Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Seicento è per la Monarchia asburgica – l’insieme composito governato dalla corte di Madrid – un periodo di grandi tensioni. Ai conflitti con le altre potenze europee si aggiungono negli anni Quaranta del secolo fortissime tensioni interne, in Catalogna, in Portogallo, nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia. Alla fine del secolo, la Monarchia si ritrova estremamente indebolita, priva del Portogallo che ritrova la sua indipendenza, e gravata dagli enormi debiti contratti per sostenere immani sforzi bellici su molteplici fronti. Definitivamente concluso appare anche il siglo de oro delle arti, con i suoi magnifici prodotti in campo architettonico e pittorico, nonché letterario e teatrale.
Il governo del duca di Lerma
Alla morte del padre, nel 1598, il nuovo sovrano Filippo III delega la gestione concreta del potere al suo ministro favorito, detto valido, Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, duca di Lerma. Questi avvia una politica mirante a chiudere i conflitti bellici finanziati principalmente dalla Castiglia. Dopo la pace di Vervins con la Francia (1598), vengono stipulate la pace con l’Inghilterra (1604) e la tregua di dodici anni con le Province Unite (1609).
Malgrado questi risultati, il regime di Lerma incontra notevoli opposizioni all’interno della nobiltà. Infatti la nascita del sistema del ministro favorito implica, a differenza del passato, la completa esclusione dalla grazia sovrana (ossia dalla possibilità di ottenere incarichi, prebende, titoli e così via) di tutti coloro che non siano a lui legati per via parentale, di alleanza o di patronage. I protetti di Lerma si caratterizzano poi per la facilità alla corruzione.
Inoltre le scelte del valido in campo internazionale sono criticate come un cedimento ai nemici della Monarchia asburgica. Emerge così l’accusa a Lerma di aver danneggiato la reputación (“reputazione”) della Monarchia, mostratasi fino a quel momento in grado di sostenere, anche con le armi, il prestigio della corona e la fede cattolica contro tutti i loro nemici.
Rendendosi conto di essere sempre più isolato, Lerma comincia a cedere quote di potere al figlio Cristòbal, duca di Uceda. Nel 1617 il valido, travolto dalle accuse, è costretto a ritirarsi a vita privata: prima di uscire dalla scena politica, egli ha però l’accortezza di ottenere dal papa il cappello cardinalizio (1618), che lo sottrae a ogni eventuale rivalsa di nemici ed ex amici.
Filippo IV, Olivares e la politica di reputación
Nel 1621 sale al trono il giovane Filippo IV che si presenta intenzionato a differenziarsi dal padre. Il nuovo re cattolico si circonda di uomini che, come Baltasar de Zúñiga, vogliono salvare la Monarchia dalla crisi economica, politica ed etica, ristabilendone il primato politico e militare in Europa e nel mondo. Tocca al nipote di Zúñiga l’ascesa nel favore regio al rango di valido: Gaspar de Guzmán, conte di Olivares, meglio noto in seguito alla concessione del titolo di duca di Sanlúcar la Mayor (1626) come il conte-duca, diviene l’onnipotente ministro favorito di Filippo IV.
Olivares è fermamente convinto della missione politica e religiosa della Monarchia ed è animato dalla volontà di ripristinare la reputación della casa d’Asburgo. Non a caso i motivi della sua propaganda si richiamano direttamente all’epoca di Filippo II, ritenuta l’apice del prestigio della Monarchia.
Nuove guerre e tentativi di riforma
Uno dei primi atti di Filippo IV è, nel 1621, la ripresa della guerra contro le Province Unite ribelli allo scadere della tregua. Tale scelta segue di poco la decisione d’intervenire militarmente in Germania a sostegno degli Asburgo d’Austria (1618: inizio della guerra dei Trent’anni). Tale ambiziosa politica necessita però di enormi risorse finanziarie che la sola Castiglia non è in grado di fornire, neppure con i proventi delle miniere d’argento americane. Pertanto, nel 1624, il conte-duca di Olivares elabora un progetto di Unión de armas (“unione degli eserciti”) che prevede la creazione di un grande esercito di 140 mila uomini, forniti (e finanziati) in misura proporzionale da tutti i territori della Monarchia. Almeno due settimi dei singoli contingenti avrebbero potuto essere inviati al di fuori del regno di origine.
