Il Rinascimento. Gli strumenti scientifici
Gli strumenti scientifici
Data la grande diffusione della matematica applicata e dell'astrologia nella società europea del XV e del XVI sec. (v. capp. XI, XII, XIII), non è sorprendente assistere in questo stesso periodo a un concomitante perfezionamento degli strumenti utilizzati in queste scienze. In modo anacronistico, si è soliti definire questi ultimi 'strumenti scientifici', ma in questo campo è difficile stabilire una terminologia corretta e le invenzioni che esamineremo sono, allo stesso tempo, qualcosa di più e qualcosa di meno di ciò che oggi s'intende con quella espressione.
Durante il Rinascimento, in particolare nell'astronomia, erano certamente utilizzati strumenti scientifici nel significato moderno del termine, cioè strumenti o apparecchi che servivano a compiere un'indagine nell'ambito di una particolare scienza o a dimostrare e a spiegare un certo fenomeno. Questi strumenti potevano essere impiegati per eseguire misurazioni ‒ come, per esempio, il quadrante e la ballestriglia dell'astronomo ‒, oppure come mezzi didattici per simulare una situazione sotto forma di modelli in scala, come il globo celeste o la sfera armillare. I simulacra potevano avere due ulteriori funzioni: euristica e di calcolo. In primo luogo, l'universo intellettuale dell'epoca riconosceva al ragionamento analogico e alla dimostrazione concreta attraverso l'uso di modelli una validità maggiore di quella che le strutture logiche del pensiero razionale del XX sec. siano disposte a concedere loro. Quindi, il fatto stesso che fosse possibile costruire un modello concreto che presentasse la spiegazione ipotetica di un qualche fenomeno naturale serviva a rafforzare la spiegazione stessa. In secondo luogo, modelli analoghi dotati di parti mobili, quali l'astrolabio e l'equatorio, consentivano di simulare la configurazione della volta celeste in un dato momento, che non sarebbe stata possibile determinare altrimenti se non attraverso il calcolo. Da questo punto di vista, quindi, l'astrolabio, l'equatorio e altri strumenti a essi affini appartengono tanto al gruppo delle macchine che definiremmo 'strumenti sostitutivi del calcolo', quanto a quello dei 'modelli didattici'.
L'esigenza di evitare ‒ o quanto meno di ridurre al minimo ‒ il calcolo riveste una grande importanza, in quanto ha costituito il principale incentivo allo sviluppo della produzione di strumenti e della loro successiva commercializzazione. Infatti, sia l'astronomia sia l'astrologia richiedevano calcoli lunghi e laboriosi. La grande diffusione dell'astrologia nella società rinascimentale e il conseguente aumento del numero degli astrologi, che in materia di calcolo non erano tutti esperti e a volte neppure competenti, produsse un aumento della richiesta di strumenti che consentissero di aggirare questa difficoltà. Allo stesso tempo, la matematizzazione di alcune attività essenziali alla vita delle società come, per esempio, la navigazione, la misurazione topografica, l'architettura e la fortificazione, la contabilità, la registrazione e la misurazione del tempo, fece sì che, rispetto all'epoca precedente, un numero maggiore d'individui si trovasse nella necessità di dover fare calcoli, rendendo così molto ricercati gli strumenti che potevano sostituirli nello svolgimento di questo compito. La diffusione della matematica applicata e lo sviluppo della produzione degli strumenti si rivelano così due eventi indissolubilmente legati.
Possiamo suddividere gli strumenti in tre categorie: quelli impiegati nella pratica scientifica; quelli utilizzati nell'insegnamento e nelle dimostrazioni; quelli infine usati nelle attività quotidiane. Tuttavia, anche se è lecito distinguere tra gli strumenti di misurazione e quelli che facilitavano le operazioni di calcolo o le eseguivano, non è possibile tracciare una precisa linea di demarcazione, poiché, a seconda del loro modo di utilizzazione, gli strumenti possono passare da una categoria all'altra e appartenere contemporaneamente a più di una categoria. Non è dunque opportuno insistere eccessivamente sulla suddivisione in categorie. Nel nostro caso, gli strumenti saranno descritti sotto la voce della disciplina a cui appartengono, dal momento che la maggior parte delle innovazioni che s'imposero in questo periodo erano innovazioni specifiche, che riguardavano determinati settori della conoscenza e persino operazioni particolari nell'ambito di un settore. La ballestriglia impiegata nella nautica, per esempio, non era identica a quella usata dai topografi e neppure a quella utilizzata dagli astronomi.
Benché durante il Rinascimento si siano imposte moltissime innovazioni, nel loro insieme esse non furono tali da caratterizzare questo periodo storico. Le innovazioni, infatti, erano apportate all'interno del tradizionale apparato di strumenti ereditato dalla prima metà del Medioevo e, generalmente, consistevano in un adattamento a operazioni specifiche o in tentativi di combinare in un singolo strumento la possibilità di effettuare più operazioni. Non vi furono innovazioni radicali tali da imprimere il loro segno sull'epoca, come accadrà per le invenzioni degli strumenti ottici e di quelli fisici del XVII secolo.
Ciò che caratterizza questo periodo e ne giustifica l'esame come capitolo ben determinato nella storia generale dello sviluppo della produzione degli strumenti, è la crescita di una struttura stabile e organizzata per la loro fabbricazione e per la loro commercializzazione. Il XV e il XVI sec. segnano un periodo di transizione nella fabbricazione degli strumenti che, da occupazione occasionale di studiosi o di artigiani, si trasforma in un'attività permanente, svolta in laboratori nei quali si formavano coloro che aspiravano ad apprendere questo mestiere.
In quest'epoca, infatti, dopo una prima fase contrassegnata da una certa instabilità si consolidò sempre di più la fabbricazione degli strumenti come attività ben precisa, svolta stabilmente come arte, quantunque umile, nelle botteghe e nelle corti; aumentò sia il numero degli artigiani che costruivano strumenti e che divennero sempre più spesso specialisti, sia quello delle loro botteghe. Eccetto la fabbricazione delle bilance, la produzione e il commercio degli strumenti ebbero origine da un'ampia gamma di altre attività, come l'orologeria, la tornitura, l'incisione e la fusione. Nel Rinascimento, infatti, un ristretto gruppo di coloro che esercitavano queste arti si dedicò alla fabbricazione degli strumenti, dando così origine a una manifattura specializzata. Fu questo un processo lento e l'associazione tra la fabbricazione degli strumenti e l'orologeria e, più in generale, la meccanica di precisione proseguì ben oltre il XVIII sec., poiché la fabbricazione degli strumenti condivideva con queste ultime non soltanto le tecniche e le conoscenze, ma anche una parte del suo oggetto. Ciononostante la tendenza alla specializzazione appare evidente.
Alla fine del XVI sec. troviamo un numero minore di artigiani che fabbricano strumenti e che nello stesso tempo costruiscono orologi o macchine per l'edilizia di quanti ve ne siano all'inizio del secolo. Questa evoluzione è interna alla logica di un'espansione dell'attività e riflette probabilmente anche un generale ampliamento delle specializzazioni delle funzioni nella matematica applicata.
Un commercio fiorente richiede una domanda stabile. Durante il Rinascimento, in tutta l'Europa, uno dei maggiori successi della fabbricazione degli strumenti è aver saputo soddisfare la crescita della domanda con la produzione di strumenti semistandardizzati, conservando, allo stesso tempo, la competenza necessaria a innovare e a sviluppare strumenti particolari per ordinativi speciali. Sebbene ci siano pervenute alcune testimonianze sulle quantità o partite prodotte, come, per esempio, quelle relative alla fabbrica di astrolabi di Georg Hartmann a Norimberga, è probabile che nel XVI sec., in laboratori più piccoli di quelli di Hartmann, di Christoph Schissler il Vecchio, di Hans Christoph Schissler il Giovane o di Walter Arsenius, le scorte disponibili fossero molto inferiori, e che anche gli strumenti prodotti in serie fossero fabbricati solamente su ordinazione.
Certamente ciò accadeva per gli strumenti di alta qualità, che possono essere suddivisi in due categorie, quelli proponenti nuove soluzioni, ideati da uno studioso e costruiti con la collaborazione di un artigiano, e quelli di grande effetto, ideati per essere presentati a un principe o a un personaggio autorevole e che quindi dovevano essere estremamente perfezionati e possedere un valore ornamentale simile a quello dei prodotti dell'oreficeria. Probabilmente Tobias Volkmer o Erasmus Habermel, che lavoravano per le corti di Brunswick e di Praga, ricevevano un maggior numero di richieste di questo genere rispetto agli artigiani occupati nelle attività commerciali di tutti i giorni, ma tutti quelli che costruivano strumenti di alta qualità potevano entrare in rapporto con un mecenate o con circoli che coltivavano interessi particolari. Habermel, a giudicare dalle date riportate su alcuni di essi, costruì ventuno strumenti per un solo mecenate, Francesco da Padova di Forlì (1542 - m. dopo il 1603), medico di successo a Praga per un periodo di circa sei anni.
A Parigi, Philippe Danfrie (1532 ca.-1606) sembra fosse in contatto con almeno una delle informali ma erudite accademie di corte. Verosimilmente, il mecenatismo fu un importante incentivo all'innovazione e al conseguimento di una migliore qualità artigianale. Inoltre, attraverso di esso, si giunse all'incorporazione della fabbricazione degli strumenti nel settore generale delle arti applicate.
