Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le caratteristiche che il genere romanzo aveva assunto nel corso del XII secolo vengono parzialmente riprese e profondamente rimodellate nel corso dei secoli XIII e XIV. Se si assiste da una parte alla conferma di protagonisti e vicende notissime (Lancillotto, il Graal ecc.), ampliate ipertroficamente e inserite in organismi narrativi vasti e complessi anche grazie al nuovo strumento della prosa (Vulgate, Tristan en prose ecc.), dall’altra il romanzo può ora accogliere una corrente decisamente realista (Jean Renart) o anche declinarsi come una summa enciclopedica del mondo noto (Roman de la Rose). Infine, dal Duecento in poi, si registrerà l’espansione costante del genere romanzo in aree diverse rispetto al dominio d’oïl.
Jean Renart
L’aquilone
L’Escoufle
Vedo spesso narratori che tendono
a ben dire e a ricordare
racconti coi quali non posso esser d’accordo
perché la ragione non me lo permette.
Perché chi oltrepassa e lascia la verità
e trasforma il suo racconto in una favola
non deve essere ciò cosa fissa
e accettata in nessuna corte.
Testo originale:
Mout voi conteors ki tendent
A bien dire et a recorder
Contes ou ne puis acorder
Mon cuer car raisons ne me laisse.
Car ki verté trespasse et laisse
Et fait venir son conte a fable,
Ce ne doit estre chose estable
Ne recetée en nule court
Il proposito di Guilhem de Nivers di amare Flamenca
Flamenca
Da molta gente sente raccontare
la storia di Flamenca, prigioniera
di un uomo che la vuole tutta per sé,
e sente dire da tutti, pura verità,
che è la donna migliore e la più bella
e la più cortese del mondo.
Pensa in cuor suo che l’amerà,
se solo avrà modo di parlarle.
Mentre è in questi pensieri
dama Amore gli si avvicina,
con maniere gaie e cortesi
e gli promette solennemente
che gli farà vivere
un’avventura straordinaria.
Tutto gli rivela con una bella predica,
con un vero sermone: “Sei scaltro
e ingegnoso più di un uomo al mondo,
conosci presagi e sorti
ma non conosci ancora la felicità:
per te l’ho riservata in una torre,
per te solo vi è rinchiusa.
Un folle geloso tiene prigioniera
La più bella donna del mondo,
fatta per amare e per essere amata,
solo tu potrai liberarla,
perché sei cavaliere e chierico,
mettiti subito alla sua ricerca”.
Testo originale:
Per moutas gens au et enten
com tenia Flamenca presa
cel que la cuj’aver devesa,
ae au dir per vera novella
que.l mieillers es e li plus bella
e.l plus cortesa qu’el mon sia.
Elo cor li venc que l’amaria
s’om pogues ab ella parlar.
Mentre qu’estai en cest pensar
Amors ben pres de lui s’acointa
e fes si mout gaia e cointa.
fort li promet et assegura
qu’il li dara tal aventura
que mout sera valent’e bona.
Fort l’o presica e.l salmona
e mostra li: “Ben es artos
e sobre totz homes ginos;
saps pron d’agur e pron de sort;
ancar non saps lo ric deport
qu’eu t’ai en una tor servat;
a ton obs lo ten hom serrat.
Un fols gelos clau e rescon
la plus bella dona del mon
e la meillor ad obs d’amar;
e tu sols deus la desliurar,
car tu es cavalliers e clercs,
per zo t’a obs ades encercs”.
Il genere romanzo, fissato nel XII secolo nella sua caleidoscopica forma, acquista via via, nei secoli XIII e XIV, delle accezioni diverse che lo condurranno poi fino al Rinascimento e oltre. Ed è solo a partire dal Duecento che il genere si attesta massicciamente in aree diverse rispetto al dominio d’oïl.
I tratti principali di tale mutazione, entro una dialettica di fondo che compone costantemente il noto col nuovo, possono così riassumersi (ma le linee di fuga potrebbero essere più numerose):
1) parallelamente a ciò che accade al genere epico con la ciclizzazione delle chansons, si assiste qui alla realizzazione di vasti organismi narrativi in prosa (prosificazioni), dedicati a vicende di uomini esemplari (Continuation Gauvain, Lancelot-Cicle, Tristan en prose) e oggetti-simbolo (Quête du Graal). La tecnica compositiva è quella, sempre più affinata, dell’ entrelacement;
2) insorge e si attesta una corrente realista che acquista al genere l’attenzione a fatti e vicende concrete, attuali o storicamente documentate (Jean Renart, Gerbert de Montreuil, Tirant lo Blanch);
3) con l’affermazione del modello universitario, dell’aristotelismo e le esigenze di un nuovo pubblico, il romanzo aspira sempre più alla totalità: sul modello delle summae, si attesta così il modello enciclopedico, il romanzo dei romanzi.
