Il tramonto della modernità
Una carneficina senza precedenti (tra i 9 e i 13 milioni di morti): questo fu il primo conflitto mondiale, esploso nell’agosto del 1914. Dopo, l’Europa perse il primato sul mondo e crollò il mito del progresso inarrestabile. Le conseguenze della guerra: l’avvento dei totalitarismi e l’ascesa degli Stati Uniti.
La guerra è un combattimento fra soldati che uccidono per non essere uccisi e per vincere il nemico. La prima conseguenza di una guerra sono le vittime dei combattimenti: i morti, i mutilati, gli invalidi. La Grande guerra fu una guerra di massa, con circa 70 milioni di soldati mobilitati. Le sue vittime furono fra i 9 e i 13 milioni di morti e oltre 20 milioni furono i feriti: quasi due volte più di tutti i morti di tutte le guerre combattute dalla Rivoluzione francese alla vigilia della Grande guerra. In Italia, fra i combattenti i morti furono 578.000 e gli invalidi 451.540, mentre 57.000 furono i soldati morti in prigionia e 60.000 coloro che non rientrarono. La carneficina sui campi di battaglia comportò un dolore di massa per milioni di vedove e di orfani, e di padri e di madri che persero uno o più figli. Per qualche anno, dopo la fine delle guerra, i familiari dei caduti si aggirarono sui fronti di guerra cercando di rintracciare le tombe o recuperare i resti dei loro congiunti. Per evitare diseguaglianze fra le famiglie dei caduti, i governi decisero di raccogliere le spoglie nei cimiteri di guerra monumentali. Centinaia di migliaia furono i caduti senza nome e i dispersi. Nel cimitero monumentale di Douaumont, presso Verdun, luogo di una delle più lunghe e più micidiali battaglie della Grande guerra, un ossario conserva i resti di oltre 100.000 caduti senza nome. Compensazione simbolica al dolore di massa fu la tomba del Soldato senza nome, perenne consacrazione del tributo della nazione al sacrificio collettivo dei soldati. La solenne tumulazione del Soldato senza nome avvenne a Parigi e a Londra l’11 novembre 1920 e l’11 novembre 1921 nel cimitero di Arlington, presso Washington; a Roma avvenne il 4 novembre 1921. La celebrazione del Soldato senza nome, istituita con la Grande guerra, è tuttora il culto nazionale più universale, condiviso da tutti gli Stati che furono coinvolti nel conflitto e successivamente adottato dai nuovi Stati indipendenti sorti dai domini coloniali degli Stati imperiali europei. In Australia la tumulazione del Soldato senza nome è avvenuta l’11 novembre 1993, in Canada il 28 maggio 2000 e in Nuova Zelanda l’11 novembre 2004.
Ai caduti al fronte si aggiunsero circa 10 milioni di morti civili per effetti e conseguenze della guerra, fra i quali circa un milione di uomini, donne e bambini di popolazione armena, sterminata dal governo ottomano nel 1915 con il pretesto che tramava con il nemico.
Infine, nell’ultimo anno di guerra, insorse e dilagò nel mondo l’influenza denominata ‘spagnola’ che fece circa 50 milioni di morti.
Il trionfo delle morte fu l’allegoria più appropriata per rappresentare la Grande guerra, esplosa nell’agosto 1914 nel continente più ricco, più prospero, più potente, più progredito, più colto e più civile del mondo. L’Europa ebbe il maggior numero di vittime, di rovine e di profondi sconvolgimenti politici, economici e sociali. La Grande guerra provocò la fine del primato dell’Europa nel mondo e il crollo definitivo della modernità trionfante, mossa dalla fede nella ragione e nel progresso come continua ascesa verso il meglio, che aveva condotto la civiltà europea alla conquista del mondo, con l’orgoglio di essere la civiltà universale destinata a perpetuarsi nel tempo.
La Grande guerra fu ‘l’apocalisse della modernità’, rivelando l’ambiguità della civiltà moderna, egualmente esposta al progresso e alla catastrofe: l’uomo moderno emancipato dalla ragione poteva tornare a essere un selvaggio sanguinario. Scriveva un soldato francese al fronte: «La guerra non ha fatto di noi soltanto dei cadaveri, degli impotenti, dei ciechi, ma nel bel mezzo di stupende azioni di sacrificio e di abnegazione ha risvegliato nel nostro animo antichi istinti di crudeltà e di barbarie, talvolta portandoli al parossismo. A me, che mai ho dato un pugno a qualcuno, a me che ho in orrore il disordine e la brutalità, è capitato di provare il piacere di uccidere». Gli faceva eco, dopo la guerra, lo scrittore austriaco Robert Musil, che aveva combattuto sul fronte del Trentino: «Eravamo dei cittadini laboriosi, siamo diventati degli assassini, dei macellai, dei ladri, degli incendiari e roba simile».
L’uomo moderno, scrisse il poeta Paul Valéry nel 1919, è ora cosciente «che l’abisso della storia è grande abbastanza per tutti. Sentiamo che una civiltà è fragile come una vita».
Uno dei libri di maggior successo dopo la fine della Grande guerra fu il voluminoso Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Il prestigio della civiltà europea crollò definitivamente per le popolazioni assoggettate agli imperi coloniali europei. «L’ultima guerra ha mostrato la natura satanica della civiltà che domina l’Europa di oggi», disse Mohandas Gandhi, che pure durante la Grande guerra aveva esortato gli indiani a sostenere lo sforzo bellico della Gran Bretagna.