Nel Rinascimento, quindi, l'arte della fabbricazione degli strumenti era esercitata come attività nelle botteghe dei piccoli centri e delle città (e come tale era soggetta alle disposizioni sul commercio emanate dalle gilde e dalle corporazioni), e come mestiere che godeva di una posizione privilegiata nelle corti. Essa poteva avvantaggiarsi e beneficiare dell'esercizio del mecenatismo senza dovervi dipendere e, nel corso del tempo, divenne sempre più riconoscibile come attività degna di considerazione. Ai prodotti normali di questa manifattura poteva essere aggiunta una serie di strumenti strutturati in modo complesso, innovatori e più o meno originali; tra questi, molti erano soltanto varianti di apparecchi già esistenti, altri erano eccessivamente complessi o presentavano altri difetti, ma alcuni di essi, come il goniografo, il compasso proporzionale, il compasso a regolo e il settore, divennero popolari ed entrarono a far parte della gamma degli strumenti prodotti in serie. Allo stesso tempo, come conseguenza della valorizzazione dello status commerciale dell'arte della fabbricazione degli strumenti, iniziò a essere prodotta un'intera gamma di accessori, in particolare custodie e piedistalli. Il treppiede è probabilmente un'invenzione del Rinascimento.
Alle affermazioni di carattere generale sugli strumenti rinascimentali per la misurazione e il calcolo è doveroso aggiungere alcune precisazioni. Tra queste la più importante riguarda le bilance. Come abbiamo già sottolineato, la fabbricazione delle bilance non ebbe origine nel Rinascimento così come le altre attività di lavorazione dei metalli. In molte regioni europee già sotto il controllo delle gilde e delle corporazioni, la fabbricazione delle bilance era sorta durante il Medioevo come manifattura di alta precisione, specializzata e organizzata. Le cause di ciò sono ovvie. La fabbricazione delle bilance aveva un'utilità sociale immediata che altri strumenti matematici acquisirono solamente nel XV e nel XVI secolo. Essa, inoltre, richiedeva una lavorazione artigianale altamente qualificata e specializzata che necessitava di un controllo scrupoloso. Attraverso le bilance entravano in relazione il mondo concreto e quotidiano dell'utilità pratica e quello dell'erudizione, perché la progettazione e l'utilizzazione di tali strumenti concorreva alla formazione del concetto di 'precisione' e poneva questioni interessanti che riguardavano la filosofia della Natura come, per esempio, quelle relative al peso specifico. Una misurazione accurata era di grande importanza per i farmacisti, per gli orefici e per gli argentieri. La sua proficua utilizzazione come tecnica d'indagine nelle operazioni chimiche e alchemiche e nella fisica proseguì ben oltre l'età rinascimentale.
Durante il Rinascimento, nonostante l'introduzione di alcune novità, non s'imposero innovazioni radicali nel metodo di progettazione delle bilance. Furono perfezionati i sistemi attraverso i quali le corde dei piatti erano assicurate al giogo della bilancia e furono introdotte le sospensioni a coltello e i meccanismi per disinnescare i coltelli quando la bilancia non era usata. Anche l'ovvia precauzione di custodire le bilance più sensibili, di alta precisione, in una custodia per proteggerle dalle perturbazioni ambientali sembra essere stata un'esigenza rinascimentale.
Nel Rinascimento nessun'altra disciplina, forse a eccezione della musica, necessitava di tanti strumenti quanto l'astronomia. Essa richiedeva sia l'impiego di strumenti di osservazione, che erano usati non per esaminare la natura dei corpi celesti, ma per eseguire le misurazioni necessarie a determinare le loro posizioni; sia l'utilizzazione di strumenti di simulazione usati non soltanto per evitare lunghi calcoli, ma anche per le dimostrazioni e l'insegnamento. In entrambi i casi questi strumenti erano stati ereditati dal Medioevo e alcuni di essi risalivano a epoche anche più remote. I principali strumenti di osservazione ‒ il quadrante, gli strumenti armillari e il triquetrum ‒ derivavano dagli strumenti descritti da Tolomeo nell'Almagesto e dai commentari di Proclo, Teone e Pappo al trattato tolemaico. A questi, nel secondo venticinquennio del XIV sec., Lēwī ben Gēršōn detto Gersonide (1280-1344), aggiunse la ballestriglia. Tutti questi strumenti ebbero un certo sviluppo nel corso del XV sec., e a tale riguardo non è ancora del tutto chiaro quanti di questi perfezionamenti fossero stati trasmessi all'Europa cristiana dai paesi arabo-islamici e quanti fossero stati elaborati nella stessa Europa. Nella misura in cui nel Rinascimento gli astronomi erano anche umanisti, il desiderio di questi ultimi di ricostruire fedelmente i testi e gli oggetti dell'Antichità può avere complicato la produzione di strumenti.
Riguardo ai grandi quadranti d'osservazione usati in Europa, prima di Tycho Brahe non ci è pervenuta praticamente nessuna informazione. Tra gli strumenti di Niccolò Copernico figurava un quadrante meridiano, e il fatto che un grande quadrante di legno dotato di un lembo graduato diviso in un 1′ di arco, a sua volta suddiviso in 10″, il cui raggio misurava 19 piedi (5,8 m ca.), fosse tra i primi strumenti costruiti da Brahe, dimostra che già allora il quadrante era impiegato per misurare le altezze degli astri. Nel 1572, a Wittenberg, Wolfgang Schuler, che possedeva un quadrante di questo stesso tipo, decise di sostituirlo perché lo giudicava antiquato. Ciononostante non sembra che il quadrante fosse uno strumento di uso comune, probabilmente perché era troppo costoso e la sua costruzione richiedeva un grande dispendio di tempo. Pare che esso non fosse stato utilizzato né da Regiomontano né da Bernhard Walther, che usavano prevalentemente il triquetrum, la ballestriglia o radius astronomicus e la sfera armillare zodiacale. Nel 1471 Regiomontano descrisse quest'ultima in un testo che successivamente fu inserito nella raccolta dei suoi scritti, Scripta clarissimi mathematici M. Ioannis Regiomontani, edita da Johann Schöner nel 1544.
Nel XV sec., a Norimberga, il triquetrum, chiamato allora comunemente 'regolo di Tolomeo' (o 'apparecchio parallattico') e la sfera armillare zodiacale, definita armilla Ptolomei nelle illustrazioni contenute negli Scripta (f. 20v), erano quindi esplicitamente associati ai loro progenitori alessandrini dai matematici umanisti che li utilizzavano. Tuttavia, la graduazione del triquetrum moderno è diversa da quella descritta nell'Almagesto. Tolomeo, infatti, aveva ideato questo strumento per misurare la distanza zenitale della Luna al suo passaggio meridiano, mentre gli strumenti rinascimentali erano di solito impiegati (e graduati) per misurare le altezze degli astri. Lo strumento costruito da Regiomontano per Mattia I Corvino re d'Ungheria era diviso in 142.000 parti, ma in questo caso la graduazione era segnata sul braccio inferiore, dove poteva essere letta confrontandola con la posizione dell'alidada, invece che sull'asta verticale alla quale doveva essere applicato il braccio inferiore, come nel modello di Tolomeo. Le dimensioni di questo apparecchio variavano a seconda che si trattasse di un modello fisso o portatile. In entrambi i casi esso doveva essere alto almeno 5 piedi (1,5 m ca.), considerando che l'altezza media dell'osservatore superava generalmente di poco questo valore, a cui andava aggiunto quello della base dello strumento. Abitualmente il triquetrum era costruito in legno, ma si fabbricavano anche modelli di ottone o rivestiti di ottone come quello di Regiomontano.
Nonostante la sua antica discendenza, durante il Rinascimento il triquetrum cessò di essere utilizzato comunemente. Tra il 1475 e il 1504 Walther lo utilizzò per misurare 746 altezze stellari e si diceva che Copernico avesse costruito con le sue stesse mani lo strumento che successivamente entrò in possesso di Brahe.
Quest'ultimo, dopo aver apportato molti perfezionamenti al modello tradizionale ‒ dotandolo, tra l'altro, di diottre, suddividendo trasversalmente la scala, collocando il filo a piombo in una cavità del corpo dell'asta verticale, per proteggerlo dal vento, e aggiungendo una molla all'estremità dell'alidada, da cui si effettuava l'osservazione, per tenerla in posizione contro il regolo graduato ‒ giunse infine alla conclusione che questo strumento non consentiva di ottenere risultati sufficientemente precisi e certi. Egli, quindi, ideò una nuova versione, molto più voluminosa, del modello fisso. Ma, nonostante queste innovazioni, nel XVI sec. i triquetra non riuscirono a sopravvivere. Benché uno di essi fosse descritto nel 1593-1594 da Antonio Santucci delle Pomarance nell'inventario degli strumenti che facevano parte del guardaroba della famiglia Medici, granduchi di Toscana (Firenze, Biblioteca Marucelliana, C. 82, ff. 44r-45r; 47v-48r), i triquetra non facevano parte dell'attrezzatura degli astronomi della generazione di Galileo Galilei, di Pierre Gassendi, o dei primi professori della cattedra saviliana di Cambridge.
La stessa sorte sarà riservata alla sfera armillare zodiacale tolemaica. Benché questo strumento fosse più conveniente e probabilmente più preciso (nel 1488, Walther, subito dopo aver acquistato una sfera armillare zodiacale, abbandonò la ballestriglia che aveva utilizzato per tredici anni), il suo costo, la sua voluminosità e il suo complesso modo di utilizzazione, unitamente all'esplicita disapprovazione di Brahe, ne sconsigliavano l'uso. Brahe aveva notato che, facendo girare la sfera, gli anelli si distaccavano dai loro piani provocando nell'osservazione errori di molti minuti d'arco. L'unico strumento armillare che figurava nell'attrezzatura definitiva di Brahe, che era composta da quattro strumenti, era un anello singolo fissato nel piano equinoziale, ma anche questo era scarsamente utilizzato dagli astronomi moderni.
Mentre questi due strumenti di osservazione, ereditati dall'epoca precedente, non riuscirono a sopravvivere nel Rinascimento, la ballestriglia, che era ugualmente imprecisa e che non era direttamente leggibile ma richiedeva calcoli di conversione, seguitò comunque a essere utilizzata fino alla metà del XVII secolo. In effetti il XVI sec. e la prima metà del XVII coincisero con il periodo della sua massima diffusione. Come aveva notato Brahe, che pure era critico nei riguardi di questo strumento, presumibilmente ciò accadde perché la ballestriglia era facilmente trasportabile e perché, benché fosse di ottone, era relativamente semplice da costruire e da graduare.
