Il turismo segmentato
Scenari competitivi globali e criticitàdel turismo italiano
Il turismo nel mondo rappresenta una tra le più importanti attività economiche, con un fatturato che vale circa il 10% del PIL mondiale (stima UNWTO, United Nations World Tourism Organization, 2008). A queste cifre imponenti occorre, poi, aggiungere il fatturato generato nell’indotto. L’industria aeronautica, per es., lavora in modo significativo per il turismo, ma altrettanto fanno la cantieristica navale da crociera e da diporto, una parte dell’industria automobilistica, la filiera dell’edilizia, in particolare le aziende per la costruzione e la manutenzione di immobili a uso turistico, infrastrutture e strade, l’industria culturale e una parte dell’editoria. Nelle attività riconducibili direttamente alla filiera turistica sono occupati circa 238 milioni di addetti, pari all’8,4% del totale; tali cifre posizionano il turismo tra le attività economiche a più alta intensità di lavoro. I flussi di turismo internazionale, nonostante i numerosi fattori di rischio per la sicurezza e l’incolumità personale e il preoccupante aumento del prezzo dei carburanti, sono costantemente in crescita (+4,9% nel 2005, +5,1% nel 2006, +6% nel 2008). Negli anni che vanno dal 1990 al 2005, i turisti nel mondo sono aumentati del 77%, raggiungendo gli 808 milioni. La proiezione al 2020 dell’UNWTO prevede quasi un raddoppio, con oltre un miliardo e mezzo di turisti in movimento.
È cambiata anche la geografia dei mercati: nel 2000 l’Europa rappresentava il 57% del movimento turistico internazionale; nel 2005 la percentuale è scesa di due punti e, pur rimanendo la più importante e stabile delle macroregioni turistiche, l’Europa evidenzia una tendenza alla contrazione della quota di mercato a vantaggio di altre aree del mondo. Particolarmente significativo è, in questo contesto, l’incremento della quota dell’Asia/Pacifico che è passata dal 16% al 19% (le previsioni indicano per questa macroarea la concreta possibilità di raggiungere oltre un quarto del turismo mondiale nell’arco di pochi anni).
Secondo i dati dell’UNWTO all’interno della ‘destinazione Europa’, che comprende mete mediterranee, nel quindicennio 1990-2005 il tasso medio di crescita degli arrivi internazionali è stato del 3,4%: con un’importante performance della subarea centro-est che ha raddoppiato l’indice medio, attestandosi al 7,1%, l’Europa mediterranea e quella del Nord sono rimaste sostanzialmente nella media, mentre al di sotto di tale valore si è posizionata l’Europa occidentale (+1,8%). Nel decennio 1995-2005 i Paesi mediterranei che sono cresciuti con percentuali al di sopra della media sono la Croazia (+19%), l’Egitto (+11,7%), la Turchia (+11,1%), il Marocco (+8,4%). Tra i Paesi dell’Unioe Europea al di sopra della media mediterranea si posizionano solo la Spagna (+4,8%) e la Slovenia (+7,8%). Tutti gli altri risultano al di sotto. In particolare, se si analizza il dato dell’ultimo quinquennio si può notare che i Paesi in crescita mantengono sostanzialmente il loro trend di sviluppo. Nel 2005 la classifica dei Paesi turistici del Mediterraneo per arrivi internazionali ha visto al primo posto la Francia, seguita da Spagna e Italia. In relazione al fatturato la situazione cambia e al primo posto si è posizionata la Spagna (38,5 bilioni di dollari), seguita da Francia (34 bilioni di dollari) e Italia (28,4 bilioni di dollari). Per comprendere il peso reale del turismo e l’impatto sull’economia e sull’organizzazione sociale dei Paesi coinvolti occorre, però, sommare i flussi turistici internazionali con quelli generati a livello domestico, che, quasi ovunque, rappresentano una quota assolutamente maggioritaria.
La quota dell’Italia nel mercato globale si è attestata nel 2006 al 4,9%, con una proiezione in calo che toccherà il punto più basso, il 3,1%, nel 2020. Nel decennio 1995-2006 il tasso medio di crescita degli arrivi turistici in Italia è stato dell’1,1%, il peggiore tra i Paesi turistici leader (The European house-Ambrosetti 2007). Se nel 1970 il nostro Paese era la prima destinazione turistica mondiale, nel 2006 è scivolato in quinta posizione, pur rimanendo ancora fortemente presente nell’immaginario turistico internazionale. Un’indagine svolta dall’Osservatorio nazionale del turismo su un campione di 529 tour operators internazionali che trattano l’‘offerta Italia’ evidenzia che molti vorrebbero venire nel nostro Paese (l’89% delle richieste di informazioni registrate dagli operatori turistici europei e ben il 93% di quelli statunitensi riguardano destinazioni italiane), ma sono in numero notevolmente inferiore (36% del venduto tra quelli europei e 50% tra quelli degli Stati Uniti) coloro che acquistano realmente una vacanza in Italia, come testimonia il Rapporto 2008 dell’Osservatorio nazionale del turismo. Emerge, quindi, in modo clamoroso il divario tra l’intenzione d’acquisto e la scelta effettiva.
