Il veleno di Costantino
La donazione di Costantino tra spunti riformatori ed ecclesiologia ereticale
Il richiamo alla donazione costantiniana (o meglio alla sua accettazione) per criticare la decadenza della Chiesa medievale rispetto alle origini, peraltro storicamente definite in modo abbastanza vago (ma affascinanti per tutti i movimenti religiosi), è comune a personalità ecclesiastiche e ai gruppi ereticali sorti nella prima metà del secondo millennio. L’idea di una ‘caduta’ della Chiesa, riconducibile storicamente (ma non esclusivamente) a un episodio del IV secolo, non contrassegna di per sé una posizione ecclesiologica eterodossa: si tratta di un parallelismo che coinvolge l’intero periodo pieno- e basso-medievale. La donazione, assunta più come mito circondato da leggende che come preciso avvenimento, serve a spiegare una decadenza che, da un lato, si vuole superare con istanze riformatrici, e, dall’altro, si ritiene invece segnare una distinzione netta e irrimediabile tra una Chiesa maggioritaria vittima del ‘veleno’ costantiniano e una minoranza (da cui discendono gli eretici stessi) che vi ha resistito nel nascondimento e nella persecuzione1.
L’utilizzo dell’espressione ‘ecclesiologia’ riferita ai movimenti eterodossi dei secoli XII-XV, pur in mancanza di una trattatistica ereticale fondata sulla scienza teologica contemporanea2, costituisce una presa d’atto che ai diversi livelli di tali movimenti (dalla gerarchia sino ai fedeli, la cui voce è trasmessa alterata dalla costruzione dotta della loro alterità operata dagli inquisitori)3, è costantemente presente una lettura della storia sacra in cui gli ‘eretici’ collocano se stessi in (vario) antagonismo con la Chiesa maggioritaria, e che questa alternativa interpretazione (o creazione) del proprio e altrui passato riveste una rilevanza essenziale in rapporto all’autocoscienza di questi gruppi. Per nessuno di essi infatti è possibile esistere senza una reale o immaginaria genealogia che, per lo più a partire dall’età apostolica, giustifichi la contrapposizione con la Chiesa cattolica, l’eventuale condizione di persecuzione e mimetismo e quindi le ragioni stesse e le peculiarità della propria presenza. Inoltre la riflessione ‘negativa’ sulla Chiesa maggioritaria è indispensabile per un’autorappresentazione opposta, e in alcuni casi la polemica stimola l’elaborazione teorica, anche se non trattati in senso stretto (peraltro il trattato De ecclesia e la riflessione organica sulla natura della Chiesa nascono anche in campo ortodosso solo nel XIV-XV secolo)4.
La suddetta, diffusa – e non necessariamente eterodossa – critica sul piano teologico della presunta donazione è fondamentalmente diversa rispetto alle opposizioni che questa subiva in campo giuridico o politico-ecclesiastico a opera dei legisti (che la ritenevano nulla) e dei fautori delle ragioni dell’Impero5: essa è infatti basata su motivazioni esclusivamente religiose, ovvero sulla constatazione, viva nei movimenti pauperistico-evangelici, ma anche nelle varie riforme monastiche, del contrasto tra la vita della ecclesia primitiva descritta nel Nuovo Testamento e le visibili conseguenze della (o attribuite alla) donazione nella Chiesa dopo il Mille. Inizialmente tuttavia l’appoggio all’episodio è limitato a singoli punti di trattati o a esortazioni in ambito riformatore.
Il più ‘fortunato’ (in quanto continuamente ripreso dentro e fuori la Chiesa, fino all’hussitismo boemo nel XV secolo) dei riferimenti critici alla donazione è quello contenuto nel De consideratione di Bernardo di Clairvaux, indirizzato attorno alla metà del secolo XII al suo ex allievo papa Eugenio III (1145-1153)6. Bernardo, da un lato, è fortemente polemico contro le deviazioni del clero e soprattutto del monachesimo contemporaneo, sulla scia dei movimenti riformatori e pauperistici dell’XI-XII secolo, ma, dall’altro, è altrettanto fermo nel condannare Arnaldo da Brescia, che, oltre a battersi per la povertà del clero e per un ritorno alla vita apostolica, sostiene il tentativo comunale romano di un (alquanto indeterminato) ritorno all’antica grandezza repubblicana7: un ambiente in cui, nonostante una visione idealizzata dei grandi imperatori Costantino e Giustiniano, la donazione, iniziando a fungere da «concretizzazione storica» della decadenza ecclesiastica, è attaccata da un non identificabile Wetzel con considerazioni tanto giuridiche quanto religiose e il relativo racconto agiografico è definito «fabula heretica»8. Arnaldo, non diversamente da Bernardo (suo accanito avversario), da Giovanni di Salisbury (che attorno al 1164 ne descrive l’‘eresia’ connotata da attacchi radicali alla Chiesa romana divenuta spelonca di ladri e al papa vessatore di cristiani) o da Gerhoh di Reichersberg, critica il temporalismo curiale e aspira a una condotta povera e austera. Ma egli, nonostante questo fondo comune, sceglie esiti diversi. Pur di fronte a un Eugenio III proveniente dall’austero monachesimo cistercense, a differenza dei suddetti non accetta «la compatibilità delle iniziative di rinnovamento ecclesiastico religioso con l’assetto complessivo della società», ovvero «uno dei caratteri discriminanti di ortodossia ed eresia. […] Altri elementi di discriminazione sono dati dal grado di compatibilità delle esperienze innovatrici rispetto ai processi di costruzione dell’autorità pontificia e alla formalizzazione canonistica della netta separazione tra clero e laicato»9.
Bernardo si muove su un piano diverso. Nel De consideratione egli, dopo il fallimento della seconda crociata, ritenuto un castigo divino, e le notizie sulle vicende romane, critica la curia romana (a partire dal collegio cardinalizio) e il suo centralismo, che ne ha fatto un centro di potere che agisce sul piano essenzialmente giuridico e amministrativo («quotidie perstrepunt in palatio leges, sed Iustiniani, non Domini»)10, ma anche le pretese temporalistiche del pontefice. I tempi sono quelli ‘pericolosi’ predetti dall’Apostolo (2Tm 3,2), dominati dalla corruzione11, a cui è contrapposto un ritorno alla Chiesa primitiva12, sperabile con Eugenio III. Non vi è però un punto preciso che segna questa decadenza: genericamente è detto che in tempi recenti non vi sono stati ‘buoni’ papi (come Eugenio): tra gli esempi positivi è ricordato Gregorio Magno (quindi ben dopo Costantino)13. In un passo relativo a un’azione riformatrice nella stessa curia da parte del papa mediante l’esempio, è inserito il celebre (e unico in Bernardo) richiamo alla donazione costantiniana, connotata indubbiamente da una qualificazione negativa. Pietro, afferma Bernardo, non dispose di un apparato simile a quello ‘regio’ utilizzato dai papi (ornamenti di gemme e tessuti preziosi, baldacchino dorato, cavallo bianco, servi e soldati), ma ciò non gli nocque per adempiere al mandato di Cristo di pascere il suo gregge. Quando dunque Eugenio se ne avvale sappia di essere con ciò successore non del primo papa ma di Costantino: «In his successisti non Petro, sed Constantino»14. A dispetto del successo delle posteriori letture unilaterali e delle citazioni decontestualizzate della felice espressione, la critica (peraltro indubbia) non è una condanna: anche dotato di un tale apparato, che per Bernardo è giustificato dalla consuetudine, pur se non affatto necessario né dovuto, il papa può (e deve) adempiere al proprio ufficio pastorale15. La donazione quindi non costituisce secondo l’abate di Clairvaux un punto di partenza storico della decadenza della (reale) Chiesa, ma soltanto un esempio di incrostazioni temporalistiche che non giovano alla funzione pastorale del pontefice (e tuttavia di per sé non la impediscono): il nesso tra i due aspetti, decadenza e donazione, non è ancora esplicito e non è detto che ciò sia solo una cautela16.
Il nesso si trova invece esplicitamente in Pietro Cantore (morto nel 1197), il quale, commentando il vangelo di Matteo, osserva con durezza che la Chiesa dopo Silvestro, rispetto all’ideale costituito dalle origini, ha guadagnato in dignitas, in potere e gloria mondana, ma ha perso in religio, soprattutto a causa della forza corruttrice della ricchezza17. Si rimane con ciò comunque sul livello parenetico, non di denuncia radicale. Sono motivi assunti negli stessi decenni da sostenitori tedeschi dell’Impero, che connotano la loro critica anche con motivazioni religiose non diverse da quelle del teologo francese18.
Nel momento in cui viene utilizzato in ambito teologico, l’episodio si arricchisce di elementi leggendari funzionali allo scopo, che saranno ripresi in seguito da valdesi e hussiti. All’inizio si tratta soltanto, tra il primo e il secondo decennio del XII secolo, dell’aggiunta, da parte del monaco Placido di Nonantola nel suo Liber de honore ecclesie, del particolare che dopo la concessione della tiara o phrygium in luogo del dyadema, Silvestro avrebbe pregato Costantino di continuare a esercitare il potere temporale nel rispetto della Chiesa19. Poi però la costruzione della leggenda, probabilmente non più in ambiente monastico, ma pauperistico-evangelico, prosegue assumendo caratteri di minor sottigliezza, volti a colpire l’immaginario non solo degli ecclesiastici, ma di un pubblico laico. L’elemento di maggior impatto è l’inserzione nel racconto tramandato dagli Actus Sylvestri e dal Constitutum dell’episodio della voce celeste, che avrebbe conosciuto un enorme successo20. Invero si tratta dell’applicazione polemica a Costantino di una leggenda già riferita a Ludovico il Pio per criticarne la dotazione delle chiese, probabilmente elaborata al tempo della lotta per le investiture dai fautori della riforma gregoriana. Se ne ha una traccia solo nel 1147, quando i monaci di Clairvaux scrivono al clero di Colonia rimproverandoli in proposito. Ma si tratta di una leggenda anteriore poiché i monaci affermano di averla reperita in una non precisata né identificabile ‘vita’ di Ludovico: «Videmus venenum additum ecclesie, sicut dictum est Ludovico quem nominatis Pium, qui precipue ditavit ecclesias. Legimus in historia eius quod audierit vocem dicentem sibi: “venenum ecclesie addidisti”»21. Il punto non è la ricchezza e la temporalità della Chiesa ma nello specifico la dotazione delle chiese vescovili, già al centro dello scontro per le investiture: nel 1147 questo elemento polemico non è colto e la leggenda è utilizzata per una questione particolare.
