Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Parigi, anni Venti: assimilate le teorie freudiane sull’inconscio, e in una certa consonanza con lo spirito dadaista, i surrealisti nutrono fiducia nelle capacità creative della mente liberata dai freni della razionalità. Incoraggiano metafore, analogie inconsuete, gusto per il meraviglioso e l’intervento massiccio del caso (hasard) dando vita a effetti altamente poetici in letteratura e nelle arti visive. Max Ernst, René Magritte e Salvador Dalí sono grandi interpreti visionari di questa stagione.
Scrittura automatica e amour fou
André Breton
Dal primo manifesto del surrealismo
Bisognerebbe essere in mala fede per contestare il diritto che abbiamo di usare la parola “surrealismo” nel senso particolarissimo in cui l’intendiamo, perché è chiaro che prima di noi questa parola non ha avuto fortuna. La definisco dunque una volta per tutte:
Surrealismo, n. m. Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale.
Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita.
in André Breton e il surrealismo, a cura di I. Margoni, Milano, Mondadori, 1976
Il surrealismo è un movimento letterario e artistico attivo per circa 40 anni tra il 1919 e il 1960. Da Parigi si diffonde in tutta Europa fino alle Americhe e al Giappone. Il gusto surrealista per il poetico e il meraviglioso apre nell’arte del Novecento una importante alternativa al cubismo e all’astrattismo. André Breton scrive nel Manifeste du surréalisme (1924) che l’idea centrale del movimento è liberare i poteri creativi dell’inconscio per “risolvere le condizioni contraddittorie di sogno e realtà in una realtà assoluta, una surrealtà”. Ecco dunque il tratto fondamentale, la speranza positiva di cogliere il punto sublime dove la realtà è magica e la magia è reale.
Nella prima fase il movimento ha una forte componente letteraria. Breton, Louis Aragon, Philippe Soupault , fondano la rivista “Littérature” nel 1919. Breton, studente di medicina, durante la guerra viene coinvolto nelle prime applicazioni della psicanalisi alla cura dei soldati con traumi postbellici. Appassionato lettore di Arthur Rimbaud, scrive poesie e riconosce in Paul Valéry un maestro e una guida. La rivista fondata dai tre è vicina all’avanguardia dada che, attorno al 1920 a Parigi è la novità del giorno. Tristan Tzara, figura centrale del dadaismo giunto a Parigi da Zurigo, anima performances, spettacoli e azioni dimostrative che Breton e i suoi amici seguono da vicino. Essi amano dei dadaisti la potenza dissacratoria verso la morale borghese e le manifestazioni multiformi (pièces teatrali, conferenze, versi, collage, provocazioni per le strade) ma non ne condividono la visione nichilista.
I giovani di “Littérature” trovano nelle teorie di Sigmund Freud una strada per oltrepassare la provocazione dada. Breton scrive poesie come Champs Magnétiques (1920), Clair de terre (1923) o L’air de l’eau (1934) dove spinge all’estremo il potere analogico della metafora per evocare un grado di realtà dove, d’improvviso, il meraviglioso entra nel quotidiano. Nadja (1928), la sua opera più riuscita, è un récit dove una flânerie, una passeggiata senza meta, con una donna alienata proietta il protagonista in un mondo immaginifico che si manifesta interamente solo ai folli. Il procedimento della scrittura automatica, basato su associazioni inconsce e casuali, funziona da reagente per la creatività dei surrealisti che partono da questo espediente per ricreare immagini e suoni altamente poetici. Inoltre in Nadja Breton introduce il tema della bellezza convulsa, un tipo di bellezza che scardina le percezioni, e con la sua forza conturbante conduce il soggetto all’amore folle. L’amour fou scritto nel 1937 è un collage di esperienze montate in ordine cronologico intessute di riflessioni e divagazioni sul tema dell’incontro, delle coincidenze, dell’amore unico come esperienza rivelatrice. Il motivo dell’amore domina anche la poesia di Paul Éluard che pubblica la raccolta Capitale de la douleur nel 1926, nel 1929 Amour la poésie, nel 1932 Vie immédiate. Dopo una strettissima adesione al gruppo Éluard se ne distaccherà nel 1935-1936 in occasione di divergenze politiche riguardo alla guerra civile spagnola.
Max Ernst. Le hasard, acceleratore dell’immaginazione
Dagli anni 1928-1929 il movimento surrealista conta numerosi artisti tra le sue fila. Max Ernst gode di tutta la stima di Breton che lo cita tra i pittori surrealisti già nel Manifeste du surréalisme del 1924.
Tra il 1912 e il 1921 Ernst aveva aderito all’avanguardia dada di Colonia, influenzata dall’opera metafisica di Giorgio de Chirico. Realizza collages e soprattutto serie di objets trouvés, come Frutto di una lunga esperienza (1919, Ginevra, collezione privata) nel quale assembla manufatti d’uso quotidiano (utensili, fili metallici…) dissimulandone poi le funzioni per rivestirli di un nuovo significato artistico (objet trouvé aidé).
Nei primi anni Venti arriva a Parigi e frequenta il gruppo surrealista. Ernst diventa l’interprete più ispirato di una tra le poetiche più provocatorie del surrealismo, le hasard, l’evento casuale che irrompe nella realtà quotidiana e fatalmente la trasforma. Inventa così tecniche pittoriche che partono da una coincidenza casuale come il raclage (“raschiatura”) e soprattutto dal 1925 il frottage (“strofinamento”). Ne Il bacio (1927) Ernst applica quest’ultima tecnica e dipinge due esseri avvinti in un abbraccio, a partire dalla posizione fortuita assunta da una corda caduta sulla tela. L’individualità dei due personaggi è fusa in un gruppo unitario dai contorni fragili e ondulati dove toni intensi del cielo e della terra permeano le figure.
Ernst esplora a più riprese il tema dell’amore erotico come in La vestizione della sposa (1939-1940, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim). Il soggetto, fantastico e sconcertante (un uomo uccello, una donna uccello e un essere con quattro seni), è dipinto seguendo schemi figurativi tradizionali come il pavimento a scacchiera tipico dell’arte tedesca del XVI secolo, la prospettiva e anatomie impeccabili. Le tinte sature e smaltate ricordano i dipinti di Gustave Moreau e le atmosfere irreali di Fernand Khnopff, entrambi amatissimi dai surrealisti. Nel dipinto compare un elemento ricorrente nell’arte di Ernst, l’uccello, una sorta di alter ego che ricorre come una firma dai collages giovanili, alla splendida serie delle città (La città pietrificata, La città immaginaria, La città intera, 1935-1937) fino al grande romanzo per immagini del 1934 Une semaine de bonté ou Les sept éléments capitaux. Roman (Parigi, Aux Éditions Jeanne Bucher). Ernst lavora sulle incisioni popolari di un modesto romanzo d’appendice Les damnés de Paris (1883) di Jules Mary, e inserisce frammenti ritagliati (come uomini uccello) che innescano un effetto straniante. Ernst stravolge il senso originario delle scenette incise e dà avvio a una moltitudine di libere associazioni, di investigazioni psicologiche, di paradossi.
Magritte. Parole e immagini
Sul filo del paradosso si snoda anche tutta la pittura di René Magritte che dopo studi accademici diventa l’esponente di punta del movimento surrealista belga. In Belgio i surrealisti mantengono una distanza critica rispetto a Breton e ai parigini. Raccolti attorno a poche riviste, soprattutto “Correspondence” ma anche “Oesophage” e “Marie”, restano scettici verso gli interessi di Breton, per l’irrazionale e l’altrove. “Correspondence” è una rivista a cadenza settimanale in due fogli dalla veste grafica spoglia, con una vocazione per la parodia, il gioco linguistico raffinato, la dissacrazione. Magritte dipinge con una tecnica quasi iperrealista, mettendo in atto una vera e propria esplorazione del rapporto tra le cose e le immagini. Una pittura figurativa e realista è impossibile perché l’immagine di un oggetto non potrà mai riprodurre le funzioni dell’oggetto stesso e in più, scrive in Les mots et les images (in "La Révolution Surrealiste", n. 12, 1929): “un oggetto non è legato a un nome al punto che non se ne trovi un altro che gli si adatti meglio”. La riflessione sul rapporto tra le parole, immagini e cose, si affianca nella pittura di Magritte all’esplorazione di alcuni temi costanti come il doppio (il sosia e lo specchio), la poesia degli oggetti comuni, l’oscillazione tra realtà e finzione. Magritte aveva amato la pittura metafisica di de Chirico e leggeva la rivista “Valori plastici”. Manichini e atmosfere metafisiche abitano i dipinti giovanili dell’artista belga. Poi Magritte crea un mondo tutto nuovo dove la visione è quasi sempre frontale (diversamente da quanto accade nei dipinti di de Chirico), dipinge oggetti di completa invenzione, i bibloquets, simbolo di una presenza che non ha più nulla di umano. Inventa scenari paradossali, dipinti però con la massima precisione accademica come L’Impero delle luci (1957), dove una casa immersa nel buio sta sotto un cielo dalle nubi chiare inondate di sole.
L’abilità di Magritte nel dipingere soggetti che sembrano sempre alludere a significati nascosti, trova una delle sue espressioni più felici in La femme cachée. Una donna in posa da divinità antica, col volto misterioso e seminascosto, si staglia sul fondo scuro. Le parole dipinte recitano “je ne vois pas la [femme] cachée dans la forêt”. La tela, acquistata da Breton, viene riprodotta sulla rivista “La Révolution surréaliste” (n. 12, 1929) in un fotomontaggio nel quale viene incorniciata da fotografie dei surrealisti ritratti con gli occhi chiusi. Magritte riassume in un simbolo la forza misteriosa della donna che conduce all’amore folle. Il dipinto ha avuto una grandissima fortuna iconografica con innumerevoli riproduzioni, divenendo l’icona del culto surrealista per la donna.