La contraddizione tra un forte e positivo posizionamento dei valori della ‘marca Italia’ nell’immaginario dei consumatori/turisti e la scelta reale dell’Italia quale destinazione di vacanza o per fare impresa turistica è ben evidenziata anche dai dati del Country brand index relativi al 2008. Il ‘bel Paese’ si qualifica prevalentemente per le sue, pur importanti, rendite di posizione (tab. 1), piazzandosi al quarto posto della classifica mondiale, preceduto da Australia, Canada e Stati Uniti. Se si analizzano nel dettaglio gli indicatori ci si rende conto con chiarezza dei punti di forza e di debolezza con cui l’Italia è percepita nel mondo. Pur non rientrando nelle prime dieci posizioni per numerosi indicatori, l’Italia si posiziona al primo posto per quanto riguarda la qualità dell’offerta gastronomica, al secondo per la storia e l’intenzione di tornare in visita, al quinto come luogo ideale per fare affari e qualità dei prodotti, al sesto nella categoria di luogo più memorabile dell’anno, al settimo per la qualità dello shopping, al nono per la facilità di viaggio e per l’opportunità di estendere un viaggio d’affari, al decimo come destinazione adatta per le famiglie e per l’attitudine amichevole delle popolazioni locali.
Il World economic forum (WEF), organismo internazionale senza scopo di lucro, la cui missione principale è facilitare il dialogo e la collaborazione tra pubblico e privato, ha reso note nel 2008 le risultanze del suo annuale The travel & tourism competitiveness report, orientato in particolare all’approfondimento del nesso tra sostenibilità ambientale e competitività turistica. La metodologia e gli indicatori che sono stati elaborati dal WEF definiscono l’indice di competitività turistica TTCI (Travel & Tourism Competitiveness Index) di 130 Paesi, misurando i fattori e le politiche che incentivano lo sviluppo del settore a livello nazionale. L’indice non si riferisce tanto all’attrattività del Paese nei confronti dei potenziali turisti, quanto alla capacità degli Stati di favorire la creazione di un ambiente fertile per promuovere lo sviluppo dell’industria dei viaggi e del turismo.
Le fonti utilizzate sono correlate con i classici indicatori del settore, integrati con i dati provenienti dal questionario sull’opinione di testimoni privilegiati, vale a dire dei responsabili di imprese turistiche a livello mondiale (nel 2007 le risposte sono state ben 11.000) e con dati primari provenienti, tra gli altri, dalle più importanti organizzazioni turistiche mondiali oltre all’UNWTO: IATA (International Air Transport Association), ICAO (International Civil Aviation Organization), WTTC (World Travel and Tourism Council). La struttura dell’indice è articolata in tre macroambiti: il quadro normativo e regolamentare, l’ambiente imprenditoriale e l’infrastruttura del turismo e, infine, le risorse umane, culturali e naturali. Ciascun macroindicatore è articolato in ulteriori e più specifici indicatori di dettaglio (fig. 1). I risultati sono sorprendenti. Nella top list entrano Paesi conosciuti tradizionalmente quali generatori di flussi turistici outbound (in uscita) che, in virtù dell’incremento del grado di qualità della vita realizzato, di politiche turistiche (e di marketing territoriale) dinamiche e innovative, e di investimenti nelle infrastrutture e nei servizi turistici, hanno concretamente dimostrato di credere nel turismo quale fattore strategico per lo sviluppo, creando un ambiente particolarmente favorevole alla crescita dell’industria del turismo e agendo contemporaneamente sui fattori che caratterizzano la qualità della vita dei residenti. Ciò dimostra che i fattori per il successo e lo sviluppo turistico sono fortemente intrecciati con quelli riguardanti la felicità sociale delle popolazioni residenti; più è alto il valore d’uso di un territorio, più diviene significativo il valore di scambio. Nella classifica del WEF al primo posto si posiziona la Svizzera, seguita dall’Austria, dalla Germania, dall’Australia e dalla Spagna (tab. 2). L’Italia si colloca al 28° posto, confermando le difficoltà, oltre che nell’attrarre flussi turistici dall’estero, anche nel favorire e stimolare lo sviluppo dell’industria dei viaggi e del turismo. Un’analisi più dettagliata del posizionamento italiano ne mette in evidenza le criticità: in particolare l’Italia ottiene i punteggi più bassi nella governance del sistema turistico, nelle infrastrutture dedicate al trasporto aereo, nell’Information and communication technology (ICT) e nelle politiche per la valorizzazione delle risorse naturali (fig. 2). Inoltre i dati statistici evidenziano la perdita di quote di domanda sui tradizionali mercati generatori di flussi turistici e una capacità attrattiva nei nuovi bacini ancora al di sotto di una soglia significativa.
I rilevamenti numerici su arrivi e presenze, però, non sono sufficienti, da soli, a stabilire lo stato di salute del turismo. Occorre valutare con attenzione la quantità e la qualità della spesa del turista, il valore aggiunto, la distribuzione del reddito tra la popolazione locale, il fatturato indotto in altri settori produttivi, le esternalità, tanto positive quanto negative, generate dal turismo.