L’affermazione della prosa nel genere risponde a due importanti esigenze, poi viste come implicite nella forma: la prosa si presentava col crisma dell’autenticità (rispetto all’artificio dei versi) e insieme della moralità (attraverso la prosa si veicola meglio un contenuto di tipo etico-morale). Tali caratteristiche confluivano poi in un altro snodo significativo: da una parte il recupero della dimensione storica delle vicende arturiane (motivo già originario e proprio ad esempio del romanzo storiografico di Robert Wace) come la lotta fra Bretoni e Sassoni, la cronologia delle vicende relative al Graal rimesso a Giuseppe d’Arimatea, poi indicato come antenato materno di Galaad ecc.; dall’altra l’intenzione simbolica che, se saldava le ambages, le avventure errabonde dei romanzi al paradigma dell’amore trobadorico, accoglieva anche la visione mistica e profetica, teleologica, connessa soprattutto alla leggenda del Graal. Emblema di tali connessioni è la figura stessa di Lancillotto che già la tradizione precedente aveva eletto a prototipo esemplare: in lui si compenetreranno i grandi temi dell’amore cortese e del Graal (Lancillotto, discendente di David, è il migliore cavaliere del mondo; suo figlio, il puro Galaad, è per questo destinato a riportare la reliquia in Oriente). In tal modo diventeranno onnipresenti, attraverso richiami e rievocazioni molteplici, la “cavalleria cortese” (culminata appunto nella rilettura delle vicende di Lancillotto e Ginevra) e la “cavalleria celeste” (racchiusa nella spasmodica, mistica quête – “ricerca” – del santo Graal).
La dialettica fra noto e nuovo si esplica anch’essa costantemente: da una parte molti di questi romanzi riprendono figure di cavalieri ed eroi decisamente celebri (Galvano, Perceval, Lancillotto); dall’altra i protagonisti di altri romanzi sono cavalieri sconosciuti la cui nuova notorietà durerà lo spazio di un mattino, quello del testo a loro dedicato (Jaufre, Yder ecc). La struttura dei romanzi che fanno capo alla prima distinzione è caratterizzata inoltre da un’architettura tendenzialmente aperta, che aggrega senza una gerarchia precisa le varie avventure del notissimo protagonista. I romanzi che fanno capo alla seconda presentano invece vettori orientati ossia una struttura ascendente, gerarchizzata, che culmina in una prova fondamentale.
Relativamente alla materia arturiana si ricorderà la Continuation Gauvain (dedicata appunto alle avventure del nipote di Artù a cui Chrétien de Troyes aveva assegnato la seconda parte del suo Conte du Graal) e la Continuation Perceval (o seconda continuazione) ove appunto, pur faticosamente, Perceval pone finalmente la sua domanda e succede come custode del Graal al Re Pescatore. Il Lancelot propre, nucleo del ciclo, è un labirintico e lungo romanzo ove i temi dell’amore e quello del Graal si compenetrano definitivamente. Prolungamenti sono da considerare, ma la materia e le relazioni fra i testi sono complicatissime, la Queste e La Mort le roi Artu mentre il prologo è di fatto l’Estoire del Saint Graal ove trova collocazione, come premessa celeste all’epoca arturiana, la storia della famiglia di Giuseppe d’Arimatea. Già nel suo romanzo in versi Robert de Boron, del 1200 ca., aveva messo in scena (cristianizzando definitivamente il Graal laico) un trasferimento significativo: il Graal da Gerusalemme era trasportato in Inghilterra, così la translatio religionis si accordava alle già nominate translationes imperii e studii.
L’espressione romanzata del reale, la forma certamente più “moderna” nota al Medioevo, giunge compiutamente solo con Jean Renart autore dell’ Escoufle e del Guillaume de Dole (databili entro gli anni Venti e Trenta del XIII secolo), oltre che dello splendido racconto del Lai de l’Ombre.
Il rifiuto della favola e l’esigenza di verità conducono a un’adesione sempre maggiore al reale: nel Guillaume de Dole , ad esempio – detto anche Roman de la Rose poiché la protagonista Lienor ha sulla coscia una voglia a forma di rosa; il Guillaume è peraltro il primo romanzo a inserire nel suo tessuto dei testi lirici che scandiscono e sottolineano gli snodi della trama – il nominato imperatore Corrado è proprio ispirato a Ottone IV di Brunswick così come, ad esempio, il Maurizio del coevo romanzo in medio-altotedesco Moriz von Craûn richiama proprio il realissimo duca Maurizio II di Craon (?-1196), ancora in vita quando appunto se ne raccontavano nel romanzo le ardite prodezze.