Nella versione di legno la ballestriglia era uno strumento che poteva essere acquistato dalla maggior parte degli aspiranti astronomi, persino da quelli che disponevano di risorse limitate, soprattutto se, sull'esempio di Gassendi, essi erano capaci di graduarla con le proprie mani.
Gersonide ideò due versioni della ballestriglia e le descrisse in ebraico in uno scritto che fu tradotto in latino nel 1342 da Pietro di Alessandria. Questo testo era noto agli studiosi del XV e del XVI sec. e, in particolare, a Regiomontano, a Federico Commandino, a Pietro Ramo e a Johannes Kepler. Nella prima metà del XV sec. la ballestriglia fu utilizzata da Paolo dal Pozzo Toscanelli, benché del suo strumento non ci sia pervenuta una descrizione dettagliata. Lo strumento di Regiomontano e quello di Walther erano costruiti sul modello di Gersonide di cui Regiomontano conosceva la descrizione.
La ballestriglia era costituita da un'asta principale lunga 6 cubiti (8-9 piedi ossia 2,4-2,7 m ca.) divisa in 1300 parti uguali. La traversa, a sua volta, era suddivisa in parti disposte a intervalli uguali, e ciascuna delle sue estremità era dotata di mire, così come l'estremità dell'asta principale da cui si effettuava l'osservazione. Era possibile utilizzare traverse di dimensioni diverse. Durante l'uso, l'estremità dello strumento da cui si effettuava l'osservazione, che avrebbe richiesto un supporto, si trovava proprio al di sotto dell'occhio dell'osservatore. Quindi era applicata all'asta principale una traversa, le cui dimensioni dovevano essere proporzionate all'oggetto osservato e coprire esattamente il diametro o la distanza stellare da misurare. Il valore così ottenuto, infine, doveva essere convertito in una misura angolare, mediante il calcolo e il ricorso alle tavole trigonometriche.
Durante il XVI sec., alla ballestriglia furono apportati numerosi perfezionamenti. Furono messe a punto nuove versioni per la misurazione topografica e per la nautica e, nel 1514, Johann Werner pubblicò il progetto di una serie di otto scale angolari ‒ che dovevano essere incise sull'asta in modo tale da rendere possibile la lettura delle misure già convertite in gradi ‒ ciascuna delle quali corrispondeva alle dimensioni delle otto traverse consigliate da Werner. Alcuni perfezionamenti, ancora più importanti, furono introdotti da Gemma Frisius, che in un'esauriente spiegazione descrive uno strumento la cui lunghezza poteva variare da 3 a 6 piedi (0,9-1,8 m ca.); gli esempi che ci sono pervenuti sono relativi a un esemplare la cui lunghezza misurava 4,5 piedi (1,4 m ca.), che combinava in un unico modello portatile le funzioni svolte dalla ballestriglia dell'astronomo e da quella del geometra. Esso aveva una sola traversa le cui estremità erano dotate di traguardi e al cui centro si trovava un traguardo mobile. Tuttavia, benché fosse maneggevole e conveniente, questo strumento era soggetto a troppi errori di eccentricità per poter essere impiegato nelle osservazioni astronomiche di alta precisione.
La ballestriglia raggiunse il suo apogeo nel 1572/1573 grazie a Thomas Digges. Egli progettò uno strumento cavo, a sezione triangolare, realizzato con lamina di ottone, a volte rafforzata da un'anima di legno, la cui lunghezza misurava 10 piedi (3 m ca.), mentre la lunghezza della traversa era di 5 piedi (1,5 m ca.). L'asta era divisa in 10.000 parti da linee trasversali, e la traversa era divisa in 5.000 parti. A prescindere da questa graduazione decimale (che di per sé costituiva già una novità), la più importante innovazione introdotta da Digges era costituita dalle mire composte di piccole piastre dotate di pinnule. Collocando una mira di questo tipo all'inizio della scala, all'estremità da cui si effettuava l'osservazione, Digges eliminò gli errori di eccentricità. Inoltre questo strumento era montato su un sostegno regolabile che consentiva il moto rotatorio in tutte le direzioni.
Probabilmente, nell'Europa del tempo, lo strumento ideato da Digges era il migliore. Alcuni suoi esemplari furono utilizzati da John Dee e forse anche da Thomas Harriot. Esso, inoltre, fu alla base dei perfezionamenti apportati da Brahe, che ebbe l'idea d'invertire le parti dello strumento, in modo che l'osservatore potesse operare dall'estremità dell'arco dove poteva regolare direttamente la mira. Egli, inoltre, elaborò un modello nel quale la traversa aveva una posizione fissa, assicurando in tal modo una maggiore certezza nella determinazione dell'angolo retto che essa formava con l'asta. Gli strumenti che successivamente si diffusero in Europa sono una combinazione dei modelli prodotti da Frisius, da Brahe e da Digges.
Nonostante il successo ottenuto nel XVI sec. e all'inizio del XVII, gli astronomi della generazione di Johannes Hevelius, di John Flamsteed e di Gian Domenico Cassini disdegneranno la ballestriglia e giudicheranno inattendibili le misure ottenute con essa. Le ragioni di questa perdita di fiducia vanno ricercate in primo luogo nella riforma della strumentazione astronomica introdotta da Tycho Brahe, che poneva in primo piano i quadranti e i sestanti, e in secondo luogo nella costruzione di osservatori attrezzati con strumenti fissi di grandi dimensioni. Anche se quest'ultima evoluzione è successiva al Rinascimento, tuttavia essa fu influenzata dalle decisive attività di Brahe.
L'astronomo danese, in effetti, aveva trasformato la fabbricazione degli strumenti di grandi dimensioni. Egli aveva introdotto la pratica, radicalmente innovatrice, di considerarli come oggetti che richiedevano di essere perfezionati attraverso un costante programma di ricerca prima di poter essere efficacemente utilizzati. Così, dei trenta strumenti che sono descritti nell'Astronomiae instauratae mechanica, soltanto quattro ‒ un quadrante murale di 6 piedi e 1/2 (1,98 m), due quadranti rotanti che misuravano rispettivamente 5 (1,52 m) e 6 piedi (1,83 m), e un'armilla equatoriale di 4 piedi e 1/2 (1,4 m ca.) ‒ facevano parte della sua attrezzatura astronomica finale, che non fu definitivamente stabilita prima del 1586.
Lo strumento armillare equinoziale misurava 4 piedi e 1/2 (1,4 m ca.). Esso era composto da un singolo anello il cui diametro misurava poco più di 8 piedi (2,4 m ca.) che era rafforzato da un'elaborata serie di montanti a croce fissati sull'asse polare dello strumento e liberi di ruotare in un semicerchio fisso. Questo semicerchio rappresentava l'equinoziale e il vantaggio di utilizzarne solamente la metà che si trova al di sotto dell'orizzonte consiste nel fatto che in questo modo la metà superiore non può privare di luce quella inferiore. Il meridiano era allineato ai due perni e lo strumento era costruito con legno rivestito di lamine di ottone, mentre l'asse polare era di acciaio (v. cap. XI, fig. 15).
Il quadrante murale probabilmente è lo strumento di Brahe più noto. Esso era costruito nella struttura del muro di un edificio posto lungo un meridiano, la scala era incisa su una lamina di ottone ed era suddivisa, mediante linee trasversali, in parti uguali, ciascuna delle quali indicava 6´´ di arco. Tuttavia, il perfezionamento più importante introdotto da Brahe era rappresentato dall'impiego di un mirino raffinato. Nel traguardo della parte posteriore del mirino erano praticate due fessure che consentivano un'osservazione parallela e assicuravano un corretto allineamento dell'alidada. La parte anteriore del traguardo era indipendente dall'alidada poiché era dotata di un cilindro collocato in una cavità del muro di fronte e al di sopra del quadrante.
I due quadranti rotanti, uno di legno e l'altro di acciaio, erano stati concepiti fondamentalmente come strumenti di verifica, ed erano impiegati per confermare le osservazioni eseguite con l'armilla equinoziale (che indicava 15´´ di arco) e con il quadrante murale (che indicava 10´´ di arco). Se le osservazioni di un singolo oggetto eseguite con questi quattro strumenti concordavano, il risultato poteva essere considerato attendibile.
Benché non sia entrato a far parte della sua attrezzatura definitiva, il sestante ‒ che Brahe utilizzò ampiamente durante la sua giovinezza e con il quale aveva osservato sia la nuova stella del 1572 sia la cometa del 1577 ‒ a quel tempo era probabilmente il più noto dei suoi strumenti e quello destinato ad avere in seguito una storia più lunga. Con ogni probabilità uno dei motivi della sua popolarità era costituito dal fatto che esso poteva essere utilizzato da una singola persona e, nel caso in cui fosse costruito con viti, poteva essere smontato e trasportato. Brahe descrive la costruzione di un sestante ‒ svoltasi a Cassel sotto la direzione di Paul Wittich ‒ che egli stesso aveva progettato e che era destinato all'osservatorio di Guglielmo IV, langravio d'Assia-Cassel.
Poiché le misure ottenute a Cassel concordavano, con lo scarto di 1/2 minuto, con quelle ottenute da Brahe in Danimarca, il successo di questo strumento portò alla sua introduzione come componente fondamentale nell'attrezzatura di ogni osservatore serio e di ogni osservatorio attrezzato sia durante il Rinascimento sia nell'epoca successiva. Ci sono pervenuti due sestanti attribuiti a Jobst Bürgi (1572-1632) e costruiti a Cassel, uno dei quali è identico a uno strumento costruito dallo stesso Bürgi a Praga nel 1600 su ordinazione del barone Hoffman. Quest'ultimo strumento, assieme a un quadrante azimutale progettato da Brahe e anch'esso costruito per il barone Hoffman, fu usato da Kepler tra il 1602 e il 1604, fu sottoposto a un costante processo di perfezionamento e seguitò a essere utilizzato durante tutto il XVII sec. e in certi paesi sopravvisse anche più a lungo.
