di Giovanni Carbone
Dall’inizio del Ventunesimo secolo, la Nigeria si sta affermando come l’economia più promettente e interessante tra tutti i 54 paesi dell’Africa. Nonostante i profondi cambiamenti che attraversano la società nigeriana e le numerose riforme adottate in questi anni, il governo di Abuja si trova costretto ad affrontare enormi sfide alla stabilità e alla coesione economica, politica e sociale del paese, e dunque al mantenimento di un percorso di sviluppo che, almeno sotto il profilo della crescita e di una certa diversificazione economica, di recente è stato indubbiamente una grande sorpresa positiva.
Il 2014 è stato per la Nigeria un anno particolarmente intenso. Si è aperto con l’ufficializzazione del ricalcolo del pil, basato su un anno di riferimento aggiornato (rebasing). Benché l’operazione fosse attesa, il risultato, convalidato da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, è andato al di là di ogni aspettativa. L’economia nigeriana, con un pil pari a 594 miliardi di dollari nel 2014, non solo ha compiuto un balzo in avanti pari all’89% rispetto alle stime precedenti, ma ha anche superato quella del Sudafrica, posizionandosi in maniera incontrastata come maggiore economia del continente. La struttura economica del paese, peraltro, si è rivelata ben più diversificata di quanto ritenuto in precedenza: il settore minerario rappresenta oggi il 14,5% (era il 40,9% nel 2011), mentre l’agricoltura il 22% (era il 30,9%). Per contro, sono aumentate le quote rappresentate dai diversi settori dei servizi e anche, in misura minore, quella della manifattura.
Ma il 2014 è stato anche l’anno in cui le violenze del movimento jihadista Boko Haram hanno fatto registrare un drammatico aumento tanto del numero di attacchi (il più noto è stato il rapimento di quasi 300 ragazze da una scuola di Chibok, nello stato settentrionale di Borno) quanto delle vittime (le stime complessive sono incerte – chi parla di 5.200 morti, chi di 7.000 o più – ma per lo più convergono sul fatto che quasi la metà siano da riferirsi al 2014). Il gruppo terrorista islamico sta assumendo più apertamente alcuni tratti di un movimento di guerriglia contro le autorità statali nigeriane (quelle degli stati federati del nord e quelle del governo centrale di Abuja), oltre che contro varie altre istituzioni moderne, occidentali o più in generale ‘non islamiche’, incluso il tentativo di controllare sacche di territorio.
Boko Haram testimonia come il cumularsi di tensioni economiche, politiche e sociali in un paese alle prese con importanti trasformazioni economiche e demografiche (i 173 milioni di nigeriani di oggi diventeranno circa 400 milioni nel 2045, quando la Nigeria sarà la terza potenza demografica mondiale, dietro alle sole India e Cina) possa generare un contesto favorevole all’emergere di violenza e instabilità. Più che altrove, il radicalismo islamico e il ricorso alla violenza hanno trovato terreno fertile nel nord della Nigeria, in un contesto locale di forte risentimento per l’esclusione politica ed economica che le popolazioni del nord percepiscono rispetto a un paese al cui governo in passato si sentivano più vicini (negli anni di dominio dei militari, questi erano tipicamente originari del nord) e dai cui recenti successi economici si sentono esclusi (gran parte del dinamismo economico nigeriano si concentra nel sud, soprattutto le attività più moderne e redditizie; secondo alcune stime la sola Lagos genera il 60% dell’attività economica complessiva). In 16 dei 19 stati del nord i tassi di povertà sono raddoppiati rispetto al 1980, anche a seguito della deindustrializzazione che ha caratterizzato la regione, soprattutto il settore tessile, all’inizio degli anni 2000, e anche produzioni come il cotone e lo zucchero, o imprese nel campo dei media o nel bancario, sono crollate. La mancata realizzazione dei miglioramenti economici e sociali che le popolazioni del nord si attendevano dall’applicazione della sharia – introdotta in 12 stati all’inizio del millennio e percepita come strumento di rinnovamento sociale attorno ad un sistema più giusto ed equo – non ha fatto che alimentare ulteriormente la frustrazione nei confronti delle autorità locali e nazionali, favorendo l’emergere di opzioni ancora più radicali.
Nella Nigeria di oggi, l’instabilità politica interna non ha radici solo nel buon andamento dell’economia del paese (e quindi nella frustrazione di chi si sente escluso), ma proprio sulla continuazione di quest’ultimo rischia di fare sentire alcuni dei suoi effetti più deleteri.