Il tramonto della cultura babilonese in eta ellenistica
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Il babilonese, la scrittura cuneiforme e la cultura ad essa legata non spariscono con la fine dell’indipendenza babilonese e neppure con la sconfitta di Dario III per mano di Alessandro. Si assiste invece ad un processo graduale di restringimento tematico della letteratura cuneiforme negli ultimi secoli del I millennio a.C. Ciò nonostante, la scienza babilonese ottiene in questo periodo i suoi livelli più alti in assoluto nel campo della matematica astronomica che trasmette in eredità al mondo ellenistico.
Nella visione tradizionale, la fine della cultura mesopotamica o babilonese (nel contesto del tardo I millennio a.C. non c’è differenza fra le due) avviene con la perdita dell’indipendenza babilonese dopo la conquista persiana, o al più tardi con l’inizio del periodo ellenistico, dopo l’arrivo di Alessandro Magno. In realtà le metafore “biologiche” che si usano abitualmente in questo contesto sono poco adatte: una civilizzazione non si spegne, non muore, ma al limite si trasforma come risultato di cambiamenti in alcuni suoi tratti che vengono considerati essenziali. Dal nostro punto di vista la cultura babilonese è legata inseparabilmente alla lingua babilonese e alla scrittura cuneiforme, ed è pertanto la loro sparizione nel I o II secolo d.C. che ci permette di considerare concluso lo sviluppo di un complesso socio-culturale che per tre millenni – per la prima metà della storia, come preferiscono dire alcuni storici – domina il Vicino Oriente.
La “morte” del babilonese come lingua parlata è difficile da datare. Nel corso del I millennio a.C. la lingua viene usata parallelamente all’aramaico, mentre intorno all’anno 0 quest’ultimo è la lingua comune degli abitanti della Mesopotamia (il greco viene usato solo da una élite), ma la dinamica del processo che ha portato a tale esito rimane poco chiara. Per poterlo studiare dipendiamo dalle fonti scritte in babilonese, in considerazione del fatto che testi aramaici dalla Babilonia del I millennio a.C. sono rari: i materiali organici allora usati come supporto della scrittura e soggetti a inevitabile deperimento non ne hanno permesso la conservazione, a differenza di quanto avviene con le tavolette cuneiformi in argilla.
Dal V secolo a.C. in avanti si assiste ad un progressivo restringimento della gamma di temi trattati nella documentazione cuneiforme. Alcuni tipi di documenti e atti giuridici spariscono e un numero sempre minore di lettere viene scritto in babilonese. Quest’ultimo fatto è significativo perché il linguaggio delle lettere è vicino più di ogni altro a quello parlato: i documenti giuridici usano formule spesso antiquate mentre testi letterari e scolastici sono scritti in una forma di babilonese (altrettanto arcaico) che non è mai stata più di una lingua letteraria. Si può ragionevolmente dedurre che al restringimento degli argomenti trattati in babilonese corrisponde un ampliamento degli argomenti trattati in aramaico (cioè in scrittura alfabetica). In effetti i testi babilonesi del V o IV secolo a.C. contengono più riferimenti a documenti scritti in aramaico dei loro predecessori del VII o VI secolo a.C. (ma si noti che anche nella documentazione più antica si parla di aramaico e di scribi aramaici). Ciononostante lo studio linguistico del babilonese di questo periodo rivela cambiamenti nella morfologia e nella sintassi non altrimenti spiegabili se non ammettendo che si tratti di una lingua ancora parlata.
Questo processo di restringimento tematico subisce un’accelerazione nel periodo ellenistico. L’amministrazione seleucide insiste sulla necessità di disporre di una documentazione in greco per alcuni tipi di scambi (per esempio compravendite di schiavi e di campi) per rendere più facile la tassazione, determinando la sparizione dei corrispondenti testi babilonesi. A ciò si aggiunga che la scrittura cuneiforme viene utilizzata in contesti sociali sempre più ristretti; sembra che essa rivesta un ruolo importante solo nell’ambito del tempio, dove la classe sacerdotale se ne serve per l’amministrazione dei santuari e dei loro beni (ad eccezione delle transazioni che per ragioni fiscali interessano anche lo stato), per i propri archivi e soprattutto per la trasmissione della letteratura babilonese, inclusi i testi religiosi e scientifici. I templi sono il punto di riferimento essenziale per le comunità babilonesi in quest’epoca: la necessità di mantenere il culto templare tradizionale incentiva queste comunità a preservare un’identità strettamente babilonese. Dal punto di vista linguistico si trovano in questo periodo, per la prima volta da quasi 1500 anni, differenze dialettali fra il babilonese del sud, documentato dai testi di Uruk, e il babilonese settentrionale, documentato dai testi della capitale stessa. Poiché in entrambi i casi si tratta di una documentazione che ha la sua origine in un ambiente templare l’idea che queste differenze possano essere spiegate come effetti di contesti sociali diversi è da rigettare: si tratta, invece, con ogni probabilità del risultato del crescente isolamento delle sempre più ristrette comunità babilonesi. La presenza di (poche) lettere private nel corpus dei testi di epoca tarda suggerisce che il babilonese è ancora una lingua parlata nel III e nel II secolo a.C., ma alla fine di questo periodo essa viene utilizzata in ambienti molto circoscritti, se non è già diventata una lingua solo scritta. L’ultimo testo cuneiforme conosciuto è datato agli anni Settanta del I secolo d.C., e le ultime comunità babilonesi sono andate probabilmente disperse nei due secoli seguenti.