Durante il Rinascimento, mentre l'attrezzatura astronomica d'osservazione subiva una sorprendente evoluzione, gli strumenti utilizzati per insegnare e dimostrare un certo argomento rimasero più legati alla tradizione.
Questi ultimi ‒ astrolabi, quadranti, equatoria, torqueta, globi e sfere armillari ‒ derivavano tutti da modelli antichi e medievali. Nell'insieme essi subirono un perfezionamento tecnico piuttosto limitato. Tuttavia, sembrò quasi illimitata la crescita della loro domanda che, a partire dal XIV sec., condusse a una proliferazione di questi apparecchi nelle scuole, nei collegi universitari e nei laboratori privati. Lo strumento più rappresentativo dal quale derivarono molti altri apparecchi, sia in astronomia sia in altri campi, fu l'astrolabio. Questo strumento versatile ‒ che combinava le funzioni di macchina per la dimostrazione e per il calcolo, e di apparecchio per determinare il tempo e per misurare gli angoli ‒ divenne sempre più conosciuto e utilizzato nel corso del Rinascimento. Benché i primi trattati in volgare sull'astrolabio risalgano alla metà del XIV sec. (come, per es., quello scritto in francese da Pélerin di Prussia nel 1362, e quello scritto in inglese da Geoffrey Chaucer nel 1390 ca.), durante il Rinascimento sarebbe aumentato notevolmente il numero delle opere che trattavano di questo strumento, sia in lingue volgari sia in latino, alle quali la ricerca umanistica aggiunse perfino alcune edizioni di un certo numero di tardi testi greci. Durante il XV sec. furono stampati dieci trattati sull'astrolabio, e nel periodo successivo il loro numero aumentò vertiginosamente. In Francia, contando tutte le edizioni, tra il 1520 e il 1580 furono pubblicati trentasei libri sull'astrolabio. Tra questi, ventiquattro erano in latino e tutti i rimanenti in francese, quindici dei quali pubblicati nel decennio che va dal 1550 al 1560.
Benché diseguale nell'andamento e nelle quantità, una tale proliferazione di libri dimostra il grande interesse suscitato in tutta l'Europa da questo strumento. Analogamente alla produzione libraria, anche la fabbricazione dell'astrolabio conobbe un incremento, senza che fossero introdotte innovazioni tecniche di rilievo. Alcune apparenti novità e, in particolare, le proiezioni dell'astrolabio universale, associate ai nomi di Frisius e di Juan de Rojas (attivo tra il 1544 e il 1550), si può dimostrare che risalgano al Medioevo. Nel Rinascimento gli artigiani che fabbricavano gli strumenti dimostrarono la loro originalità non tanto nell'invenzione di nuovi singoli componenti, quanto nel combinarli assieme per produrre uno strumento universale o 'cattolico'. Un esempio tipico di questo genere di strumenti è l'astrolabium catholicum di Frisius, un astrolabio a latitudine singola combinato con un astrolabio universale, dotato di una graduazione segnata sulla distanza zenitale, di un diagramma per segnalare la rotta per i navigatori inciso sulla madre, e di un compasso inserito nel trono per le operazioni di misurazione topografica.
Nel Rinascimento gli astrolabi erano di gran lunga i più popolari tra gli strumenti astronomici dimostrativi e sostitutivi del calcolo. Gli equatoria, invece, benché agevolassero la risoluzione di un problema più difficile, quello relativo alla determinazione della posizione longitudinale di un pianeta in un dato momento, erano molto più rari. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che per fabbricare, progettare e perfino utilizzare gli equatoria in modo corretto era necessaria una profonda conoscenza dell'astronomia planetaria tolemaica. Tuttavia, i migliori matematici del tempo furono attratti dagli equatoria, che consideravano una sfida attraverso la quale dimostrare il loro talento. Nel XVII sec., la diffusione delle teorie di Copernico decretò la fine degli equatoria, benché uno strumento che ci è pervenuto dimostri i tentativi del suo ideatore di adattarlo alla concezione eliocentrica. La sfera armillare, al contrario, seguiterà a essere utilizzata fino all'inizio del XIX sec., sia come strumento didattico nelle scuole sia per agevolare la comprensione dei testi astronomici nelle biblioteche. Gli esemplari rinascimentali di questo strumento sono diversi per i materiali impiegati nella loro costruzione (ottone, argento, legno dipinto o rivestito di carta), per il livello di precisione con cui raffigurano la volta celeste (che era soprattutto una questione di dimensioni e di numero di anelli che potevano essere presenti), e perfino per i sistemi rappresentati (tolemaico, copernicano o eraclideo/ticonico); di quando in quando potevano essere inseriti alcuni indici e mire, in particolare negli strumenti di piccole dimensioni. Se la presenza delle mire evoca le origini tolemaiche della sfera armillare come strumento d'osservazione ‒ e a tale scopo, nel 1575, fu dotato di uno di questi strumenti l'Osservatorio di Taqī al-Dīn a Istanbul ‒ è probabile che negli strumenti di piccole dimensioni, da tavolo, queste mire servissero solamente a eseguire un'osservazione solare o stellare per mettere a punto lo strumento.
Il globo celeste, che era antico come la sfera armillare, e che seguitò a essere utilizzato per un periodo più lungo, durante il Rinascimento subì invece una profonda trasformazione. Da strumento che poteva essere costruito impiegando materiali diversi, come, per esempio, ottone o argento, avorio, legno, cuoio o pergamena, esso giunse a essere abitualmente costruito di gesso o ricoprendo una sfera di legno con cartapesta, a sua volta rivestita con strisce di carta stampate che raffiguravano la mappa stellare; inoltre, esso era accompagnato spesso da un altro corpo sferico che rappresentava il globo terrestre.
I globi terrestri non erano una novità assoluta nell'Europa del Rinascimento. Vi sono tracce della loro esistenza sia nell'Antichità sia nel Medioevo, ma sembra che non fosse mai esistita una manifattura organizzata e stabile per essi. A partire dalla fine del XV sec., come conseguenza dell'esplorazione transoceanica, i globi terrestri divennero popolari e s'iniziò a fabbricarli regolarmente. Il più antico globo pervenutoci è quello ideato nel 1492 da Martin Behaim, anche se, probabilmente, esso non fu il primo a essere costruito. Nel periodo immediatamente successivo si diffuse l'uso della pressa tipografica per stampare la mappa stellare su strisce di carta. Le più antiche strisce stampate conosciute sono quelle ideate da Martin Waldseemüller (1475 ca.-1518) nel 1507, benché sia possibile che a Firenze anche Francesco Roscelli (1445-1510), negli ultimi dieci anni della sua vita, abbia stampato mappe per globi su strisce di carta. Il globo montato più antico che utilizza strisce di carta stampate è quello ideato da Johann Schöner (1477-1547) nel 1515, e la prima descrizione di questo processo di fabbricazione (benché non sia del tutto attendibile) è quella data nel 1527 da Heinrich Glareano (1488-1563).
Anche l'idea di costruire globi terrestri e globi celesti della stessa dimensione e di montarli su supporti uguali per presentare una 'coppia di globi', secondo quello che successivamente sarebbe divenuto il modo più consueto di esporre i globi, deve essere attribuita a Schöner. La coppia di globi riflette la profonda tendenza rinascimentale all'ideazione di strumenti cosmografici universali e completi, come accadeva nella combinazione di differenti funzioni negli astrolabi di Frisius (che progettò anche globi) e di Arsenius, che abbiamo già menzionato, nell'inserimento di lastre geografiche negli astrolabi per trasformarli in strumenti celesti e terrestri ad opera di artigiani-ideatori come Michiel Coignet, Egnazio Danti e Christoph Schissler il Vecchio, o nella combinazione di proiezioni celesti e terrestri con dispositivi che indicavano il tempo nei 'compendi astronomici' prodotti ad Augusta e in altri centri manifatturieri tedeschi.
Le idee di Schöner furono ben presto imitate. Nel 1527, nei Paesi Bassi, i suoi globi e i suoi manuali sui globi furono copiati da Maarten de Kemper e da Gaspard van der Heyden (benché quest'ultimo avesse costruito un globo terrestre già prima di questa data), e successivamente le attività di Frisius e di Gerardo Mercatore diedero inizio, in questa stessa regione, a una tradizione di fabbricazione di globi destinata a prevalere in Europa per più di due secoli, nonostante le manifatture insediate in Germania e in Italia, e un tentativo di secondaria importanza d'istituire questo commercio in Inghilterra. Nel XVI sec., in Francia, a parte uno o due prodotti rudimentali, la fabbricazione dei globi era praticamente inesistente. Nei luoghi in cui era intrapresa, tale arte rimase sempre distinta dalla fabbricazione degli strumenti in generale; benché, come la produzione di altri generi di strumenti, presupponesse una certa esperienza nel campo matematico e la conoscenza dell'arte dell'incisione da parte dell'artigiano, essa tuttavia si distingueva per la varietà delle capacità artistiche richieste e per l'uso della pressa tipografica per fabbricare un prodotto in molte copie. L'arte della fabbricazione dei globi, sia celesti sia terrestri, come del resto quella delle mappe, rimarrà sempre strettamente legata più all'industria tipografica ed editoriale che alle altre branche della fabbricazione degli strumenti, le quali a loro volta trassero anch'esse alcuni vantaggi dalle possibilità offerte dalla riproduzione tipografica.