La distanza mitica delle storie dell’Antichità o del meraviglioso arturiano sono insomma lasciate cadere in favore di situazioni contemporanee, di fatti che mostrano almeno una verosimiglianza col quotidiano e anche i recuperi di temi o immagini che si traggono dai favolosi mondi bretoni sono di fatto ricontestualizzati in chiave realistica. Tale forte richiesta di verosimile, se da principio avrà scarso seguito nell’evoluzione immediata del genere (Roman de la Violette, Roman du Châtelain de Coucy, Joufroi de Poitiers e poi, ben oltre nel tempo e in area iberica, Tirant lo Blanch e Curial y Guelfa), avrà un suo effetto efficiente altrove, ossia nella nuova storiografia in volgare. Relativamente al romanzo enciclopedico, il cui illustre prototipo è il Roman de la Rose di Jean de Meun, si ricorderanno i due romanzi del francescano catalano Raimondo Lullo: Blanquerna (ove il racconto della vita del protagonista, dall’eremo al pontificato, offre l’occasione per descrivere le condizioni della vita umana) e Félix o Llibre de meravelles che, in forma dialogica e in dieci libri, consegna una sorta di enciclopedia teologica e naturale, uno speculum mundi che congiunge dimensione umana e divina lasciando quasi prefigurare la grandiosa realizzazione della Commedia dantesca.
Nel Duecento si registra l’espansione del genere romanzo in aree diverse rispetto al dominio d’oïl, ossia nella zona delle parlate occitaniche del Sud della Francia, nel nord inglese e tedesco, in Italia e nella penisola iberica.
Il più antico dei pochi romanzi in lingua d’oc è il Jaufre che narra le vicende di un giovane cavaliere della corte di Artù lanciato a sconfiggere il malvagio Taulat e che, raccontando al solito di armi e di amori, intreccia le storie oitaniche alle tracce di una materia arturiana più mediterranea (tema di Artù nell’Etna). Sempre in lingua d’oc è Flamenca (1250-1270 ca.), il capolavoro della narrativa d’ oc e primo vero romanzo d’ambiente (la brillante cornice delle corti del Midi, parzialmente infranta dalla crociata albigese). Qui l’eroina, imprigionata per anni in una torre dal marito geloso Archimbaut, è poi liberata rocambolescamente da un amante avventuroso che comincia a conquistarla in chiesa, travestito da chierichetto.
La storia italiana del romanzo francese è quasi inevitabilmente legata alle celebri parole di Francesca (“Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse, Inferno, V, 127-128) ed è storia insomma di libri copiati e letti, di biblioteche e di autori. E se ad esempio ai Tristani italiani e alla Tavola ritonda si è accennato, è impossibile parlare del romanzo in Italia senza coinvolgere altri generi letterari e senza nominare i volgarizzamenti (ad esempio i racconti arturiani compresi nel Novellino), entro una linea che naturalmente condurrà a Boccaccio, all’Orlando innamorato, ad Ariosto.
Anche nella penisola iberica, dalla metà del Duecento alla metà del secolo successivo, si assiste allo sviluppo rigoglioso del romanzo. Attorno alla metà del secolo è databile il più antico testo romanzesco in castigliano giunto sino a noi: il Libro de Apolonio derivato da una particolare versione della Historia latina e scritto nel metro caratteristico del cosiddetto mester de clerecía (“colta tecnica dei chierici”), ossia la quartina monorima di alessandrini (cuaderna vía). L’attenzione in area castigliana è principalmente rivolta però, oltre che ai rifacimenti della materia arturiana e bretone, alle tematiche cavalleresche d’impronta didattico-moralistica (Libro de Alexandre) o enciclopedica. La prima composizione romanzesca originale è invece il Caballero Zifar che racconta le imprese di Zifar e di suo figlio Roboán intercalandole continuamente con digressioni didattiche, exempla, racconti svariatissimi. Alla metà del Trecento dovrebbe risalire una prima (perduta) redazione di Amadís de Gaula, il romanzo “bretone” celebre sino a Cervantes. Quelle storie sembravano tuttavia aver perduto quasi tutto il loro fascino: pure riconoscendone il valore “autunnale”, possono essere considerate summe e insieme epigoni – ritornando in Francia – il Perceforest (un’immensa storia della cavalleria da Alessandro ad Artù) e lo stesso Melior dello storico Froissart.