Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo il gothic revival del primo Settecento, Il castello di Otranto di Horace Walpole segna la nascita di un genere che per circa mezzo secolo riscuote uno straordinario successo di pubblico grazie ad autori come Ann Radcliffe e Matthew Gregory Lewis e a una schiera di mestieranti della penna. Intorno al 1820, dopo Frankenstein e Melmoth l’errante, il genere si esaurisce, lasciando però l’eredità della sua estetica alla letteratura successiva.
Il gothic revival e The Castle of Otranto
Horace Walpole
The Castle of Otranto
La veemenza delle sue esclamazioni fece riavere Matilda. Sollevando lo sguardo, ella si guardò intorno in cerca di sua madre. “Vita della mia anima, sono qui!”, gridò Ippolita, “non pensare che ti possa abbandonare!”.
“Oh, siete troppo buona!”, disse Matilda. “Ma non piangete per me, madre mia! Io vado là dove il dolore non alberga… Isabella, tu mi hai voluto bene; vorrai sostituire il mio affetto per questa cara, cara donna? Proprio non ce la faccio!”.
“Oh! Figlia mia! Figlia mia!”, disse Ippolita in un fiume di lacrime, “Non posso trattenerti ancora un momento?”.
“Non può essere”, disse Matilda. “Raccomandatemi al cielo… Dov’è mio padre? Perdonatelo, madre carissima, perdonategli la mia morte. È stato un errore. Oh, dimenticavo… Madre carissima, avevo fatto voto di non vedere mai più Teodoro… Forse è stato questo ad attirare la sciagura, ma non era mia intenzione… Mi perdonerete?”.
“Oh! Non ferire la mia anima agonizzante!”, rispose Ippolita. “Tu non potresti offendermi in alcun modo… Ahimè, sviene! Aiuto! Aiuto!”.
“Vorrei parlare ancora”, riprese Matilda sforzandosi, “ma non è possibile... Isabella, Teodoro, per amor mio… Oh!”. Spirò.
Isabella e le altre damigelle strapparono Ippolita dalla salma; ma Teodoro minacciò di uccidere chiunque avesse cercato di allontanarlo da lei. Impresse mille baci sulle sue mani fredde come la pietra e pronunciò tutte le parole che l’amore disperato può dettare.
Isabella, intanto, accompagnava l’affranta Ippolita nei suoi appartamenti. Ma nel mezzo del cortile si imbatterono in Manfred, il quale, immerso nei suoi pensieri e ansioso di vedere sua figlia una volta ancora, si stava recando nella camera dove lei giaceva. Poiché la luna era ormai alta nel cielo, poté leggere nell’atteggiamento delle due infelici che l’evento paventato era accaduto.
“Come, è morta?”, gridò in preda a una confusione selvaggia. In quell’istante un fragore di tuono scosse il castello fino alle fondamenta. La terra tremò e da lontano giunse il clangore di un’armatura sovrumana. Federico e Girolamo pensarono che il giorno del giudizio stesse arrivando. Si precipitarono nel cortile, Girolamo trascinando Teodoro e, non appena Teodoro apparve, le mura del castello alle spalle di Manfred furono abbattute da una forza poderosa e la figura di Alfonso, ingigantita a dismisura, sorse in mezzo alle rovine.
“Riconoscete in Teodoro il vero erede di Alfonso!”, disse la visione e, avendo pronunciato queste parole, con un fragore di tuono ascese solennemente verso il cielo, dove apparve, tra le nuvole che si dividevano, la figura di San Nicola. Egli accolse lo spirito di Alfonso ed entrambi furono sottratti agli occhi dei mortali in un fulgore di gloria.
H. Walpole, The Castle of Otranto, trad. it. di S. Ballerio
Nei primi decenni del Settecento si rianima in Inghilterra la tradizione architettonica del gotico, che si era affievolita con il classicismo di Christopher Wren e che ora ritorna venata di un gusto antiquario già partecipe della nuova temperie romantica. Come il paesaggio dei giardini di Lancelot “Capability” Brown, il Medioevo del gotico è sondato per le suggestioni che offre all’immaginazione e per lo specchio che porge al sentimento. È un fenomeno estetico trasversale alle arti e a cui la letteratura contribuisce tra l’altro con la poesia sepolcrale di Thomas Gray e di Edward Young, con le ricerche sulla poesia inglese delle origini di Thomas Warton e attraverso l’eredità di Edmund Spenser, William Shakespeare e John Milton, mai estinta ma ora particolarmente viva.
