Il rugby azzurro sbarca all’Olimpico
Se c’è uno sport che nell’ultimo anno ha avuto, più d’ogni altro, una crescita di interesse, di pubblico e di popolarità, è senza dubbio il rugby. Disciplina antica, con una sua storia importante soprattutto nei paesi anglosassoni e in quelli di lingua inglese, ex colonie dell’Impero britannico. Ma non in Italia, dove per molto tempo la supremazia calcistica ha fatto sì che il rugby non trovasse un terreno fertile per diventare uno sport popolare. Del resto aveva ragione Gianni Brera quando scriveva che «il rugby è nato per un ingiurioso sberleffo alla virtù pedatoria dei plebei». Questo è stato vero, però, soltanto sino a una decina d’anni fa, fino a quando, cioè, la Nazionale italiana della palla ovale è stata ammessa a quello che al tempo era il Cinque nazioni, il torneo che vedeva coinvolte le quattro nazionali della Gran Bretagna (Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda) e la Francia.
Era il 2000, e da allora il torneo ha assunto il nome di Sei nazioni. In quell’anno la Federazione italiana rugby contava poco meno di 25.000 tesserati. Oggi sono quasi 90.000, e in continua crescita. Ma, per capire quanto sia vasto il fenomeno, basta assistere a una delle partite della Nazionale italiana: sono sempre affollatissime e trovare i biglietti non è facile (vengono esauriti in pochi giorni dalla messa in vendita).
Lo stadio in cui si svolgono i match è il Flaminio di Roma. Nel 2005 poteva ospitare 25.000 spettatori. Poiché le richieste erano molte di più, nel 2007 (anno ‘storico’ per gli azzurri, che riuscirono a vincere due partite del Sei nazioni) è stato portato a 35.000 posti. Ma ancora non bastano; e così nel 2012 gli incontri della Nazionale saranno ospitati all’Olimpico per permettere significativi lavori di allargamento del Flaminio, che tornerà a essere la culla del rugby italiano dal 2013.
Nel frattempo si sono svolti i Mondiali 2011, in Nuova Zelanda, dal 9 settembre al 23 ottobre, vinti dai padroni di casa, gli All Blacks, contro la Francia (8-7) a distanza di 24 anni dal loro ultimo successo mondiale. Sin dal 1987, anno della sua prima organizzazione, l’Italia ha sempre partecipato a questo importante torneo, senza però riuscire mai a superare il primo turno di qualificazioni. Sebbene il rugby italiano sia in crescita, il divario tra la Nazionale azzurra e le migliori formazioni del mondo (oltre a quelle partecipanti al Sei nazioni, le squadre dell’emisfero australe, in particolare l’Australia, il Sudafrica e gli All Blacks neozelandesi, ai quali va aggiunta anche l’Argentina) è tuttora evidente. Con la pesante sconfitta contro l’Irlanda (36-6) sfuma dunque il sogno dell’Italia di raggiungere uno storico traguardo: accedere alla seconda fase del torneo ed entrare nell’alveo delle ‘grandi’ del rugby mondiale. E acquisire così ancora più pubblico. Malgrado ciò il motivo di tanto successo in Italia è nello sport stesso. Mischie, placcaggi, fango e sangue. Ma anche tattica, visione del gioco, assist, rispetto ed eleganza. Una partita di rugby è tutto questo. E non solo. Gli ottanta minuti di combattimento sono una parentesi di anni di amicizia. Fra compagni di gioco,
fra avversari, fra tifosi che confondono i colori delle loro squadre sugli stessi spalti.
E per quel civilissimo rito che è il ‘terzo tempo’, ovvero il dopo partita in cui le tifoserie avversarie si ritrovano insieme a bere una pinta di birra. Chi è abituato alle infauste cronache calcistiche di tafferugli fra opposte fazioni, troverà piuttosto bizzarro tutto questo. Come del resto può apparire paradossale un gioco nel quale si è obbligati a portare avanti il pallone potendolo passare, con le mani, soltanto indietro. Uno sport non convenzionale, nel quale si vedono in campo energumeni muscolosi che se le danno di santa ragione.