Il segno più palese della vivacità culturale babilonese negli ultimi secoli dell’Impero achemenide e nel periodo ellenistico è costituito dalle biblioteche di testi letterari, scientifici e scolastici che datano a questa fase. Si tratta in parte di collezioni di tavolette di proprietà di singoli individui, in parte di testi istituzionali, cioè biblioteche templari. I possessori di tavolette rinvenute in case private sono sacerdoti, “esorcisti” o “lamentatori”. In entrambi i casi i tipi di testi presenti rappresentano quasi l’intera gamma della letteratura erudita mesopotamica. Fra i soggetti delle tavolette private si annoverano la magia e la medicina (che non sono sempre nettamente separabili) da un lato e la divinazione dall’altro, affiancati dai cosiddetti testi scolastici che servono sia per l’insegnamento della scrittura sia come opere di consultazione (liste di parole con glosse, liste di segni cuneiformi ecc.). In un caso si trovano anche un gruppo di testi astronomici, alcuni testi religiosi (preghiere, inni ecc.), matematici e un ridotto numero di tavolette di altro genere. In effetti si tratta di biblioteche funzionali alle esigenze professionali dei sacerdoti che le hanno raccolte; il loro contenuto si inserisce bene nella tradizione, a questo punto millenaria, della cultura mesopotamica e nel contesto sacerdotale che li ha elaborati. Ma questa continuità non deve essere sopravvalutata; il carattere innovativo, per non dire rivoluzionario, della scienza mesopotamica dell’epoca tarda emerge da un’analisi della biblioteca dell’Esagila, il santuario principale di Babilonia. Vi sono attestati gli stessi generi testuali delle biblioteche private: divinazione, magia e medicina (il ridotto numero di testi medici trovato è probabilmente dovuto al caso), testi scolastici (liste, commentari, esercizi), un numero sostanziale di testi storici (cronache) e religiosi e letteratura nel senso stretto della parola (per esempio alcuni manoscritti dell’epopea di Gilgamesh). Ma soprattutto sono stati trovati migliaia testi astronomici: più della metà dei testi cuneiformi dell’epoca ellenistica appartiene a questo gruppo di fonti, che costituisce il principale lascito intellettuale della Babilonia di epoca tarda.
L’astronomia babilonese si sviluppa dalla divinazione basata sull’osservazione di fenomeni celesti (Sole, Luna, pianeti visibili ad occhio nudo e alcune stelle). L’astrologia in questo senso è già attestata nei primi secoli del II millennio a.C., e ha probabilmente le proprie radici nel III millennio a.C. Nel tardo II millennio a.C. e all’inizio del I millennio a.C. anche in questo settore della letteratura divinatoria si verifica il processo di canonizzazione di collezioni di presagi che da questo tempo in poi vengono trasmesse nella forma di serie di tavolette, copiate e ricopiate nelle scuole e biblioteche dei templi e nelle case dei sacerdoti e dei divinatori che se ne servono per l’esercizio del proprio mestiere. Da questo interesse nel movimento dei corpi celesti si sviluppa nel tardo I millennio a.C. l’astronomia scientifica: quest’ultima, in parte attraverso modelli matematici, predice con precisione alcuni fenomeni sulla base della conoscenza della loro ciclicità. Questo nuovo paradigma intellettuale, la prima scienza nel senso moderno della parola, viene creato dagli stessi indovini, ovviamente capaci di integrare la possibilità di predire i movimenti dei corpi celesti nella loro visione del mondo, senza che questo ne comprometta le fondamenta teologiche, cioè l’idea per la quale i fenomeni celesti costituiscono segni individuali della volontà divina. In realtà il legame fra divinazione e osservazione (e predizione) astronomica non viene mai meno a Babilonia. La predizione dei movimenti dei corpi celesti in generale serve per prevedere quando questi ultimi mostreranno un comportamento che può essere considerato ominoso (avvicinandosi l’uno all’altro, per esempio). L’astronomia matematica in senso stretto viene applicata anche nella creazione di oroscopi.
La determinazione della posizione dei pianeti in un dato momento nel futuro o nel passato è essenziale a questa forma di divinazione individualistica che diviene sempre più importante verso la fine del I millennio a.C.
Solo l’influenza dell’astronomia babilonese sullo sviluppo dell’astronomia nel mondo ellenistico in generale permette a quest’ultima di raggiungere i livelli di sofisticazione che avrà nella tarda Antichità. Sia la scienza greca dell’epoca che quella egiziana sono fortemente influenzate dal pensiero babilonese; persino l’astronomia indiana ricava da quella babilonese lo zodiaco e l’astrologia zodiacale. Intorno all’anno 0 questa trasmissione di concetti e tecniche arriva alla sua fine, i Babilonesi non hanno apparentemente più nulla da insegnare al mondo ellenistico. Poiché la scrittura cuneiforme nella sua ultima fase viene usata esclusivamente per la redazione di testi astronomici, la sua sparizione nel I o II secolo d.C. è probabilmente da collegare alla contemporanea diffusione del sapere astronomico in scritture alfabetiche come il greco e l’aramaico.
Ciò non toglie che con l’astronomia matematica la cultura babilonese, proprio nell’ultima fase della sua esistenza, ha dato vita a una delle sue creazioni in assoluto più importanti e durature.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia