Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Una delle più accreditate leggende sulla storia della medicina riguarda l’aura di pratica “maledetta”, e quindi proibita, che avrebbe circondato la pratica della dissezione dei corpi in età premoderna. In realtà, come dimostrato da numerosi studi recenti, la manipolazione dei cadaveri per diversi fini – imbalsamazione di personaggi potenti o noti, esigenze del culto cristiano e creazione di reliquie, processi di canonizzazione, ispezione autoptica a fini legali – si afferma nel Medioevo occidentale abbastanza presto.
L’introduzione dell’anatomia a uso didattico
Nel XIII secolo la dissezione anatomica viene strettamente regolata dalla Chiesa, in particolare con la decretale del 1299 Detestande feritatis di Bonifacio VIII, ma non apertamente osteggiata. Tra i più illustri oggetti di dissezione vi sono infatti i cadaveri dei papi; ma anche nei più umili conventi, o nelle case della ricca borghesia cittadina, aprire (sparare) il cadavere dopo la morte diviene una pratica accettabile e talvolta richiesta. Il medico e il chirurgo non sono inizialmente che alcuni dei professionisti esperti nei post mortem; solo con la creazione delle università il sapere anatomico diffuso, trasmesso dalle professioni mediche non universitarie, è formalizzato a fini didattici. Le anatomie, infatti, non sono svolte a scopo di ricerca, ma si configurano, al principio, essenzialmente come accompagnamento al testo o ai testi in uso per la didattica, e nei primi secoli non producono innovazioni significative sul piano osservativo.
Tra i principali testi di anatomia antica, raccomandati per una buona formazione del medico, sono ancora una volta le opere di Galeno. Non ci sono giunti altri testi, appartenenti alla tradizione alessandrina, di anatomisti che anticamente erano stati celebri: fra loro Erofilo e Erasistrato.
L’anatomia a uso didattico viene probabilmente introdotta per la prima volta in modo formale all’Università di Bologna; ma sappiamo che già alla scuola di Salerno si era affermato l’uso di anatomizzare animali, specialmente maiali, durante le lezioni. Il protagonista della rivoluzione anatomica di età scolastica è dunque il redattore di un testo fortunato – come avviene più tardi, nel Cinquecento, con Andrea Vesalio – e non un innovatore assoluto.
Mondino de’ Liuzzi è uno degli allievi bolognesi di Taddeo Alderotti, e scrive l’Anothomia (1316), un manuale – il solo manuale scolastico di anatomia che ci sia rimasto – che diviene uno standard e resta tale per almeno due secoli. Mondino non è però il primo né l’unico a lavorare sull’anatomia; semmai l’importanza del suo libro risiede nell’essere stato scritto per accompagnare la dissezione a fini didattici, e dunque nell’essere una diretta testimonianza del suo uso e della sua diffusione. Il testo ha una fortuna universitaria enorme, in Italia come all’estero; Berengario da Carpi, attivo negli anni Venti del Cinquecento, lo ritiene ancora “impareggiabile”. Strutturato secondo una sequenza che sarebbe divenuta anch’essa canonica, e che riproduce l’ordine degli organi soggetti alla putrefazione – i più fragili, naturalmente, devono essere osservati per primi –, il testo riprende però la distinzione galenica fra la regione del ventre (naturalis), quella toracica (spiritualis) e quella del capo (animalis) e la teoria della tripartizione degli spiriti, entità invisibili destinate ad animare e vivificare il corpo. L’osservazione è ancora imperfetta, secondo uno standard moderno, perché ricalcata sull’anatomia testuale di impianto galenico, tanto che Mondino descrive un utero con sette cellette e un fegato con cinque lobi.
La scena anatomica è fin dalle sue origini dominata dal medico, che la dirige e la illustra, con l’aiuto dei testi, ma è frequentata anche da altre figure professionali, in particolare dal chirurgo, cui è dato l’incarico di svolgere l’operazione manuale del taglio e della preparazione del corpo. Il chirurgo ricava così dalla partecipazione alla dissezione un ulteriore elemento di promozione sociale e intellettuale, in un’età in cui questa figura professionale conosce una grande fortuna.
La dissezione come pratica didattica si afferma nelle università europee ma anche in altre istituzioni, come i collegi medici e chirurgici, che hanno interesse alla formazione anatomica dei propri membri. La scarsità di cadaveri da esaminare è sempre lamentata dai medici. A fornirli è l’autorità politica, che può “prestare” i cadaveri dei giustiziati o comunque di persone non in grado di invocare il proprio status sociale per sottrarsi al post mortem, vissuto quasi sempre con diffidenza e orrore; dunque si tratta quasi sempre di stranieri, o al più di persone morte in ospedale. In ogni caso per i primi secoli l’anatomia resta una pratica a carattere saltuario ed episodico, specie nei piccoli centri. E anche nelle università più importanti l’anatomia annuale rimane nella maggior parte dei casi un momento cerimoniale e rituale più che un vero e proprio strumento educativo. Le anatomie “vere”, quelle il cui carattere didattico è reale, restano episodi poco noti, e spesso non sono praticate in pubblico, ma dal maestro con i suoi allievi, in case private.