A questo proposito l’Unione Europea ha raccomandato agli Stati membri l’adozione di un Conto satellite del turismo (CST) sulla base della metodologia messa a punto da Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione europea. Le finalità del Conto satellite possono essere così sintetizzate: potenziare informazioni e indicatori solidi sul ruolo che il turismo riveste e può rivestire nell’economia, in modo da assicurare la credibilità delle misurazioni, la relativa coerenza con i conti nazionali, la comparabilità nel tempo, all’interno della stessa economia e tra economie diverse; misurare, inoltre, il turismo come uno dei settori strategici per l’economia, rafforzandone il peso specifico; dare maggiore credibilità alle statistiche sul turismo e in particolare agli indicatori che ne analizzano la portata e la rilevanza come attività economica; fornire una visione ricca e informata del settore turistico e delle attività che lo compongono; generare informazioni pratiche e utilizzabili per le aziende e in particolare per le micro, piccole e medie imprese (PMI); fornire uno strumento affidabile e credibile, necessario sia per politiche pubbliche efficaci, sia per attività commerciali efficienti, nonché per il processo decisionale a livello regionale e locale; sviluppare metodologie di ricerca innovative (Eurostat, Manuale di attuazione europea sui conti satellite del turismo, 2006).
Il turismo italiano stenta, dunque, a uscire da una fase di strutturale criticità. Il tasso di crescita medio annuo per le spese del turismo incoming (in entrata) nel periodo 1995-2006 dimostra che i turisti che arrivano in Italia spendono meno rispetto alla media internazionale: quarto posto dopo gli Stati Uniti e i nostri diretti concorrenti, Francia e Spagna (fig. 3). Gli svantaggi competitivi della destinazione Italia mettono in luce l’ormai cronica difficoltà dell’Italia a sviluppare azioni di sistema, ad agire, cioè, come sistema-Paese. I punti di maggiore criticità sono, infatti, identificabili nella frammentazione della governance del sistema turistico nazionale, nell’assenza di una programmazione strategica, nei ritardi nella realizzazione e/o riqualificazione di infrastrutture di servizio alla fruizione turistica, nelle deboli politiche di immagine e di promozione della ‘marca Paese’, nelle difficoltà ad affermare un modello di sviluppo sostenibile e in un rapporto squilibrato tra qualità e prezzi.
La TUI (Touristik Union International) ha recentemente svolto un’indagine tra i suoi clienti per misurare il valore percepito di 1 euro speso nel Paese di destinazione e i risultati hanno evidenziato il posizionamento negativo dell’Italia rispetto alle destinazioni extraeuropee e ai Paesi dell’area-euro, nostri diretti concorrenti. L’euro in Spagna e in Grecia, per es., garantisce un maggior potere di acquisto (The European house-Ambrosetti 2008).
Nonostante un rapporto critico tra qualità e prezzi, il costo dei più comuni beni turistici continua, in Italia, a essere orientato verso l’alto. Si registrano aumenti delle tariffe (autostrade, treni ecc.), dei prezzi dei carburanti e dei costi dei servizi (in particolare dell’extra-alberghiero). All’aumento dei prezzi non sempre corrisponde una migliore qualità. Tutto ciò contribuisce a ridurre il valore dell’euro turistico italiano e conseguentemente la capacità di attrazione.
Infine, è opportuno tener presente che gioca a sfavore della capacità competitiva dell’Italia il differenziale, negativo rispetto ai diretti concorrenti (Francia e Spagna), delle aliquote dell’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) turistica.
Le più importanti tendenze evolutive della domanda turistica
L’analisi delle tendenze in atto nel turismo contemporaneo evidenzia nuovi stili e comportamenti di vacanza. Tali tendenze sono generate dalle profonde modificazioni sociodemografiche, dalla crisi dell’economia mondiale, dall’esplodere delle problematiche ambientali, dalla diffusione delle nuove tecnologie, da rinnovate sensibilità culturali e dalla diffusa attenzione rispetto ai temi della sicurezza. Lo stesso modo di organizzare e di vivere la vacanza è condizionato sempre più dalla facile e rapida raggiungibilità della destinazione e dalle nuove tecnologie dell’informazione (low cost + Internet). Ciò tende ad accentuare il fenomeno, già presente da alcuni anni, delle vacanze brevi e ripetute (short break).
I nuovi ceti con stili di vita e di consumo postindustriali, abituati a viaggiare all’estero e a comparare il grado di vivibilità e la qualità della vita delle città, preferiscono soggiorni o short break nelle principali capitali europee. Non solo perché le mete europee sono più vantaggiose nel rapporto qualità/prezzo, ma soprattutto perché la gran parte delle città o delle destinazioni turistiche europee promettono e mantengono l’aspettativa di un modello migliore di qualità della vita e di buona società locale, che i nuovi turisti sono desiderosi di vivere anche se per pochi giorni, immergendosi totalmente nella vita della città visitata (Costa 2008).