Il piano incontra però la ferma opposizione non solo delle Cortes della corona d’Aragona – che rivendicano i loro tradizionali privilegi in campo fiscale –, ma anche di un ampio schieramento nobiliare che si va saldando contro Olivares e le famiglie che lo sostengono. Il valido si scopre politicamente isolato nelle sue scelte e soprattutto nella conduzione delle guerre contro i protestanti in Germania, contro le Province Unite e contro la Francia (che entra in guerra nel 1635) e che apre due altri fronti lungo la frontiera pirenaica e in Italia. Inoltre alcune importanti colonie portoghesi in Brasile vengono occupate dagli Olandesi sin dal 1624, creando ulteriori problemi militari e finanziari alla Monarchia.
Il governo straordinario
In questo contesto Olivares deve misurarsi con un’opposizione che è contraria a qualunque cambiamento e che si trova assai ben rappresentata nei Consigli regi e nelle istituzioni dei diversi regni della Monarchia. Essa è in grado di rallentare o sterilizzare con estenuanti contese le decisioni del conte-duca. Questi allora comincia a utilizzare con sempre maggior frequenza strumenti di governo straordinario, volti a eludere l’iter burocratico dei Consigli. In particolare si serve delle juntas, giunte speciali di ministri a lui fedeli, incaricate di decidere su una specifica questione, per esempio l’introduzione di nuove forme di tassazione.
Allo stesso modo Olivares opera nei riguardi dell’amministrazione della giustizia: cerca, infatti, di pilotare i processi che vengono intentati a suoi collaboratori e alleati, così come quelli che coinvolgono i suoi nemici. Inoltre, per avere la certezza che le decisioni prese siano poi concretamente eseguite, il conte-duca colloca in tutte le posizioni chiave del governo e dell’amministrazione uomini a lui direttamente fedeli.
Olivares riesce così a imporre nel 1637 al regno di Valencia e nel 1639 alla Catalogna di fornire contingenti di soldati per difendere la frontiera iberica. In Portogallo l’introduzione di una nuova imposta senza il consenso delle Cortes del regno provoca, però, lo scoppio di una rivolta nella città di Évora e in diverse regioni del Paese (1637).
La rivolta della Catalogna
Olivares e la sua fazione sono descritti dalla propaganda degli avversari come un gruppo politico che ha plagiato la volontà di Filippo IV per assumere il controllo della macchina statale ed esercitare un potere tirannico, contrario ai privilegi e alle libertà tradizionali dei ceti e dei regni iberici. Inoltre in Portogallo e in Catalogna il valido viene accusato di voler “castiglianizzare” tutti i regni, cioè di mirare ad abrogare i privilegi locali e privare i sudditi delle rispettive identità regionali e locali.
L’ostilità nei confronti di Olivares diviene tanto profonda nella nobiltà, che quest’ultima dà vita a congiure (come quella del duca di Medina Sidonia nel 1641) e decide di ritirarsi dalla corte regia, così da far capire a Filippo IV la totale avversione che la politica del valido provoca fra i ceti dirigenti. Nel 1640 scoppiano nel medesimo lasso di tempo la rivolta della Catalogna e quella del Portogallo.
In Catalogna, nal mese di maggio, si verificano disordini popolari contro l’imposizione di alloggiare le truppe nelle case private: un uso del tempo, assai odioso alla popolazione civile. Il moto dalle campagne dilaga con facilità nella regione e raggiunge Barcellona. All’invio di un esercito da parte di Olivares corrisponde la radicalizzazione della rivolta. Nel 1641 i Catalani si proclamano Repubblica indipendente e chiedono la protezione del re di Francia, Luigi XIII, che però accetta a patto di essere investito della piena sovranità sulla regione. Da quel momento, la Catalogna diviene territorio francese e solo, nel 1652, dopo una lunga guerra, viene riconquistata dalle truppe di Filippo IV.