I principali autori
Tra i più innovativi autori di anatomia del Quattrocento è Alessandro Benedetti, veronese che studia a Padova, dove si lega tra gli altri a Ermolao Barbaro, e in seguito all’umanista e filologo Giorgio Valla, innovativo autore di opere di critica storica. Benedetti segue a Padova un tirocinio anatomico; attivo in ambienti veneziani, viaggia in Grecia e a Creta.
Non sembra che abbia mai insegnato all’università, come pure si è detto, probabilmente perché la sua notorietà deriva tra l’altro dall’avere “inventato” il teatro anatomico (un anfiteatro provvisorio), una struttura architettonica destinata a una lunga fortuna universitaria, di cui uno dei primi esemplari fissi viene costruito proprio a Padova. Benedetti, nonostante la ricchezza della sua cultura umanistica, è infatti per tutta la vita un fortunato medico pratico, dotato di un’ampia clientela. Nel 1495 è nominato medico militare e segue l’armata veneziana nella spedizione contro Carlo VIII di Francia. Nel 1502 esce a stampa l’Historia corporis humani sive anatomice, la sua opera maggiore, non presso Aldo Manuzio, che pure l’autore conosce e frequenta, ma presso un editore minore, Bernardino Guerralda. Nonostante ciò, il testo di Benedetti si pone come un’opera squisitamente umanistica, a partire dalle scelte lessicali, che privilegiano il latino ma non rifuggono la creazione di calchi dal greco, se necessario. La questione della terminologia potrebbe sembrare di dettaglio, ma è invece essenziale per definire parti anatomiche ancora imperfettamente conosciute e distinte tra loro, nonché per la creazione di un lessico tecnico che la medicina è fra le prime discipline scientifiche a darsi. L’opera di Benedetti illustra bene il carattere di profonda assimilazione del pensiero aristotelico che caratterizza la cultura medica di questi anni; nonostante l’adesione ad alcuni principi del galenismo, questo è già messo sottilmente in discussione. Un elemento interessante del suo testo, e indirettamente di critica alla filosofia naturale aristotelica, è la frequente citazione di Platone, una fonte insospettabile, anche se non direttamente utilizzata a fini medici. La proposta cosmologica del dialogo platonico Timeo aveva conosciuto un’immensa fortuna scientifica, ed è riutilizzata dal fiorentino MarsilioFicino, assieme a molte altre fonti, per la creazione di una filosofia neoplatonica che ha anche ambizioni “mediche”, di regolazione del regime di vita del sapiente.
Nel corso del XV secolo dell’anatomia si appropriano anche altre figure professionali, non direttamente legate alla cura: gli artisti. Sull’onda della rinnovata attenzione prestata all’osservazione del reale, i pittori e gli scultori avvertono la necessità di rappresentare con realismo i muscoli, i vasi, e in generale gli elementi visibili alla superficie del corpo. I testi anatomici a carattere didattico e dotto di cui si è parlato fin qui, infatti, non contenevano “figure”, ma erano in genere privi di illustrazioni, o al più ne contenevano di schematiche, più vicine al diagramma e al promemoria che alla rappresentazione realistica di dettagli del corpo. Il massimo rappresentante di questo movimento, che interessa molte delle scuole d’arte italiane ed europee, è Leonardo da Vinci, i cui interessi scientifici, anche al di là della conoscenza del corpo umano, sono ben noti. I suoi disegni anatomici, pur non venendo dalla penna di un tecnico, sono estremamente dettagliati e soprattutto riguardano anche organi interni, rivelando così la partecipazione dell’autore a dissezioni, ma anche il suo interesse per la misura del corpo e delle sue parti, nonché per la fisiognomica. Dal principio del Cinquecento si afferma così gradualmente l’idea che il disegno, la pittura e la scultura da un lato, e l’anatomia dall’altro, possano cooperare nella rappresentazione e nella descrizione del corpo umano. Da questo momento in poi la “scena anatomica” si arricchisce di un nuovo attore, l’artista appunto, incaricato di rappresentare al meglio ciò che l’anatomista svela con il suo coltello. La stessa cosa avviene per altri saperi, come la botanica, per i quali la necessità di rappresentare realisticamente gli oggetti è un passo indispensabile in vista di una loro classificazione. Nel caso dell’anatomia, come ha osservato lo storico dell’arte Martin Kemp, l’irruzione dell’artista sulla scena pone problemi diversi e specifici, relativi piuttosto alla ripetibilità e verificabilità di forme “normali” (in quanto distinte da quelle individuali e/o patologiche) nei corpi umani.