Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Conclusosi il brillante ciclo dell’attività teatrale antica, in età medievale questo genere di spettacolo si eclissa e solo in epoca rinascimentale nasce l’esigenza di goderne nuovamente. Attenti studi sugli antichi trattati di architettura e ardite sperimentazioni conducono all’invenzione di scenografie ed edifici teatrali assolutamente nuovi: è da questi prototipi cinquecenteschi che nasce il teatro moderno, frutto della fusione delle più rilevanti peculiarità della cultura rinascimentale, come la rivalutazione filologica della classicità e la scoperta della prospettiva.
Premessa
Dopo i grandiosi e celebri esempi della classicità, l’architettura teatrale giunge a un completo decadimento in età medievale; allo stesso modo gli antichi testi drammatici a sfondo pagano e mitologico vengono relegati in un millenario oblio. Se pure non viene mai meno l’idea di spettacolarità, che sta alla base delle ricche feste, delle giostre e delle parate militari di età medievale, il rigoroso moralismo della Chiesa identifica molte espressioni culturali antiche, tra cui lo spettacolo teatrale, con il paganesimo. Le uniche recite ammesse sono le Sacre rappresentazioni (che inscenano la Passione di Cristo o i martiri dei santi locali). Il loro fine non è più quello – proprio della classicità – di allietare il pubblico, quanto piuttosto di avvicinarlo sempre più al credo e ai dogmi della religione; quindi le Sacre rappresentazioni vengono recitate in luoghi ampi che favoriscono la massima affluenza di pubblico, come piazze, sagrati delle cattedrali e prati. Gli edifici teatrali, al pari di quelli termali e di ogni altra struttura architettonica destinata a spettacoli e divertimenti, conoscono un totale declino: quelli antichi vengono lasciati in abbandono e non c’è nessuna ragione che spinga a costruirne di nuovi.
È soltanto in epoca rinascimentale, con il rifiorire dell’interesse per l’intera cultura classica, che si rivoluziona la concezione del teatro e dello spettacolo in genere. Si sviluppa e si diffonde la volontà di rimettere in scena le opere classiche e di produrne di nuove su quei modelli alimentando una sempre più pressante esigenza di creare luoghi deputati alla rappresentazione teatrale. Verso la fine del Quattrocento le prime rappresentazioni alla moda, ispirate ai temi e ai miti classici o direttamente riprese dalla drammaturgia antica, vengono generalmente allestite nei cortili dei palazzi nobiliari e addirittura dei conventi; gli attori, spesso dilettanti, recitano su scene decorate unicamente da facciate di case, molto semplici e allineate tra loro, lontanissime da qualsiasi volontà di resa realistica. Cent’anni più tardi invece si allestiscono spettacoli teatrali all’interno di luoghi appositamente adattati o costruiti, dove gli spettatori stupefatti possono ammirare complesse e perfette scene lignee che, grazie ad abili trucchi illusionistici, fingono profonde vie e piazze urbane, così come il repentino intercambiarsi – nel corso di un unico spettacolo – di splendide scene prospettiche, dipinte o a rilievo.
Il luogo dello spettacolo
La definitiva riscoperta del teatro come "luogo dello spettacolo" si verifica nel corso del XVI secolo, ed è frutto sia della riscoperta umanistica dei testi classici e dei relativi studi filologici, sia di quella spinta verso il futuro, verso nuove scoperte e nuove conquiste, che costituisce la forza motrice della complessa cultura rinascimentale.
Gli studiosi cinquecenteschi derivano i concetti di spettacolo teatrale e di scenografia dalla trattatistica antica, in particolare quella di Vitruvio; gli architetti esaminano, misurano, ricostruiscono idealmente i resti degli antichi teatri – da tanti secoli caduti in oblio – ed è su queste basi che vengono pensati i nuovi "luoghi teatrali" e le relative strutture sceniche. Al contempo però le esigenze celebrative delle corti principesche, così come le nuove conquiste culturali del Rinascimento – prima fra tutte la prospettiva, ma anche lo slancio verso un sempre maggiore dinamismo illusionistico –portano alla creazione di strutture teatrali e scenografiche sostanzialmente nuove, in continua evoluzione, e parallelamente alle più aggiornate istanze culturali e sociali.
La rivalutazione quattrocentesca dei testi dei commediografi latini Plauto e Terenzio determina una netta virata di gusto verso un teatro goliardico e colto, destinato unicamente alle classi più erudite, a scapito delle tradizionali rappresentazioni bibliche o agiografiche, fruibili da un pubblico il più possibile vasto. Questa ristretta ed elitaria fruizione dei nuovi spettacoli sta alla base delle scelte architettoniche operate, che conducono a innovative soluzioni se paragonate alle costruzioni del mondo medievale e del mondo classico: in entrambe le epoche – così diverse tra loro – la rappresentazione teatrale era infatti concepita come rito di massa. Agli antichi e capienti teatri all’aperto, gli architetti rinascimentali contrappongono ristretti luoghi teatrali, ricavati all’interno dei palazzi signorili o delle accademie, accessibili unicamente a un pubblico di nobili ed eruditi.