Al dibattito critico che accompagna il gothic revival partecipa anche il conte di Oxford e parlamentare whig Horace Walpole, proprietario a Strawberry Hill di un castello ricreato interamente in stile gotico. Walpole inaugura il genere del romanzo gotico con Il castello di Otranto , che viene pubblicato anonimo a Londra il 24 dicembre 1764.
Il castello di Otranto fissa molti tratti che saranno caratteristici del genere: l’azione ha luogo in un castello dominato da un signore assoluto e nel monastero adiacente; il tempo della storia è un Medioevo latino e cattolico; prodigi e profezie segnano il corso degli eventi; il protagonista, Manfred, è un villain che esprime pulsioni erotiche e violente alle quali si contrappone la virtù di altri personaggi; eroine perseguitate e giovani cavalieri animano scene da romanzo sentimentale; il racconto è tramandato al lettore, nella finzione, da un manoscritto ritrovato.
Nella prefazione alla seconda edizione, Walpole spiega di avere voluto unire la fantasia del romance con la rappresentazione della natura del novel, secondo un’idea di realismo che sarà espressa anche da Samuel Taylor Coleridge nel capitolo XIV della sua Biographia Literaria e che cerca la verosimiglianza non degli eventi, ma delle reazioni dei personaggi a quegli eventi. Il modello dichiarato è la tragedia shakespeariana, dalla quale discendono tra l’altro le agnizioni e il motivo dell’usurpazione, la mescolanza di comico e tragico e un clima di fatalità che precipita fino alla catastrofe finale. Insieme con la tragedia shakespeariana, tuttavia, agiscono il romanzo sentimentale e naturalmente l’estetica gotica dell’autore, che colorano di sé, oltre le loro origini aristoteliche, quel terrore e quella pietà nei quali il narratore indica il “principale motore” dell’azione e il sentimento che tiene desta l’attenzione del lettore. A entrambe contribuisce inoltre il soprannaturale, verso cui Walpole assume un atteggiamento ambivalente di illuministica riprovazione e di romantica attrazione.
Il favore del pubblico è immediato – e durerà nel tempo, da Walter Scott ad André Breton e a Paul Éluard – e già nel 1765 esce una seconda edizione del romanzo, che dichiara il nome dell’autore e porta il sottotitolo A Gothick Story. Un nuovo genere è pronto per nascere.
Le eroine di Ann Radcliffe
Se l’opera capostipite si deve a un uomo, il campo potenziale del genere è strutturato e occupato dalle donne, che si impongono in quanto autrici, lettrici e protagoniste.
Nel 1778 Clara Reeve pubblica Il vecchio barone inglese, che la prefazione presenta come “progenie letteraria del Castello di Otranto ”. Reeve riprende da Walpole l’idea di unire romance e novel, ma da parte sua rivendica la verosimiglianza degli eventi narrati e insiste sul pedale del sentimentale. È questo un tratto che la accomuna a Sophia Lee, autrice di The Recess, or A Tale of Other Times, a Charlotte Smith, autrice di Emmeline, or The Orphan of the Castle (1788) e di altri romanzi, e ad altre narratrici che negli stessi anni creano il genere ribattendo e variando lo stampo dell’opera di Walpole.
Tra queste narratrici, Ann Radcliffe è colei che raggiunge il successo più straordinario, con I misteri di Udolfo nel 1794 e quindi con L’italiano, o Il confessionale dei penitenti neri nel 1797. I misteri di Udolfo ha per protagonista la giovane Emily St. Aubert, francese, che la matrigna Madame Cheron e il bandito Montoni imprigionano sugli Appennini nel castello di Udolfo. Orfana dei genitori e separata dall’innamorato Valancourt, Emily dovrà affrontare i pericoli del castello e i suoi brutali persecutori per ritrovare la libertà e convolare a giuste nozze.