Esattamente cinquant’anni più tardi troviamo la leggenda della ‘voce’ applicata a Costantino: non più una intima voce di rimprovero, ma una voce dal cielo. La prima attestazione del ‘trasferimento’ è nella Gemma ecclesiastica di Giraldo di Cambray: a parlare è ora il diavolo che, nel pieno del solenne consesso in cui avviene la donazione, annuncia (in prima persona) di avere quel giorno avvelenato l’intera Chiesa:
Cum beato Silvestro et successoribus eius Constantinus, a lepra curatus, Romam et occidentale imperium contulisset, antiquus hostis humani generis in publica audientia alta voce clamavit: «Hodie ecclesie venenum infudi»; et vere venenum, quia fermentum illud venenosum quo totam ecclesie massam male corrupit22.
L’autore, che tuttavia, come Gerhoh di Reichersberg, vede anche gli aspetti positivi dell’atto di Costantino23, nei due decenni successivi riprende l’episodio altre tre volte, confermando di non esserne l’inventore (come attesta un «legitur»). Nell’ultima delle suddette opere, il De principis instructione del 1220, l’episodio (dove la voce è sempre diabolica) non contrasta con un elogio di Costantino come ideale principe cristiano: una preservazione della persona dell’imperatore, pur nella critica della donazione, che troverà largo eco fino a Dante. La Chiesa invece viene segnata da un contrasto negativo: quello tra il potere ‘esterno’ acquisito e la decadenza subita sul piano ‘interno’ e spirituale, che è un topos risalente fino a Girolamo (citato da Giraldo)24.
La leggenda avrà successo immediato, declinata in tutte le articolazioni possibili, sia all’interno della Chiesa, in chiave di esortazione morale alla riforma dei costumi e delle pratiche ecclesiastiche, sia tra gli ‘eretici’ e gli oppositori del papato. All’inizio del XIII secolo essa si può trovare tanto in un poeta come Walther von der Vogelweide – che merita una citazione in quanto, solo quattro anni dopo Giraldo, nel 1201, sostituisce, a pronunciare la frase, il diavolo con un angelo25 –, quanto in un teologo come il Premonstratense Odo di Cheriton (o Sherington, 1185-1246), il quale in un sermone (parlando invece genericamente di una voce dal cielo) riprende il motivo dell’antitesi tra acquisizione di potere mondano da parte della Chiesa e perdita di virtù spirituali26. La leggenda compare ancora (nella versione della voce ormai ‘angelica’) in Jean de Paris (Jean Quidort, De potestate regia et papali, 1302), accostata all’argomento (di fronte a una quasi unanime esaltazione di Costantino come modello di imperatore cristiano) della negazione del valore della donazione sul piano religioso (oltre che civile) anche a causa dell’arianesimo del sovrano27; poi, mezzo secolo più tardi, nel francescano Giovanni di Winterthur, che vede nella cessione una causa dei successivi contrasti tra papi e imperatori, ma ‘salva’ la retta intenzione del donatore («quamquam bono zelo fecerit»)28; e ancora, poco dopo la metà del XIV secolo, nel Polychronicon di Ranulfo Higden (o di Chester), che sarà letto nella Boemia hussita29.
Le oscillazioni su Silvestro e Costantino in prospettiva escatologica. L’influenza gioachimita, dallo spiritualismo francescano, ai ‘dolciniani’, a Dante
Per Gioacchino da Fiore, l’età di Silvestro e Costantino ha un’accezione positiva (al pontefice è attribuito l’‘incatenamento’ di Satana), venendo ravvisata solo in seguito la decadenza. Ciò non esclude che alcuni seguaci dell’abate florense, come l’anonimo estensore di un commento a Geremia (quinto decennio del XIII secolo), tornassero a condannare la donazione e l’implicazione della Chiesa nelle questioni temporali, tanto da auspicare una cassazione dell’atto da parte di Federico II30. La visione storica di Gioacchino influenza direttamente il francescanesimo e soprattutto lo ‘spiritualismo’ minoritico tra il XIII e il XIV secolo31. Tuttavia secondo la Lectura super Apokalipsim di Pietro di Giovanni Olivi (1297), che pure vede in Costantino (conformemente alla suddetta tradizione) colui che fece cessare le persecuzioni e l’idolatria e accetta il ruolo storico della donazione, quest’ultima avrebbe aperto la strada al successivo arricchimento della Chiesa mediante beni e temporalità. Tramite tali donazioni, apparentemente buone e compiute in ossequio alla Chiesa, il demonio, nascostamente e fraudolentemente, avrebbe avvelenato (l’espressione sembra debitrice della nota leggenda) tanto la dottrina quanto il culto, introducendo nella Chiesa errori e vizi, in particolare la superbia, la simonia, l’avidità, il lusso, la litigiosità. Ma tali mali, in ossequio alla tradizione gioachimita, si sarebbero manifestati non nel IV secolo, pur presenti in nuce, bensì alla fine dell’VIII, e sarebbero maturati nel XIII. Dal 1206 (fino al 1300), con Francesco, inizia il sesto ‘stato’, in cui Olivi introduce le fortunate e contrapposte categorie di ecclesia carnalis (o Babilonia) ed ecclesia spiritualis (ovviamente minoritaria): la prima non sarebbe però identificabile con la Chiesa romana nel suo complesso, ma con i molti ‘reprobi’ al suo interno, né il papa (Bonifacio VIII) sarebbe identificabile con l’anticristo (come invece per altri ‘spirituali’). Similmente Ubertino da Casale, che accentua il ruolo di Francesco come alter Christus in un’idealizzazione della povertà apostolica della ecclesia primitiva, vede nell’età silvestrina e costantiniana un momento di fioritura per la Chiesa e ne riporta invece la decadenza al quinto ‘stato’, ossia da Carlo Magno al XIII secolo, attaccando in particolare i regolari, Bonifacio VIII e il suo successore Benedetto XI32.
La deriva ereticale di tali posizioni a opera dei cosiddetti ‘fraticelli’ porta a una semplificazione del quadro, in cui Silvestro e Costantino, in ragione della donazione, sono apertamente condannati: la pena di cui un frate dell’Italia meridionale (così da un interrogatorio a Tivoli nel 1334 davanti a un inquisitore) avrebbe ritenuto degni i due sarebbe stata (con significativo ribaltamento delle posizioni) quella degli eretici, ossia il rogo delle ossa33.
Al contrario, nel ben più eclatante episodio ereticale costituito dal movimento degli ‘apostolici’34, che pure, anche precedentemente alla fase ‘dolciniana’ (1300-1307), matura l’idea di una completa decadenza della Chiesa, la valutazione dello snodo silvestrino-costantiniano pare più sfumata. Dai processi bolognesi del 1299 (interrogatorio di Zaccaria da Sant’Agata) emerge, comune agli altri movimenti pauperistici eterodossi, l’idealizzazione dello status perfectionis della ecclesia primitiva (proprio grazie alla sua povertà), che sarebbe stato perduto con la donazione di Costantino. Tuttavia, a differenza dei suddetti movimenti, l’accettazione del dono da parte di Silvestro determinerebbe ‘solo’ un passaggio da uno stato di perfezione a uno inferiore, ma comunque positivo, di santità. Gli apostolici, che seguono l’ideale primitivo (una continuità storica opposta alla ‘caduta’ della Chiesa maggioritaria), ne sono invece preservati e mantengono la perfezione: a un livello superiore di santi come Agostino e Gregorio che possedettero beni temporali:
Respondit quod ecclesia Dei fuit in maiori perfectione ab apostolis usque ad sanctum Silvestrum, quia stetit in paupertate, quam a sancto Silvestro citra, quia habuit divitias; unde credit tenere illam viam quam tenuit ecclesia primitiva, que fuit in statu perfectionis usque ad sanctum Silvestrum, et a sancto Silvestro citra ipsa ecclesia fuit in statu sanctitatis set non perfectionis sicut erat prius35.
A causa dell’ulteriore, successiva decadenza, inoltre, soltanto gli apostolici costituirebbero la vera ecclesia Dei36. La continuità con la Chiesa primitiva sarà una costante, assieme all’opinione che il papa avrebbe perso la propria potestà, a meno che non fosse tornato alla pacifica povertà di Pietro37. Da Bernard Gui si apprende tuttavia che nei più tardi sviluppi del movimento degli apostolici, posteriori e forse indipendenti dalla vicenda dolciniana, sarebbe stato accentuato il significato della ‘svolta’ costantiniana: secondo le testimonianze raccolte in questi successivi procedimenti emerge l’idea più radicale che dal tempo di Silvestro i prelati avrebbero abbandonato la vita dei primi santi, divenendo prevaricatori, e con tale perdita della povertà si sarebbe persa anche la santità: anzi il diavolo si sarebbe introdotto tra i ‘soci’ di Silvestro e da qui in tutto il mondo. Pertanto la Chiesa romana non sarebbe stata più la Chiesa di Dio, ma una «reprobata ecclesia sine fructu», la meretrice che fece apostasia dalla fede di Cristo: Omnes prelati Romane ecclesie […] a tempore sancti Silvestri, postquam declinaverunt a modo vivendi priorum sanctorum, sunt prevaricatores et seductores. […] Tota auctoritas a domino Ihesu Christo collata ecclesie Romane est omnino evacuata et iamdum cessavit propter maliciam prelatorum, et quod ecclesia Romana quam tenent papa et cardinales et clerici et religiosi non est ecclesia Dei, sed reprobata ecclesia sine fructu. Item quod ecclesia Romana est illa meretrix que a fide Christi apostatavit de qua scribit Iohannes38.
E ancora: «Quando paupertas fuit mutata et sublata ab ecclesia tempore sancti Silvestri, vite sanctitas fuit ablata et subtracta ab ecclesia et dyabolus intravit in socios sancti Silvestri et postea in hoc mundum»39.
Diversa l’opinione su Silvestro e Costantino nella svolta impressa agli apostolici da Dolcino dal 1300. Gli attacchi contro la ‘carnalità’ della Chiesa avevano trovato posto anche nel pensiero di Dolcino, come appare dalle sue lettere del 1300 e del 1303 riportate dal Gui: ma il ruolo di Silvestro in questa decadenza è annullato, segnando con ciò uno stacco rispetto all’idea ‘apostolica’ di una (moderata prima, radicale poi) ‘caduta costantiniana’. Dolcino si attiene infatti, per la visione della storia ecclesiastica, al pensiero gioachimita (e oliviano). Questi ultimi elementi escatologici sono probabilmente introdotti dopo l’‘ereticazione’ di un movimento inizialmente pauperistico e dopo le condanne a morte dei primi seguaci nel 1296 e infine quella dello stesso Gherardo Segarelli nel 1300. In questo momento il ritiro sui monti della Valsesia appare funzionale più all’attesa del ritorno di un papa santo, in quanto imitatore di Pietro, che non alla preparazione di una resistenza armata, adottata piuttosto dopo la smentita delle ‘profezie’ dolciniane e la necessità di operare in prima persona il passaggio finale40. Secondo la lettera dolciniana dell’agosto 1300, la Chiesa attuale è sì decaduta (e sarà in breve annientata da Federico III di Trinacria), ma a prescindere dalla donazione. In un primo schema la storia è divisa in quattro status sanctorum, che iniziano da uno livello di perfezione e declinano al suo opposto: il primo va dai Patriarchi a Cristo e il secondo da Cristo a Silvestro: ma Silvestro costituisce il punto più elevato, ossia l’inizio, del terzo, che, poi declinando, giunge fino al nuovo rinnovamento del Segarelli. Silvestro, come Benedetto e Francesco (in uno schema ternario), è anzi un esempio positivo di santo ‘iniziatore’. Nella stessa lettera compare un secondo modello che riguarda solo i secoli dalla venuta di Cristo, in cui la Chiesa conosce quattro mutazioni: da Cristo a Costantino essa è povera, casta e buona; da Costantino e Silvestro essa è ricca e onorata, ma (come in Gioacchino) essa continua a permanere «in bonitate et castitate», rimanendovi finché si seguirono gli esempi positivi dei santi Silvestro, Benedetto, Domenico e Francesco; solo nella terza fase essa è sempre ricca e onorata, ma «maliciosa», fino a quando, in ultimo, la sua gerarchia sarà sterminata e seguirà il ritorno alla povertà apostolica:
Dicit quod a Christo usque in finem mundi ecclesia debebat facere IIII mutationes. In primo debebat esse, sicut et fuit, bona et virgo et casta et persecutiones passa et hec fuit usque ad beatum Silvestrum papam et Constantinum imperatorem. In secundo debebat esse, sicut et fuit, dives et honorata, ipsa permanente in bonitate et castitate, et hec fuit quamdiu clerici et monachi et omnes religiosi perseveraverunt in suis modis vivendi secundum exempla sanctorum Silvestri, Benedicti, Dominici et Francisci. In tertio debebat esse, sicut et est vere, maliciosa, dives et honorata […] et durabit donec ipsi clerici, monachi et omnes religiosi sint morte crudelissima interempti. […] In quarto debebat esse, sicut et iam esse incipit, bona et pauper et persecutiones passa […] et ista quarta mutatio fuit incepta per fratrem Gerardum parmensem41.
La ricezione di tale impostazione fu effettiva, come appare dai processi posteriori: la Chiesa romana è la ecclesia carnalis, Babilonia, la grande meretrice, contrapposta alla ecclesia spiritualis. Tuttavia la decadenza non è assegnata al periodo di Silvestro e Costantino, ma a quello successivo; in un processo bolognese del 1303 allo stesso Zaccaria è attribuita la ripetizione, quasi alla lettera, dello schema dell’epistola dolciniana del 1300: «tempore sancti Silvestri ecclesia fuit bona, chasta, dives et honorata»42.
Questo percorso di critica (o valutazione) ‘religiosa’ della donazione, sino agli inizi del XIV secolo, arriva idealmente alla Commedia di Dante, estraneo a movimenti eterodossi e anche a un effettivo gioachimismo, ma influenzato dallo spiritualismo francescano43, affiancato a un ghibellinismo che aveva trovato speranza nella discesa di Enrico VII e non era estraneo nemmeno a importanti curiali italiani. Tale concomitanza di motivi è visibile anche nella trattazione della donazione nel De monarchia che accosta una critica condotta con argomenti giuridici a una prettamente religiosa. Costantino non poteva alienare parte dell’impero – argomento dei legisti –, ma nemmeno il papa poteva accettarla, per il divieto evangelico di possedere oro e argento (Mt. 10,9): la donazione, pur legalmente ingiustificabile, sarebbe stata «ben data», ossia offerta con pia intenzione, ma «male posseduta»44. Nella Commedia, a parte le complesse simbologie della processione mistica nel Paradiso terrestre descritta nei canti XXIX, XXXII e XXXIII del Purgatorio, che paiono alludere alla corruzione e purificazione della Chiesa45, nel XIX canto dell’Inferno la donazione è ritenuta non un male in sé (in rapporto al donante; legalmente sarebbe comunque nulla), ma causa di successivi mali nella Chiesa a partire da Silvestro: «Ahi, Constantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!» (Inf. XIX, 115-117); aspetto ancor meglio specificato nel XX del Paradiso (55-60) che (ancora una volta) ‘salva’ la persona di Costantino: «L’altro che segue […] / sotto buona intenzion che fe’ mal frutto / per ceder al pastor si fece greco: / ora conosce come il mal dedutto / dal suo bene operar non gli è nocivo, / avvenga che sia il mondo indi distrutto».
Un altro poeta, Francesco Petrarca, alla metà del secolo porterà gli echi della polemica anticostantiniana fino alla Boemia di Carlo IV, un terreno in cui prima e durante l’esplodere del movimento hussita Silvestro e Costantino saranno un facile obiettivo polemico, preparato da secoli di critiche. Dopo una prima lettera del 1351 per esortare il sovrano a scendere in Italia, il poeta sarà lui stesso a Praga nel 1356 per una missione diplomatica, avviando poi un carteggio con gli ambienti della corte, e nel 1361 offrirà al cancelliere di Carlo, Giovanni di Neumark, una copia del Bucolicon carmen, ove il papa è descritto come figlio di Costantino. Nella stessa Praga, mentre nel 1351 iniziava il carteggio petrarchesco, soggiornava Cola di Rienzo, giunto nel 1350 per convincere il riluttante re dei Romani del suo ruolo provvidenziale, a ciò sollecitato dagli epigoni del gioachimismo francescano (che ritenevano il ruolo di Cola non cessato con la fine del comune romano): egli fu arrestato, ma nel suo soggiorno biennale lasciò parecchi scritti all’ambiente regio tra cui una copia del De monarchia dantesco commentato in senso antipapale46.
Nonostante le differenze teologiche tra le Chiese catare in Occidente, ad esempio tra quelle più ‘moderate’ italiane di Concorezzo e Bagnolo (Mantova), che attorno al 1190 recepiscono la cosiddetta Interrogatio Iohannis (di origine balcanica), e quelle più radicali degli ‘albanensi’, degli occitani e dei catalani, il sostrato ontologico e soteriologico, che determina la loro visione della storia, è comune: una visione negativa del tempo terreno, governato dal diavolo, da cui le anime inserite nei corpi materiali si liberano grazie al messaggio di Cristo e alla ‘vera’ Chiesa da lui fondata. In tal modo la storia è una storia della salvezza, intesa esclusivamente come ritorno verso il cielo47. La vera Chiesa è soltanto quella dualista, opposta alla ecclesia malignantium48, alla prostituta dell’Apocalisse, in un radicale dualismo anche ecclesiologico. Tale dualismo insieme ontologico ed ecclesiologico impedisce di considerare il catarismo come una semplice deviazione eterodossa dalla Chiesa maggioritaria, come per le altre eresie, dovendosi invece pensare a una Chiesa, separata e indipendente da quella cattolica nonostante i comuni riferimenti all’età apostolica: in questo senso il catarismo dovrebbe risultare (e per lo più risulta) indifferente a determinare un momento storico in cui la Chiesa romana ha ‘deviato’, nel nostro caso con riferimento alla donazione. Tuttavia lungo i secoli di esistenza delle Chiese catare occidentali le spiegazioni e la cronologia della separazione tra le due Chiese non sono univoche e risentono del ‘contesto ereticale’, per cui un simile momento viene talora individuato49. Inoltre l’opposizione alla Chiesa cattolica ha una funzione importante per la creazione di una consapevolezza storica da parte dei ‘catari’50, e con ciò la ‘caduta’ della prima acquista un qualche rilievo, sebbene la sua determinazione storica rimanga sullo sfondo.
Nel bogomilismo orientale lo stesso dualismo ecclesiologico si era determinato contro la Chiesa bizantina, condannando fin il battesimo di Giovanni. Una qualche concretizzazione storica della decadenza ecclesiastica era stata determinata. I padri della Chiesa, in particolare Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, i ‘tre gerarchi della Chiesa orientale’ agiscono secondo i dualisti balcanici sotto la guida di Satana. In particolare l’ultimo (vissuto nel IV secolo come Costantino e Silvestro, seppure più tardi) avrebbe introdotto la pratica satanica del battesimo con l’acqua e l’eucaristia con il (falso) corpo di Cristo, oltre che falsificato le Scritture51.
Come detto, qualcosa del genere si svilupperà anche in Occidente. Tuttavia, ciò che è più importante per i catari è l’idea di continuità con i tempi apostolici mediante una successione che non si qualifica con la trasmissione di un ufficio, come vogliono i cattolici, ma tramite la pratica tutta spirituale del consolamenum (l’imposizione delle mani da parte dei perfecti): attraverso questo essi sono i genuini eredi di Cristo e degli apostoli, fin dall’inizio opposti alla Chiesa maggioritaria: una successione, la loro, non solo storica o morale, ma ontologica e soteriologica. Tale ‘battesimo spirituale’ che trasmette lo Spirito Santo è l’unica via per la salvezza, e la possibilità di amministrarlo si trasmette con continuità sin dall’origine da perfetto a perfetto: «Unde veri christiani docti ab ecclesia primitiva hoc ministerium impositionis manuum visibiliter faciunt, sine quo nullus salvari potest»52. Dunque si tratta di una continuità dai primi apostoli ai catari che oppone alla falsa successio apostolica della Chiesa, basata su sacrileghi o inutili sacramenti ‘materiali’, una vera successio apostolica basata sul consolamentum53. Il dualismo ecclesiologico e l’idea della successione ‘apostolica’ sono strettamente connessi e presenti tanto nelle fonti inquisitoriali, quanto negli scritti ‘catari’, quanto ancora nei trattati antiereticali. Essi emergono nelle prime segnalazioni di dualisti a Colonia nel 1143 a opera di Evervino di Steinfeld54, quindi, tra gli altri, nel Liber antiheresis del valdese Durando d’Osca (circa 1186)55, nel Liber supra stella del laico piacentino Salvo Burci (1235)56, nell’Adversus catharos et valdenses dell’inquisitore Moneta da Cremona (1244)57, nella Summa contra catharos dell’inquisitore Raniero Sacconi58, ma anche in un ‘trattato ecclesiologico’ di matrice dualista della metà del secolo, e ancora nei protocolli inquisitoriali prodotti nella Francia meridionale nella prima metà del Trecento (in particolare dal vescovo di Pamiers, poi Benedetto XII, Jacques Fournier, ma anche a Carcassonne e a Tolosa). L’antitesi in questi ultimi assume toni più vivaci; l’eretico Guglielmo Belibasta risponde all’inquisitore che che vi sono due fides: quella lasciata da Cristo a Pietro (‘romana’, da intendersi tale solo in origine) seguita dai catari, e quella falsa e adulterata dalla Chiesa romana. Un altro eretico, Giacomo Auterii, precisa che la prima conservava la littera lasciata da Cristo, mentre la seconda si rifaceva a una littera confezionata da Satana a imitazione della suddetta, che ad esempio postulava l’aborrita presenza corporale di Cristo nell’eucaristia59.
Come evidenzia l’ultima circostanza, tuttavia, i dualisti non si accontentano di rappresentarsi come vera Chiesa per via di una continuità ‘istituzionale’, ma, pur in subordine, richiamano anche una continuità ‘morale’ rispetto alla Chiesa apostolica, in antitesi alle qualità della Chiesa maggioritaria: al contrario di questa, essi sono perseguitati, poveri, perseveranti nella preghiera e nelle pratiche ascetiche. Sono elementi che nel XIV secolo animeranno attese escatologiche, probabilmente non senza l’influenza di altri movimenti: l’Aragonese che secondo gli eretici di Pamiers (in primis il citato Guglielmo) avrebbe distrutto la Chiesa assomiglia molto a quello delle poco precedenti profezie dolciniane60.
Questo secondo aspetto conduce il dualismo occidentale a sviluppare, in apparente contraddizione con l’idea di una propria esistenza fin dai tempi apostolici come unica vera Chiesa opposta a quella di Satana, l’idea di un pervertimento della Chiesa maggioritaria. Tale caduta, come si è visto, era presente anche nel bogomilismo balcanico, in riferimento al patriarca di Costantinopoli Giovanni Crisostomo. La mancanza di successione apostolica nella Chiesa romana dipende certo dalla mancanza del consolamentum, sostituito da inefficaci sacramenti ‘materiali’, ma anche dalla sua corruzione ‘storica’: già Evervino di Steinfeld nota che l’assenza di una consacrazione legittima nei cattolici è associata dagli eretici a una corruzione data dall’implicazione negli affari temporali, a causa della quale il papa, non seguendo l’esempio petrino, si è privato della potestas consecrandi61. Secondo le testimonianze dello stesso Evervino e di Ecberto di Schönau (1163), la perdita del potere sacerdotale è connessa alla caduta da una generica epoca dei martiri: essa è collocata (in contraddizione con il descritto dualismo ab origine) nella storia, presumibilmente nei primi secoli, ma non si è in grado di identificare il momento preciso, ossia il papa sotto il quale ciò è accaduto62. Secondo i trattatisti italiani del XIII secolo era opinione dei dualisti che anche i vescovi cattolici avessero perso la loro dignitas (e il potere di assoluzione, centrale per i catari) a causa dei loro peccati63; e argomenti simili nel secolo seguente si ritrovano ancora tra i catari della diocesi di Pamiers64. La constatazione dell’assenza di un valido sacerdozio nella Chiesa cattolica induce dunque ad affiancare alla prevalente spiegazione ‘ontologica’ del dualismo ecclesiologico una spiegazione ‘storica’. La critica alla depravazione della Chiesa, comune agli altri gruppi eterodossi nel qualificarla come ‘meretrice’, introduce inoltre taluni motivi propri di questi stessi gruppi. In un interrogatorio tolosano del 1247 il cataro Pietro Garcia raffigura la Chiesa come colei che porge il veleno ai propri credenti65: un pur vago richiamo alla leggenda dell’‘avvelenamento’. L’eco del riferimento silvestrino trova conferma nella critica al sacramento della messa (la critica ai sacramenti è l’aspetto principale della polemica antiecclesiastica)66 da parte dello stesso interrogato: la messa sarebbe stata introdotta solo al tempo di Silvestro I («missa nunquam celebrata fuit usque ad tempus Sylvestri»)67. Non vi è un riferimento esplicito alla donazione, tuttavia si individua un momento di deviazione della Chiesa proprio nel tornante costantiniano/silvestrino enfatizzato da riformatori ed eretici.
Una collocazione precisa della ‘deviazione’ in età costantiniana compare invece già alla fine del XII secolo nel catarismo italiano. Bonaccursio da Milano, ex cataro, nella Manifestatio heresis catharorum riporta che per i dualisti italiani la Chiesa era stata corrotta al tempo di Silvestro I, identificato con l’anticristo: «Beatum Silvestrum dicunt antichristum fuisse, de quo legitur in epistulis: “Filius perdicionis qui extollitur supra omne quod dicitur Deus”; a tempore illo dicunt ecclesiam esse perditam»68. Costantino e la donazione non sono nominati, ma la corruzione dell’‘anticristo’ Silvestro è chiaramente debitrice della leggenda, forse come ‘prestito’ da altri gruppi. Silvestro è chiamato in causa come anticristo dai catari italiani (con riferimento a 2Ts 2,3 come nella Manifestatio) anche secondo Moneta da Cremona (che scrive negli stessi anni della testimonianza di Pietro Garcia): «Ausi sunt dicere quod Silvester fuerit antichristus et de Silvestro volunt intelligere 2Ts 2,3 “Homo peccati, filius perditionis”»69. Egli rileva anche nella polemica catara l’accumulo di materiali e argomenti di altra provenienza, come l’espressione bernardiana che il papa sia successore non di Pietro, ma di Costantino, o anche più originali, quale l’idea che la Chiesa (cattolica) sia iniziata solo nel IV secolo da Costantino e Silvestro. Per rafforzare l’ingiustizia della donazione, i dualisti ‘lombardi’ avrebbero formulato una dubbia ricostruzione storica, per cui Cesare avrebbe usurpato l’Impero (da un altro imperatore) ed esso sarebbe giunto come possesso illegittimo fino a Costantino, che avrebbe quindi trasmesso a Silvestro il frutto di un latrocinio:
Adhuc iam heretici nituntur probare quod romani pontifices et qui eis adherent non sunt successores Petri, sed Constantini, nec a Petro incepisse ecclesiam, sed a Constantino vel a Silvestro. […] Illud autem imperium Iulius Cesar vindicavit sibi in superbia multa et rapina, auferens illud ab alio imperatore. Istud imperium tenuit Roma usque ad tempus Constantini, qui in eodem imperio superbe successit et, sicut habebat, tradidit Silvestro […] sed ipse habebat hoc per violenciam et rapinam sicut Iulius Cesar et alii predecessores sui; ergo Silvester, qui illa recepit iniuste et per rapinam illa possedit, similiter et omnes alii qui a Silvestro per successionem receperunt; non dicant ergo romani pontifices se esse successores Petri, sed Constantini70.
Moneta riporta un altro argomento storico-leggendario addotto dagli eretici ‘italici’ per negare la successione della Chiesa maggioritaria da Pietro e legare invece i suoi elementi costitutivi all’epoca costantiniana. Pietro non sarebbe mai stato a Roma; ma, poco meno di tre secoli dopo (esattamente gli anni di Silvestro), la Chiesa romana avrebbe cercato le sue ossa per ricostruire a posteriori una inesistente successione. Essendosi trovate delle ossa sconosciute, forse anche di un pagano, esse sarebbero state dichiarate quelle di Pietro, per cui – avrebbero continuato polemicamente gli eterodossi – la Chiesa romana deriverebbe non da Pietro, ma da un cadavere qualsiasi:
Ad probandum etiam quod romana ecclesia non habuit regimen a Christo vel successore eius b. Petro, dicunt quod ecclesia romana non erat pacata nec secura de eius successione, et de hoc volunt probare dicentes quod romana ecclesia post mortem Petri fere trecentis annis secundum scripta ecclesie romane inquisivit eius ossa, quasi per hoc volens ostendere se Petro successisse. Preterea dicunt Petrum nunquam fuisse Rome […]. Arguunt etiam ecclesiam romanam de ossibus illis dicentes ecclesiam nescire an eius ossa fuerint vel alterius hominis mortui, forte pagani, quod ipsi credunt, et ab illo mortuo dicunt ecclesiam romana sumpsisse exordium, non a Christo vel Petro71.
In tutti questi casi si tratta di contaminazioni estranee al puro dualismo ecclesiologico, determinate dalla circolazione di noti spunti polemici (e forse favorite dalla presenza di più chiese catare in disaccordo reciproco)72. È anzi probabile che si tratti di critiche non specifiche di un movimento, ma condivise e circolanti in diversi ambiti eterodossi della Lombardia del XII-XIII secolo, come rileva già Manselli73 (Moneta parla infatti di «heretici» e altrove attribuisce sia ai valdesi che ai catari l’accusa di ecclesia malignantium e ‘prostituta dell’Apocalisse’ nei confronti della Chiesa maggioritaria74): tanto che in passato i due brani dell’inquisitore hanno potuto essere riferiti ai valdesi, mentre solo recentemente sono stati riportati ai dualisti75.
Questi ultimi argomenti, e dunque l’idea di una deviazione storicamente determinata della Chiesa cattolica, se per i catari sono elementi marginali e per così dire ‘aggiuntivi’ al dualismo, per i valdesi sono invece determinanti per qualificare il movimento: proprio perché nato internamente alla Chiesa e dunque facente leva su una differenza (e quindi una critica) ‘etica’, causata da una ‘caduta’ rispetto a un inizio comune. Ancora nel penultimo decennio del XII secolo il valdese Durando d’Osca (in seguito tornato al cattolicesimo), senza alcun riferimento a Silvestro o a Costantino, premette al suo trattato anticataro che il ruolo di Valdesio è quello di aver ripreso la predicazione (contro gli eretici inviati da Satana), trascurata dal clero a causa della decadenza di quest’ultimo: la continuità valdese rispetto agli apostoli e ai padri della Chiesa sarebbe solo etica, consistente nel riattivare la trascurata pratica della predicazione76. Sono soltanto l’ereticazione dei seguaci di Valdesio, la condivisione con altri gruppi eterodossi di aree come quella ‘lombarda’ e la comune clandestinità e avversione alla Chiesa maggioritaria che comportano l’utilizzo di spunti polemici come quelli suddetti, in un sincretismo almeno polemico.
A tal proposito, accettata l’origine italiana dell’insieme delle leggende sulla caduta silvestrina della Chiesa, rimane difficilmente ricostruibile l’esatta circolazione di questo motivo tra movimenti diversi dell’area padana. L’anteriorità cronologica è assegnata ai catari lombardi77 (correttamente, data la loro presenza nella Manifestatio di Bonaccursio); ma, oltre a un’influenza precedente sui catari (arnaldista? patarinica? oppure un’influenza arnaldista o patarinica indipendentemente su entrambi i movimenti?78), non si possono escludere ulteriori influenze reciproche, dato che i riferimenti anticostantiniani trovano rapida accoglienza tra i valdesi, anche in ragione di una maggiore aderenza alla loro ecclesiologia pauperistico-evangelica rispetto al dualismo ontologico dei primi.