La secessione del Portogallo
Nel 1640, visti gli scarsi risultati ottenuti nella difesa del Brasile dalla penetrazione olandese e accusando Filippo IV e Olivares di non voler difendere gli interessi della corona portoghese e di voler distruggere le libertà del Paese, la maggioranza della nobiltà lusitana opta per la riconquista dell’indipendenza. Più che una rivolta si può definire un colpo di Stato nobiliare che porta, nel dicembre 1640, alla destituzione di tutti i ministri legati alla corte di Madrid e alla secessione dalla Monarchia. La corona del Portogallo viene affidata al duca Giovanni di Braganza che diviene il re Giovanni IV con il voto delle Cortes, che affermano la prevalenza della volontà della nazione sul principio della sovranità per diritto divino. Grazie all’aiuto della Francia e dell’Inghilterra, la corona portoghese sostiene una lunga guerra d’indipendenza contro la Monarchia cattolica che termina vittoriosamente solamente nel 1668.
La fine di Olivares
Lo scenario drammatico del 1640, inizialmente sottovalutato da Olivares, vede gli stessi regni iberici al centro di guerre e rivolte. Ai primi del 1643, Filippo IV decide di allontanare Olivares dal potere e di aprire le porte del governo a esponenti dei gruppi contrari al valido. Peraltro acquista ben presto la preminenza a corte il nipote del conte-duca, Luis Méndez de Haro, marchese del Carpio. Questi però non si fregia del titolo di valido e non gode, a differenza dello zio, del totale monopolio del potere cortigiano.
Le rivolte di Palermo e Napoli
L’allontanamento di Olivares non implica tuttavia un cambio di rotta nella politica della Monarchia. I molti fronti di guerra e il costo dello sforzo militare causano una costante crescita della pressione fiscale. Ciò finisce inevitabilmente per produrre nuove rivolte: nel 1647, scoppia a Palermo una sollevazione anti-fiscale nel nome del rispetto delle prerogative del Regno di Sicilia.
Poco dopo esplode a Napoli una rivolta che assume ben presto toni più radicali. Guidata nella prima fase da un pescivendolo di nome Masaniello, essa si fonda sull’accusa ai ministri regi di aver violato il rispetto dei privilegi della città e del regno. Masaniello viene ucciso dai suoi stessi compagni di lotta, che ne temono l’ascedente sulla plebe cittadina. La rivolta però non si spegne, anzi si diffonde nelle campagne e nelle altre province del regno. L’arrivo della flotta spagnola – sotto il comando di Juan José de Austria (1629-1679), figlio naturale del re – che bombarda Napoli, produce la rottura della fedeltà verso la corona e la proclamazione della Repubblica (ottobre 1647). Nei mesi successivi le divisioni nel fronte rivoluzionario e l’abilità dei ministri regi, che alternano la pressione militare e le trattative segrete con i capi della rivolta, portano alla riconquista della capitale nell’aprile 1648.
La pace dei Pirenei
I decenni successivi sono caratterizzati dal tentativo di Luis de Haro di salvaguardare l’integrità della Monarchia. Il lungo conflitto con la Francia viene chiuso nel 1659 con la pace dei Pirenei. La corona spagnola è costretta a cedere parte dell’Artois, delle Fiandre, dell’Hainaut e del Lussemburgo, nonché i territori a nord dei Pirenei. Maria Teresa d’Asburgo, figlia di Filippo IV, viene data in sposa al re di Francia, Luigi XIV, in cambio della sua rinuncia ai diritti di successione e al pagamento di una enorme dote.
Il regno di Carlo II
Nel 1665, succede a Filippo IV il figlio di secondo letto Carlo II d’Asburgo. Durante la sua minore età la reggenza spetta alla madre Marianna d’Austria (1634-1696) che, secondo le clausole del testamento del defunto monarca, dovrebbe governare in accordo con Juan José de Austria. La regina tuttavia emargina il principe e si affida al favorito, il confessore gesuita Johann Eberhard Nithard (1607-1681). Questi, nominato inquisitore generale e membro del Consiglio di reggenza, riconosce l’indipendenza del Portogallo (1668) e si mostra passivo di fronte all’aggressione francese che rivendica alcuni territori nei Paesi Bassi spagnoli. Il conflitto non si conclude in modo disastroso per la Monarchia solo per l’intervento delle altre potenze europee (guerra di devoluzione: 1667-1668). Il malcontento popolare per l’aumento della tassazione imposto per far fronte alla guerra con la Francia, consente a Juan José de Austria di dar vita a una sollevazione militare e marciare su Madrid, dove obbliga la regina a licenziare Nithard. Marianna nomina allora proprio valido un personaggio di umili origini: Fernando de Valenzuela (1636-1692). Anche in questo caso sono gli insuccessi in politica internazionale a sancire la fine di un regime corrotto e incapace: infatti con la disastrosa pace di Nimega – che pone fine alla guerra d’Olanda (1672-1678) – la Monarchia cede alla Francia la Franca Contea e alcune piazzeforti.