Più delle autrici che l’hanno preceduta, Radcliffe sposta il romanzo gotico dal romance verso il novel e il romanzo sentimentale. Il soprannaturale trova sempre spiegazioni razionali (o quasi) e più largo corso ha l’effusione lirico-sentimentale. All’orrore degli spettacoli macabri, l’autrice preferisce il terrore come forma di incertezza e componente del sublime. Nel 1757 è infatti apparsa l’ Inchiesta sul bello e il sublime di Edmund Burke, che descrive il sublime come uno stato soggettivo segnato da incanto e da terrore, irriducibile al sentimento del bello e legato alla percezione di una grandezza smisurata. Nei romanzi di Radcliffe, il sublime si affaccia a ogni pagina, spesso unito al pittoresco, e la sensibilità alle loro manifestazioni è una virtù caratteristicamente femminile che l’eroina deve dimostrare, imparando però a dominarne gli eccessi lungo il percorso che dal mondo protetto della famiglia d’origine, attraverso le persecuzioni subite, la porta alla liberazione e al matrimonio. L’eroina del romanzo gotico dimostra insomma virtù curiosamente borghesi, inglesi e settecentesche e non sembra contestare quell’etica che l’Hippolita di Walpole esprime così: “Le scelte che ci riguardano non toccano a noi: per noi decideranno il Cielo, i nostri padri e i nostri mariti”; salvo che proprio questo esercizio della sensibilità e l’evasione fantastica, attraverso il masochismo della minaccia del villain e dei pericoli corsi per identificazione, sono anche forme di compensazione che queste lettrici “rinchiuse e represse” (Mirella Billi, Il gotico inglese. Il romanzo del terrore: 1764-1820, 1986) cercano nei loro appartamenti dominati dai padri e dai mariti.
Tutti questi elementi della scrittura di Radcliffe e inoltre i tipi fondamentali dei personaggi e alcuni nuclei narrativi tornano nel 1797 in L’italiano. L’anno prima, il successo di Il monaco, di Matthew Gregory Lewis, aveva manifestato il favore del pubblico per un gotico orientato più all’orrore che al terrore. Radcliffe resta fedele alla propria visione del genere e raggiunge così l’apice del suo successo, anche se nel maggiore spazio concesso al villain Schedoni si può cogliere una concessione alla modificazione del gusto del pubblico portata dall’opera di Lewis.
Il monaco di Lewis e i demoni di Vathek
Il romanzo di Lewis, anch’egli parlamentare whig, è ambientato nella Spagna del Cinquecento e unisce superstizione cattolica, omicidio, stupro, incesto, Inquisizione, patti con il diavolo e un certo faustismo.
Il pubblico risponde con entusiasmo, ma l’autore viene accusato di blasfemia da una recensione della “Critical Review” che, anonima, si deve forse a Coleridge. È il primo di una serie di attacchi che non mancano però di riconoscere il valore letterario del romanzo; né le modifiche introdotte da Lewis alla quarta edizione, per placare le polemiche, sminuiscono l’orrore della storia e del suo racconto, dove il monaco Ambrosio precipita dalla tentazione al peccato, al delitto e infine alla dannazione senza che al lettore sia negato nulla della sua crescente depravazione. Appare chiaro, al contrario, che Lewis vuole sollecitare le pulsioni sadiche ed erotiche dei suoi lettori, con una scelta narrativa – quella di offrire al villain il ruolo di protagonista – che supera in oltranza il precedente di Il castello di Otranto, dove Manfred si pente infine dei suoi delitti, e che gli avrebbe procurato il plauso del marchese (conte, in verità) Donatien-Alphonse-François de Sade.
Forse il marchese riconosceva nel sadismo del monaco di Lewis l’influsso della sua stessa opera, dato che Lewis conosceva almeno la Justine , ma la trama intertestuale che converge nel romanzo include anche scrittori tedeschi del terrore come Johann Heinrich Daniel Zschokke, di cui Lewis aveva tradotto Abellino, o Il bandito, e risale ai Masnadieri schilleriani e naturalmente a Shakespeare e a Milton, mentre Antonin Artaud, in anni più recenti, l’avrebbe prolungata con una propria riscrittura della storia.
Lewis non è comunque il primo a battere la strada del demoniaco. Prima di lui, nel 1786, William Beckford la percorre con Vathek, che attinge al filone settecentesco, e soprattutto francese, della narrativa orientale. Il romanzo racconta il viaggio ultramondano del califfo Vathek, che per sete di potere e di conoscenza si lascia irretire dal Giaour, emissario del signore dell’inferno Eblis, e trasgredisce i precetti di Maometto, dannando se stesso, l’amata Nouronihar e la madre Carathis. I materiali della rappresentazione non sono propriamente gotici, anche se le rovine di Istakhar mostrano architetture piranesiane, ma il romanzo può essere ascritto al genere gotico, o forse collocarsi in una zona di confine, in quanto rappresenta il soccombere della morale e della ragione di fronte a forze irrazionali e demoniache.