Un aspetto innovativo della risposta rinascimentale al mercato in vertiginosa crescita degli strumenti matematici, che si sviluppò in questo periodo, fu la produzione di diversi strumenti matematici tradizionali stampati su carta e destinati a essere montati su forme di legno o di cartone. I più antichi strumenti stampati finora conosciuti sono gli astrolabi e le meridiane ideati a Norimberga da Georg Hartmann, il primo dei quali risale al 1531. Nel 1535, un astrolabio di carta, destinato a essere ritagliato e montato, fu inserito, come tavola fuori testo, nell'edizione di Peter Jordan del trattato sull'astrolabio di Johannes Stöffler. Successivamente, a Parigi e a Munden, Danfrie e Johann Krabbe idearono e pubblicarono strumenti stampati su carta e nel secolo seguente seguiteranno a diffondersi pubblicazioni di questo stesso genere. Benché ce ne siano pervenuti solo rari esemplari, fu sotto questa forma, più semplice e meno costosa da produrre, che quegli strumenti si diffusero più ampiamente all'inizio dell'Età moderna.
Nel Rinascimento, l'astronomia era una disciplina già antica. Esistevano, infatti, un apparato di tecniche e di strumenti e un corpo codificato di conoscenze acquisite, entrambi ereditati dalle epoche precedenti, che le conferivano la dignità di una scienza. La nautica, invece, benché ugualmente antica, si era costituita e trasmessa come un sapere empirico, un'arte priva di basi teoretiche. Essa si fondava sull'esperienza, trasmessa di generazione in generazione, quasi sempre oralmente, e richiedeva solo pochi strumenti quali la sagola per scandaglio (utilizzata fin dall'antichità), la bussola, il portolano e la carta nautica, sviluppati congiuntamente nel XII secolo. Questo sviluppo rese familiare al navigatore un ristretto numero di nozioni matematiche. Durante il Rinascimento "una carta marina in scala, una rete geometrica, una tavola trigonometrica, una soluzione grafica al triangolo nautico, un primo passo verso il perfezionamento della graduazione degli strumenti" (Taylor 1960) avrebbero costituito la strumentazione di base della navigazione lungo le coste del Mediterraneo e dell'Oceano Atlantico.
Tuttavia, nel XV sec., l'esplorazione delle coste africane indusse i Portoghesi a elaborare nuove tecniche di navigazione di tipo astronomico e matematico. Infatti, sebbene fosse possibile navigare verso sud senza allontanarsi troppo dalla costa, per ritornare verso nord, a causa dell'azione dei venti dominanti, era necessario navigare verso ovest, percorrendo in mare aperto un ampio arco, per intercettare i venti necessari a dirigersi a nord-est, verso Lisbona. Per determinare la propria posizione in mare aperto gli unici punti di riferimento sono il Sole e le stelle. Ai navigatori, quindi, non restava altra scelta che apprendere alcune nozioni astronomiche e imparare a calcolare. Per rendere più semplice questo compito, fu inventata un'ampia gamma di nuovi strumenti che, combinandosi con quelli già utilizzati, formò il tipico equipaggiamento del navigatore rinascimentale.
Per chi conduceva una nave cabotiera o una nave che, dopo aver attraversato il mare aperto, doveva comunque approdare, era estremamente importante conoscere le profondità delle acque. Il vecchio scandaglio a piombo, che nel Rinascimento era quasi sempre costruito col materiale da cui deriva il suo nome, era costituito da piombi di un dato peso, legati a una fune graduata per mezzo di nodi disposti a intervalli di 6 piedi (1,8 m ca.) ciascuno dei quali corrispondeva a un fathom. Cospargendo di sego o di pece la parte inferiore dei pesi, era possibile portare in superficie particelle dei fondali marini, cosicché il navigatore esperto poteva identificare il suo approdo. Gli scandagli erano noti agli scrittori del Rinascimento, come, per esempio, all'autore della Practica geometriae, attribuita nell'Alto Medioevo a Ugo di San Vittore, essendo stati descritti per la prima volta nella metà del XV sec. da Niccolò Cusano in un testo poi pubblicato nel 1543, e sotto diverse forme, da Christoph Pühler nel 1563 e da Leon Battista Alberti. Misurare le profondità calcolando il tempo impiegato da un galleggiante dotato di pesi per raggiungere il fondale, liberarsi dei pesi al momento dell'impatto e tornare di nuovo alla superficie, era un espediente più appropriato alla misurazione idrografica e alla regolazione dell'uso dell'acqua che alle necessità della navigazione pratica, soprattutto se si dovevano effettuare scandagliamenti nelle acque del Mare del Nord, soggette a intensi flussi di marea. Per conoscere l'andamento delle maree, il navigatore utilizzava le tavole delle maree, che associavano l'alta marea alle fasi e alle posizioni della Luna a una certa data. A partire dalla metà del XIV sec. le tavole delle maree, presentate sotto forma di diagrammi, iniziarono a essere sistematicamente inserite negli atlanti marini e talvolta incise anche nei compendi tascabili di astronomia e di misurazione del tempo che nel XVI sec. erano molto popolari tra i ceti agiati. Dotate di una volvella girevole per evitare di dover calcolare i periodi di alta e bassa marea in giorni diversi da quelli di Luna piena o da quelli di passaggio da una fase all'altra, che erano gli unici valori indicati nelle tavole, queste divenivano esse stesse uno strumento.
Una volta risolto il problema delle maree e della profondità delle acque, il navigatore doveva affrontare quello relativo alla determinazione della distanza percorsa e della velocità, e riuscire in qualche modo a registrarle. Nel Rinascimento, per risolvere il primo problema poteva essere utilizzato il solcometro.
Quest'apparecchio, analogo allo scandaglio, era costituito da una fune annodata alla quale era legato un galleggiante, generalmente una tavola. Gettato a mare il galleggiante, si contavano i nodi che scorrevano tra le mani di chi reggeva la fune in un breve intervallo di tempo (in genere 30 o 60 secondi), cronometrato da una clessidra o attraverso la ripetizione di una serie di formule verbali. Quindi, con un semplice calcolo, si determinava la velocità della nave e la distanza percorsa. Inoltre, nel terzo quarto del XVI sec. furono pubblicati molti progetti di solcometri meccanici, ma non è certo che essi siano stati effettivamente realizzati.
Per seguire la rotta tracciata, lo strumento fondamentale era la bussola. Introdotta nella nautica europea verso la metà o alla fine del XII sec., soltanto a partire dalla metà del XV sec. essa assunse la forma che avrebbe poi conservato nei secoli successivi. L'ago era imperniato al di sopra o al di sotto della rosa della bussola, che era costituita da un cartone leggero su cui erano dipinti i quadranti delimitati dai punti cardinali, suddivisi in 8, 16 o 32 rombi, o i nomi classici dei venti mediterranei, tradizionalmente impiegati nel Mediterraneo per indicare le direzioni. Nel corso del XVI sec. i nomi dei venti furono progressivamente sostituiti dal sistema dei rombi e l'ago fu sempre più spesso fissato a una struttura leggera che sosteneva il cerchio indicatore che, ruotando, consentiva una lettura più facile dello strumento. Benché fosse conosciuta almeno fin dalla metà del XIII sec., la sospensione cardanica (già utilizzata in Persia nel XIV e nel XV sec. per sostenere i bruciatori portatili di incenso e raffigurata, applicata a una bussola, da Leonardo da Vinci in un disegno del 1500), che avrebbe efficacemente neutralizzato il beccheggio e il rollio delle navi, non sembra essere stata utilizzata nelle bussole nautiche fino alla metà del XVI sec. quando Gerolamo Cardano la descrisse nel 1550 nel suo De subtilitate, attribuendole così il suo nome. Verso la metà del XV sec., tuttavia, ancora più importante fu l'individuazione da parte dei navigatori portoghesi della declinazione magnetica, cioè del fenomeno per cui l'ago che indica il Nord punta in una direzione spostata lievemente a oriente rispetto alla sua posizione geografica, che provocò lo sviluppo di un'intera gamma di bussole di declinazione. Queste ultime, dotate di una semplice meridiana applicata alla superficie concava della bussola, consentivano al navigatore d'individuare il suo meridiano locale e di determinare in quale misura l'ago divergesse da esso.
Una volta determinate la distanza percorsa e la direzione era necessario combinarle; a tal fine erano prevalentemente impiegati due strumenti: la tavola della timoneria e la carta idrografica. La tavola della timoneria era un blocco di legno sagomato su cui era dipinto un cerchio indicatore dei rombi della bussola, ciascuno dei quali era provvisto di un numero uguale di fori. Inserendo picchetti in questi fori, il timoniere poteva registrare gli spostamenti e le deviazioni causate dall'azione del vento, delle maree e delle onde e la conduzione della sua nave. Se si usava ‒ come detto sopra ‒ una fune annodata per misurare la velocità della nave, era possibile registrare anche questa per mezzo di una serie ulteriore di fori posti al di sotto della rosa. Allo scadere del turno di guardia, e cioè ogni due ore, il tragitto percorso sarebbe stato calcolato in base alla disposizione dei picchetti e registrato su una speciale lavagna graduata.
Una volta al giorno, congiuntamente a un'osservazione delle altezze per determinare la latitudine, ammesso che ciò fosse possibile, il tragitto percorso era confrontato con la rotta indicata sulla carta.
Per semplificare la consultazione delle carte, durante il Rinascimento all'equipaggiamento del navigatore furono aggiunti due strumenti, il goniometro e i regoli paralleli, che peraltro entrarono nell'uso comune soltanto alla fine di questo periodo. Tuttavia, ancora più importanti erano gli strumenti ideati per rendere possibile l'applicazione dei nuovi metodi astro-matematici di navigazione, elaborati dagli studiosi iberici per determinare la latitudine durante la navigazione in mare aperto. Nell'emisfero settentrionale, l'altezza della Stella Polare al di sopra dell'orizzonte dell'osservatore indicava la latitudine, e cioè la distanza dall'equatore, ma poiché nel corso del tempo, a causa della precessione degli equinozi, la posizione della Stella Polare in relazione al polo reale è soggetta a variazioni, era necessario effettuare correzioni. Durante il Rinascimento, la Stella Polare si trovava a una distanza di 3° 30′ dal Polo ed effettuava un giro completo attorno a esso ogni 24 ore.