La rivista «Monocle», stampata nel Regno Unito e considerata la più esclusiva e sofisticata tra le riviste di tendenza rivolte alla classe creativa, ha pubblicato, nel n. 15 di luglio-agosto 2008, la classifica delle 25 città più vivibili al mondo. La redazione della rivista ha utilizzato, oltre ai classici indicatori, innovativi parametri di valutazione (indice di criminalità, qualità delle scuole e della sanità pubblica, tolleranza verso la diversità e atmosfera relazionale che si vive). In altri termini ha evidenziato, in modo inequivocabile, il nesso tra qualità della vita dei residenti e attrattività turistica. Nessuna città italiana compare nella classifica. In testa figura Copenaghen, descritta come città bella, intelligente, proporzionata, a misura d’uomo, con senso dell’umorismo, sensibile ai problemi dell’ambiente, con buoni trasporti, buone scuole pubbliche, buoni ristoranti, poco crimine (sei omicidi all’anno), grande cultura e un clima meno piovoso e freddo di quanto ci si aspetterebbe. Anche gli attributi con cui viene descritta la capitale della Danimarca sono indicativi della sensibilità dei nuovi ceti medi internazionali. Seguono Monaco di Baviera (che si conferma come la più vivibile, divertente, cosmopolita città tedesca), Tokyo (una metropoli che funziona, veloce e lenta al tempo stesso), Zurigo, Vienna, Helsinki e Stoccolma (le città della dolce vita nordica). Vi sono poi città come Vancouver, Montreal, Sydney, Melbourne e, per rimanere in Europa, Madrid e Barcellona. Sorprendente è la presenza di città come Honolulu, Fukuoka e di una città emergente degli Stati Uniti, Minneapolis.
La segmentazione della domanda turistica
Di primaria importanza per rafforzare la capacità di attrazione e l’appeal della destinazione turistica è la conoscenza dei processi di cambiamento in atto nella società, delle motivazioni di scelta, dei bisogni, dei desideri e dei comportamenti del turista. Ogni territorio turistico cerca, infatti, di attrarre e motivare i segmenti di turisti che offrono le migliori prospettive economiche (alcune persone o categorie di persone, infatti, viaggiano più frequentemente e hanno una capacità di spesa più alta rispetto ad altre). Ciò significa investire risorse ed energie umane e professionali per analizzare, identificare, quantificare e selezionare quei segmenti di mercato che meglio di altri possono corrispondere alle strategie e agli obiettivi della destinazione.
Una puntuale segmentazione permette di ridurre le spese superflue e di evitare spreco di risorse in azioni promozionali generaliste rivolte all’universo della domanda turistica e, quindi, anche a persone per le quali quella destinazione potrebbe non rivestire alcun interesse. Tale operazione consente, inoltre, alle organizzazioni turistiche locali di individuare i target prioritari focalizzando i propri sforzi su gruppi di clienti potenzialmente interessati alle risorse turistiche della destinazione. La segmentazione costituisce, pertanto, una dinamica modalità di azione di mercato, ma anche una necessaria strategia di ottimizzazione delle risorse.
Le organizzazioni turistiche locali (Destination management organization, DMO) dovrebbero porsi, innanzitutto, obiettivi chiari e condivisi per poi avviare azioni mirate al fine di identificare i segmenti più coerenti con le caratteristiche e le risorse proprie della destinazione, con la consapevolezza che non esiste una segmentazione ideale. Segmentare la domanda turistica è, infatti, come confezionare un abito su misura e il successo dipende dalle conoscenze e dalle risorse finanziarie disponibili. La segmentazione del turismo è stata perfezionata in anni recenti, facendo soprattutto riferimento alle teorie e alle metodologie sperimentate nel marketing di prodotto. Prima di avviare un processo di segmentazione, tuttavia, è consigliabile avere chiaro che: a) i segmenti di mercato devono essere ben riconoscibili, distinti e differenziati gli uni dagli altri; b) deve essere possibile misurare le dimensioni del segmento di mercato nella sua totalità e valutare il suo potenziale sulla base di indagini e dati credibili; c) il segmento prescelto deve poter essere accessibile per mezzo di attività di marketing finalizzate; d) il segmento deve essere durevole, ovvero deve garantire una certa continuità dei flussi turistici (UNWTO 2007). L’ampiezza, la complessità e l’articolazione dei mercati rendono evidente, per il successo delle destinazioni turistiche, l’importanza di efficaci tecniche di segmentazione.
L’UNWTO (2007) cataloga sistematicamente le più comuni tipologie di segmentazione, valutando, con dovizia di casi, gli effetti positivi e le criticità di ciascuna tipologia che viene analizzata. Sulla base di tale classificazione si riepilogano le principali metodologie utilizzate per la segmentazione della domanda e dei mercati turistici.
La segmentazione sociodemografica costituisce senza dubbio il modello originario ed è considerata la segmentazione di base. È relativa, tra l’altro, all’età, al genere, all’organizzazione e al ciclo di vita della famiglia, al reddito, allo stato occupazionale, al titolo di studio, alla nazionalità e alla localizzazione geografica.
Altro tipo di segmentazione della domanda turistica è quello che prende in considerazione lo scopo del viaggio: per piacere o per affari, per far visita ad amici o parenti, per scopi educativi, religiosi (pellegrinaggio), o collegati a concerti, mostre, eventi sportivi. Gli esperti concordano sul fatto che queste tipologie di turisti si differenziano sostanzialmente per la durata della vacanza, la predisposizione alla spesa, la sistemazione scelta, le attività complementari svolte. È, quindi, opportuno valutare i profili in modo integrato (per es., i viaggiatori d’affari possono scegliere di aggiungere un periodo di vacanza, oppure un viaggio di visita a parenti e amici può diventare l’occasione per vacanze ricreative o di relax).