Eppure la violenza, proprio perché regolata e in qualche modo costitutiva del gioco, non è mai gratuita. Si aggiunga che il rugby è uno sport pieno di regole e tattiche, dove la forza fisica rappresenta soltanto una parte, minore, rispetto alla visione globale del gioco e delle sue logiche.
Si scopre così perché una feroce lotta fra due squadre che si scontrano senza freni sia diventata, paradossalmente, un simbolo di disciplina, rispetto, signorilità e gentilezza. E anche di ironia: molti giocatori non perdono mai occasione per sfoggiare un senso dell’umorismo molto british. Come quella volta che Jonah Lomu, ex stella del rugby mondiale e icona neozelandese degli All Blacks, incontrando la regina inglese a Buckingham Palace disse che fino ad allora l’aveva vista soltanto sui francobolli, e così non sapeva bene se darle la mano o leccarle il collo.
Il torneo europeo più prestigioso
La competizione che, dal 2000 (anno della prima partecipazione azzurra) ha assunto il nome ‘Sei nazioni’, è la più antica e importante dell’emisfero settentrionale. Nata nel 1883 (quando si stilò la prima classifica ufficiosa, solo dal 1993 si avrà una classifica ufficiale del torneo), fino al 1910 fu esclusivamente britannica. Era chiamata Home International Championship e vi partecipavano Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda. Nel 1910, con l’ingresso della Francia, divenne ‘Cinque nazioni’.
Da quel momento, a parte alcune interruzioni (dovute ai due conflitti mondiali e agli sviluppi della situazione politica irlandese nel 1972), il torneo si è sempre giocato in maniera regolare. La formula prevede match di sola andata, per un totale di cinque incontri per ciascuna squadra (il vantaggio di giocarne uno in più in casa in una edizione viene bilanciato in quella successiva); la vittoria vale due punti, il pareggio uno, la sconfitta zero punti.
Due aspetti della competizione vanno in particolare sottolineati, in quanto evidenziano abbastanza bene lo spirito del gioco: l’assenza di un trofeo vero e proprio fino al 1992, quando è stata introdotta la Coppa d’argento dalle 15 sfaccettature (che richiamano il numero dei giocatori); e il ‘cucchiaio di legno’ (Wooden spoon) che va all’ultima classificata (dal 1883 al 1904 esisteva realmente, poi è diventato simbolico). Altri riconoscimenti tipici di questo storico torneo sono: la Triple Crown (‘triplice corona’), assegnata alla squadra britannica che ha battuto tutte le altre squadre britanniche; il Grande Slam, che va alla squadra che ha vinto tutte le partite; la Calcutta Cup, il trofeo che, dal 1878, va alla vincitrice dello scontro Inghilterra-Scozia (è un boccale a tre manici, opera di un artigiano indiano); il Whitewash (‘andare in bianco’), che è destinato alla squadra che ha perso tutte le partite.
Classifiche
L’albo d’oro del Mondiale di rugby (1987-2011)
1987
campione: Nuova Zelanda
seconda classificata: Francia
terza: Galles
quarta: Australia
1991
campione: Australia
seconda classificata: Inghilterra
terza: Nuova Zelanda
quarta: Scozia
1995
campione: Sudafrica
seconda classificata: Nuova Zelanda
terza: Francia
quarta: Inghilterra
1999
campione: Australia
seconda classificata: Francia
terza: Sudafrica
quarta: Nuova Zelanda
2003
campione: Inghilterra
seconda classificata: Australia
terza: Nuova Zelanda
quarta: Francia
2007
campione: Sudafrica
seconda classificata: Inghilterra
terza: Argentina
quarta: Francia
2011
campione: Nuova Zelanda
seconda classificata: Francia
terza: Australia
quarta: Galles