Il sistema tecnico del Vicino Oriente
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Come in Egitto, anche in Mesopotamia prende piede un’architettura monumentale di straordinaria imponenza, fatta di mattoni cotti e seccati al sole. In società che ancora non conoscono le macchine da sollevamento, le straordinarie realizzazioni architettoniche sono portate a termine grazie al lavoro coordinato di squadre di operai. Come una macchina gigantesca, essi trasportano e sollevano massi enormi, erigono mura e posizionano sculture pesantissime. Templi, palazzi e giardini fantastici nascono per la volontà di pochi uomini di potere, monarchi il cui governo è benedetto dal moto dei corpi celesti, attentamente scrutati da sacerdoti e astrologi in grado di raccontarne l’influenza sui destini umani.
Durante il neolitico e l’età del Bronzo nelle regioni adiacenti i grandi fiumi Tigri e Eufrate, l’umanità compie progressi determinanti per la crescita del sapere. In questi territori, dal declino di Ur fino alla conquista persiana, nel volgere di quasi tre millenni ha luogo un ciclo continuo di distruzioni e rinascite fondate sulla vita urbana. Le diverse popolazioni che hanno stabilmente occupato queste terre cercando di volta in volta di realizzare un impero saldo e duraturo, pur non riuscendo a perseguire questo obiettivo, hanno messo a punto un sistema di nozioni, teoriche e pratiche, di fondamentale importanza nel determinare una svolta per la civiltà umana.
Aperta alle invasioni e poco riparata dalla natura, la regione mesopotamica ha visto l’accavallarsi di popoli diversi, la cui mescolanza ha dato origine ad una civiltà varia e articolata che ha di volta in volta reinterpretato l’originaria cultura sumerica arricchendola di spunti nuovi.
Si ritiene che la necessità di trovare un’alternativa per la propria alimentazione, che non dipendesse esclusivamente dalla caccia, abbia stimolato la messa a punto delle conoscenze di base per avviare la rivoluzionaria attività dell’agricoltura. Già nel corso della preistoria l’uomo aveva imparato a distinguere le piante immediatamente commestibili da quelle che non lo erano; a questa catalogazione preliminare si aggiunge adesso un bagaglio di informazioni pratiche e teoriche, determinanti perché una vera e propria agricoltura possa avere inizio.
In particolare, si usano sistematicamente attrezzi da lavoro e l’aratro, una vera e propria macchina; si osserva il cielo e si registrano i dati ritenuti importanti al fine di creare un calendario che scandisca i tempi del lavoro, con la consapevolezza delle inevitabili lunghe attese precedenti il raccolto, tempi durante i quali occorre comunque intervenire per proteggere l’attività svolta. Quest’ultima osservazione è di particolare importanza perché mette in luce un atteggiamento nuovo, basato sulla relazione tra causa ed effetto, determinante per lo sviluppo di un approccio di tipo scientifico nei confronti dell’osservazione della natura. I comportamenti legati alla nascita e allo sviluppo dell’agricoltura non trasformano solo la vita dell’uomo, che va adesso divenendo sedentaria: per esempio, per valutare correttamente i prodotti della terra immagazzinati e conservati si perfezionano i metodi di calcolo e si introduce un sistema di riferimento di pesi e misure, con i relativi strumenti.
Lo sviluppo dell’agricoltura in Mesopotamia dipende in buona parte dalla messa a punto di efficaci sistemi di irrigazione, settore nel quale sono raggiunti risultati di rilievo. Lungo le valli del Tigri e dell’Eufrate il terreno viene liberato da ogni ostacolo naturale per condurre le acque dei fiumi sui campi appena ripuliti. In conseguenza di questo nuovo tipo di vita la caccia va perdendo la sua importanza, finendo col divenire un passatempo per pochi. In una civiltà urbana non tutti gli abitanti sono direttamente impegnati nel lavoro della terra, dovendo invece coprire ruoli di gestione, controllo e amministrazione dei beni. La sedentarizzazione è dunque il presupposto per lo sviluppo di nuovi saperi amministrativi e tecnici, che divengono una prerogativa del nucleo abitato e delle persone che vi vivono. Emerge la nuova categoria degli artigiani, che vanno specializzandosi nella lavorazione di materiali come la ceramica, il vetro, i metalli. Gli oggetti rinvenuti nelle tombe mostrano tecniche metallurgiche raffinate e avanzate, che mettono in evidenza lega, saldatura e rifiniture di notevole eleganza. Del resto, una delle leggi presenti nel Codice di Hammurabi riguarderà proprio l’apprendistato, con i maestri obbligati a trasmettere le proprie conoscenze ai giovani che lavorano nelle loro botteghe.