Il mercato turistico può, inoltre, essere segmentato per modello e struttura del viaggio. Tale approccio consente di analizzare il viaggio dall’inizio alla fine, includendo anche i dettagli relativi alle modalità organizzative e di prenotazione.
Un’altra modalità di segmentazione considera invece la frequenza del viaggio e sostanzialmente classifica i turisti sulla base della quantità di viaggi e soggiorni effettuati nella destinazione di riferimento. Il fatto che il turista visiti per la prima volta la destinazione o abbia già esperienza della località richiede ovviamente azioni di promozione e di accoglienza diversificate.
La segmentazione basata sulle motivazioni offre la possibilità di comprendere le ragioni che spingono una persona a scegliere una tipologia di vacanza in una determinata località e aiuta a individuare meglio le nicchie di mercato, ma presenta alcune difficoltà in fase applicativa. Questa tipologia di segmentazione è piuttosto complessa in quanto le motivazioni possono essere plurime, intrecciate tra loro e non sempre immediatamente palesi. Per questa ragione molte ricerche analizzano le motivazioni prima del viaggio e del soggiorno per continuare a indagarle, attraverso le risposte date, durante e dopo. Tuttavia si è ormai imposta la tendenza a distinguere tra motivazioni pull e push. La segmentazione per motivazione è stata oggetto negli ultimi anni di studi e sperimentazioni. La questione base è quella di identificare i principali bisogni che spingono le persone a scegliere il tipo di vacanza e la destinazione. L’assunto iniziale era che fosse possibile catalogare le motivazioni leisure attraverso un elenco composto di pochi motivi chiave. Ben presto però si è appurato che le motivazioni che stanno dietro alla scelta di un viaggio e di una vacanza sono molto più complesse. I turisti, infatti, non possono essere facilmente classificati per gruppi omogenei, in quanto ciascuna persona (o ciascun microgruppo di persone) evidenzia bisogni e desideri individualizzati, diversi e variabili nel tempo.
Più recentemente si è fatta strada la segmentazione del mercato turistico per stili di vita. Tale tipologia si basa sulla valutazione più dettagliata del profilo del consumatore-turista. In realtà il tentativo di individuare e di etichettare segmenti distinti per stili di vita può comportare il rischio di perdere di vista le differenze, a volte significative, che caratterizzano le persone nella loro individualità, pur appartenendo allo stesso ‘stile’. Sempre più spesso i manager di destinazione utilizzano, come si vedrà in seguito, la segmentazione per nicchie di mercato.
La segmentazione geodemografica, invece, analizza il profilo, il comportamento e gli atteggiamenti di gruppi specifici di popolazione, concentrandosi sull’analisi di una variabile centrale, ovvero il luogo in cui essi vivono, muovendo dalla convinzione che residenti nella stessa area possano condividere anche caratteristiche e stili di consumo e di vacanza comuni. Tale tipologia di segmentazione, che presenta molti limiti, può fornire dati interessanti se applicata, soprattutto, a quelle aree geografiche in cui i cittadini hanno una forte propensione a viaggiare.
Un’altra tecnica di segmentazione si basa sulla propensione alla spesa del turista. In genere le persone decidono a priori un budget per le proprie vacanze. Anche se l’acquisto non avviene basandosi esclusivamente sul prezzo è evidente che il budget disponibile e il costo della vacanza rappresentano, soprattutto in tempi di crisi economica, importanti fattori di scelta. La politica dei prezzi, quindi, essendo questione particolarmente delicata richiede scelte molto ponderate, che mantengano l’equilibrio tra prezzo e qualità del prodotto. Quando per attrarre un maggior numero di turisti si ricorre ai prezzi bassi o ai saldi si rischia, infatti, di indebolire l’immagine e lo status della destinazione, con effetti-alone piuttosto negativi.
I manager di destinazione, inoltre, ricorrono alla segmentazione della domanda basandosi sul target dei media. Determinati media e in particolare quelli specializzati, infatti, possono essere utilizzati per raggiungere, attraverso opportune azioni di marketing, gruppi di consumatori/turisti con interessi, hobby e valori comuni. Utilizzando i media che si rivolgono direttamente a quei gruppi d’interesse, di norma, si riesce a raggiungere senza eccessiva dispersione di energie un significativo numero di persone potenzialmente interessate ai prodotti della destinazione.
Più di recente si tende a segmentare la domanda e i mercati analizzando l’utilizzo che le persone fanno di Internet. La rete è un elemento sempre più importante nelle decisioni che riguardano i viaggi, ma occorre evitare, anche in questo caso specifico, un approccio generalista. Le modalità di utilizzo di Internet variano, infatti, in modo significativo a seconda del profilo dell’utente (classe d’età, interessi, abilità nella navigazione ecc.) e del Paese di riferimento; e si caratterizzano per l’estrema variabilità (web 2.0, social network, blog, spazi virtuali interattivi e così via).
Oltre alla segmentazione della domanda individuale i manager delle più efficienti destinazioni turistiche segmentano anche il sistema dell’intermediazione turistica (business to business), identificando e costruendo relazioni professionali con quegli stakeholders dell’industria turistica le cui politiche commerciali sono coerenti con i prodotti della destinazione. Questo tipo di segmentazione consente di identificare gli intermediari (tour operators, agenti di viaggio ecc.) che hanno interesse a programmare e vendere i prodotti turistici della destinazione, stabilendo una dinamica relazione tra i produttori locali e le reti d’intermediazione e di vendita. Di norma le organizzazioni turistiche hanno una persona/sezione interamente dedicata all’attività di networking e allo sviluppo di legami commerciali.