La ricerca prospettica applicata alla scenografia è l’elemento che maggiormente caratterizza il teatro cinquecentesco rispetto ai prototipi antichi; questo ambito di ricerca determina inoltre la creazione di una tipologia teatrale del tutto nuova e ricca di spunti, che durante tutto il Cinquecento e il primo Seicento si evolve fino ad arrivare alle inverosimili e magnifiche realizzazioni di età barocca. Rispetto alla scenae frons classica (scena fissa, movibile solo attraverso prismi rotanti laterali), egualmente fruibile da tutti gli spettatori, la moderna scena prospettica presenta un unico punto di vista privilegiato, coincidente con la postazione riservata alla famiglia principesca: se ci si allontana da quel punto della sala l’illusione prospettica si attenua. Tra gli spettatori si viene così a determinare una gerarchia che ben rispecchia la struttura sociale dell’epoca. Lo spettacolo teatrale assume una valenza celebrativa e la scena diviene un luogo di sperimentazione da parte degli artisti di corte, che quasi gareggiano tra loro nel creare attrazioni sceniche sempre più elaborate e stupefacenti e dunque sempre più lontane dall’essenzialità della scenae frons antica.
Nel 1490, in occasione delle nozze di Gian Galeazzo Sforza, Leonardo da Vinci allestisce un’elaborata macchina scenotecnica in una sala del Castello Sforzesco: in una straordinaria sintesi si susseguono shock visivi, luminosi e sonori. Questo filone teatrale inaugurato da Leonardo – antiarcheologico e interessato alla realizzazione di scene illusorie che ottiene attraverso l’applicazione delle moderne regole prospettiche – si propone innanzitutto di allestire meraviglie scenotecniche. Si tratta infatti di una ricerca autenticamente rinascimentale che non si adatta passivamente all’antico, ma piuttosto guarda all’antico in funzione del presente e lo sintetizza con le conquiste tecnico-scientifiche, giungendo a risultati che, per i decenni e i secoli a venire, divengono modelli classici a loro volta.
L’evoluzione cinquecentesca della scenografia
Nel 1508, presso la corte estense di Ferrara, in occasione della recita della Cassaria di Ludovico Ariosto, Pellegrino da Udine realizza una scena con pannelli dipinti raffiguranti un paesaggio e una complessa veduta urbana in prospettiva. Nel 1513 a Urbino, Girolamo Genga, incaricato di allestire la rappresentazione della Calandria – scritta dal cardinal Bibbiena) –, non si accontenta più di una scena prospettica dipinta, e realizza una scena che le testimonianze dell’epoca descrivono "come composta da pannelli dipinti su tele e quinte a mezzo rilievo, in stucco e tela. Un tempio ottagonale, un arco di trionfo, chiese, torri, palazzi, erano gli elementi architettonici emergenti di questa città bellissima". Si tratta di una vera e propria rivoluzione nella ricerca teatrale cinquecentesca, e di un punto di partenza per il futuro sviluppo della scenografia italiana ed europea. Già un anno dopo la Calandria viene riproposta alla corte pontificia di Leone X Medici, ed è Baldassarre Peruzzi ad allestirne la scena, accentuando la complessità e approfondendo la perfezione prospettica delle novità urbinati introdotte da Genga.
Un trentennio più tardi un allievo di Peruzzi, l’architetto e trattatista bolognese Sebastiano Serlio, codifica finalmente i raggiungimenti del maestro nel suo Secondo libro di architettura (pubblicato a Parigi nel 1545).
Serlio illustra tre tipi di scene, corrispondenti agli antichi generi del dramma proposti da Vitruvio: tragedia, commedia e satira. Ma nella loro realizzazione le scene serliane, rigorosamente basate sulle moderne regole della prospettiva, si discostano notevolmente dal modello classico: viene riproposta la piattaforma scenica (di derivazione romana). Non si tratta però di una scenae frons a colonne, dove gli attori possono muoversi anche in profondità, ma piuttosto di una piattaforma inclinata che, a differenza di quell’antica, obbliga gli attori a recitare esclusivamente davanti a essa. Inoltre, la scena tragica e quella comica illustrate da Serlio sono chiaramente derivate dalle realizzazioni peruzziane del 1514. Riso e disperazione assumono un’analoga ambientazione che è quella urbana (una via prospettica con templi, archi e palazzi), ottenuta tramite un’intelligente messa in scena di edifici plastici che gradualmente declinano in altezza, fino a venire chiusi da un telone dipinto prospetticamente. Diversa è la scena satirica che finge un paesaggio rurale, ed è decorata con festoni di frutta e fiori dipinti.