Dalle attività agricole ed edili si vuole discenda la fondamentale invenzione della ruota, la cui comparsa non è precisamente definibile in termini cronologici. Un’immagine pittografica su una tavoletta da Ur del 3500 a.C. circa mostra un carro, la cui fisionomia è chiaramente dipendente dalla slitta impiegata per il trasporto dei materiali pesanti da costruzione. È d’altro canto plausibile ipotizzare che l’intuizione da cui la ruota ha avuto origine sia scaturita proprio osservando il funzionamento dei rulli sotto la slitta; il limite di questo sistema, il dover continuamente spostare il rullo dopo brevi tratti di cammino, può aver fornito lo spunto per cercare di migliorare la situazione. Realizzata inizialmente in legno pieno e dunque molto massiccia, questo tipo di ruota non era funzionale rispetto alle aspettative. È verso la metà del III millennio che la ruota piena viene “scavata” fino a lasciare generalmente quattro raggi. Più leggera e funzionale, la ruota con un numero variabile di raggi viene impiegata con successo nel carro da guerra, scavando un solco netto con chi va in battaglia essendone sprovvisto. Abbinato al cavallo il carro diviene una vera e propria macchina, capace di rivoluzionare i settori della guerra e del trasporto, anche se in quest’ultimo ambito si prediligono le vie d’acqua, percorse da imbarcazioni di vario genere e cariche di beni di ogni sorta. Inoltre, nel movimento della ruota di qualunque tipo di carro è insito il moto circolare, base e principio di ogni macchina ideata da questo momento in poi.
Attirando nuovi gruppi umani che giungono dalle zone montuose e dalle vallate, i villaggi divengono città caratterizzate dalla presenza di monumenti pubblici maestosi innalzati per celebrare la figura del sovrano, unico tramite tra gli uomini e la divinità.
Delle grandi opere tecniche dei popoli che hanno abitato questa terra sopravvivono pochi resti. D’altro canto, essi non avevano a disposizione, in loco, la pietra che permise agli Egizi di erigere i loro monumenti, dovendo pertanto ripiegare sul mattone seccato al sole, la cui durata nel tempo è breve. La natura effimera delle testimonianze materiali è in parte colmata dalla notevole quantità di testi in cuneiforme rinvenuti dagli archeologi, che fanno luce su alcune delle questioni di nostro interesse. Del resto, nonostante l’importanza dell’agricoltura e di tutto ciò che ad essa è collegata, il filo conduttore di una storia del sistema tecnico dei popoli che hanno abitato la Mesopotamia è probabilmente da ritrovarsi nel notevole mutamento di dimensioni dell’architettura rispetto al neolitico. Il tempio, il deposito per immagazzinare i prodotti della terra, la città cinta da mura al cui interno vivono diverse famiglie e la ziqqurat, una sorta di altissima torre a gradini e ripiani usata anche dai sacerdoti per favorire l’osservazione del cielo, sono realizzazioni che non dipendono dall’impiego di strumenti e utensili, ancora modesti e semplici, ma da un’organizzazione della società innovativa e rivoluzionaria. Proprio la ziqqurat sintetizza assai bene la relazione esistente tra l’osservazione del cielo e l’impressionante scenario architettonico realizzato, a sottolineare i legami tra divinità e re e, di conseguenza, tra sovrano e sudditi. Oggetto di osservazioni sistematiche, il cielo rivela informazioni che vengono registrate e trasmesse attraverso i sacerdoti al re e alla popolazione. Indicato dal cielo, il regno si manifesta attraverso l’opera di intermediazione di sacerdoti, maghi, indovini, interpreti di sogni. Sarebbe dunque errato non cogliere le relazioni tra lo sviluppo dell’eccezionale sistema tecnico mesopotamico e il potere con il suo apparato. La chiave di lettura è duplice: la rovina del secondo Impero sumerico per mano di Hammurabi, per esempio, viene percepita come una catastrofe che segna la fine dell’ordine universale che aveva reso possibile l’affermazione di quella pacifica e progredita civiltà, capace di coniugare i precetti fondamentali di agricoltura e irrigazione con lo sviluppo dei centri urbani. L’idea che il re sia tale per diritto divino richiede inoltre uno sforzo, portato avanti da Hammurabi, per dare al paese un’unità religiosa, cosa che avviene attraverso il culto del dio Marduk; la coesione delle genti mesopotamiche favorisce, infatti, la convinzione che il re abbia un potere che gli garantisce, tra l’altro, una vita più lunga, condizione necessaria per promuovere grandi imprese utili per tutta la comunità, per esempio la costruzione di canali e città. In una terra che ha conosciuto grandi calamità naturali di cui vi è memoria nell’epopea di Gilgamesh, per fronteggiare eventi di crisi occorre una gestione delle risorse disponibili affidata a un forte potere centrale che, benedetto dagli dèi, è capace di tenere sotto controllo il corso dei fiumi e gestire i danni conseguenti alle inondazioni, creare sistemi di irrigazione per una buona agricoltura, immagazzinare i beni per fronteggiare le carestie e prevedere i fenomeni meteorologici pericolosi.