Riepilogando: la segmentazione consente al man-agement della destinazione e alle aziende singole o associate di individuare pubblici potenziali e referenti commerciali coerenti con le proprie strategie, determinando in tal modo la posizione di mercato che si intende occupare. Philip Kotler sostiene che il posizionamento consiste fondamentalmente nell’identificazione dell’insieme dei vantaggi competitivi, nella selezione di quelli appropriati e nella comunicazione della posizione scelta al mercato di riferimento (Kotler, Bowen, Makens 2003).
La segmentazione nel turismo rappresenta un processo in continua evoluzione, in particolare per le destinazioni: nella prima fase del loro ciclo di vita esse, di norma, programmavano lo sviluppo attraverso un marketing di massa, centrato su un monoprodotto offerto, in maniera indifferenziata, all’universo dei potenziali consumatori su mercati geograficamente predefiniti. Tale strategia di marketing viene ancora oggi passivamente applicata da quelle destinazioni che godono, in virtù del loro patrimonio storico-culturale e della loro unicità, di rendite di posizione monopolistiche. Successivamente, per reazione all’aumentata concorrenza, le imprese e le destinazioni hanno adottato strategie di marketing differenziato, predisponendo una gamma più articolata di prodotti turistici e di ‘integratori del mix di offerta’ fruibili in vari periodi dell’anno e rivolti a target più mirati. Infine, nelle fasi di maturità, in un contesto competitivo caratterizzato da una concorrenza globale e dalla destrutturazione della geografia dei mercati, le destinazioni più dinamiche predispongono strategie e piani di marketing in grado di identificare i segmenti-obiettivo, e di sviluppare prodotti e mix sempre più orientati verso nicchie di mercato. Tale approccio, definibile, in generale, come micromarketing, consente di raggiungere una pluralità di segmenti o micromercati, ciascuno con una propria caratterizzazione vocazionale. Attraverso le più innovative tecniche di micromarketing le imprese riescono a raggiungere segmenti accuratamente scelti sulla base della specificità della loro offerta (Kotler, Bowen, Makens 2003). L’evoluzione ulteriore del marketing di nicchia è, sempre secondo Kotler, il marketing personalizzato e individualizzato (one to one), in cui l’azienda o il management della destinazione turistica adattano l’offerta alle necessità individuali del cliente.
Tale percorso consente di avviare processi di diversificazione e d’innovazione dell’offerta, rendendola sempre più coinvolgente, dinamica e flessibile, e posizionandola, dunque, in modo da intercettare i bisogni e i desideri di gruppi omogenei di interessi che si aggregano andando oltre le classiche dimensioni del mercato/Paese. Lo stesso concetto di mercato, infatti, nel marketing turistico contemporaneo si modifica in relazione ai processi di estensione globale delle aggregazioni di interessi. La sfida della competitività si apre, quindi, su scenari completamente nuovi rispetto al recente passato. Una volta gran parte delle analisi circa la domanda erano basate sul mercato/Paese estero di provenienza degli ospiti. Oggi i comportamenti dei consumatori mostrano di perdere, progressivamente, i residui di connotazione ‘nazionale’ per orientarsi verso la più profonda e cangiante segmentazione motivazionale (Landi 2008).
L’offerta turistica più innovativa propone al turista esperienze, emozioni sensoriali e tende a modellarsi sulla base dei bisogni, dei desideri e dei sogni di ogni singolo individuo. Ogni persona, infatti, proietta sulla scelta della vacanza e del viaggio motivazioni e aspettative che originano dallo status individuale, dal proprio immaginario e dalla propria condizione socioeconomica e psicologica. Occorre, dunque, che al di là delle motivazioni dichiarate si riescano a comprendere le reali (e spesso inespresse) ragioni che spingono una persona a recarsi in una determinata destinazione turistica e a scegliere un particolare stile di vacanza. Ciò rappresenta la nuova frontiera della segmentazione della domanda turistica ed è alla base della dinamizzazione e diversificazione dell’offerta, attraverso la programmazione di una gamma sempre più ampia di proposte e di esperienze da vivere e da ricordare.
Dalla segmentazione ‘classica’ alla segmentazione per ‘momenti di vita’
La segmentazione ‘classica’ sembra, dunque, evolvere, secondo numerosi esperti, verso metodologie sempre più elaborate, basate su modelli valoriali. I segmenti (e in particolare la loro forma più coesa e identificativa, le tribù) quando si affermano non si lasciano ricondurre alla geografia politica e non conoscono confini, aiutati dalla diffusione delle lingue protocollari e correndo sui fili o sulle onde delle reti di comunicazione (Landi 2008).
Lo scenario della competizione si allarga, divenendo più complesso e sofisticato. Ma se è vero che in questa dimensione globale dei mercati i confini perdono di importanza, un sistema locale di offerta turistica, dotato di servizi di standard internazionale, con una propria caratterizzazione identitaria, raggiungibile facilmente e a basso costo, che riesca a realizzare prodotti su misura per una o più tribù, può giocare con buone aspettative di successo la propria partita.
