In paesi come l’Iran i media sono al tempo stesso parte integrante della struttura di potere e strumento di resistenza. All’inizio del Novecento sul giornale «Mulla Nasr al-Din» in lingua azerì comparvero diversi attacchi agli ulamā, considerati i più feroci oppositori ai diritti delle donne. Adducendo il pretesto di una sua presunta empietà, il clero sciita in Iran e nella città irachena di Najaf ne vietò la diffusione. Anche il sovrano Muhammad Ali Shah si sentì minacciato da questa satira pungente e cercò di bloccare la distribuzione della rivista. A salvare editore e redattori furono la fedeltà dei lettori e il fatto che il giornale era pubblicato a Tbilisi (Georgia), fuori della giurisdizione del clero sciita e dello stesso shāh.
Anche l’ideologia della rivoluzione costituzionale del 1906 trovò nella satira un valido mezzo per attaccare gli ulamā e la monarchia, colpevoli di reprimere le donne e gli abitanti delle aree rurali. Il 30 maggio 1907, mentre a Teheran e Tabriz si discuteva delle leggi supplementari alla Costituzione, fu dato alle stampe il primo numero del giornale «Sur-e Esrafil», la più radicale tra le riviste dell’epoca. Tanta fama era legata agli articoli satirici del noto Ali Akbar Dehkhoda (1879-1956), abile nel raccontare storie e nell’interpretare vecchi proverbi alla luce degli eventi contemporanei. Con toni rivoluzionari, Dehkhoda si faceva gioco dei mullah e dei superstiziosi.
Al tempo dello shāh Muhammad Reza Pahlavi (1941-79), gli oppositori protestarono contro lo scarso sviluppo politico in un contesto di rapida urbanizzazione attraverso le lettere inviate al sovrano, ai ministri e ai mezzi di comunicazione. La censura impediva però ai giornali di pubblicarle e queste venivano fatte circolare in modo clandestino.
Nella rivoluzione del 1979 fu decisivo l’utilizzo dei media da parte dell’Ayatollah Khomeini: intervistato dai media occidentali, riuscì a trasmettere un’immagine di sé ascetica, in grado di sedurre le masse degli iraniani del ceto basso. Veniva fotografato e ripreso mentre si nutriva di cibo semplice, seduto su un tappeto mentre offriva il tè ai suoi ospiti. Un’immagine ben diversa rispetto a quella dello shah, le cui abitudini erano sfarzose.
Nella Repubblica Islamica i media sono una delle arene in cui si scatena la lotta tra le diverse fazioni. Durante la presidenza di Muhammad Khatami (1997-2005) la stampa aveva vissuto una fase di liberalizzazione, ma era stata presa di mira dai conservatori: molte testate riformiste erano state chiuse, i loro direttori e giornalisti incarcerati. Oggi in Iran vi sono una ventina di quotidiani nazionali: «Tehran Times» (pubblicato dalle autorità), «Iran Daily» (dell’agenzia di stampa ufficiale Irna) e «Iran News» sono in inglese; «Aftab-e Yazd» è un quotidiano riformista; «Kayhan», «Resalat» e «Jomhuri-ye-Eslami» sono conservatori. Il quotidiano «Jaam-e Jam» è dell’Irib (Islamic Republic of Iran Broadcasting), ovvero dell’organismo che controlla la radio e la televisione di stato. Tra i quotidiani, quelli che vendono il maggior numero di copie sono le testate sportive.
L’Irib vanta otto canali radiofonici: per le attività parlamentari, il Corano, e The Voice of the Islamic Republic of Iran, che trasmette in onde corte e su internet. L’Irib ha quattro canali tv nazionali e il terzo è seguito dai giovani in Iran. Oltre a questi, vi sono i tre canali satellitari Jaam-e Jam, con programmi per gli iraniani in Europa, nelle Americhe, in Asia e Oceania. Per controbilanciare la pressione mediatica statunitense, nel 2007 le autorità iraniane hanno lanciato il canale satellitare di notizie Press TV, in inglese. Rispetto alla carta stampata, in televisione la censura è ancora più severa. Di conseguenza, sebbene sia vietato possedere un’antenna parabolica, molti accedono alle trasmissioni di emittenti straniere, alcune delle quali in persiano (BBC Persian TV e diverse emittenti con sede in California). Tra le agenzie, la Fars New Agency (in inglese) è legata ai pasdaran e la Mehr News Agency (con pagine in inglese) all’Organizzazione per la propaganda islamica.
Non irrilevante la dimensione mediatica di internet, sebbene le autorità esercitino un controllo tecnico sulla rete attraverso filtri e limitazioni alla velocità di connessione. Gli utenti sono 32,2 milioni, pari a quasi la metà della popolazione. Il web è un mezzo di comunicazione importante sia per il dissenso sia per la politica ufficiale, tant’è che diversi ayatollah e persino il presidente Ahmadinejad hanno un loro blog. Durante le proteste successive alle contestate elezioni del 12 giugno 2009, Facebook, Twitter e gli altri social network hanno permesso la diffusione di notizie per far conoscere il movimento verde di Mir Hossein Mussavi e la repressione in atto nel paese.