Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Una riflessione sulla qualità “urbana”, talvolta ascritta a repertori musicali differenti, implica la concettualizzazione e la verifica dei processi reciprocamente costitutivi tra “forme simboliche”, da un lato, ed “esperienze” considerate proprie dei contesti urbani, dall’altro. Da una parte la musica articola la comprensione delle metropoli; dall’altra gli aspetti strutturali e culturali delle città moderne costituiscono il contesto entro il quale le persone creano musica, l’ascoltano, e danno senso a tali attività. Tale relazione è stata indagata da diverse prospettive, utilizzando concetti quali omologia, immaginario, sottocultura, scena.
Musica e immaginario della metropoli
L’organizzazione dell’esistenza nei termini del capitalismo industriale occidentale ha prodotto lo spazio della metropoli, contesto specifico dei processi e delle esperienze che definiscono la vita urbana moderna. Diverse sono le coordinate che condizionano gli incontri fra pratiche e repertori musicali distinti ed entro cui si affermano i differenti tipi di attività musicale: la concentrazione di popolazioni differenti, lo spaesamento e il relativismo culturale, la divisione del lavoro, la specializzazione, la separazione fra tempo di lavoro e tempo libero, l’avvento delle industrie e dei mercati culturali. La musica nella città risulta sempre più corrispondente a dinamiche di socializzazione e di comunicazione adeguate ai contesti dell’esperienza metropolitana: è il caso, ad esempio, degli spettacoli a pagamento indirizzati non a collettività chiaramente definite ma a pubblici trasversali ed eterogenei, incentrati sul divertimento, sul coinvolgimento e sulla contaminazione linguistica, più che sulla proposizione ritualistica di valori e di ideali comunitari tradizionali. Rientrano in questo ambito alcune delle prime forme popular che caratterizzano la vita musicale delle grandi città europee, negli anni a cavallo fra XIX e XX secolo, Londra e Parigi in testa: ad esempio le diverse declinazioni del varietà, il music-hall, i café chantant, i caffè concerto.
Sarà una metropoli americana, la New York di inizio secolo, a costituire il fulcro della nascente industria musicale. Essa tuttavia all’epoca si può quasi considerare come una metropoli europea, alla luce dei flussi d’immigrazione dall’Irlanda e dalle aree mediterranea e centro-orientale. Proprio le diverse comunità di immigrati alimentano sia sul piano economico che su quello culturale nuove attività e forme musicali, che trovano espressione nel teatro musicale di Broadway e nelle composizioni di Tin Pan Alley, per poi raggiungere più vasta risonanza grazie al musical hollywoodiano. La centralità economica e l’effervescenza culturale rendono New York lo snodo decisivo per l’istituzionalizzazione e la diffusione di molti altri generi, a cominciare dalle principali declinazioni del jazz. La capacità dei grandi centri di assimilare e rilanciare sensibilità e tendenze artistiche innovative ha comportato un interesse crescente per le relazioni fra la musica e i contesti urbani, tematizzate, nella maggior parte dei casi, secondo due direttrici.
In primo luogo, numerosi discorsi sulle musiche urbane tendono ad assegnare tale appellativo a quei repertori che contribuiscono ad articolare l’immaginario della metropoli. Tali espressioni individuano generalmente pratiche e forme musicali che in modi diversi incarnano e simboleggiano esperienze considerate tipiche delle città moderne. Simili associazioni possono trovare giustificazione in omologie basate su procedimenti metaforici (ad esempio forme dissonanti che rimandano alle contraddittorietà della metropoli e ai conflitti che mette in scena; contaminazione e rumore, collegati all’esperienza archetipica della folla e alla dimensione magmatica della grande città; forme ad alto livello di mediazione tecnologica, che rimandano all’idea di progresso visibile nei moderni centri urbani), in contenuti che si riferiscono esplicitamente a esperienze di vita “tipicamente” urbane (ad esempio la maggior parte dei brani dei Velvet Underground o dei Clash), in convenzioni cristallizzatesi attraverso l’uso (come il reiterato impiego di particolari generi in colonne sonore di film che costruiscono l’immaginario della metropoli, come l’uso della musica jazz nei noir).