Sorprendere e meravigliare sempre più il loro raffinato pubblico è uno degli obiettivi primari degli scenografi cinquecenteschi, che si riallacciano agli archetipi tardoquattrocenteschi messi in scena da Leonardo a Milano. La loro ricerca in questa direzione è costante e nell’ultimo quarto del XVI secolo, quando la concezione dello spazio statico e unitario – cara al Rinascimento – entra definitivamente in crisi e si afferma l’esigenza di un crescente dinamismo. Vengono create le stupefacenti scene mutevoli; è Bernardo Buontalenti, artista alla corte dei Medici, che nel 1585 ne offre l’esempio più avanzato.
In una sala degli Uffizi, trasformata per l’occasione in teatro, Buontalenti allestisce un meraviglioso spettacolo, in cui ben otto scene diverse si susseguono una dopo l’altra sul palcoscenico. Con sorprendente velocità d’azione, grazie a macchine sceniche di lontana ispirazione vitruviana, un paesaggio invernale si trasforma magicamente in uno splendido paesaggio primaverile e un suggestivo effetto di nuvole trasforma una scena paradisiaca in un’infernale caverna con ogni sorta di diavoleria. Questi "effetti speciali" sono ottenuti grazie all’impiego di complesse macchine, ma soprattutto sono il frutto di una mentalità nuova, già prossima alle concezioni culturali seicentesche. Non a caso, infatti, nel secolo successivo le soluzioni scenotecniche fiorentine otterranno grande successo e verranno impiegate nei teatri di tutta Europa.
L’invenzione del teatro stabile
Per gran parte del Cinquecento le rappresentazioni teatrali hanno luogo presso le corti signorili, in sale o cortili appositamente allestiti, nonostante il primo progetto di un vero e proprio teatro stabile risalga al secondo decennio del secolo. Un disegno di Raffaello, infatti, prevede l’inserimento di un teatro stabile all’interno del complesso di Villa Madama. Il progetto – rimasto irrealizzato – propone una puntuale ripresa dall’antico: esso presenta una cavea semicircolare e scene mobili, secondo l’uso romano descritto da Vitruvio. Nel corso del secolo il concetto di teatro conosce una continua evoluzione che, nel penultimo decennio, porta all’invenzione dell’edificio teatrale vero e proprio.
I tre teatri stabili divenuti prototipi dell’architettura teatrale – che a partire da questi anni diventa sempre più fiorente – sono l’Olimpico di Vicenza, il primo teatro stabile realizzato all’interno di un preesistente edificio urbano, l’Olimpico di Sabbioneta (1588), il primo edifico costruito ex novo per utilizzo teatrale, e infine il Teatro Farnese di Parma che, ricavato dalla sala d’Armi del fastoso palazzo della Pilotta, inaugura la fortunata tradizione dei teatri costruiti all’interno delle regge barocche.
Nonostante quest’ultimo venga realizzato in pieno Seicento, deve essere considerato – proprio come i primi due – frutto della cultura cinquecentesca e anticipatore della tipologia teatrale seicentesca. Parallelamente a tanti architetti e scenografi che, pur partendo dal teatro classico, orientano le loro ricerche verso una sempre maggiore raffinatezza prospettica e illusionistica (come auspica Serlio), ve ne sono altri che esigono una maggiore aderenza filologica al teatro vitruviano. Quest’ultimo filone di ricerca ha il suo culmine qualitativo nel teatro progettato e parzialmente realizzato da Andrea Palladio nell’ultimo anno della sua vita (1580), su commissione dell’Accademia Olimpica di Vicenza.
Mentre dei precedenti allestimenti teatrali restano solo le descrizioni dei cronisti dell’epoca, il Teatro Olimpico di Vicenza è giunto a noi praticamente intatto (solo il soffitto è stato ridipinto nel 1914) e si è conservata anche la scena originaria, realizzata in materiali effimeri (legno e stucco dipinti che fingono il marmo) per la rappresentazione dell’Edipo re di Sofocle, con cui il teatro viene inaugurato nel 1585.