Dalla Grande guerra ebbe impulso la lotta dei movimenti nazionalisti anti colonialisti per la conquista dell’indipendenza.
La fine della Grande guerra fu salutata tuttavia come l’avvento di un mondo sicuro per la democrazia, avviato a realizzare una umanità di nazioni libere. Erano scomparsi 2 secolari imperi autoritari, l’impero asburgico e l’impero zarista, e al loro posto sorsero nuovi Stati repubblicani, che vissero un’esistenza travagliata fra rivoluzione e guerra civile. Era scomparso il potente impero germanico, sostituito da una repubblica che dovette riconoscere la Germania colpevole di aver provocato la guerra e subire un’umiliante pace imposta dai vincitori. Era scomparso l’impero ottomano, sostituito da una Turchia repubblicana e nazionalista, e da nuovi Stati arabi governati da monarchie sotto il controllo della Francia e della Gran Bretagna, mentre nella Palestina, governata dai britannici, fu consentito l’insediamento di un ‘focolare ebraico’ che innescò un sanguinoso antagonismo fra ebrei e arabi.
Le ambizioni imperialiste dei vincitori prevalsero sulle promesse di indipendenza per tutte le nazioni, mentre la democrazia fu subito minacciata da nuovi autoritarismi scaturiti dalla Grande guerra. Fu conseguenza della Grande guerra la rivoluzione bolscevica, che sulle rovine dell’antico dispotismo zarista instaurò il nuovo dispotismo della Russia sovietica, inaugurando l’epoca delle guerre ideologiche del Novecento. Infine, sorsero ovunque in Europa, ma specialmente nei paesi sconfitti, nei nuovi Stati dell’Europa orientale e in un paese vincitore ma afflitto dal complesso della ‘vittoria mutilata’, come l’Italia, organizzazioni paramilitari nazionaliste e anti comuniste, che applicarono alla lotta politica la violenza armata, attaccando nello stesso tempo i regimi democratici retti da governi instabili. L’Italia fu il primo Stato parlamentare europeo dove un’organizzazione paramilitare nazionalista e anti comunista, il fascismo, sorto nel 1919 esaltando l’esperienza e il mito della Grande guerra, conquistò il potere il 28 ottobre 1922 e diede origine a un regime totalitario a partito unico, antagonista della democrazia parlamentare e del regime totalitario russo.
Infine la Grande guerra, provocando il dissesto economico e finanziario di tutti gli Stati europei belligeranti, vincitori e vinti, segnò l’ascesa degli Stati Uniti al rango di prima potenza mondiale, inaugurando il ‘secolo americano’.
La Società delle Nazioni: un esperimento fallito
Parlando al Congresso l’8 gennaio del 1918, il presidente statunitense Woodrow Wilson delineò un programma per la pace mondiale in 14 punti, l’ultimo dei quali prevedeva la costituzione di una ‘associazione generale delle Nazioni’. Tale enunciazione fu tradotta nel Patto della Società delle Nazioni, costituito da 26 articoli, inserito come prima parte del Trattato di Versailles e degli altri trattati di pace della Prima guerra mondiale, ed entrato in vigore il 10 gennaio 1920. Gli Stati aderenti si impegnavano a rispettare l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli altri Stati e a non ricorrere alla guerra prima di aver esperito i mezzi di risoluzione pacifica, tra cui il deferimento della questione agli organi societari. Il percorso della Società delle Nazioni si rivelò subito accidentato: contrario a un maggiore coinvolgimento nelle questioni europee, da cui gli USA si erano fino ad allora tenuti distanti, il Senato statunitense decise di non ratificare il Trattato di Versailles contenente il Patto, non aderendo pertanto alla Società. Complici inoltre i farraginosi meccanismi decisionali – fondati sulla regola dell’unanimità – l’organizzazione si rivelò incapace di fronteggiare i conflitti degli anni Trenta, e anche quando le sanzioni furono comminate – come per l’invasione italiana dell’Etiopia del 1935-36 – la loro applicazione fu inefficace. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la Società – abbandonata da Germania, Giappone e Italia – esisteva oramai solo formalmente. Costituitasi l’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, la Società fu sciolta ufficialmente il 18 aprile del 1946.
Scienza e tecnologia al servizio della guerra
La Prima guerra mondiale è considerata il primo conflitto moderno, tanto per la sua pervasività e la capacità di penetrare in tutti gli ambiti della società, coinvolgendo massicciamente le popolazioni civili, quanto per il notevole impiego in campo militare delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche. Nella guerra l’aviazione ebbe grande peso, evolvendosi nel corso del conflitto con la costruzione di aerei sempre più veloci, potenti e facilmente manovrabili; vennero utilizzati gas quali il fosgene e l’iprite; furono impiegati moderni lanciafiamme e dagli inglesi la bomba a mano Mills, primo tipo di granata a frammentazione; fecero la loro comparsa i carri armati. Piegati alle esigenze della guerra, per la prima volta il progresso e la modernità rivelarono un insospettabile potenziale distruttivo, come i milioni di morti del conflitto tristemente testimoniarono.