di Francesca Ferraro
Nell’Unione Europea del Trattato di Maastricht organizzata in tre pilastri, il terzo fondamento riguardava giustizia e affari interni. Nato come un ambito di cooperazione intergovernativa, esso si è aperto alla dimensione comunitaria che sta avanzando non senza difficoltà. Il terzo pilastro, dal Trattato di Amsterdam (1997), si è chiamato, infatti, spazio di libertà, sicurezza e giustizia: denominazione rimasta anche nell’attuale Trattato di Lisbona che ha superato la struttura in tre pilastri. Si va così delineando uno spazio giuridico europeo dove vigono valori comuni contro criminalità, razzismo, xenofobia, e ogni discriminazione; dove si afferma il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie civili e penali (art. 67 Tfue).
Per quanto riguarda il retroterra storico, nel Trattato di Roma del 1957 questo spazio riguardava meramente la libera circolazione dei lavoratori, indipendentemente dalla loro nazionalità. La seconda tappa è l’Atto unico europeo del 1986 che ha riconosciuto la libertà di movimento delle persone. Tuttavia, la soppressione effettiva dei controlli alle frontiere interne, a causa dell’opposizione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca, è stata possibile in quegli anni soltanto attraverso un accordo al di fuori del quadro giuridico comunitario (l’Accordo di Schengen del 1985), concordato tra un numero ristretto di stati (Francia, Germania e i tre paesi del Benelux). Il Trattato di Maastricht (1992) ha istituito la cittadinanza europea, che implica la libera circolazione dei cittadini dell’Eu e concretizzato il diritto di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri (ora articolo 21 Tfue). L’applicazione di questo sviluppo importante dallo stadio della mobilità dei lavoratori a quella dei cittadini è stato agevolato dalle sentenze della Corte di giustizia di Lussemburgo.
Lo spazio europeo ha come motore d’integrazione l’abolizione dei controlli alle frontiere interne avvenuta nel quadro della cooperazione intergovernativa di Schengen. Questa si è rivelata fin dai suoi esordi come un laboratorio per lo sviluppo delle politiche dell’Unione Europea in materia di libertà, sicurezza e giustizia. L’acquis di Schengen è confluito nel quadro dell’Unione attraverso i trattati europei da Amsterdam (1997) a quello di Lisbona (entrato in vigore nel 2009). Nella prima fase, sotto il Trattato di Amsterdam, l’applicazione del metodo comunitario è stata possibile solo per le questioni relative a frontiere, asilo e immigrazione (regolate oggi dagli articoli 77, 78 e 79 Tfue), mentre il metodo intergovernativo ha continuato ad applicarsi alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia civile e penale e per il sistema d’informazione Schengen (oggi articoli 81-89 Tfue).
Tra i vari ambiti oggetto dell’acquis di Schengen sono da ricordare:
– la cooperazione di polizia (ai sensi dell’articolo 39 della convenzione Cas, i servizi di polizia degli stati membri si assistono ai fini della prevenzione e della ricerca di fatti punibili);
– la cooperazione giudiziaria penale, che ha realizzato una decisione importante relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna dei ricercati fra gli stati;
– la politica anti-droga e il controllo delle armi da fuoco.
Non tutti gli stati membri dell’Unione partecipano alla cooperazione di Schengen, avendo Regno Unito, Irlanda e Danimarca ottenuto un trattamento differenziato. Anche se bisogna ricordare che la cooperazione di Schengen comprende anche quattro stati non-Eu (Norvegia, Islanda, Norvegia e Svizzera).
Parallelamente all’integrazione progressiva nei trattati, il processo è avanzato anche sul piano operativo: il sistema d’informazione Schengen (Sis) è ormai la più grande banca dati comune in materia di mantenimento della sicurezza pubblica, di sostegno alla cooperazione giudiziaria e di polizia e di gestione dei controlli alle frontiere esterne.
La forma più evoluta di cooperazione operativa è rappresentata dall’agenzia Frontex, istituita nel 2004, il cui mandato è già stato ampliato nel 2007 e 2011 per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne attraverso il nuovo sistema denominato Eurosur. Nel 2014 si è anche previsto che Frontex possa coordinare azioni di search and rescue in occasione delle operazioni di sorveglianza in mare aperto. Ciò le ha consentito attraverso l’operazione Triton di riprendere almeno in parte le attività di salvataggio che l’Italia ha svolto con l’iniziativa Mare Nostrum. Non vanno comunque sottovalutate le difficoltà che incontra la cooperazione fra stati membri che rimane su base volontaria – nonostante l’articolo 80 del Tueabbia formalizzato il principio di solidarietà fra gli stati membri – a riprova di quanto sia difficile un effettivo processo di sovranazionalizzazione quando esso implica un maggiore impegno economico degli stati membri.
Nel periodo successivo al Trattato di Lisbona, la cooperazione Schengen (assorbita nel sistema giuridico dell’Eu ma sempre a geometria variabile) è rimasta il fulcro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il ‘programma di Stoccolma’ (piano quinquennale 2009-14), adottato dal Consiglio europeo, prevede la gestione integrata delle frontiere europee. Tuttavia, differenze evidenti sono apparse durante i negoziati per la riforma della governance di Schengen a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Infatti, su tali questioni c’è tensione tra parlamento europeo e Commissione da un lato, e Consiglio dall’altro. Infatti i primi chiedono l’approfondimento di una governance comunitaria con tutte le garanzie democratiche, il secondo tende a conservare il ruolo centrale degli stati nazionali. Tensione emblematica in uno spazio dove si incrociano le sovranità nazionali e le necessità di una regolamentazione sovranazionale e dove sempre più centrale diventa il rapporto fra libertà e sicurezza.