Le fonti cronologicamente anteriori sul tema ‘costantiniano’ sono costituite dai trattati di parte cattolica e solo successivamente (nel XIV secolo) dalla documentazione di provenienza valdese o inquisitoriale: è necessario tenerne conto per non costruire, con frammenti di diversa natura, un’immagine apparentemente univoca e sistematica di ambiti locali e temporali diversi79. I pauperes lombardi, in dissidenza dai valdesi francesi a partire dal 120580, sembrano essere i primi ad avere radicalizzato le loro posizioni fino a disconoscere del tutto la Chiesa cattolica81. I polemisti della prima metà del XIII secolo concordano nel sostenerlo, in ciò accomunandoli ai catari, ma sottolineando il rilievo attribuito alla caduta della Chiesa al tempo di Silvestro82. Salvo Burci nel 1235 rimprovera ai valdesi italiani di ritenere la Chiesa «amissa» per molti secoli e restaurata solo da loro83. Un decennio dopo Moneta può essere più preciso nel rilevare che i «pauperes leonenses» ritengono la Chiesa ‘caduta’ nel momento in cui Silvestro accettò la donazione costantiniana («acconsentì» è il verbo che si userà a lungo a tale proposito) e «restituta» dal loro fondatore: la ecclesia Dei, infatti, per essere tale, deve essere povera, qualità essenziale che venne a mancare con Costantino:
Sicut falso asserunt pauperes Leonenses […] dicunt ecclesiam Dei tempore b. Silvestri defecisse, quando scilicet a Constantino et mundi divitias et dominationem secularem recepit et Constanino […] consensit. In temporibus autem istis restitutam eam asserunt per ipsos, quorum primus fuit Valdesius. […] Ecclesia debet esse pauper et talis fuit usque ad tempora Silvestri, in quo desiit esse talis, scilicet pauper, et ita in ipso desiit esse ecclesia Dei84.
Solo il riferimento esclusivo alla povertà e la maggiore semplicità sembrano distinguere tale ricostruzione da quella, descritta, che (probabilmente) l’inquisitore lombardo attribuisce ai dualisti. Nel 1250 Raniero Sacconi ripete sostanzialmente lo stesso schema, confermando che una maggiore durezza distinguerebbe i pauperes lombardi dai valdesi francesi (che pure negherebbero anch’essi che la Chiesa romana sia la Chiesa di Cristo) nel sostenere la decadenza della Chiesa ‘silvestrina’ nella ecclesia malignantium, ovvero nella bestia e nella prostituta dell’Apocalisse, e infine la restaurazione valdese della vera Chiesa85.
L’anticostantinianesimo diventa essenziale nell’ecclesiologia del movimento e presto i riferimenti alla degenerazione silvestrina si trovano anche in Francia86, e, seguendo la diaspora valdese, nei paesi germanici87. Poco prima del 1270 l’Anonimo di Passau rileva tale ‘errore’ (caduta nel IV secolo e trasformazione della Chiesa in ecclesia malignantium) e la circolazione della leggenda dell’avvelenamento sia nei valdesi (leoniste) sia nei ‘ronchiani’ (i ‘dissidenti’ lombardi, seguaci di Giovanni di Ronco)88. Ugualmente lo Pseudo-Davide di Augsburg tra gli errores paupeum de Lugduno pone l’idea di costituire l’unica Chiesa dopo che quella maggioritaria sarebbe divenuta la meretrice di Babilonia, per cui dal tempo di Silvestro nessuno in essa avrebbe potuto conseguire la salvezza eterna89.
In Italia l’inquisitore Anselmo d’Alessandria, collaboratore di Raniero Sacconi, a cui si riallaccia, nel suo Tractatus de hereticis, datato dal Dondaine tra il 1260 e il 1270, può riassumere l’insieme dei motivi anticostantiniani sviluppati dai valdesi (cui dedica uno spazio residuale, rispetto ai catari). Nonostante egli insista sulle differenze tra lombardi e ultramontani (soprattutto riguardo ai sacramenti), sottolinea che riguardo alla Chiesa maggioritaria la critica è simile: per entrambi il papa non è successore di Pietro e non ha alcun potere sacramentale, mentre la Chiesa è qualificata colle usuali definizioni di meretrice e ‘maligna’, individuando la «prevaricazione» in Silvestro, nell’accettare la donazione. La negazione della santità si estende, oltre a Silvestro, al diacono Lorenzo90. Anselmo, rispetto ai trattatisti anteriori, introduce una variante nella cronologia valdese. Silvestro rimane il fondatore della Chiesa romana, in ciò agendo «instinctu diaboli», e Valdesio colui che avrebbe ripristinato la vera Chiesa: tuttavia la cessazione della successione apostolica non è fatta più risalire a Silvestro (Moneta riferiva l’opinione che la Chiesa fosse pauper, quindi ecclesia Dei, fino ad allora), ma ai successori immediati di Pietro, Lino e Clemente I «exclusive»:
In hoc concordant […] contra ecclesiam, scilicet quod papa Silvester et Laurencius martyr non sunt sancti. Item quod ecclesia romana tenendo cursum quem tenet non est ecclesia Christi sed ecclesia maligna. […] Item credunt quod a beato Clemente citra exclusive nullo successit beato Petro apostolo aut Lino vel Clementi, qui haberet potestatem ligandi vel absolvendi usque ad don Valdensem. Item credunt quod Silvester papa instinctu diaboli fuerit edificator ecclesie romane primus91.
Non dal IV, ma dall’inizio del II secolo la Chiesa sarebbe ‘caduta’. L’apparente contrasto tra le due affermazioni (deviazione silvestrina e interruzione della successione apostolica a Clemente I, un unicum) pone un problema sulla natura della Chiesa da Clemente a Silvestro e sul ruolo di quest’ultimo, che ne uscirebbe ridimensionato. Secondo Anselmo, i valdesi lombardi e francesi (o almeno una parte, dato che gli altri polemisti cattolici ignorano un simile schema, e l’idea di Silvestro fondatore della Chiesa è piuttosto dei dualisti, come attestato da Pietro Garcia e da Moneta) avrebbero ritenuto che la vera Chiesa fosse cessata col secondo successore di Pietro, Clemente. Poi vi sarebbe stata un’‘assenza’ colmata (falsamente) due secoli dopo da Silvestro, che, su suggerimento diabolico, avrebbe ‘inventato’ la Chiesa romana, essendone di fatto il primo papa, e poi (effettivamente) da Valdesio. Dato il contesto e il riferimento esplicito a Valdesio, è difficile pensare a una confusione con i catari, a meno che una convinzione di questi ultimi non sia finita erroneamente nel capitolo De concordanciis pauperum de Lugduno et lombardorum: ma più probabilmente si tratta di creative elaborazioni ‘storiche’ alimentate, come detto, dalla condivisione della polemica antiecclesiastica.
La rilevanza dello snodo ‘storico’ costantiniano (o post-apostolico) è tale tra i valdesi, che, fin dal XIII secolo, inizia a svilupparsi il ‘mito’ dell’anteriorità del valdismo rispetto a Valdesio e della sua origine all’epoca di Silvestro I (mentre il riferimento a Clemente I non pare affiorare in altre fonti). Già Salvo Burci replicava indirettamente a simili pretese affermando che anteriormente alla loro fondazione sessant’anni prima a opera di Valdo di Lione essi non ebbero capo se non la Chiesa92. Moneta negava la possibilità che i valdesi costituissero la Chiesa di Dio anche per il fatto che non derivavano dalla ecclesia primitiva, ma solo, ottant’anni prima, «a Valdesio cive lugdunensi»93. Raniero Sacconi sembra mostrare l’origine di quella che più tardi si trasformerà in una consapevole leggenda; egli afferma che i valdesi ritenevano che, nonostante la degenerazione ecclesiastica sotto Silvestro, non tutti i cristiani ne sarebbero stati coinvolti: una catena di ‘giusti’ (ancora non definiti ‘valdesi’) collegava quelli precostantiniani con i moderni ‘restauratori’ («ecclesia Christi permansit […] usque ad beatum Silvestrum et in eo defecit, quousque ipsi eam restauraverunt. Tamen dicunt quod semper fuerunt aliqui qui Deum timebant et salvabuntur»)94.
Questo sviluppo verso la costruzione di una propria ‘storia sacra’ retrodatata fino all’antichità cristiana, che lungo il XIII secolo può essere apprezzato solo nei trattati antiereticali (con il rischio di sovrapposizione tra idee di gruppi differenti), nel XIV può essere verificato, giunto a compimento, su fonti propriamente valdesi: documentazione eccezionalmente non solo inquisitoriale, ma prodotta direttamente dagli ‘eretici’. Si tratta in particolare del cosiddetto Liber electorum, prodotto in latino entro la metà del secolo, probabilmente in Italia, ma diffuso e tradotto in vari ambiti della diaspora valdese, che manifesta pienamente la consapevolezza storica di una derivazione del valdismo dall’epoca costantiniana, da allora prevalente: la donazione, oltre a essere strumento di critica verso la Chiesa, spiegherà ‘storicamente’ la discendenza apostolica valdese95.
Il Liber è la base di uno scambio epistolare polemico del 1367-68 tra i valdesi italiani e i confratelli austriaci di St. Peter in der Au, a motivo del ritorno al cattolicesimo di una parte di questi ultimi in seguito all’inquisizione nella zona di Enrico di Olomouc (circa 1365). L’anonimo autore (tardivamente definito «hystoriographus»)96, che scrive attorno al 1335-135097, avvalendosi del genere epistolare, sostiene che la setta è la vera Chiesa di Dio e data «a tempore apostolorum». Con ciò non si intende che essa fosse separata da quella maggioritaria sin dall’età degli apostoli (da qui forse la discordanza dei polemisti): l’intera Chiesa fino al tempo di Silvestro è unita e vive la povertà evangelica per trecento anni. Anche Silvestro («rector quidam in ecclesia») vive nascosto per le persecuzioni, finché accetta la donazione, fonte insieme di onori terreni e di mali:
Sancta ecclesia a tempore apostolorum in ordine sancto per orbem terrarum in multis milibus excrevit et per multa tempora in virtute sancte religionis permansit et rectores ecclesie fere per CCC annos usque ad Constantini Cesaris imperium. Regnante Constantino leproso rector erat quidam in ecclesia qui vocabatur Silvester romanus; hic in monte Seraphie iuxta Romam vitam pauperem cum suis, ut legitur, causa persecutionis agebat.[…] Constantinus autem, ut fertur, responso accepto in somno, accessivit Silvestrum et baptizatus est […] Ab illo tempore heresiarca in honores et dignitatis ascendit et multiplicata sunt mala super terram98.