Non analizzeremo le regole elaborate per consentire ai navigatori di correggere in modo semplice le osservazioni dell'altezza polare, anche se dobbiamo notare che, finché le tavole non divennero sufficientemente semplici da utilizzare, di quando in quando si tentò di progettare strumenti che offrissero una soluzione meccanica al problema della correzione delle osservazioni dell'altezza polare, o che potessero essere inseriti, come meccanismi di correzione, all'interno degli stessi strumenti d'osservazione. Queste soluzioni erano però poco pratiche o scarsamente attendibili. Si otteneva quasi sempre la precisione massima impiegando strumenti ideati esclusivamente per l'osservazione.
I primi strumenti di misurazione delle altezze erano semplici adattamenti di strumenti medievali. Forse quello che riscosse meno successo fu il quadrante, che fu ridotto a una lamina piatta di ottone da tenere in mano, il cui raggio misurava circa 30 cm, e lungo la cui circonferenza era incisa una scala graduata, le cui divisioni, che indicavano 5° o 10°, erano disposte lungo il corpo dello strumento in direzione della sua sommità, per facilitare la lettura, che era effettuata contro il filo a piombo o contro l'alidada. Strumenti di questo genere cominciarono a essere usati almeno fin dal 1460.
Se sospesi, i quadranti opponevano troppa resistenza al vento e se invece erano tenuti in mano erano difficili da traguardare a causa delle oscillazioni della nave. Essi potevano essere usati, come del resto i primi grandi astrolabi, soltanto quando la nave approdava. L'astrolabio nautico, o 'del marinaio', malgrado il nome non deve essere confuso con il suo corrispondente astronomico. Con quest'ultimo, infatti, non aveva molto in comune, a parte il sistema di sospensione, un'alidada e la scala graduata segnata lungo una parte della sua circonferenza. Nella sua forma classica ‒ che raggiunse nel 1500, forse in seguito alle innovazioni apportate da Abraham Zacuto ‒ l'astrolabio nautico era costituito da un anello di ottone pesante fuso in stampo, dotato di un montante di sostegno a croce al cui centro era imperniata l'alidada; generalmente il tutto era integrato con una base pesante destinata ad assicurare una buona stabilità. Uno o due quadranti di questo strumento recavano una scala graduata per le altezze (che indicava da 0° a 90° al di sotto del punto di sospensione) o per la distanza zenitale (da 0° al di sotto del punto di sospensione fino a 0° verso il basso).
Le misurazioni potevano essere eseguite soltanto su un piano. Benché sia possibile che tale strumento derivi da una semplificazione dell'astrolabio astronomico, è più probabile che esso sia stato elaborato riducendo le dimensioni dei grandi anelli dotati di mire utilizzati dagli astronomi per l'osservazione e applicando loro un sistema di sospensione.
Semplice, solido e sufficientemente preciso, l'astrolabio nautico fu utilizzato nel corso di tutto il Rinascimento. La conoscenza di questo strumento e delle piccole variazioni riscontrabili in strumenti di origine diversa, si è notevolmente approfondita nel corso degli ultimi trent'anni con l'intensificazione delle ricerche archeologiche sottomarine e il ritrovamento di strumenti provenienti dai resti delle navi naufragate. Nel 1966 sono stati ritrovati 21 strumenti, nel 1995, invece, ne sono stati recuperati circa 70.
Una volta attraversato l'equatore, una nave non può più avvistare la Stella Polare. Quindi, per determinare la sua posizione, si deve osservare l'altezza del Sole quando ogni giorno a mezzogiorno attraversa il meridiano. Le osservazioni del Sole erano eseguite per mezzo di un raggio di luce solare che, attraversando un piccolo foro posto nella parte superiore del traguardo dell'alidada, cadeva su un foro corrispondente, o traccia, situato nella parte posteriore. Per eseguire le osservazioni delle stelle erano utilizzati preferibilmente fori più grandi, o intagli, posti sul margine superiore del traguardo. Malgrado la sua comodità, accresciuta dal fatto che non necessitava di un orizzonte visibile per poter essere utilizzato, l'astrolabio nautico aveva quali temibili rivali le ballestriglie adattate a uso nautico e, alla fine di questo periodo, il back-staff o 'quadrante di Davis', così definito in memoria del suo inventore John Davis.
Per una corretta utilizzazione nautica, la ballestriglia doveva avere dimensioni che consentissero di tenerla in mano, la misura della sua lunghezza variava da 1,5 a 4 piedi (0,4-1,3 m ca.) e gli esemplari che ci sono pervenuti misurano in media circa 2 piedi e 7 pollici (0,8 m ca.); essa doveva essere graduata in modo da consentire una lettura diretta delle altezze misurate in gradi, o persino una lettura diretta della latitudine, se era dotata di un meccanismo di correzione della distanza della Stella Polare dal Polo. Originariamente la ballestriglia era impiegata soprattutto per misurare l'altezza polare, ma nel XVI sec., col perfezionamento dei metodi di graduazione e di utilizzazione dello strumento, essa iniziò a essere usata anche per altre osservazioni stellari e per le misurazioni solari, divenendo uno strumento onnipresente e popolare che continuerà a essere usato ben oltre il XVIII secolo.
Non ci sono pervenuti esemplari di ballestriglie nautiche risalenti al XV sec., e non vi sono testimonianze letterarie in cui siano menzionate. Probabilmente l'adattamento della ballestriglia a uso nautico deve essere fatto risalire all'incontro, nell'Oceano Indiano, dei navigatori europei col kamâl, utilizzato dai navigatori del luogo. Il primo riferimento a una ballestriglia nautica è quello di Giovanni da Lisbona nel 1514, ed è noto che essa fu utilizzata in mare da Giovanni Gomes prima del 1524. Seguono quindi, molto sinteticamente, i primi riferimenti inglesi (1537 e 1540). Durante i decenni centrali del secolo questo strumento iniziò a essere utilizzato sistematicamente. Brevi descrizioni si trovano in Pedro de Medina (1545) e Pedro Nuñez (1542) a cui, nel 1551, fa seguito un'esauriente spiegazione di Martin Cortez. Quando, nel 1574, William Bourne scrisse la sua opera sulla navigazione poteva quindi impartire molte nozioni basate sull'esperienza pratica e suggerire un certo numero di innovazioni come, per esempio, quella di usare un frammento di vetro colorato per proteggere gli occhi durante le osservazioni solari o, nel caso in cui questo non fosse disponibile, quella di tenere la mira sul bordo superiore del Sole (in modo tale da oscurarlo col traguardo) e, quindi, correggere il calcolo di un quarto di grado.
Alla fine del XVI sec., grazie all'esperienza pratica e all'indagine teorica, si era raggiunta un'approfondita conoscenza della ballestriglia. I problemi ottici che si erano posti, in particolare quelli relativi alla parallasse e all'eccentricità, furono chiariti e nei calcoli furono introdotte le necessarie correzioni. Furono elaborati metodi di utilizzazione dello strumento che consentivano all'osservatore di rivolgere le spalle al Sole. Questi ultimi, invece dell'osservazione diretta, prevedevano l'utilizzazione dell'ombra della punta dell'estremità superiore del traguardo mobile nel momento in cui cadeva al centro del traguardo dell'orizzonte. Fu proprio il principio dell'osservazione indiretta a essere ulteriormente sviluppato da Davis alla fine del secolo per costruire il back-staff. Esso era costituito da un arco di quadrante ingegnosamente combinato con l'asta principale della ballestriglia, utilizzata però in posizione d'osservazione inversa, con un traguardo fisso. Sotto questa forma elaborata (che si definì compiutamente nel primo decennio del XVII sec.), il back-staff divenne estremamente popolare e conservò un posto nell'equipaggiamento del navigatore fino agli inizi del XIX secolo.
Gli strumenti nautici elaborati nel corso del Rinascimento raggiunsero il loro massimo sviluppo e furono sfruttati al limite delle loro possibilità durante il XVI e il XVII sec., periodo in cui contribuirono a rendere possibile l'espansione di un regolare commercio marittimo e la colonizzazione. Per completare la strumentazione finora descritta andrebbero segnalati alcuni apparecchi specializzati per misurare il tempo e per il disegno che saranno esaminati più avanti e un ristretto numero di strumenti ancillari. I globi terrestri facevano parte dell'attrezzatura delle navi, non come strumenti di navigazione pratica, ma come congegni illustrativi per spiegare le posizioni e le relazioni tra i luoghi. Su scala minore, le relazioni tra i luoghi erano anche il principale oggetto della misurazione topografica e dei mari che condivideva con la navigazione due problemi fondamentali: la misurazione accurata delle distanze e la determinazione delle posizioni di latitudine e di longitudine.
Nell'Europa del Rinascimento, le trasformazioni subite dalla proprietà della terra in seguito al frazionamento o alla riunione delle proprietà feudali e alla recinzione dei campi aperti e dei terreni comuni, assieme al continuo stato di guerra in cui si trovava l'intero continente, condussero a un aumento della capacità di comprensione e della domanda di mappe e di carte. La necessità di una misurazione topografica di alta precisione, basata sulla matematica, comportava inevitabilmente il perfezionamento della sua strumentazione. Verso la metà del XV sec. l'attrezzatura dell'agrimensore era molto ridotta.
I principali strumenti utilizzati erano pertiche e aste per misurazione, squadre a forma di L e di T di grandi dimensioni (oltre 5 o 6 piedi ossia 1,5-1,8 m ca.), corde o funi trattate con cera o con resina per renderle irrestringibili, uniti alle capacità di osservazione dell'agrimensore. Fino al XVI sec., e nel periodo immediatamente successivo, eseguire una misurazione topografica significava poco più che salire su un'altura e disegnare il terreno osservabile ricorrendo raramente alla misurazione o facendone del tutto a meno.
Tuttavia, nel secondo decennio del XVI sec., con l'elaborazione del metodo di triangolazione, impiegato per stabilire la posizione relativa di ciascun punto di un terreno e rappresentarla su una mappa in scala, iniziò un processo di trasformazione e di sviluppo. Questo metodo fu descritto per la prima volta da Frisius in un'appendice alla seconda edizione della Cosmografia di Apiano, benché esso avesse avuto una lunga preistoria soprattutto nell'opera di Alberti.
