di Michela Ceccorulli
La storia della Pesc e della Pesd ha visto una successione di importanti passi in avanti e altrettanto rilevanti battute d’arresto, che hanno sottolineato i limiti del coordinamento in una materia saldamente ancorata all’interesse nazionale. Il 1952 vide la firma del Trattato che istituiva una Comunità europea di difesa (Ced) tra Germania, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio (trattato affossato nel 1954 dall’assemblea nazionale francese), ma fu con la creazione dell’Unione europea occidentale (Ueo) nel 1955 che venne posto il primo vero tassello per la creazione di una Politica estera e di difesa comune (Pesd). Solo con il trattato di Maastricht (in vigore dal 1993) l’Ueo venne dichiarata ‘braccio militare dell’Unione’, confluendo e dando sostanza alla neonata Pesc.
Proiettando l’Unione Europea sulla scena internazionale, definendone i valori, rendendo chiaro l’impegno verso il mantenimento della pace e la promozione della sicurezza internazionale, la Pesc fornì un contributo decisivo alla storia dell’Unione come security provider. Un tentativo di costruire una leadership franco-britannica fu il vertice Chirac-Blair di Saint Malo del 1998 in cui il Regno Unito, con un’evidente sterzata rispetto a posizioni britanniche precedenti, caldeggiò lo sviluppo di un potenziale militare propriamente europeo. Già con il Trattato di Amsterdam del 1997 si era discusso di una capacità di intervento europea al di fuori della cornice Nato per assolvere le cosiddette missioni di ‘Petersberg’ (missioni umanitarie o di evacuazione; di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace; di unità combattenti per la gestione delle crisi, comprese le operazioni per il ripristino della pace; le azioni di disarmo; di consulenza e di assistenza in materia militare; le operazioni di stabilizzazione post-conflitti). Con l’accordo ‘Berlin Plus’ del 2003 si definiva la possibilità di utilizzo di assetti e capacità Nato per iniziative di ‘crisis management’ a guida europea. Sempre del 2003 è l’elaborazione della strategia di sicurezza europea ‘A secure Europe in a better word’ che individuò sfide nuove e fornì linee guida per la loro comprensione e gestione.
Il trattato di Lisbona (in vigore dal 2009) ha ricompreso la Pesc nello spazio più ampio dell’‘azione esterna dell’Unione’, ha rivisto le procedure di ‘crisis management’ attraverso un ‘comprehensive approach’, volto a favorire uno sguardo olistico verso potenziali situazioni di crisi e l’utilizzo congiunto di strutture civili e militari e ha rafforzato il ruolo dell’Alto rappresentante (istituito con il trattato di Amsterdam), di fatto il ministro degli esteri dell’Unione Europea, ma anche capo del Consiglio europeo (il cosiddetto ‘doppio cappello’, collante tra l’anima federale e intergovernativa dell’Unione). Dal 2014 al 2019 l’Italiana Federica Mogherini (che segue l’inglese Catherine Ashton) ricoprirà tale incarico, affiancata dal Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas, il corpo diplomatico dell’Unione creato nel 2010). Quartiere generale dell’istituzione è Bruxelles, dove lavorano circa 1600 persone, cui si aggiungono 136 delegazioni nel mondo, con circa 2100 addetti. L’Alto rappresentante è anche a capo dell’Agenzia europea di difesa, anello cardine della Pesc e della Pesd. La creazione di una ‘Permanent Structured Cooperation’ (Pesco) permette a stati membri volonterosi e capaci di intraprendere iniziative in maniera congiunta, così da creare una geometria variabile in ambito di sicurezza. Infine, la rimozione della struttura ‘a pilastri’ operata dal Trattato di Lisbona ha enfatizzato il concetto della ‘loyalty’ intesa come mutua assistenza e sincera cooperazione tra Unione e stati membri anche in questo ambito di manovra. L’azione dell’Unione paga lo scotto di un’incompleta integrazione, che risulta purtroppo rischiosa vista la complessità delle sfide. Da un lato mancano una visione di lungo termine che possa dare uno slancio significativo al coordinamento tra attori europei e un maggior peso all’Unione come attore di sicurezza. Dall’altro l’Unione fa fatica a trovare un terreno comune a tutti gli stati, dato che la peculiarità di questo settore lo rende particolarmente importante per gli interessi e il tessuto economico e strategico di ciascuno di essi. Inoltre, a ciò si aggiungono la concentrazione dell’industria di difesa in pochi paesi e la scure che si è abbattuta sui budget di difesa dalla fine della Guerra fredda, rafforzata dalla recente e perdurante crisi economica. Dal 2012, tuttavia, sembra che la Pesd sia di nuovo tornata al centro del dibattito politico, con l’obiettivo di mettere a frutto le lezioni del passato.