Tuttavia un suo socius non avrebbe acconsentito all’accettazione e si sarebbe staccato da Silvestro, perseverando nella povertà e nella verità assieme a una quota minoritaria di cristiani, senza poter impedire la degenerazione della maggioranza: «Socius autem eius […] ab eo recessit et hiis non consensit, sed viam paupertatis tenuit»99. Dopo ottocento anni sarebbe sorto Pietro, detto ‘Waldis’, dalla regione di provenienza, che, rinunciando alle ricchezze, si sarebbe dato alla predicazione, fino a disputare con l’eresiarca, ossia il papa. Il ‘nuovo’ nome di Valdesio richiama proprio la sua connessione con le origini apostoliche, tradite dai papi dopo Silvestro: la parola ‘papa’ infatti non è mai usata (sostituita prima da rector, poi da heresiarca). Pur godendo dell’appoggio di un cardinale de Apulia, Pietro/Valdesio fu scomunicato, ma partendo da Roma la sua predicazione gli avrebbe fruttato numerosi seguaci, riuniti anche in sinodi con centinaia di partecipanti. Con l’aiuto di Dio essi avrebbero prosperato per duecento anni, fino a un’ondata persecutoria che li avrebbe invece cacciati di regione in regione: computando gli anni si tratta proprio del XIV secolo in cui nasce il Liber e in cui i valdesi avevano effettivamente subito vaste campagne inquisitoriali. Apologeticamente è pure spiegato che la riduzione della vera Chiesa a poche persone, piuttosto che il suo ampliamento, caratterizza l’intera storia sacra sin dall’Antico Testamento, ma non implica, in nessun momento, l’assenza di essa100.
Questo primo ‘pezzo’ dello scambio epistolare non costituisce un fatto improvviso, ma riprende tradizioni orali e scritte sedimentate nel valdismo: infatti ricorrono espressioni come «ut fertur, ut legitur, ut audivi, ut dicunt nostri, sicut audivi a senioribus», ma anche «secundum antiquas hystorias», che paiono rimandare a scritti storico-apologetici (non necessariamente valdesi) sul periodo silvestrino. Nelle lettere successive conservatesi si accenna a un Liber iustorum o Liber electorum per respingere l’accusa che esso si basi sul sentito dire: ciò, e il fatto che nell’epistolario ci si riferisca a esso quasi letteralmente, conferma che si tratta proprio di questo frammento, forse nucleo o riassunto di uno scritto più ampio, messo in campo come testo semi-canonico di fronte alla polemica degli ex valdesi101.
Sulla partizione della storia ecclesiastica del Liber si fonda la epistula fratrum de Italia, che accentua l’insieme degli elementi leggendari presenti in nuce nel Liber (alcuni sono tradizionali – la voce dal cielo, ora di Cristo –, la maggior parte nuovi). Si tratta della replica a una (perduta) lettera dei confratelli austriaci (1367-1368), che lamentavano la suddetta defezione102. Con essa si forniscono ai transalpini argomenti per rigettare le accuse dei convertiti, secondo cui il valdismo «non gioverebbe alla salvezza», in quanto i suoi membri sarebbero ignoranti, privi di autorità e di condotta reprensibile. Interessante è la risposta sul secondo punto, che nega la discendenza apostolica dei valdesi. I lombardi replicano che il loro movimento deriva dagli apostoli proprio in base alle vicende silvestrine/costantiniane (ammettendo per i primi tre secoli una comune santità con la Chiesa in prosecuzione dei discepoli di Cristo). Accettata da Silvestro la donazione, i suoi socii (ora più d’uno) non avrebbero acconsentito all’atto, generando una dura polemica. Silvestro li avrebbe minacciati di privarli della terra, al che essi avrebbero risposto lieti che grazie a ciò avrebbero guadagnato il cielo. La voce dal cielo annunziante l’avvelenamento della Chiesa avrebbe rafforzato il proposito dei dissidenti, che, pur scomunicati, si sarebbero moltiplicati:
Notate quod tempore Constantini magni, cum Silvester papa thesaurum reciperet […], soci Silvestri renuerint […]. Silvester vero dixit: «nisi mecum manseritis, ego terram vobis prohibeo». Illi autem letantes dixerunt: «De hoc Deo gracias agimus, quia si ab observantiam mandatorum eius terram nobis prohibes, celo merito nobis exhibebis». […] Istis vero altercantibus cum Silvestro, eadem nocte sequenti audita est vox de celo dicens: “hodie diffusum est venenum in ecclesia Dei”, quam vocem Christi pauperes audientes audacius cepta perficiunt, et sic extra synagogam facti sunt. […] Sic per orbem dispersi sunt dicentes Silvestro suisque sequentibus: «Terram vobis relinquimus, nos verum celum appetimus». Silvester autem dimisit eos abire, ipsi vero abeuntes viam paupertatis exercentes multiplicati sunt valde per multa durantes tempora103.
La successiva persecuzione subita a opera degli ‘pseudocristiani’, ovvero dall’‘interno’, è fondamentale per qualificare l’appartenenza del proprio gruppo ai santi e agli eletti: se gli avversari sostenevano che le persecuzioni furono attuate soltanto dai pagani, i lombardi replicano che, come già avvenuto ai profeti e a Cristo, le persecuzioni sono venute anche dai falsi fratelli ed esse sono il marchio degli eletti: «non est dubium quia usque ad finem mundi sancti a suis persecucionem paciantur». I giusti non furono però distrutti e, quando, al culmine delle persecuzioni («Invidiia pseudochristianorum contra eos seviens usque ad extremum conata est eos disperdere»), sembravano ormai annientati104, sorsero Pietro de Valle (sempre più lontano dal Valdesio storico) e il suo socius «Iohannes Ludinensis a Ludone civitate dictus» (un secondo nome ‘apostolico’), entrambi dunque non fondatori, ma restauratori del movimento. A questo punto c’è il richiamo esplicito al Liber electorum, con la conversione e il viaggio a Roma di Pietro de Valle, in prosecuzione dei «sancti viri» suoi predecessori. A proposito del Liber (ora definito iustorum), gli avversari avevano sostenuto che la ricostruzione storica fatta dall’historiographus fosse viziata dal fatto che egli, avvalendosi dei molti, anzidetti, «ut audivi, ut fertur», etc., avrebbe mostrato trattarsi di un assai dubbio sentito dire. I lombardi, replicando, sostenevano di non poter provare i dettagli della ‘storia’ a causa, da un lato, della mancanza di testimoni diretti (per il molto tempo passato), e, dall’altro della perdita degli scritti relativi a motivo delle persecuzioni. Gli altri argomenti della risposta (i valdesi in ogni caso avrebbero ricevuto direttamente da Dio la loro autorità, come Paolo; Pietro e il suo socius erano sacerdoti ordinati da un cardinale de Apulia, e altri sacerdoti avevano aderito), introducono un elemento significativo di questa elaborazione storica che ‘sacrifica’ le semplici origini del valdismo per una leggenda che è però indispensabile a spiegare la ragion d’essere del movimento nel XIV secolo: ovvero, in tale ‘allontanamento creativo’, il sacerdozio di Pietro/Valdesio105.
Questa eccezionale documentazione sul tema silvestrino prosegue con altre tre lettere, opera dei valdesi austriaci convertiti al cattolicesimo. La prima è datata 1368; l’autore Giovanni detto ‘Leser’ sembra ben documentato sia sulla ‘storiografia’ valdese (probabilmente egli replica alla suddetta lettera dei lombardi), sia sugli argomenti dei polemisti cattolici, probabilmente in seguito alle discussioni con i frati che ne avevano accompagnato la conversione. Egli è vago nel retrodatare di ‘quasi’ duecentocinquant’anni le origini del movimento (1120/30 circa: nascita di Valdesio?), ma con ciò nega la continuità apostolica del movimento, attraverso la svolta ‘costantiniana’; sul sacerdozio del fondatore e del suo socio Giovanni di Lione (ormai ‘esistente’) accetta la possibilità (non la certezza) della versione valdese, ma rileva come ciò sia un’aggravante della loro apostasia, per aver effettuato consacrazioni non autorizzate e mutato gli usi ecclesiastici. Soprattutto egli dirige una puntuale critica ‘storiografica’ al Liber, che definisce regula. Innanzitutto, pur sostenendo che al tempo di Silvestro il socius o i socii di quest’ultimo, abbandonando la Chiesa, ne furono perseguitati, i valdesi non sono in grado di affermare nulla di sostanzioso su costoro, di cui pure affermano di seguire la fides. Inoltre, se caratteristica della vera Chiesa è essere lucerna che mai si spegne, ciò non si può applicare alla loro setta, dato che, in base alla leggenda, la libera predicazione poté svolgersi solo per duecento anni. Precisando meglio: contati ottocento anni dal 318 d.C. fino all’inventio del valdismo, e aggiunti i duecento in cui poterono predicare e moltiplicarsi, rimarrebbero ancora cinquant’anni (dal 1318 al presente, ossia il 1368) in cui il movimento avrebbe smesso di predicare. Il nascondimento, altomedievale ma in particolare contemporaneo, che i valdesi adducono come prova di essere i sancti perseguitati, viene ribaltato contro di loro:
Vestra eciam regula narrat […] quod […] numquam defecit lucerna fidei. […] Dicitur eciam ibidem quod in principio vestri ordinis in tantum multiplicati fuerunt fideles vestri quod aliquando M, ab inicio vere DCC, in una synodo congregarentur. Per hec secta vestra deprehenditur non esse ecclesia Dei sed heresis, cum lucerna Dei nunquam defecerit, sed vestra lucerna ocultata et ignorata defecit. Dicitis et sectam vestram pene CC annis apertam fuisse et manifeste. Utrum sub specie alicuius religionis steterit aperte, de hoc non est nobis notum, attamen non est impossibile. In tali autem autem fide, quam nunc habetis, omnino est impossibile eam manifestam predicasse, sicut ex dictis vestris duplici ratione probari potest. Primo, quia dicitis quod tempore Silvestri pape eius socius vel socii pape eiusdem […] recesserint ab eo, vitam imitantes apostolicam, quo facto ab ecclesia persecucionem sunt passi, de quibus tamen nichil memorie dignum vos enarrare audivimus, quorum fidem dicitis vos imitari. […] Secundo probatur ex numerorum numerositate, quia, computatis annis ab incarnacione Domini usque ad Constantinum imperatore, scilicet annis CCCXVIII, cuius tempore Silvester rector et caput fuit ecclesie, et a Constantino et Silvestro usque ad invencionem vestre secte DCCC, additis CC annis ab invencione, quibus manifeste dicitis eam extitisse, remanent vix L anni usque scilicet anno Domini MCCCLXVIII, in quibus publice predicare desiit. [...] Ergo desistatis […] a talibus fabulis106.