La segmentazione classica si scontra, inoltre, con la rapida mobilità dei ruoli sociali e con le evidenti conseguenze sul piano dei comportamenti turistici, rendendo particolarmente complesso il tentativo di codificare le persone attraverso clusters (gruppi) predefiniti e rigidi. L’appartenenza a un segmento non esclude, infatti, l’incoerenza, l’ibridazione, l’infedeltà. Con evidenza delle volte clamorosa, il cittadino/turista globale esprime le contraddizioni di un’appartenenza multipla. Ciò richiede alle destinazioni turistiche attente politiche di accoglienza basate su un’offerta di servizi e di esperienze particolarmente flessibile e facilmente personalizzabile, una sorta di menu à la carte, dal quale ogni persona possa scegliere con la massima libertà ciò che più l’attrae in quel particolare momento della propria vita e in quelle particolari condizioni emozionali (Landi 2008).
In questo contesto anche la classificazione per stili di vita, che ha rappresentato, per un certo periodo, la metodologia più originale e adeguata a descrivere i comportamenti di consumo all’interno di un mercato di massa di fronte alle nuove dinamiche sociali e alla molteplicità dei ruoli che ciascuna persona riveste contemporaneamente, perde, a parere di alcuni autori, efficacia (Cova, Giordano, Pallera 2007).
Gli stili di vita classificano, infatti, la popolazione sulla base dei comportamenti sociali e di consumo. Vennero elaborati e introdotti in Italia a metà degli anni Settanta dall’Eurisko e diedero vita a una ricerca annuale chiamata Sinottica, svolta su un campione rappresentativo della popolazione italiana e suddivisa negli ormai famosi clusters. Lo stile di vita si riferisce all’insieme di valori, atteggiamenti, opinioni e comportamenti che manifestano l’unicità di un gruppo di persone, di cui il consumo è soltanto una delle tante forme di espressione (Codeluppi 2002).
Il comportamento del nuovo consumatore, e per analogia quello del turista di nuova generazione o postmoderno è, tuttavia, più legato alla molteplicità dei ruoli, anche contradditori, che interpreta. Bernard Cova, Alex Giordano e Mirko Pallera (2007) sostengono che in ogni persona convivono diverse identità, legate alla pluralità dei contesti culturali di vita, alle differenti religioni e ideologie, ai vari hobby e alle diverse attività lavorative, e affermano inoltre che la condizione professionale non costituisce più il fondamentale fattore di caratterizzazione dell’identità, ma ne diviene semplicemente parte. Si passerebbe così da un ‘monocentrismo occupazionale’ a un ‘policentrismo esistenziale’, rendendo sempre più complessa la segmentazione. Le neotribù si caratterizzano, infatti, come ‘comunità emozionali’ in cui ogni soggetto mantiene la propria autonomia frequentando contemporaneamente anche altre tribù, nelle quali può rivestire ruoli radicalmente diversi. Utilizzando le metodologie di segmentazione classiche, si corre il rischio di non valutare adeguatamente l’imprevedibilità del comportamento del consumatore e la sua variabilità emozionale. Pallera ritiene che la risposta a questa criticità possa essere data attraverso l’introduzione di un nuovo criterio: quello dei ‘momenti di vita’ (Cova, Giordano, Pallera 2007). Secondo la sua teoria non avrebbe più senso cercare di definire il consumatore una volta per tutte, ricorrendo a rigidi criteri di segmentazione. Tale approccio può stimolare sostanziali innovazioni nel posizionamento di una destinazione turistica, nel modo di proporsi e di competere. La destinazione turistica è, infatti, sollecitata a ridefinirsi come spazio relazionale, punto d’incontro e di scambio, generatore di esperienze, di flussi comunicativi, percettivi: una sorta di teatro all’interno del quale ciascun individuo e/o ciascuna tribù possono mettere in scena le proprie rappresentazioni entrando, di volta in volta, e secondo modalità diverse, in relazione con la comunità locale di cui, anche se per un periodo limitato, in quel momento fa parte (E. Di Nallo, Quale marketing per la società complessa?, 1998). I luoghi e gli spazi sociali vengono condivisi e reinterpretati continuamente, contribuendo al dinamico processo di costruzione dell’identità relazionale del luogo. Non si tratta di una perdita di personalità della destinazione, di una caduta identitaria ma, al contrario, dell’avvio di un processo di costruzione di nuove dinamiche comunitarie, basate su una diffusa e innovativa cultura dell’accoglienza e sulla valorizzazione delle diversità. Porre al centro la persona e le manifestazioni relazionali con cui si esprime stimola la ridefinizione del nucleo fondativo di una nuova antropologia della relazione e l’affermarsi di nuove economie ‘dolci’, destinate a determinare cambiamenti significativi nell’organizzazione e nel paesaggio economico e umano della destinazione turistica. Attraverso lo sviluppo di nuovi processi relazionali e l’incontro tra culture, stili di vita, identità, bisogni e desideri diversi prende forma una nuova convivialità delle differenze, che rappresenta l’orizzonte valoriale della città ospitale.