La monarchia raduna gli uomini, li divide per specializzazione, ne organizza il lavoro e sposta la tecnica su dimensioni nuove e rivoluzionarie. Giustamente, in questo tipo di organizzazione così meticolosa e perfettamente funzionante è stato visto l’archetipo della macchina. Un solco enorme sembra ora dividere le attività artigianali, anche di notevole livello qualitativo, e le imprese architettoniche di questi re. Veri e propri oggetti meccanici, le squadre di operai nel loro insieme coordinato e ritmato costituiscono una macchina perfetta che non conosce pause e che esegue i propri compiti a beneficio dell’immagine del sovrano. Ecco allora che si può costruire, nel deserto, una ziqqurat in modo che anche il paesaggio rechi i segni dell’ordine cosmico di cui il re è garante sulla terra. Gli archeologi tedeschi che hanno scavato Uruk hanno calcolato che per costruire uno dei complessi templari del protodinastico siano occorsi 5 anni e 1500 uomini al lavoro costantemente. Re divino e macchine umane costruiscono e in guerra distruggono.
Come si è detto, il potere del re comincia dalla capacità di leggere i movimenti dei pianeti che quel regno hanno legittimato. La monarchia è associata al culto del Sole anche perché il re, come il Sole, esercita il suo potere a distanza: agli scribi il compito di far arrivare i suoi messaggi a destinazione.
Dal punto di vista di una analisi delle conoscenze tecniche è assai interessante, successivamente alla decadenza del primo impero babilonese dopo la morte di Hammurabi, l’avvento della civiltà assira alla fine del II millennio. Il vasto impero che gli Assiri mettono insieme mostra, sotto diversi punti di vista, un notevolissimo livello tecnologico. Per quanto concerne l’ambito militare, già col regno di Tiglat-pileser I salito al potere nel 1110 a.C., gli Assiri mettono in campo un apparato impressionante e mai visto in precedenza. Le immagini scolpite sui rilievi non hanno solo il compito di immortalare episodi importanti della storia di quel popolo, ma vogliono anche sottolineare la conoscenza e il possesso di una tecnologia capace di vincere ogni resistenza. Gli ostacoli posti dalla natura e dall’uomo vengono superati e, come in una narrazione per immagini, vengono mostrate allo spettatore città fortificate con alte mura e torri che crollano sotto i colpi di macchine da guerra abilmente condotte dall’esercito assiro, arieti applicati a carri di impressionante efficacia impegnati in scene di battaglia, la costruzione di ponti di barche per attraversare i fiumi e spedizioni subacquee, con i soldati che respirano grazie a otri gonfiati e riempiti d’aria.
A conferma del fatto che nella storia dell’umanità le vicende della guerra hanno sempre costituito un veicolo di straordinaria efficacia per introdurre nuove tecnologie, i ritrovamenti archeologici dimostrano, tra l’altro, che gli eserciti assiri sono equipaggiati con armi in ferro, presumibilmente ottenute non lavorando localmente il metallo, ma acquisendole presso gli Ittiti. A differenza di Babilonia, edificata in mattoni, Ninive, la capitale assira, è costruita in pietra. Una delle opere tecniche più significative è la costruzione dell’acquedotto di Jeruan, datato al 691 a.C., primo esempio di rifornimento idrico pubblico, realizzato sotto il re Sennacherib e utilizzato per convogliare l’acqua che sgorga dal monte Tas sopra Ninive. Lungo circa 50 km, presentava contrafforti a intervalli di 15 metri a reggere il condotto nel quale scorreva l’acqua.