Al di là delle peculiarità del Monaco e di Vathek, gli elementi soprannaturali, demoniaci o irrazionali dei romanzi gotici e la loro ambientazione in un Medioevo più fantastico che storico rivestono un significato socio-politico che contribuisce a spiegare il loro richiamo sul pubblico e le polemiche di cui essi sono oggetto. Il gotico può esercitare il fascino del passato barbarico e della natura contro la contemporaneità del razionalismo illuminista e della rivoluzione industriale, evocare la minaccia della restaurazione e del cattolicesimo – il castello e il monastero – contro il parlamentarismo borghese e le chiese riformate, o inscenare i timori degli anni rivoluzionari, come ancora avrebbe sostenuto Sade, per la sopravvivenza della famiglia e della proprietà privata. Anche questi fattori spiegano il grande successo di pubblico che il genere riscuote perfino nelle sue manifestazioni più caduche.
La standardizzazione del genere
Già negli anni Ottanta del Settecento intorno alle opere degli autori maggiori cresce una copiosa produzione di romanzi di autori minori o anche anonimi. La Minerva Press di William Lane, seguita dagli editori Bell e Lackington, organizza una produzione e una distribuzione di massa che si avvalgono di autori reclutati tramite inserzioni sui giornali, librerie tradizionali e biblioteche circolanti. I romanzi gotici rappresentano circa un terzo dei nuovi romanzi pubblicati in Gran Bretagna e Irlanda tra il 1796 e il 1806 e un quarto di quelli pubblicati tra il 1806 e il 1810 (James Raven, Gran Bretagna 1750-1830, in Franco Moretti, Il romanzo, 2002).
Il genere si standardizza rapidamente. I personaggi si appiattiscono nei loro ruoli di eroine, eroi o villain. Le trame ricombinano gli stessi elementi. Gli ambienti ripetono pochi fondali familiari. Pullula il soprannaturale. I titoli si inquadrano in tipi ricorrenti, che promettono ai lettori la soddisfazione delle loro aspettative. Anche i melodrammi gotici, che presto seguono i romanzi, riscuotono il consenso del pubblico confermandone le aspettative ormai consolidate. Il primo è ancora Walpole, con The Mysterious Mother (1768), e il caso di massimo successo è quello di The Miller and His Men (1813), di Isaac Pocock.
Se l’orrore e il delitto suscitano polemiche, la standardizzazione si offre alla parodia. La più nota si deve a Jane Austen, che in L’Abbazia di Northanger (pubblicato postumo nel 1817, ma scritto forse intorno al 1800) racconta le peripezie di un’eroina, Catherine Morland, troppo intrisa di immaginario gotico e di sensibilità romanzesca. Il fidanzamento con l’amato Henry Tilney rischia di naufragare quando Catherine si ostina a vedere un castello gotico nella residenza di famiglia di lui, Northanger Abbey, e un villain à la Montoni nel futuro suocero. Già nel 1796, peraltro, William Beckford aveva messo il genere in ridicolo con il suo Modern Novel Writing, che in forma di saggio-manuale di scrittura mostrava come certe convenzioni narrative fossero già stantie.
Prima che questa standardizzazione porti all’esaurimento del genere, tuttavia, devono passare ancora alcuni anni e intanto Londra è visitata da scrittori stranieri che portano il gotico oltre i confini inglesi. Uno è l’americano Charles Brockden Brown, il cui Wieland, o la Trasformazione (1798) si colloca nella linea del romanzo filosofico-politico di William Godwin (1756-1856) e inizia un filone di gotico americano che continuerà nella narrativa di Edgar Allan Poe, Herman Melville, Nathaniel Hawthorne e Henry James. Un altro è il polacco Jan Potocki, il cui Manoscritto trovato a Saragozza (edito dal 1805 in parti successive, in varie lingue e in vari Paesi) è irriducibile a un unico genere ma certo include il gotico come componente. Prima che il genere si esaurisca, soprattutto, devono ancora apparire Frankenstein e Melmoth l’errante.
Il mostro e il viandante
Se William Godwin si muove nei dintorni del gotico con Caleb Williams (1794) e St. Leon (1799) e se Percy Bysshe Shelley rispetta tutte le convenzioni del genere con Zastrozzi (1810) e St. Irvyne, or The Rosicrucian (1811), Mary Wollstonecraft Shelley, figlia del primo e moglie del secondo, scrive con Frankenstein (1818) un’opera che, se si potesse semplicemente inscrivere nel genere gotico, ne rappresenterebbe forse il capolavoro.