Nel 1677 Juan José de Austria, con l’appoggio della nobiltà, marcia nuovamente sulla capitale e ottiene da Carlo II, ormai maggiorenne, l’esilio di Valenzuela nelle Filippine, della regina madre a Toledo e la nomina a valido. Juan José muore però di lì a poco, consentendo il ritorno a corte di Marianna d’Austria.
Il re e la regina madre sono consci di dover in qualche misura associare alle scelte di governo la grande nobiltà. Questa, a sua volta, accetta che sia nominato un primo ministro, in grado di coordinare la politica della Monarchia: la carica viene quindi attribuita dal 1679 al 1685 a Juan Francisco de la Cerda, duca di Medinaceli, e poi, dal 1685 al 1691, a Manuel J. De Toledo Portugal (1650-1707), conte di Oropesa. In questi anni viene avviata una riforma monetaria con la messa fuori corso della moneta di rame e la svalutazione di quella d’argento. Viene invece bloccato ogni tentativo di riforma fiscale a causa dell’opposizione del clero e della nobiltà che rifiutano qualunque minima riduzione dei loro privilegi.
Il problema delle finanze pubbliche
Le entrate della corona castigliana crescono fra il 1623 e il 1667 da 9 a 12,7 milioni di ducati. Ciò è reso possibile non solo dagli aumenti delle imposte, ma dall’utilizzo di una lunga serie di espedienti: alterazioni del contenuto della moneta, prestiti forzosi, confische dei carichi di argento americano appartenenti a privati, vendita di cariche, titoli nobiliari e feudi. In questo modo la corona riesce però a onorare solo una piccola parte dei debiti che va contraendo con i banchieri genovesi e fiamminghi prima, tedeschi e portoghesi poi. Olivares arriva persino, in dispregio al culto della limpieza de sangre, a sostituire gli odiati ed esosi Genovesi con finanzieri portoghesi marranos, ossia ebrei convertiti sospettati di praticare in segreto la religione degli avi.
Tuttavia, nell’arco del Seicento, la corona si rivela incapace di far fronte ai tanti debiti e deve ricorrere a numerose sospensioni dei pagamenti: nel 1607, nel 1627, nel 1647, nel 1653, nel 1662, nel 1667 e 1692. A divorare le entrate non sono solo le spese militari, ma è l’enorme debito consolidato: nel 1667 oltre 9 dei 12,7 milioni di ducati di entrate della Castiglia sono destinati al pagamento degli interessi.
I regni iberici escono prostrati dal lungo periodo di guerre. La popolazione che nel 1646 è scesa a 6 milioni di abitanti dai 9 della fine del Cinquecento, ricomincia lentamente a crescere raggiungendo i 7 milioni nel 1694. Anche la situazione economica migliora molto lentamente, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta del secolo.
Il siglo de oro
Il Seicento è un momento aureo per il fiorire delle arti. Non solo la “cattolicissima” committenza religiosa moltiplica i suoi sforzi in risposta ai dettami del concilio di Trento, ma la corte, con Filippo III e con Filippo IV nonché con i loro favoriti, continua a essere il centro di una politica culturale estremamente attiva. Per concludere la decorazione dell’Escorial e per ornare il palazzo del Buen Retiro, vengono chiamati a corte rispettivamente Domenikos Theotokópulos, detto El Greco e Diego de Velázquez, nominato nel 1623 ritrattista ufficiale di corte. In ambito letterario, grande successo hanno le composizioni di Luís de Góngora e il Don Chisciotte scritto da Miguel de Cervantes. Ancora mggiore risonanza raggiungono gli autori drammatici, in primo luogo Lope de Vega, autore di moltissime pièces, destinate a un pubblico estremamente vario che includeva esponenti della corte e semplici cittadini, in grado – nelle grandi città come Madrid, che contava alla fine del Cinquecento già tre teatri pubblici – di apprezzare rappresentazioni teatrali letterariamente raffinate.