L’identità di un luogo e in particolare di una destinazione turistica non si definisce, infatti, in modo rigido e statico, portando indietro le lancette dell’orologio sociale fino a un punto imprecisato e imprecisabile del passato, ma è il risultato di un processo dinamico di contaminazione tra culture, sensibilità, ruoli sociali diversi, il cui risultato non è sempre prevedibile a priori. Si crea, quindi, un ambiente particolarmente fertile per l’affermarsi di identità plurali, armonicamente connesse con le aspettative delle persone che vivono in quel luogo, anche se temporaneamente. Gli spazi di interazione, di condivisione e di relazione assumono, pertanto, una centralità strategica, ridefinendo dinamicamente la mappa identitaria della destinazione turistica/città ospitale.
Il successo di una destinazione turistica deriva, quindi, dalla capacità di dar vita ad atmosfere ospitali e spazi relazionali, aperti e autentici. In tal modo ogni persona si sentirà attesa e desiderata, inserendosi facilmente in un contesto relazionale in grado di incrementare il suo personale benessere.
Dal turismo ai turismi, dai segmenti alle nicchie
Le nuove dinamiche della domanda turistica, i desideri e i bisogni che caratterizzano i comportamenti turistici rappresentano una sfida anche per le imprese della filiera turistica, in particolare per quelle più innovative che sanno bene che non è più tempo per baloccarsi sulle rendite di posizione. Se la domanda turistica evolve in maniera dinamica, l’offerta, per avere successo, deve cambiare di conseguenza, anzi, deve avere la capacità di anticipare il cambiamento interpretandolo in modo proattivo e proponendo innovative opportunità relazionali ed esperenziali. Se qualche tempo fa occorreva attrezzarsi per passare dal turismo ai turismi, intendendo con ciò il superamento della fase monoculturale che caratterizzava il turismo di massa, occorre ora innovare l’offerta turistica per gestire strategie imperniate sul passaggio dai turismi, intesi come particolari segmenti legati da un comune tematismo, alle nicchie, alla soddisfazione dei bisogni e dei desideri delle persone.
Giancarlo Dall’Ara e Mauro Santinato, in un saggio del 2005 dal titolo Marketing di nicchia: manuale per conquistare nuovi segmenti di mercato, sostengono che «mentre ci si preoccupava del segmento della terza età o di quello delle famiglie con bambini, dei tedeschi [...] oppure del turismo culturale o di quello sportivo, non ci si è accorti che quegli approcci non rispondevano più a quanto stava accadendo nel mercato: il fenomeno della frammentazione che trasforma i grandi mercati di massa in minimercati, le nicchie; e che i turisti della nuova generazione sono parte, o desiderano far parte, di comunità moderne, emozionali, nate spesso da una passione o da un’esperienza comune condivisa, con l’obiettivo di poterne parlare, di dare un senso all’esperienza e di provare emozioni senza istaurare legami sociali troppo vincolanti» (p. 22). La frammentazione del mercato in nicchie pare essere anche più congeniale alla capacità commerciale delle microimprese italiane, perché le nicchie sono più facilmente gestibili, destagionalizzabili, non richiedono alle destinazioni e alle imprese investimenti ‘fuori scala’, possono essere accolte e ospitate anche in strutture di piccole e medie dimensioni e possono essere contattate senza il ricorso a intermediari.
La dimensione ‘micro’ delle imprese turistiche italiane, considerata da molti osservatori come una criticità, potrebbe, quindi, consentire quella flessibilità, quella velocità di reazione (aggregarsi per raggiungere obiettivi comuni e selettivi), quel dinamismo imprenditoriale e quella capacità di interpretare i desideri e i bisogni dei turisti che rappresentano le condizioni fondamentali del successo imprenditoriale.
L’aggregazione tra imprese per corrispondere alle esigenze delle nicchie non può che essere leggera, priva di condizioni troppo impegnative dal punto di vista economico e amministrativo. Le esperienze in corso stanno concretamente dimostrando che una tra le formule più usate è rappresentata dai ‘club di prodotto’. Oggi in Italia sono centinaia e coinvolgono attivamente migliaia di imprese.
Un club di prodotto raggruppa imprese collocate in vari punti della filiera turistica (dal ricettivo alla ristorazione, ai servizi), che specializzano e qualificano la loro attività imprenditoriale costruendo un’offerta/prodotto in grado d’intercettare e di soddisfare in maniera proattiva le esigenze di nicchie di domanda. Gli operatori turistici, attraverso il club, rigenerano la vocazione imprenditoriale, la passione per il loro mestiere e sviluppano una volontà collaborativa e un più forte spirito di squadra, raggiungendo significativi risultati imprenditoriali. La specializzazione produttiva rappresenta un motore per l’innovazione e la qualità e costringe continuamente a fare i conti con l’evoluzione della domanda. Nello scenario globale della competizione tra destinazioni turistiche diviene sempre più importante costruire un’offerta intelligente e creativa in grado di comprendere e soddisfare i turisti della nuova generazione, facilitando la costruzione di reti di relazione. Per far questo occorre affrontare i mercati con un’offerta che evidenzi la centralità della persona usando un approccio innovativo e puntando in primis sulle qualità ospitali della città/destinazione turistica, sulla sua unicità, sull’autenticità, predisponendo una gamma ampia e articolata di proposte, in grado di motivare la domanda, generare relazioni destinate a durare nel tempo e creare le atmosfere ospitali per offrire esperienze turistiche da vivere e ricordare.
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