Nell’opera convergono le riflessioni dei sensisti inglesi e francesi e di Jean-Jacques Rousseau sulla natura umana e sull’educazione, l’egualitarismo di William Godwin e della sua cerchia, le ricerche e gli esperimenti sulla vita di Luigi Galvani e di Erasmus Darwin, il mito di Prometeo, Milton e ancora altre suggestioni.
Attraverso la vicenda dello scienziato che anima una creatura mostruosa, poi cerca di distruggerla e finisce per esserne distrutto, l’autrice vuole illuminare “i principi elementari della natura umana”. L’uomo è rappresentato tanto dal geniale Victor Frankenstein, con la sua ambizione di conoscere e di creare, con la dismisura del suo orgoglio e della sua determinazione e con il suo orrore di fronte alle conseguenze delle sue azioni, quanto dalla sua mostruosa creatura, che si trova gettata in un mondo ostile ed è spinta all’odio e al delitto da uomini che ignorano la sua natura originariamente buona e la volgono al male. Il romanzo rappresenta la condizione di dolore e il destino di morte che uniscono il creatore e la creatura e, congiuntamente, i pericoli di una scienza che ignori le esigenze spirituali dell’uomo. Anche per questo esso ha così lungo seguito nel Novecento, quando le minacce della tecnologia e dell’eugenetica, reali o immaginarie, proiettano le loro ombre nella coscienza collettiva.
L’appartenenza di Frankenstein al gotico è in realtà problematica, perché personaggi, storia, ambientazione e implicazioni filosofiche sono chiaramente eslegi rispetto alle convenzioni del genere, al quale invece il romanzo può essere accostato per le sue componenti terrorifiche e sublimi. Certo però il romanzo gotico, intorno al 1818, è prossimo alla fine. Il suo ultimo anno è usualmente riconosciuto nel 1820, quando appare Melmoth l’errante di Charles Robert Maturin, pastore calvinista di Dublino.
Il romanzo racconta le peregrinazioni dell’errante Melmoth e i suoi tentativi di liberarsi del patto che incautamente ha stretto con il diavolo. La scena si muove tra Spagna, Inghilterra, Irlanda e Oceano Indiano, in un arco di tempo di oltre centocinquant’anni, e porta il lettore nei luoghi della più profonda disperazione umana, svelandosi infine come segreta stasi in una condizione ossessiva, coatta e senza scampo. Se Radcliffe offre un’evasione fantastica, Melmoth schiude una prigionia senza fine che il realismo psicologico del racconto rende solo più inquietante.
Maturin riprende i miti di Faust e dell’ebreo errante, la letteratura tedesca dell’orrore e le opere precedenti del genere gotico, ma insieme si muove già verso il romanzo realista ottocentesco. La sua opera è infatti apprezzata da Honoré de Balzac, che scrive un Melmoth riconciliato, da Charles Baudelaire, che la traduce in francese, e da Eugène Delacroix, che intitola a Melmoth un suo dipinto. Ancora nel Novecento, peraltro, Howard Phillips Lovecraft insisterà sulla sua importanza, mentre l’Humbert Humbert di Lolita chiamerà Melmoth la sua automobile.
L’eredità del gotico
Dopo Melmoth, il genere del romanzo gotico si esaurisce, ma la sua eredità passa alla letteratura successiva: in Francia, agisce nei romanzi neri della Restaurazione; in Gran Bretagna è perpetuata da prodotti editoriali popolari come i Penny Dreadfuls e da periodici come il “Blackwood’s Magazine” o il “Dublin University Magazine”, che negli anni Quaranta è diretto da Sheridan Le Fanu. Il suo Zio Silas (1864) è ritenuto un capolavoro del gotico vittoriano, ovvero di quella narrativa che in epoca vittoriana mescola il fantastico, il mistero e il terrore in forme che risentono dell’estetica gotica. L’esempio più celebre è Dracula (1897), dell’irlandese Bram Stoker, il cui personaggio eponimo, come il mostro di Frankenstein, sarebbe divenuto una figura emblematica della cultura popolare del Novecento. L’eredità del gotico, ancora, circola nei sensation novels degli anni Sessanta e perfino in autori come le sorelle Brontë – lo Heathcliff di Cime tempestose (1847) richiama i villains di Ann Radcliffe, Charles Dickens con la cattedrale di Il mistero di Edwin Drood (1870) e Robert Louis Stevenson con Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886). Ancora nel Novecento, il gotico alimenta la scrittura di autori di successo mondiale come Stephen King e Anne Rice e vive come categoria estetica in una copiosa produzione culturale popolare che dalla letteratura si estende al cinema, alla musica e alle arti figurative.