devozione dei fedeli, la grande tavola dispone il gruppo dei santi secondo il modello di Raffaello, da cui proviene anche l’idea del baldacchino (Raffaello, Madonna del baldacchino, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti). I santi dialogano con la gravitas degli oratori antichi, monumentali anche grazie al punto di vista leggermente ribassato, memori della lezione della prima stanza vaticana. Naturali nelle espressioni e nelle movenze, veri nel risalto dei volumi armonizzati nella gradazione dei chiaroscuri, incarnano l’ideale di "vita perfetta" auspicata da Savonarola. Al suo insegnamento si ispira la prosa di fra’ Bartolomeo, che evita di adornare lo sfondo architettonico della pala con “marmi o macinghi […], o altre simili pietre dal mondo stimate” (Vita del beato Jeronimo Savonarola di Fra’ Pacifico Burlamacchi), e colloca all’interno della scena figure semplici e devote. Pittura e predicazione sono in perfetta sintonia.
Dipingere "senza errori": Andrea del Sarto
Va mutando dunque lo statuto dell’artista, che si affranca dalla condizione di artigiano per accedere a quella dell’intellettuale nella scelta di un linguaggio da adattare ai contenuti secondo "convenienza". La naturale predisposizione all’arte pone Andrea del Sarto, pittore fiorentino "senza errori" nel disegnare, nel comporre e nel colorire (Vasari), in situazione di privilegio nel misurarsi con Leonardo, Michelangelo, Raffaello. Lo dimostra la Natività di Maria, affrescata fra il 1513 e il 1514, ultimo intervento nel ciclo del chiostrino dei voti della Santissima Annunziata a Firenze: nell’interno domestico, ampio e ornato, la storia si svolge in un “componimento di figure benissimo misurate e accomodate con grazia” (Vasari), che rende esplicito l’interesse dominante di Andrea del Sarto per la pittura di Raffaello, anche nei più moderni esempi romani, fatta di ordine fra pause e azioni, a cui si aggiungono i "moti" di Leonardo ad animare i volti e gli effetti scultorei di Michelangelo a rendere tangibili i personaggi. Il confronto con i modelli risponde all’esigenza di definire un canone. In parallelo con l’elaborazione teorica condotta di Pietro Bembo, il criterio privilegiato viene individuato nel principio di armonia e di equilibrio, da variare nei ritmi e nei toni per meglio riuscire a catturare l’attenzione e a emozionare i destinatari. Ma i tempi stanno rapidamente cambiando.
È il 1517 e la Madonna delle arpie (Firenze, Galleria degli Uffizi) per le monache del convento fiorentino di San Francesco de’ Macci, densa di significati allegorici, stupisce per la sua bellezza – come sottolinea a più riprese Vasari –, annunciando la presenza nella bottega degli allievi Jacopo Pontormo e Rosso Fiorentino, attratti dal mondo nordico e dalla grafica di Albrecht Dürer, il cui influsso si coglie nel turbamento dei volti. Anche il panneggio e la gamma cromatica dissonante indicano una ricerca di eleganza che sorpassa l’ideale di bellezza nobile e naturale di Raffaello, presagendo gli sviluppi della Maniera.