Mentre la seconda lettera dei convertiti, indirizzata dall’austriaco Sigfrido (secondo i manoscritti) «contra Petrum Valdensem et Iohannem Lugdunenses» (i ‘nuovi fondatori’, dunque un uditorio generale), si mantiene sul piano della contestazione dell’auctoritas dei valdesi107, la terza, che è la seconda lettera di Giovanni, di pochi anni più tarda (1370-1378), riprende la polemica storico-ecclesiologica sull’origine del movimento. I contenuti del Liber sarebbero «valde suspecta et rationi contraria». Di nuovo Giovanni attacca le notizie sul socius allontanatosi da Silvestro per aver rifiutato la donazione: i valdesi lo citano senza saper dire nulla di lui (nome, stato, ordinazione) e tanto meno dei suoi presunti successori (anzi in alcune lettere contraddittoriamente si parla di socii al plurale, sempre senza dirne niente di specifico):
Primo in hoc quod narrat de quodam socio Silvestri qui ob hoc quod idem Silvester ab imperatore bonis temporalibus fuit dotatus, ab eo recessit; de quo indeterminate loquitur, quia nec nomen eius ponit nec condicionem nec statum, utrum fuerit episcopus vel sacerdos vel cuiuscumque ordinis, nec vitam, quomodo vixerit vel quid fecerit, vel utrum sue professionis reliquerit successores, sed absolute: «Socius autem eius, ut enarrare audivi, ab eo recessit». […] In quadam autem epistula sua corrigunt et ponunt plures socios, quorum etiam nec nomina nec numerum nec officia ostendit108.
Dunque, se i polemisti del XIII secolo avevano attaccato la pretesa dei valdesi di costituire la ‘vera’ Chiesa, questi, per giustificare se stessi come Chiesa di Cristo (in primis per un bisogno ‘interno’, esistenziale), accanto e in ragione dell’asserzione della propria ‘apostolicità’ etica in quanto pauperes, avevano via via creato una storia di successione apostolica fondata sulla nota e preesistente ‘leggenda’ costantiniana (e sulla altrettanto preesistente e nota polemica anticostantiniana), che spiegasse ‘storicamente’ tale apostolicità: essa nel pieno XIV secolo appare matura, ma oggetto di scontro con l’esterno sulla base di argomenti ‘storici’. La necessità di tale creazione aveva favorito non solo la complicazione della semplice ideologia evangelico-pauperistica originaria in favore di una più complessa lettura generale della storia sacra che la fondasse, ma anche la rimozione della figura del laico lionese Valdesio, sostituito da un (nuovo) Pietro (Waldensis o addirittura «de Valle»)109, restauratore di una fides risalente al tempo di Silvestro e quindi collegata direttamente agli apostoli, in quanto fino a Silvestro la successione apostolica è accettata.
L’origine del tentativo valdese di risalire ‘storicamente’ all’epoca silvestrina, con un collegamento ‘apostolico’, come si è visto, è adombrata anche nella polemica duecentesca. Tuttavia nell’insieme della trattatistica duecentesca (e ancora in Bernard Gui all’inizio del secolo seguente), la genealogia era piuttosto vaga, legata a una indeterminata catena di ‘fedeli’, e non ai socii di Silvestro e ai loro successori, mentre Valdesio, pur già ‘restauratore’ (della Chiesa) e non fondatore (della setta), non subiva ancora la trasformazione leggendaria nel sacerdote Pietro: aspetti dunque maturati nel pieno Trecento.
Sono rari i casi di ricostruzione del passato valdese in cui lo snodo silvestrino-costantiniano è tralasciato, in favore di uno antecedente (Anselmo d’Alessandria), o addirittura apostolico. L’idea della ‘caduta’ già in età apostolica, pur marginale, non è del tutto assente tra i valdesi, come attesta, pur genericamente, l’anonimo di Passau: «Dicunt enim quod duraverit [secta Leonistarum] a tempore Silvestri, alii dicunt quod a tempore apostolorum»110. Bernard Gui riporta che in alcuni processi, tra gli errores del gruppo ha riscontrato l’idea che essi facevano parte dei discepoli discesi dai discepoli di Cristo e che perciò solo essi avevano la potestas petrina: «Quod ipsi Valdenses erant de illis discipulis qui descenderunt a discipulis et apostolis Christi, quibus dedit potestatem suam lgandi et solvendi, et quod ipsi habebant illam potestatem quam Christus dedit beato Petro et aliis post eum»111. Tuttavia, in quest’ultimo caso, l’omissione dei nomi del papa e dell’imperatore non certificano che si intendesse riportare la nascita del valdismo all’età apostolica piuttosto che al IV secolo: infatti si parla in generale di «discepoli discesi dai discepoli». Lo stesso può valere per i valdesi interrogati a Stettino nel 1392-1394, che dichiaravano sinteticamente di essere «occulti discipuli Domini nostri»112. Si tratta di riferimenti piuttosto vaghi e per questo di difficile interpretazione.
Invece la nascita del movimento direttamente tra gli apostoli, che rappresenta un unicum, è esplicitata in una testimonianza processuale del 1335, a Giaveno, in Piemonte, di fronte all’inquisitore Alberto de Castellario. Si tratta qui però non di ministri introdotti nella teologia, come nel caso dei protagonisti dello scambio epistolare austro-lombardo, ma della reportatio da parte di semplici fedeli di discorsi rivolti loro dai ministri per la loro edificazione: interrogata, Peroneta detta ‘Bruna’ riferisce le prediche udite. Secondo queste, dopo l’Ascensione, gli apostoli si sarebbero divisi in due gruppi: uno maggioritario di otto che si sarebbe dato agli affari terreni e avrebbe adottato libri falsi, che infatti nessuno avrebbe capito; l’altro, minoritario, di quattro, avrebbe predicato efficacemente con i libri di Cristo, e per questo sarebbe stato espulso e perseguitato dagli ex compagni. I valdesi sarebbero i seguaci di questa minoranza costretta al segreto:
Quando Christus ascendit in celum, reliquit XII apostulos in mundo qui eius fidem predicarent. Quorum quatuor retinuerunt eius libros, alii vero octo iverunt ad faciendos ortos et cum aliis libris cantabant et nullus eos intelligebat. Alii autem quatuor cantabant in libris Christi et omnes ipsos intelligebant. Quod audientes illi octo fuerunt forciores et expulerunt illos IIII de ecclesia et, cum ipsi IIII ivissent iad plateam et ibi cantarent, alii octo fuerunt forciores et eiecierunt eos de platea. Et addebant Valdenses: «Nos tenemus viam illorum quatuor quibus remanserunt libri Christi. Sacerdotes vero et clerici secuntur viam aliorum octo, qui volebant tenere viam grossam»113.
La deposizione della donna «attesta un’autonomia di elaborazione sorprendente che non troverà più riscontro nella successiva documentazione», certamente influenzata dal clima di persecuzione114. Essa attesta però anche un periodo, tra gli ultimi decenni del XIII secolo e i primi del XIV, in cui, nonostante la prevalenza della versione ‘silvestrina’ sull’inizio del valdismo, possono ancora convivere interpretazioni parzialmente diverse e originali (pur nel comune riferimento alla ‘vera’ successione apostolica) come quella riferita da Anselmo da Alessandria su una caduta e separazione al termine del Pontificato di Clemente I, o questa, anteriore al 1335 (quindi poco precedente il Liber electorum) su un’origine direttamente apostolica, per quanto la sua indeterminatezza la faccia apparire piuttosto una spiegazione metastorica del presente.
Da questo momento però l’influenza delle leggende fissate nel Liber (forse anch’esso di origine alpina, essendo conservato anche nel dialetto locale) è assoluta e l’evoluzione consisterà, fermo lo snodo costantiniano, soltanto in ulteriori sviluppi leggendari della sua partizione cronologica. Nel 1373 (inquisitore Tommaso di Casasco) e poi nel 1387-1388 (inquisitore Antonio di Settimo) nella poco lontana valle del Lanzo la ‘caduta’ della Chiesa sarà attribuita a Silvestro, dopo il quale non vi sarebbe stato più alcun papa e la Chiesa, privata di autorità sarebbe divenuta «domus mendacii»115. Giacomo Ristolassio di Carmagnola, messo al rogo a Chieri nel 1395, ‘regolarmente’ ripete la leggenda di Silvestro, compreso il riferimento al veleno («posuit venenum in ecclesia Dei, scilicet recipiendo quod sibi dedit Constantinus», dando origine alla ecclesia malignancium), contrapponendo a lui, «diabolus in ecclesia Dei» il pur posteriore Gregorio Magno, e venando il tutto di accenti escatologici (ma la sentenza mostra segni di sincretismo ereticale: dubbi sui sacramenti, a partire dall’eucarestia, identificazione di Silvestro con un diavolo e dannazione di san Pietro Martire, ucciso dai catari)116.
La fissazione della ‘storia’ valdese del Liber electorum nei piccoli libri usati dai predicatori itineranti ne facilita la ricezione anche da parte dei semplici fedeli, pur se in maniera imprecisa e talora vaga: i valdesi tedeschi di Zwickau attorno al 1462 si rifanno a tale schema pur con varie distorsioni dovute alla ricezione e alla trasmissione orale117. Nei processi successivi alla ‘crociata’ del 1487-1488 contro i valdesi del Delfinato, gli inquisitori riportano la dichiarazione di Antoine Blazy di Agrogna, il quale afferma di aver sentito da una nonna che la Chiesa avrebbe perso ogni potere spirituale «a partire da un certo papa di cui ora ignora il nome»118. Nel 1494 Peyronette de Beauregard (diocesi di Valence) ricorda agli inquisitori prediche di 25 anni prima (dunque del 1470 circa) in cui si affermava che in origine cattolici e valdesi erano «eiusdem legis et ordinis» e si erano poi separati per l’avarizia dei primi e la fedeltà alla povertà dei secondi, passati al nascondimento come Cristo e gli apostoli119.
L’idea di un origine costantiniana del valdismo, consolidata fino agli inizi del XVI, presenta però varianti significative che accentuano l’‘apostolicità’ del movimento. All’inizio del XV secolo il Pietro Waldensis del Liber in area germanofona è addirittura identificato dal cronista bernese Konrad Junstiger (1420 circa, ma probabilmente in riferimento a un processo del 1399) con il socius di Silvestro fedele alla povertà apostolica: il presunto fondatore (l’anonimo socius di Silvestro) e il restauratore Pietro Waldensis sono fusi in un’unica persona. Non c’è più la ‘restaurazione’ del XII secolo; il valdismo nasce direttamente nel IV secolo120. In un ambito e in un’epoca del tutto diversi, all’inizio del secolo XVI, anche i valdesi di Paesana in Piemonte ritenevano (secondo fonti inquisitoriali) che il loro fondatore fosse il suddetto compagno di Silvestro, ma chiamato ora Leone (una storpiatura di Lione): il nome ‘Valdo’ sparisce anche come toponimo riferito a Pietro:
Dicunt suprascriptam sectam habuisse originem a quodam sancto viro vocato Leone tempore Constantii (sic) imperatoris, qui Leo, spretis honoribus et dignitatibus huius seculi, elegit sibi vitam apostolicam et paupertatem; Silvester vero eius socius dignitates elegit, et sic dicta ecclesia in dicto Leone et eius sequacibus mansit121.