Il metodo di triangolazione descritto da Frisius era invitante perché offriva la possibilità di disegnare con precisione una mappa topografica senza dover ricorrere al calcolo. Per applicarlo era comunque indispensabile disporre di uno strumento efficiente per misurare gli angoli orizzontali e di un altro che rilevasse le altezze. Lo strumento proposto da Frisius deriva chiaramente dalla parte posteriore dell'astrolabio. Esso era costituito da un disco circolare che doveva essere usato in posizione orizzontale, graduato in 4 quadranti di 90° e dotato di un'alidada imperniata al centro. Anche un astrolabio, se disponibile, avrebbe offerto la possibilità di usare il quadrato delle ombre inciso sulla sua parte posteriore per rilevare le altezze o le profondità delle aree montuose. Il fatto che alcuni astrolabi, e in particolare quelli costruiti da Arsenius sotto l'influenza dei progetti di Frisius, recassero una piccola bussola incorporata nel trono, dimostra che, oltre che per la tradizionale utilizzazione astronomica, essi erano stati ideati anche per la misurazione topografica, dato che il corretto orientamento del suo strumento era di grande importanza per l'agrimensore.
L'astrolabio era però molto costoso e la sua piccola bussola non era né facilmente leggibile né, forse, sufficientemente precisa. Ben presto, durante i decenni centrali del XVI sec., furono sviluppati strumenti speciali per la misurazione topografica basandosi sulle idee originariamente suggerite da Frisius, ma spostando la bussola al centro dello strumento, e dotandola probabilmente di due mire fisse, poste sugli angoli retti verso il meridiano, e aggiungendo alcuni dispositivi (il più semplice dei quali era una vite) per montare lo strumento su un piedistallo. Se il sostegno era sufficientemente raffinato (tale da consentire il moto rotatorio in tutte le direzioni) e permetteva la rotazione dal piano orizzontale a quello verticale, lo strumento, se dotato di un filo a piombo, poteva essere utilizzato per misurare le altezze e le profondità. A volte, quindi, questi strumenti conservavano il quadrato delle ombre. Esisteva anche un sistema alternativo che offriva la possibilità di ottenere risultati migliori, ed era montare un piccolo quadrante, o semicerchio, dotato di una sua alidada, collocata in posizione verticale su una lastra orizzontale; in questo caso, non era necessario un giunto montante universale ed era assicurata una maggiore stabilità a ogni componente dello strumento altazimutale, che in questo modo aveva un suo proprio sostegno e si muoveva su un solo piano. Lo strumento universale topografico così prodotto era l'esatto corrispondente di ciò che in termini moderni è definito un teodolite altazimutale e l'illustrazione di uno strumento di questo tipo, fu inserita, priva di didascalia, nell'edizione del 1512 della Margarita philosophica di Gregor Reisch che accompagnava un testo sull'architettura e sulla prospettiva di Martin Waldseemüller. Basandosi su un tale indizio, di solito si attribuisce a quest'ultimo l'invenzione di questo strumento, anche se non si è ancora in possesso di una prova definitiva.
Il teodolite altazimutale, benché non sotto questo nome, fu esaurientemente descritto da Leonard Digges nel Geometrical treatise named Pantometria, portato a termine da suo figlio Thomas e pubblicato nel 1571. Sebbene sia lo strumento rinascimentale più promettente da un punto di vista moderno, in effetti esso era soltanto uno dei tanti strumenti topografici universali ideati dai matematici con l'intento di combinare molteplici funzioni in un solo strumento complesso e raffinato. Questi strumenti erano per lo più esemplari simbolici che illustravano il talento dei loro artigiani-ideatori, destinati a essere offerti in dono per ottenere il favore di un mecenate o, se altamente perfezionati, a essere scambiati tra sovrani. Nella pratica essi rivelavano molti difetti meccanici, erano spesso poco stabili, scarsamente efficienti e troppo costosi. All'agrimensore impegnato sul campo erano sufficienti strumenti più semplici e più solidi che eseguivano una sola operazione, ma in modo migliore. Così, per ottenere risultati più attendibili nella misurazione topografica, come nella navigazione, si giunse a impiegare un solo strumento per ogni funzione.
Nel XV e nel XVI sec. il modo più comune, benché ancora approssimativo, di misurare i terreni era quello di ridurli a un quadrato o a un rettangolo e di misurarli aggiungendo un valore approssimativo per le parti tralasciate perché di dimensioni difficilmente misurabili. Per compiere quest'operazione l'agrimensore utilizzava uno strumento a forma di croce che, sviluppato nel corso di tutto il Rinascimento, da lamina piatta, sulla quale, in corrispondenza degli angoli retti, erano praticate fessure e dotata probabilmente di mire poste sul margine, divenne dapprima quadrata o circolare con 4 o 8 traguardi fissi, e infine un cilindro chiuso le cui facce recavano 8 fessure attraverso cui si poteva effettuare l'osservazione per impostare angoli di 45° e 90°. La misurazione delle dimensioni del quadrato così determinato si eseguiva con le aste di misurazione già menzionate o per mezzo di una fune annodata che, verso la fine del XVI sec., l'agrimensore iniziò a sostituire con una catena. Per le operazioni più complesse era molto diffuso il semplice teodolite, elaborato a partire dallo strumento descritto da Frisius e che, applicato a un anello di sospensione o montato su un giunto universale, poteva essere usato per misurare angoli sia verticali sia orizzontali. Inoltre, erano impiegati il quadrante e il goniografo.
Tradizionalmente il primo era utilizzato per misurare le altezze e le profondità e, in genere, sul lato operante combinava un quadrato delle ombre e una scala graduata che indicava 90°. In questo caso, però, esso fu modificato per mezzo del giunto universale in modo da poter essere utilizzato su tutti i piani. Il secondo, descritto per la prima volta nel 1597 da Danfrie, al quale deve essere probabilmente attribuita la sua invenzione, era composto da due strumenti che operavano insieme. Uno era costituito da un semicerchio che recava una scala graduata divisa in due quadranti di 90° o in parti uguali che misuravano da 0° a 180°. Esso, inoltre, era dotato di una serie di mire fisse a ciascuna estremità del diametro e di un'alidada posta al centro. Questo apparecchio, chiamato 'osservatore', era accompagnato da un goniometro graduato nello stesso modo e aveva al centro, imperniato, un lungo regolo di giuntura. L'altro strumento, chiamato 'rapportatore', veniva utilizzato per rappresentare sulla carta gli angoli misurati dall'agrimensore per mezzo dell'osservatore, mentre le graduazioni segnate sul regolo potevano essere impiegate per determinare le distanze degli oggetti osservati.
La combinazione dei due strumenti, ideata da Danfrie e da lui chiamata 'grafometro', non ebbe una vita lunga; tuttavia, con una bussola incorporata, l'osservatore, al quale rimase legato il nome di 'goniografo', divenne lo strumento di misurazione più diffuso in Francia fino alla metà del XIX sec. e talvolta fu utilizzato anche in altri paesi. Il progetto originale di Danfrie esprime compiutamente il desiderio rinascimentale di elaborare strumenti che, in queste operazioni, evitassero il ricorso al calcolo, consentendo all'agrimensore di utilizzare direttamente le sue osservazioni, rappresentandole in un diagramma in scala dell'area da misurare. La cosiddetta 'tavoletta pretoriana', ideata per uno scopo simile, era costituita da un asse al quale poteva essere applicato un foglio di carta, da un regolo graduato fissato lungo tutto il margine e da una bussola applicata su un lato. Gli angoli misurati sul campo nel corso delle operazioni di triangolazione, attraverso la tavola e un regolo-alidada, potevano essere rappresentati direttamente sulla carta. Un esemplare di questo strumento fu descritto per la prima volta da Abel Foullon nel 1551 e, come il goniografo e lo strumento a forma di croce dell'agrimensore, esso continuerà a essere utilizzato nel corso dei secoli successivi. La stessa sorte sarà riservata al waywiser, uno strumento altamente rappresentativo delle aspirazioni rinascimentali, dato che fu probabilmente ideato in base alle descrizioni dei misuratori meccanici delle distanze di Erone e di Vitruvio. Solamente la ballestriglia, ma nel modello a forma di croce usato abitualmente dagli agrimensori, in cui la traversa aveva la stessa lunghezza di una divisione dell'asta, ebbe una vita più breve e cessò progressivamente di essere utilizzata nel corso del XVIII secolo.
Oltre alle funzioni svolte nella vita civile, la misurazione topografica aveva un ruolo importante nelle attività militari, dove era applicata prevalentemente in due campi. Il primo campo era la progettazione delle fortezze poligonali, la cui pianta geometrica doveva essere ideata in modo da consentire la difesa delle mura dagli assalti delle truppe nemiche e la resistenza, attraverso la scarsa elevazione e la solidità, ai bombardamenti dell'artiglieria pesante. Il secondo campo concerneva soprattutto i problemi relativi alla determinazione della distanza degli obiettivi e della traiettoria che si ponevano a chi progettava un attacco d'artiglieria.
Per risolvere quest'ultimo problema potevano essere impiegati alcuni dei più comuni strumenti di misurazione topografica, come il semplice teodolite e il quadrante, mentre Danfrie descrive in quale modo era possibile utilizzare il suo goniografo per eseguire una misurazione topografica militare tenendosi a una distanza irraggiungibile dal fuoco nemico. Come abbiamo già constatato a proposito della nautica e dell'agrimensura, alcuni ingegnosi scrittori e matematici idearono, nell'ambito e sotto l'influenza di ambienti di corte e di circoli militari, una moltitudine di strumenti complessi dalle molteplici funzioni, che svolgevano il ruolo di prestigiosi e lussuosi status symbol. Nella pratica, gli strumenti verosimilmente impiegati non erano gli apparecchi raffinati e direttamente leggibili utilizzati nelle operazioni di triangolazione come, per esempio, quelli progettati e costruiti da Bürgi, il 'trigonometro' di Danfrie, o quelli descritti da autori come Levinus Hulsius o Leonard Zubler, ma strumenti più solidi, come il goniografo semplificato o il quadrante d'artiglieria.
