Il ruggito della ‘tigre celtica’
Dopo tre anni di austerità imposta dalla troika, l’Irlanda sembra in ripresa. Ma non è detto che sia merito delle misure dettate dal FMI e dalle istituzioni europee. E il paese continua a essere sommerso da una montagna di debito, pubblico e privato.
Nel 2010, dopo lo scoppio di una bolla immobiliare, l’Irlanda è stata costretta a chiedere un prestito di 67,5 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale, all’Unione Europea e alla Banca centrale europea. In cambio, Dublino ha sottoscritto un programma di aggiustamento macroeconomico fatto di misure di austerità fiscale e riforme strutturali. Nel dicembre 2013, prima fra le economie dell’Eurozona che avevano fatto richiesta d’aiuto durante la crisi, l’Irlanda è finalmente uscita da questo purgatorio. «La conclusione del programma irlandese è un segnale che la nostra risposta alla crisi sta dando risultati» ha detto Olli Rehn, commissario agli Affari economici e monetari dell’UE.
Prima facie, l’entusiasmo del commissario Rehn sembrerebbe essere giustificato. A fine aprile 2014, il tasso d’interesse sui bond decennali irlandesi ha toccato il 2,80%, praticamente lo stesso rendimento richiesto dagli investitori per prestare denaro al governo degli Stati Uniti e meno di un quinto del livello toccato al picco della crisi. Sempre ad aprile, il tasso di disoccupazione è sceso all’11,7%, un livello molto alto ma il più basso degli ultimi 5 anni.
Vero, l’andamento del PIL sembrerebbe essere meno positivo: nel 2013 è sceso dello 0,3% su base annua. Ma questo dato è in larga parte dovuto alla scadenza di una serie di brevetti nel settore farmaceutico, che hanno penalizzato fortemente i profitti di diverse multinazionali che sono domiciliate in Irlanda per motivi fiscali. Il prodotto nazionale lordo, che conta soltanto l’attività economica dei cittadini e delle aziende irlandesi, è cresciuto, in termini reali, del 3,4%: un ottimo risultato.
Bisogna essere cauti, però, prima di lasciarsi andare a eccessivi trionfalismi. L’Irlanda continua a essere sommersa da una montagna di debito, pubblico e privato. Il governo di Dublino deve ai suoi creditori una somma pari al 124% del Prodotto interno lordo. Il debito privato ha superato il 300% del PIL, rendendo molto difficile per il settore bancario estendere nuovi prestiti. Il miglioramento delle condizioni del mercato immobiliare – i prezzi delle case sono ricominciati a salire – dovrebbe aiutare le tante famiglie e aziende che continuano a dover pagare mutui onerosi nonostante il crollo dei valori degli immobili. Ma il numero di fallimenti – destinato comunque a crescere – continuerà a mettere sotto pressione il sistema bancario. Vi è poi una seconda ragione per essere scettici sulle conclusioni del commissario Rehn: anche se l’economia irlandese è in ripresa, non è affatto detto che le misure richieste dalle istituzioni europee e dal FMI abbiano contribuito a favorirne il rilancio.
Ovviamente, qualsiasi analisi controfattuale è impossibile. Ciò che si può dire, però, è che i creditori internazionali, e in particolare l’UE, hanno insistito nel voler curare l’Irlanda come se i suoi problemi fossero di natura fiscale. Solo così si spiegano i 28 miliardi in misure di austerità richiesti a Dublino. La crisi irlandese, così come quella spagnola, ha però un’origine diversa. Essa è la conseguenza di problemi nel settore bancario che poi sono stati trasmessi ai conti dello Stato a causa della sciagurata decisione del governo di voler salvare le banche e di pagarne in toto i creditori. Il debito pubblico dell’Irlanda prima della crisi era infatti molto basso.
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha sicuramente fatto dei passi in avanti per evitare che possano accadere nuove catastrofi come quella irlandese. I creditori di un istituto di credito in serie difficoltà finanziarie saranno obbligati a incorrere in delle perdite e non verranno più salvati dai soldi dei contribuenti.
Purtroppo, però, l’accordo sulla cosiddetta unione bancaria rimane insufficiente, visto che non porterà a una vera mutualizzazione dei costi dei salvataggi bancari.
Quattro anni fa, l’Irlanda è stata lasciata più sola di quanto i prestiti non possano far pensare. Il rischio che altri paesi si trovino nella stessa situazione in futuro resta purtroppo alto.