I re sono protetti da enormi tori alati con volto umano detti Lamassu. Un rilievo, conservato al British Museum datato all’epoca di Sennacherib (705-681 a.C.) e proveniente dal palazzo reale di Ninive, mostra il trasporto verso Persepoli di un gigantesco Lamassu. La scultura è sopra una slitta lignea, trainata da file di uomini che agiscono anteriormente e sospinta da altri che si trovano sul lato posteriore appendendosi ad una lunga leva. La presenza di personaggi che seguono l’operazione portando, per mezzo di carretti, traversine e matasse di corde testimonia la frequenza con cui questi materiali dovevano rompersi. La forza espressa dagli uomini che agiscono sulla leva viene moltiplicata in virtù dell’abbinamento col profilo a sguincio della slitta: in sostanza, è come se tra slitta e leva ci fosse un cuneo che, spinto verso l’alto tende a divaricare sia l’elemento con il profilo a sguincio facendolo avanzare verso sinistra, sia il fulcro del sistema che infatti deve essere ben saldo nel terreno.
Dopo che Sennacherib distrugge l’antica città di Hammurabi, i Caldei di Nabucodonosor la ricostruiscono. Qui nasce il mito dei giardini pensili, una delle sette meraviglie del mondo antico. Infaticabile costruttore, questo sovrano fa erigere palazzi, templi e porte imponenti adoperando un numero incalcolabile di mattoni. Di particolare effetto l’uso di mattoni smaltati in azzurro, a rivestire le opere più importanti. È la Babilonia di questi monumenti, decorati anche con draghi, leoni e tori in bassorilievo, che sarà raccontata da Erodoto. I dubbi degli studiosi moderni sull’esistenza dei giardini discendono dal fatto che gli archeologi non ne hanno trovato traccia, né vengono citati dai testi in cuneiforme in nostro possesso. Di essi parlano, però, autori di lingua greca a cominciare da Berosso, un caldeo che, attivo verso la metà del III secolo a.C., scrive un’opera in cui spiega ai Greci, incapaci di leggere il cuneiforme, la cultura di quel popolo. Probabilmente proprio a Berosso si rifà Flavio Giuseppe quando, nelle Antichità Giudaiche (10, 226), descrive la straordinaria impresa architettonica di Nabucodonosor, che “fece ammassare nel suo palazzo pietre su pietre, fino ad ottenere l’aspetto di vere montagne, e vi piantò ogni genere di alberi, allestendo il cosiddetto paradiso pensile perché sua moglie, originaria della Media, ne aveva grande desiderio, essendo tale usanza della sua patria”.
A questi brani si aggiungono le descrizioni di Diodoro Siculo (Biblioteca storica, 2, 10) e Curzio Rufo (Storia di Alessandro, 5, 1, 32-35), ma è soprattutto interessante, per questo argomento, un’osservazione di Strabone (Geografia, 16, 1, 5), che ricorda la presenza di un’ultima terrazza cui si accede “per mezzo di una scala, lungo la quale correvano delle spirali attraverso le quali l’acqua veniva portata di continuo dall’Eufrate fin nel giardino […]”. Non solo, quindi, la notizia della conoscenza di un dispositivo, la vite idraulica, che gli antichi stessi attribuiranno ad Archimede, ma addirittura l’intuizione di metterle in collegamento in obliquo una dopo l’altra, una soluzione che, allo stato attuale delle conoscenze, sembra acquisita solo nel Rinascimento. Del resto, la medesima tecnologia di cui parla Strabone sembrerebbe essere descritta a irrigare i Giardini del Palazzo Inimitabile di Sennacherib, serviti dall’acqua portata dall’acquedotto fatto costruire dal sovrano a Jerwan, a sud est di Ninive. A prescindere dai fantastici giardini pensili di Babilonia, è comunque certo che è esistita un’importante tradizione di giardini nel Vicino e Medio Oriente, ricchi di alberi da frutto, fiori, piante profumate e giochi d’acqua, espressione concreta di conoscenze che saranno tramandate, conservate e impiegate per abbellire anche i palazzi dei califfi, scenario di molte delle vicende narrate nelle Mille e una notte.
Culla di saperi scientifici e tecnici, la civiltà mesopotamica ha consegnato all’umanità un insieme di conoscenze di basilare importanza per lo sviluppo del sapere, facendo di quest’epoca un punto di svolta nella storia dell’umanità.