Dalí. Oltre il surrealismo
Il personaggio più complesso e avvincente tra coloro che hanno partecipato al surrealismo nelle arti visive è Salvador Dalí. Sperimentatore instancabile, si serve, fino alla fine, dei mezzi espressivi più diversi: cinema, design, fotografia, ologrammi, stereoscopie, pittura, tecniche miste, assemblaggi. Abilissimo comunicatore, scrive un’autobiografia e saggi critici sulla sua stessa opera. Proprio la sua azione simultanea in diversi settori della comunicazione (arte, critica d’arte), ha reso difficile la lettura obiettiva del suo ruolo nell’arte del Novecento. La mostra recente in occasione del centenario dalla nascita propone numerosi spunti di riflessione.
Di origine catalana Dalí si unisce al gruppo surrealista tra il 1929 e il 1930. Aderisce alle teorie freudiane sull’inconscio e coglie la sfida di trarne un vero e proprio repertorio iconografico. Escogita un metodo figurativo che chiamerà “paranoia-critica”(pubblicato nel luglio 1930, sul primo numero della rivista “Le Surréalisme au service de la Révolution”) che prevede che una immagine dipinta sia suscettibile di diverse interpretazioni a seconda delle inclinazioni del mondo interiore di chi guarda. La serie ispirata a L’Angelus (1857) di Jean-François Millet realizzata seguendo il metodo della paranoia critica è una summa del surrealismo di Dalí. Il dipinto di Millet è in tutta l’Europa cattolica attraverso riproduzioni a carattere devozionale. Rappresenta due contadini raccolti in preghiera al rintocco dell’Angelus proveniente da una chiesa vicina. Nei primi anni Trenta Dalí descrive in Il mito tragico dell’Angelus di Millet. Interpretazione paranoico critica (pubblicato a Parigi nel 1963) il bombardamento delirante di immagini e allusioni a traumi inconsci (erotici e edipici) innescato da una interpretazione paranoico-critica su quella immagine. Realizza quindi una serie di dipinti in cui il tema dell’Angelus assume proporzioni abnormi e angosciose (L’Angelus architettonico di Millet, 1933, Madrid, Museo Nacional, Centro de Arte Reina Sofía), poi si ammanta di macabro (Atavismo del crepuscolo, 1933-1934), infine si deforma in concrezioni rocciose e decrepite (Angelus archeologico, 1935). Dalí sfrutta fino alle ultime conseguenze i temi psicanalitici in pittura con un’adesione estrema che nessun artista surrealista ha mai raggiunto.
Conclusa nel 1939 l’avventura surrealista, Dalí prosegue la sua attività artistica lontano da movimenti e circoli, in unione creativa con Gala (1895-1982), la moglie che diventa anche modella. Dalí, riproponendo un metodo, suo fin dalla giovinezza, quando scandalizzava i critici imitando con estrema disinvoltura un gran numero di stili (dal cubismo, alla metafisica; dalla Nuova oggettività al neoclassicismo fino all’astrazione biomorfica), accoglie senza indugio suggerimenti tecnici, stilistici e teorici provenienti dalle fonti più diverse. Coltiva un gusto fantasmagorico per il teatrale ma anche per il sacro e il mistico. Subisce il fascino delle teorie della fisica che dal secondo dopoguerra divengono oggetto di divulgazione anche presso un pubblico più ampio. Si appassiona alla meccanica quantistica, al “principio di indeterminazione” formulato dal fisico Werner Karl Heisenberg che rivoluzionano lo studio della struttura della materia. Nella Madonna di Port Lligat (1950, Fukuoka Art Museum), un dipinto alto più di 3 metri, Dalí trasfigura Gala nella Madre di Dio della pala Piero della Francesca conservata alla Pinacoteca di Brera. Scompone la struttura della pala rinascimentale ed esegue il ritratto di Gala con una tecnica iperrealista. Dissemina il dipinto di oggetti simbolici come il rinoceronte dal corno staccato (per Dalí è una metafora che rimanda all’atomo), il cestino di pane (che ricorre come una firma già nei dipinti degli anni Trenta), gli ossi di seppia che fluttuano nell’atmosfera. Tutto è smaterializzato e gravita sospeso in una dimensione mistica, che allude alle gravitazioni della fisica.
Come è stato ormai riconosciuto Dalí ha provvisto di immagine ciò che per definizione ne è privo, come il mondo interiore dell’uomo o la fisica dell’infinitamente piccolo. Dalí è un formidabile inventore di metafore, un creatore di immagini nuove per via analogica; e così, ha fatto vivere gli impulsi creativi del surrealismo ben oltre i limiti cronologici del movimento, fino agli ultimi decenni del XX secolo.