Il rischio di dirsi cristiani
Si allarga nel mondo la persecuzione dei cristiani: rapimenti e sevizie, distruzioni di chiese, torture e uccisioni di massa. Protagonisti delle violenze non sono più solo gli estremisti islamici, ma anche i gruppi più radicali di induisti o di buddisti, e perfino i narcotrafficanti colombiani o l’ateismo di Stato nordcoreano.
Aumentano le persecuzioni contro i cristiani. Le violenze fisiche e la morte rappresentano l’esito più estremo delle pressioni subite, nella definizione delle quali Portes ouvertes, la ONG che dal 1997 fornisce annualmente l’Index mondial des persécution, individua altre 5 sfere: la vita privata e l’ambito della libertà di coscienza (in Corea del Nord, per esempio, è semplicemente proibito credere in Dio); la vita familiare, nel caso in cui il persecutore cerchi di interdire la trasmissione della fede attraverso il divieto di impartire l’insegnamento religioso ai bambini (è il caso del’Uzbekistan e di numerosi altri Stati); la vita sociale, che riveste un’importanza centrale nei paesi in cui la popolazione di quartieri e villaggi si contraddistingue per una forte omogeneità (in Bhutan quanti si convertono al cristianesimo sono osteggiati dalla comunità); la vita civile e la possibilità per un cristiano di prendere parte all’attività politica (in Egitto ai cristiani è precluso l’accesso ad alcuni ruoli nell’amministrazione); la vita ecclesiale con le restrizioni che investono i cristiani in quanto comunità (nelle Maldive il governo non ha mai autorizzato la costruzione di una chiesa).
Il fattore più insidioso viene dall’estremismo islamico.
L’aumento delle persecuzioni si registra in particolare negli Stati in cui il potere centrale stenta ad assumere pienamente il suo ruolo: oltre alla Somalia e alla Siria, l’Iraq, la Nigeria, il Pakistan e ora anche la Repubblica Centrafricana. Gli episodi di violenza anti-cristiana (uccisioni, distruzioni di chiese, rapimenti) vedono ai primi posti nel mondo la Siria, paese in cui, tra la guerra civile e la crescente influenza degli jihadisti in seno alle forze d’opposizione, i cristiani sono diventati un gruppo assai vulnerabile, sottoposti in tutti gli ambiti a forti pressioni riconducibili alla loro fede. Sono almeno 3 i religiosi rapiti nella Siria di Bashar al-Assad di cui, a distanza di mesi dal loro sequestro, si sa poco o nulla. Accanto al gesuita italiano Paolo Dall’Oglio, il metropolita siro-ortodosso Mar Gregorios Ibrahim e quello greco-ortodosso di Aleppo Paul Yazigi: questi ultimi i più anziani leader cristiani coinvolti nella rivolta contro Bashar al-Assad.
La tensione intorno al conflitto siriano torna inoltre a destabilizzare l’Iraq, dove si stima siano rimasti poco più di 300.000 cristiani, a fronte del milione rilevato dal censimento del 1987. Sottoposti a forti pressioni, obbligati a seguire pratiche quotidiane (per esempio nel mangiare, nel bere e nel vestire) previste dalla religione islamica, molti hanno scelto di lasciare l’Iraq, alcuni sono stati sfollati, altri uccisi perché cristiani. Non solo cattolici, naturalmente, ma armeni ortodossi, anglicani, evangelici, siro-cattolici.
La situazione non migliora nei paesi attraversati dal vento della ‘primavera araba’, in alcuni dei quali l’‘inverno cristiano’ sta diventando glaciale. Se la Siria detiene il record di cristiani uccisi (oltre il doppio rispetto alla seconda classificata, la Nigeria), è l’Egitto il paese in cui le chiese hanno subito il maggior numero di attacchi violenti: a farne le spese, in questo caso, sono stati principalmente i copti. Secondo il rapporto presentato da Amnesty international nell’aprile 2014, i cristiani d’Egitto, soprattutto nelle aree di al-Minya e Fayyum, sono divenuti le vittime mirate di rapimenti, espropri di case e saccheggi di negozi a opera principalmente di sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi.
A sud del Sahara le cose vanno anche peggio. Nel Sudan la sharia è estesa ai non musulmani: nel paese è prevista la pena di morte per apostasia dall’islam ed è vietato alle donne musulmane sposare uomini di altre religioni. I cristiani sono poi colpiti nel nord della Nigeria da parte dell’organizzazione terroristica Boko Haram, responsabile da 5 anni di migliaia di uccisioni di civili in attacchi e attentati terroristici. La notte del 15 febbraio 2014 sono state massacrate 106 persone nel villaggio di Izghe, verso il confine con il Camerun, nell’ennesima strage di cristiani compiuta nel nord-est del paese. Ma la furia dei miliziani di Boko Haram non risparmia i musulmani: a Izghe sono stati uccisi anche musulmani moderati, mentre appartengono a diverse religioni le 200 ragazze rapite nel mese di aprile dai miliziani del gruppo, che a fine giugno ha sequestrato altri 90 giovani e continua a seminare terrore nell’area di Damboa.
La situazione più drammatica riguarda però la Repubblica Centrafricana: il colpo di Stato del marzo 2013 a opera delle milizie di Séléka, gruppo musulmano in un paese a maggioranza cristiana, ha già provocato migliaia di morti e oltre un milione di sfollati. Una violenza che l’ONU ha definito genocidio e che ha raggiunto un drammatico picco il 28 maggio con il ‘massacro di Fatima’, quando un gruppo di uomini armati ha attaccato la chiesa dedicata a Nostra Signora di Fatima, a Bangui, uccidendo almeno 18 persone, compreso il sacerdote Paul-Émile Nzale, di 76 anni. Altro Stato in cui i cristiani non hanno vita facile è il Pakistan: nonostante la massiccia mobilitazione internazionale coordinata dal Pakistan christian congress, l’Alta corte di Lahore continua a rinviare sine die le udienze per il processo di appello ad Asia Bibi, la donna cattolica condannata a morte nel 2010 con l’accusa di avere offeso Maometto, in violazione dell’articolo 295c del codice penale che, in casi estremi, contempla la pena capitale come punizione della blasfemia.
Ma la persecuzione da parte dei musulmani o dei gruppi islamisti non è l’unica manifestazione delle pressioni subite dai cristiani. In Corea del Nord, che si conferma, per la dodicesima volta consecutiva, il paese in cui per i cristiani vivere è più pericoloso e precario, l’incremento delle persecuzioni è dovuto alla dittatura. Secondo gli analisti di China Aid, nella Repubblica popolare cinese sono sotto attacco soprattutto cristiani e chiese locali impegnati nella difesa dei diritti umani o in iniziative che hanno un impatto sulla società. In alcuni Stati dell’India le Chiese soffrono a causa dell’aggressione induista radicale e la vittoria elettorale del BJP di Narendra Modi, fondato sull’ideologia nazionalista dell’Hindutva, non rappresenta un segnale rassicurante.
Nello Sri Lanka, che lo scorso anno è entrato per la prima volta nella lista nera dei paesi ostili ai cristiani, la persecuzione viene dal buddismo.
In altri casi l’incremento è dovuto alla criminalità: nelle regioni colombiane sotto il controllo dei miliziani delle FARC sono i narcotrafficanti ad aggredire i sacerdoti che ostacolano l’attività criminale. Basti pensare che, secondo il rapporto pubblicato dall’Agenzia Fides nel gennaio 2014, alla Colombia appartiene il triste primato mondiale degli operatori pastorali cattolici uccisi nei 12 mesi precedenti.