Nel progettare l’Olimpico, Palladio dimostra tutta la sua volontà di restituire il teatro classico: i due elementi principali sono la cavea, decorata da un elegante peristilio, e la scena fissa che, come la romana scenae frons, presenta un’ornamentata facciata architettonica con la columnatio, l’arco centrale (la porta regia vitruviana), le due porte laterali (le portae minores) e numerose statue in abbigliamento classico. L’unico elemento che esula dalla norma antica è dato dalla straordinaria scena che, oltre le tre aperture della scenafronte, finge una veduta cittadina. Nonostante questi edifici prospettici (posti su una superficie inclinata, si abbassano progressivamente in altezza) fingano strutture architettoniche monumentali, e quindi in armonia stilistica con gli altri elementi classicheggianti, la sofisticata ricerca illusionistica è in assoluta contraddizione con le esigenze filologiche riscontrabili nel resto del complesso. La maggioranza degli studiosi ritiene che Vincenzo Scamozzi, allievo di Palladio, a cui viene affidato il compito di completare il teatro dopo la morte del maestro, nel realizzare questa parte non si sia attenuto al progetto palladiano e lo abbia adattato alla propria visione, sostanzialmente più prossima alla linea di Genga, Peruzzi e Serlio. La principale innovazione dell’Olimpico è data dalla molteplicità dei fuochi prospettici che, permettendo una perfetta visione della scena da più punti di vista, favorisce una perfetta fruizione dello spettacolo da parte di un elevato numero di spettatori.
All’inaugurazione prendono parte circa tremila persone e l’entusiasmo per la straordinaria scena è tale che, nonostante si tratti di un elemento provvisorio da smontarsi subito dopo il primo spettacolo, gli organizzatori decidono di mantenerla per successive rappresentazioni, decretandone infine il ruolo di parte stabile e imprescindibile del teatro vicentino.
Vincenzo Scamozzi ha occasione di realizzare integralmente il suo capolavoro di architettura teatrale nel 1588, quando il duca Vespasiano Gonzaga gli commissiona un teatro da costruirsi a Sabbioneta. Si tratta del primo edificio autonomo, appositamente costruito per quell’utilizzo, e quindi – a differenza del teatro di Palladio – esso presenta anche implicazioni urbanistiche. Per ciò che riguarda l’interno, Scamozzi riesce a fondere in una felice sintesi la tradizione teatrale classicista-vitruviana, adottata da Palladio, e la tradizione cortigiana, inaugurata dalle meraviglie scenotecniche di Leonardo e dalle scene prospettiche di Genga e Peruzzi.
La sostanziale adesione di Scamozzi alle norme serlinane è rivelata dall’abolizione della scenafronte e dall’equivalente profondità tra cavea e spazio scenico; al contrario la loggia corinzia sulla cavea e le porte laterali sulla scena rivelano l’ascendenza palladiana. Il teatro di Scamozzi è tuttavia ricco di innovazioni che vengono frequentemente riprese nel secolo successivo: è il caso della controcurva, di gusto già barocco, che spezza la circolarità della gradinata.
Il Teatro Farnese viene progettato e realizzato, tra il 1618 e il 1619, da Giovan Battista Aleotti all’interno del palazzo della Pilotta di Parma. Andato distrutto durante un bombardamento aereo nel 1944, l’odierno teatro è il risultato di un restauro che ci ha restituito la struttura architettonica, ma ovviamente non il fastoso apparato ornamentale ricco di affreschi prospettico-illusionistici.
Nell’adattare l’ex Sala d’Armi del palazzo parmense a teatro stabile, Aleotti adotta un criterio eclettico che fonde in un’innovativa sintesi elementi dedotti dal modello di Palladio e da quello di Scamozzi, nonché sorprendenti soluzioni scenotecniche di marca toscana. Il teatro della Pilotta viene commissionato ad Aleotti in vista della visita di Cosimo II de’ Medici: Ranuccio I Farnese, che ha avuto occasione di assistere alle fantasiose messe in scena medicee, desidera infatti emularne lo sfarzo e sorprendere il suo illustre ospite. Malgrado Cosimo annulli la sua visita a Parma, è sempre ai granduchi di Firenze che l’opera di Aleotti viene presentata in anteprima: il teatro viene inaugurato in occasione del matrimonio di Odoardo Farnese con una Medici.
Il Teatro Farnese presenta diverse novità che anticipano le strutture teatrali barocche. In particolare, la capiente cavea a U supera la forma chiusa e statica del cerchio – adottata nei teatri di Vicenza e Sabbioneta – in favore della forma aperta e dilatabile dell’ellisse che maggiormente si avvicina al concetto barocco di spazialità. Grazie a questa scelta, Aleotti ottiene sia una maggior capienza della platea sia un ampio spazio antistante il palcoscenico, da riservare all’orchestra e alle attrezzature che sostengono le elaborate macchine sceniche e ne permettono la rapida messa in movimento. Ancora, il portico a due ordini sovrapposti, chiaramente ispirato all’architettura palladiana (in particolare alla partitura esterna della Basilica di Vicenza), sviluppa in altezza l’aula teatrale e accenna a una distribuzione verticale dei posti, anticipando i palchetti tipici di quella sala all’italiana che in età barocca conosce successo e diffusione in tutta Europa.