Nella sua forma più semplice, il quadrante d'artiglieria era una struttura a forma di quadrante, dotata di un arco diviso in gradi, in cui il prolungamento di un lato formava un braccio per mezzo del quale lo strumento poteva essere sospeso alla bocca di un cannone per misurare il suo angolo di elevazione. Come in molti altri campi della matematica applicata, il modo d'utilizzazione dello strumento era integrato attraverso il ricorso alle tavole che, in questo caso, indicavano la portata raggiungibile da una carica di un dato peso ai differenti gradi di elevazione del cannone. Vi erano anche strumenti più raffinati dotati di scale in grado di fornire una tale indicazione; in questo caso il peso della carica era determinato mediante l'impiego di speciali calibri graduati e dotati di scale che indicavano il peso di una palla da cannone in base al suo diametro e al materiale da cui era costituita (ottone, piombo, pietra o ferro) e in base al pezzo su cui doveva essere caricata, dato che le palle da cannone erano abitualmente assegnate a un cannone in base al loro peso.
Gli strumenti intervenivano nella progettazione delle fortezze in due modi. In primo luogo, essi potevano essere impiegati per eseguire una misurazione topografica del terreno su cui doveva essere costruito un forte. In secondo luogo, essi erano utilizzati nel calcolo degli angoli formati dai lati del poligono. Scale graduate per questo scopo potevano essere incorporate in quasi tutti gli strumenti utili alla misurazione topografica militare; queste scale, tuttavia, erano generalmente segnate su regoli pieghevoli e come risultato della loro evoluzione, alla fine del secolo, sui compassi di proporzione. Questi strumenti erano disponibili in una grande varietà, e in alcuni casi erano dotati di scale specifiche per particolari sistemi di costruzione dei forti.
Benché nella vita sociale non detenesse ancora un ruolo di controllo, il tempo era già ben presente nella coscienza dell'uomo rinascimentale, e la sua esatta determinazione era molto importante nell'astronomia e nell'astrologia.
Per misurare il tempo vi erano alcuni strumenti ereditati dal Medioevo, come l'astrolabio, il notturlabio e un ristretto numero di meridiane. Per misurare il trascorrere di brevi intervalli di tempo, sin dal XII e dal XIII sec. era disponibile la clessidra, e per cronometrare e indicare stabilmente il tempo si potevano impiegare le meridiane fisse, le clessidre ad acqua e gli orologi regolati da un meccanismo a peso e a molla.
Gli astrolabi non erano veri e propri strumenti per la determinazione del tempo, ma erano congegnati in modo da stabilirlo perché questa funzione era essenziale per lo svolgimento di alcune operazioni astronomiche. Essi potevano essere dotati di scale per indicare sia le ore uguali sia le ore temporarie disuguali e, a partire dal XIV sec., s'iniziò progressivamente ad aggiungere una graduazione in ore uguali vicina e concentrica alla scala graduata incisa sul lembo, in modo da consentire una lettura diretta del tempo in ore e minuti. Dalla metà alla fine del XIV sec., vi fu un notevole aumento del numero e dei modelli disponibili di meridiana. Iniziarono a moltiplicarsi le meridiane a quadrante fisso che, nel periodo centrale del Medioevo, persino nei centri più ricchi e popolosi, erano praticamente inesistenti, a eccezione di un modello molto semplice destinato a un uso ecclesiastico. La riscoperta umanistica di antiche idee matematiche e architettoniche, in cui le meridiane avevano un ruolo naturale di opere scultoree utili e decorative, ebbe una grande importanza in quest'evoluzione. Altrettanto decisivo fu il semplice fatto che gli orologi pubblici altamente prestigiosi (perché molto costosi), costruiti in tutta l'Europa, dovevano essere controllati e messi a punto attraverso una meridiana posta loro accanto. La teoria delle meridiane aveva anche un valore pedagogico nell'insegnamento della matematica; progressivamente essa conquistò uno spazio nei corsi universitari e divenne una parte integrante della matematica applicata. In effetti, progettare una meridiana complessa per uso pubblico divenne un metodo riconosciuto attraverso il quale un giovane matematico o un astronomo poteva segnalare il suo talento. Tra i molti che ricorsero a questo metodo figurano Copernico e Giovanni Battista Benedetti. Data la tendenza rinascimentale a combinare quante più funzioni possibili in un singolo strumento, sia le grandi meridiane fisse per uso pubblico sia le meridiane portatili per uso individuale recavano un'ampia gamma d'indicazioni (note come 'equipaggiamento della meridiana'). Così, oltre a indicare il tempo in ciascuno dei molti sistemi di misurazione allora usati in Europa, le meridiane potevano fornire una serie di altre indicazioni come, per esempio, l'ora del sorgere del Sole e quella del suo tramonto, la posizione del Sole nello Zodiaco, la durata del giorno e della notte o la data. Inoltre, alcune meridiane fisse orizzontali e un certo numero di meridiane portatili erano dotate di dischi di conversione che consentivano la loro utilizzazione con la luce della Luna, oltre che con quella del Sole.
Le meridiane portatili possono essere naturalmente distinte in meridiane che misurano il tempo calcolando l'altezza del Sole sull'orizzonte (meridiane di altezza), e in meridiane che operano calcolando la sua posizione lungo l'orizzonte (meridiane di direzione). Entrambe le misurazioni variano nel corso del giorno e dell'anno, per cui le meridiane devono essere registrate sulla data del giorno, prima di poter essere usate. Le meridiane di direzione, per offrire una lettura precisa, devono essere orientate in direzione nord-sud e a tal fine, quindi, esse sono dotate di una piccola bussola. È forse a causa della loro duplice funzione ‒ la determinazione del tempo e della direzione ‒ che, nel Rinascimento e anche durante il periodo successivo, le meridiane di direzione divennero più numerose di quelle che misuravano l'altezza, anche se tra quest'ultime, che si orientano automaticamente, figurano tutti i tipi più antichi conosciuti di meridiana.
Per ragioni di spazio non possiamo descrivere i circa cinquanta tipi conosciuti di meridiana portatile; dobbiamo tuttavia sottolineare che le meridiane erano popolari non soltanto perché erano convenienti e attendibili (se il Sole era visibile), ma anche perché esse erano usate per correggere e registrare i vari tipi di orologi. Durante il Rinascimento, gli orologi a peso, spesso dotati di un raffinato dispositivo d'indicazione automatico, di un disco astrolabico e di un calendario, erano molto popolari come oggetti di lusso. La loro produzione condusse non soltanto all'ideazione e alla progettazione dei sistemi d'ingranaggio, ma anche ‒ in risposta all'esigenza di accuratezza degli astronomi e degli astrologi ‒ allo sviluppo del concetto di 'precisione', un concetto importante sia per il perfezionamento degli apparecchi per misurare il tempo, sia per quello degli strumenti in generale. L'apice nell'arte della fabbricazione degli orologi fu raggiunto da Bürgi, che elaborò orologi da osservatorio di alta precisione e raffinati globi celesti meccanici per Guglielmo IV, langravio d'Assia-Cassel, che si dedicava allo studio dell'astronomia. La sua opera può essere definita eccezionale e, benché nel 1530 Frisius avesse scoperto e descritto il modo in cui il problema della longitudine poteva essere risolto calcolando a partire dal tempo locale di un punto di partenza quello di un punto in movimento sul globo, attraverso uno degli orologi regolati con un meccanismo a molla (a quel tempo una novità), la precisione richiesta era molto al di sopra delle capacità tecniche o intellettuali del comune fabbricante rinascimentale di orologi e di strumenti.
Abbiamo visto a grandi linee le principali categorie di strumenti matematici disponibili nel Rinascimento e indicato alcune fasi della loro evoluzione; inoltre abbiamo messo in risalto la sostanziale similarità di molti degli strumenti usati nei diversi campi di applicazione, e ciò dimostra che i tipi di base, fondamentali, erano un numero relativamente ristretto. Gli apparecchi per la misurazione degli angoli, gli strumenti di registrazione o di misurazione in generale, i modelli e i simulacra, i congegni per l'osservazione, sono comuni alla strumentazione astronomica, astrologica, nautica, a quella della misurazione topografica e della misurazione del tempo. È questo terreno comune che consentì agli artigiani di quell'epoca di produrre strumenti in grado di soddisfare una serie di esigenze specifiche diverse, e di formare una base sufficientemente ampia per l'istituzione di un'attività regolare e stabile di fabbricazione di strumenti matematici.
Lo sviluppo di un'industria stabile di apparecchi matematici è ciò che caratterizza l'arte della fabbricazione degli strumenti nel corso del Rinascimento. In risposta a una nuova, enormemente accresciuta domanda, fu fondato un certo numero di botteghe che si conserverà per molti decenni in tutte le città europee. Dagli artigiani di Norimberga della metà del XV sec., la cui identità ci è ancora sconosciuta, attraverso Hans Dorn a Vienna e a Cracovia, Regiomontano e Georg Hartmann, alla fine del XV sec. e all'inizio del XVI sec., a Norimberga, la dinastia dei Della Volpaia nel XVI sec. a Firenze, Frisius e Arsenius a Lovanio, Mercatore a Lovanio e a Duisbourg, Giovan Battista Giusti, Humphrey Cole e Danfrie alla fine del XVI sec. rispettivamente a Firenze, Londra e Parigi, l'attività innovativa ebbe un carattere di continuità. Durante il Rinascimento è ben riconoscibile una notevole varietà ‒ spesso accompagnata da novità ‒ degli strumenti prodotti, discendente da varianti di carattere minore dai principî degli strumenti fondamentali che abbiamo descritto, riflesso della più importante evoluzione del periodo ossia la nascita in tutta l'Europa di una piccola ma stabile industria degli strumenti.
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