Esperienze musicali metropolitane
Un secondo approccio riguarda il modo in cui le caratteristiche del contesto metropolitano – come la specializzazione e la differenziazione indotte dalla concentrazione di grandi masse, le conseguenze disgreganti della suburbanizzazione e la ricontestualizzazione di flussi migratori – condizionano esperienze, bisogni e interessi di chi produce e consuma musica, incidendo quindi indirettamente sulla creazione e sull’uso di musiche adeguate. Questa prospettiva ha orientato l’osservazione delle relazioni fra contesto urbano e sottocultura, termine quest’ultimo formalizzato proprio nella sociologia urbana di Chicago, al fine di individuare formazioni sociali considerate tipiche delle città moderne. Le sottoculture utilizzano forme simboliche appropriate per l’elaborazione di identità distintive, di strategie di adattamento o di conflitto rispetto alle condizioni condivise, oppure per la produzione o conquista di spazi comunicativi all’interno delle città. Rientrano in questo ambito gli studi che hanno analizzato, fra le altre, le pratiche musicali punk, hip hop (non solo negli Stati Uniti – dove rientra nella categoria urban music – ma anche in Europa, come ad esempio nella banlieue parigina), acid house.
In gran parte degli approcci sottoculturalisti, la storia e le caratteristiche del contesto urbano costituiscono perlopiù un generico punto di partenza per spiegare la logica di pratiche simboliche articolate attraverso stili spettacolari di produzione e consumo di musica. Negli ultimi quindici anni, invece, è andata affermandosi una terza prospettiva, che assume come strumento interpretativo una rigorosa concettualizzazione del termine scena. Per scena musicale di una città si intende l’intersezione di esperienze, pratiche e rappresentazioni, condivise da chi svolge attività musicali localizzate e attraverso cui costoro entrano in relazione reciprocamente costitutiva con la città. La loro logica risiede in parte nella specificità del luogo (variabili morfologiche, infrastrutturali, socio-demografiche, economiche, istituzionali, occupazionali), correlate a loro volta a fattori translocali che contribuiscono alla configurazione della città. D’altra parte, esse sono anche il risultato di come le persone che producono e ascoltano musica vivono le specificità del luogo, se ne appropriano, le modificano. In tal senso una scena musicale elabora dei sentimenti condivisi verso la città, un uso peculiare delle risorse disponibili e un rapporto precipuo con le istituzioni, particolari retoriche, miti e rappresentazioni che contribuiscono all’immaginario e alla comprensione della città. Il problema è capire quanto ciò avvenga anche tramite la musica. Alla luce dei diversi contributi, sembra ragionevole ritenere che possano esistere diversi livelli di rapporto fra repertori e città specifiche: una cosa sono le relazioni fra contesto e attività, un’altra l’eventualità che le peculiarità di tali relazioni conducano a un output musicale distintivo, il quale, eventualmente, viene a sua volta associato a un luogo, in quanto questo ne diventa il principale centro propulsore e/o perché appropriato a simboleggiare la città in questione.
A questo proposito, non bisogna sottovalutare quanto sull’istituzionalizzarsi di associazioni fra particolari generi e determinate città incidano le strategie di marketing della musica, l’esigenza del capitalismo di creare nuovi mercati attraverso –per usare i termini di Lefebvre – la produzione di spazi, non solo fisici ma anche culturali: ossia attraverso la produzione di luoghi da consumare e di esperienze distintive da fruire. Da esigenze simili ha avuto origine la discutibile etichetta di “world music”; tuttavia diverse analisi delle tendenze musicali ivi raggruppate non hanno mancato di ricondurne la matrice – prima ancora che alla globalizzazione – alla contaminazione culturale e linguistica che costituisce una delle esperienze archetipiche della metropoli, sottolineando come fra i centri creativi di questo fenomeno vi siano tanto le metropoli extra-occidentali (come Il Cairo, Lagos, Kinshasa), quanto le capitali “creolizzate” di popolazioni diasporiche, come Parigi e Londra. Storicamente, le scene musicali che hanno ottenuto maggiore risonanza in Europa sono soprattutto quelle inglesi: dalla Liverpool del Merseybeat ai luoghi della club culture (la jungle londinese, il Madchester sound, la scena trip hop di Bristol). In ultima analisi vale la pena osservare che l’impulso primario alla costituzione di associazioni fra musiche e luoghi deriva dall’esigenza di collocare e contestualizzare i fenomeni che ci circondano, integrandoli in conoscenze che ne orientano la comprensione.