Dopo una visita nelle valli piemontesi del Pellice e del Chisone, il vescovo di Torino Claudio di Seyssel attorno al 1520 contestava ai valdesi la falsità della leggenda dell’origine ‘costantiniana’ arricchita proprio da tale variante per cui Pietro era divenuto il Leone di epoca silvestrina (forse però solo sulla base di scritti come quello sopra citato): per il dotto prelato il fondatore del movimento era Valdo, un semplice cittadino di Lione, nonostante «nonnulli huius heresis assertores, ad blandiendum apud vulgares et historiarum ignaros favorem, hanc eorum sectam Constantini magni temporibus a Leone quondam viro religiosissimo initium sumpsisse fabulantur»122.
Nella letteratura valdese delle Alpi Cozie, sopravvissuta in una serie di manoscritti dei primi decenni del XVI secolo, cenni alle origini silvestrine del movimento si trovano nel poema Nobla Leyczon, secondo cui dopo Silvestro la Chiesa ha perso il potere di assolvere dai peccati, e in un manoscritto che raccoglie testi hussiti, tra cui uno di Luca di Praga: pur ricordando la critica filologica alla donazione di Lorenzo Valla, si insiste a sostenere che con l’accettazione del potere temporale la Chiesa ha rinnegato Cristo123. Luca di Praga sembra l’autore anche di alcuni degli scritti, tradotti in lingua occitanica, contro cui polemizza il francescano Samuele di Cassine, tra i quali compare il mito delle origini ‘silvestrine’124.
La leggenda della caduta silvestrina è infatti assai presente nell’hussitismo, che a sua volta arricchisce la letteratura valdese del XV-XVI secolo. Nella fase decisiva dell’elaborazione dottrinale hussita, nel secondo decennio del XV secolo, lo ‘spartiacque costantiniano’, ovviamente privo delle leggende valdesi, era già divenuto un topos, ad esempio nel teologo Jacobello di Stříbro, o nel principale esponente della scuola praghese della Rosa Nera, il canonista Nicola da Dresda, o ancora nel predicatore radicale Jan Želivský, che durante il suo ciclo di prediche nel 1419 avvia praticamente la rivoluzione boema a Praga. Per costui la Chiesa costantiniana è la Chiesa dell’anticristo; la visione storica diviene una visione escatologica, in cui con l’avvento della ecclesia moderna al tempo di Costantino si materializza l’annunciata venuta dell’anticristo. È ovvio dunque per lui che i moderni prelati, «nobilitati dal dominio costantiniano, dallo spoglio dei poveri, dall’eresia simoniaca» non osino più predicare il regno di Cristo, ma magnifichino quello dell’anticristo125. Da questo punto, per tutto il XV secolo e oltre, il rifiuto della svolta costantiniana caratterizza il taborismo, che recepisce anche le ‘leggende’ di origine valdese. In particolare il taborita Peter Chelčický (tra molti) riprende la leggenda silvestrina nella sua versione ‘estrema’ (quella riferita dalla citata cronaca di Konrad Junstiger), ossia con la ‘novità’ che Pietro ‘il Valdese’ fosse il compagno di Silvestro che aveva rifiutato la donazione e per questo fosse stato costretto a vivere in grotte e foreste126. Lo stesso scrivono i Fratelli dell’Unità cechi nella loro confessione di fede nel 1468: i cristiani furono fedeli al vangelo per tre secoli, fino a Costantino, e lo stesso ‘vescovo’ Silvestro viveva povero, nascosto e perseguitato dal potere imperiale, finché il sovrano lo fece cercare assieme al suo compagno Pietro per ottenere la guarigione; contro la volontà di Pietro (la trasfigurazione di Valdesio), si fece ingannare dal diavolo e ricevette Costantino nella fede, con quello che ne conseguì127. Friedrich Reiser, ministro itinerante valdese, che si avvicina al taborismo, davanti all’inquisizione di Strasburgo nel 1458 si dichiarerà «Fridericus, Dei gratia episcopus fidelium in romana ecclesia donationem Constantini spernentium»128. Ma tale rifiuto caratterizza nel suo complesso la riforma boema, la quale tuttavia, proprio perché si tratta di un fenomeno vastissimo e complesso, che trascende la semplice nozione di ‘eresia’, non può trovare posto in questa sede se non in quanto influente sul tardo valdismo129.
Nella sua fase estrema, ovvero negli anni dell’avvicinamento alla Riforma, sanzionato dal sinodo di Chanforan del 1532, il valdismo medievale abbandona progressivamente la leggenda silvestrina. Nell’ottobre 1530 i barba, ovvero predicatori itineranti, Georges Morel e Pierre Masson scrivono a Ecolampadio presentando il proprio movimento dichiarandosi doctores di un piccolo popolo perseguitato da quattrocento anni (ossia dall’XI secolo), e legano la leggenda di una continuità dai tempi apostolici soltanto a una tradizione orale: «doctores cuiusdam plebis indigae e pusillae, quae iam plus quam quadrigentis annis, imo, ut frequenter nostrates narrant, a tempore apostolorum […] inter spinas seavissimas commorata est»130. Nei protocolli sinodali spariranno anche i cenni alle ‘mitiche’ origini valdesi, e tuttavia Mattia Flacio Illirico nel suo Catalogus testium veritates del 1556 fisserà nella storiografia protestante l’immagine dei valdesi fondati da ‘Pietro Valdo’: quando «con la Riforma, del passato valdese si perpetua, o, forse meglio, nasce la memoria storico-ideologica»131, nel ‘falso storico’ di quel doppio nome rimarrà una debole ma duratura traccia del percorso qui presentato.
1 Sull’idea della decadenza della Chiesa nel Medioevo è di particolare sistematicità W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia». Studien zur Verfallsidee in der Kirchengeschichtsanschauung des Mittelalters, Mainz 2006, su cui cfr. l’articolata recensione di J. Miethke: http://hsozkult.geschichte.hu-berlin.de/rezensionen/2007-2-141 (10 dic. 2012); sulla costruzione del proprio passato da parte degli ‘eretici’ (prevalentemente valdesi), in contrapposizione alla Chiesa ‘silvestrina/costantiniana’, G. Gonnet, La Donazione di Costantino presso gli eretici medioevali, in Bollettino della Società di studi valdesi, 93 (1972), pp. 17-29; Id., Il problema della Donazione di Costantino nell’ecclesiologia dei movimenti ereticali del basso medioevo, in Protestantesimo, 30 (1975), pp. 193-212; A. Molnár, A Challenge to Constantinianism: The Waldensian Theology in Middle Ages, Geneva 1977; P. Segl, Geschichtsdenken und Geschichtsbewußtsein hochmittelalterlicher Ketzergruppen, in Hochmittelalterliches Geschichtsbewusstsein im Spiegel nichthistoriographischer Quellen, hrsg. von H.-W. Goetz, Berlin 1998, pp. 131-141; P. Biller, Medieval Waldensians’ Construction of the Past, in Id., The Waldenses 1170-1530. Between a Religious Order and a Church, Aldershot 2001, pp. 191-206 (già in Proceedings of the Huguenot Society of Great Britain and Ireland, 25 [1989-95]); A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten der Waldenser in den Cottischen Alpen vor und nach der Reformation, in Reformer als Ketzer. Heterodoxe Bewegungen von Vorreformatoren, hrsg. von G. Frank, F. Niewöhner, unter Mitarbeit von S. Lalla, Stuttgart-Bad Cannstatt 2004, pp. 293-320.
2 Cfr. A. Molnár, Elementi ecclesiologici della Prima Riforma, in Protestantesimo, 19 (1964), pp. 65-77, in partic. 65-67. Del tutto da rigettare è però la categoria di ‘prima riforma’ riferita ai movimenti ereticali medievali, che presuppone una riflessione a partire dagli esiti, costituiti dall’adesione del valdismo alpino alla Riforma nel quarto decennio del XVI secolo e una inesistente e ideologica continuità (continuità che comunque lo studioso boemo non postula, riportandola piuttosto a quella tra valdesi e hussiti radicali). Per una riflessione metodologicamente più aggiornata, anche riguardo alla storiografia G.G. Merlo, Valdesi e valdismi medievali, I, Itinerari e proposte di ricerca, Torino 1984, in partic. pp. 9-25; II, Identità valdesi nella storia e nella storiografia, Torino 1991, in partic. pp. 11-68; Id., Itinerari storiografici sull’ultimo decennio, in Valdesi medievali. Bilanci e prospettive di ricerca, a cura di M. Benedetti, Torino 2009, pp. 11-21.
3 Cfr. P. Segl, Spätmittelalterliche Volksfrömmigkeit im Spiegel von Antiketzertraktaten und Inquisitionsakten des 13. und 14. Jahrhunderts, in Volksreligion im hohen und späten Mittelalter, hrsg. von P. Dinzelbacher, D.R. Bauer, Paderborn-München-Wien et al. 1990, pp. 163-176.
4 Più in generale afferma G.G. Merlo, Eretici e inquisitori nella società piemontese del Trecento, Torino 1977, p. 41: «Gli eretici subalpini non sono né filosofi né teologi di professione: sono semplicemente degli uomini, tra cui anche “intellettuali” […] che cercano di dare una risposta non conformista ai grandi problemi dell’esistenza, assimilando quelle idee che consentivano loro un’esperienza religiosa più “autentica” e, non raramente, di esprimere così un’alternativa ai modelli “di salvezza” imposti o mediati dalla chiesa cattolica»; pp. 52-53: «La sfida degli eretici alla chiesa cattolica non si colloca a livello dottrinale […] La riflessione teorica e teologica […] rimane marginale. Non le audacie speculative né la sistematicità dottrinale gli eterodossi cercavano, quanto l’adesione […] all’Evangelo e alla vita di Cristo, denunciando il tradimento che dell’uno e dell’altra era stato perpetrato dalla chiesa. […Ciò] si unisce a una critica dura […] dei vari aspetti della pietà ortodossa»; p. 57: «Quando gli illetterati si impadroniscono o aderiscono all’eresia, partecipano anch’essi di un fatto vivacemente intellettuale»; p. 62: «Forse è meglio allora […] caratterizzare l’eresia […] come religiosità critica piuttosto che come “religione popolare”».
5 Su tali critiche, soprattutto a partire da Accursio (circa 1220), ovvero da quando per converso i canonisti iniziarono a interpretare la donatio in senso politico e ierocratico, D. Maffei, La Donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, pp. 65-74, 105-132; M. Conetti, L’origine del potere legittimo. Spunti polemici contro la Donazione di Costantino da Graziano a Lorenzo Valla, Parma 2004, pp. 33-97; più in generale J. Miethke, Die ‘Konstantinische Schenkung’ in der mittelalterlichen Diskussion. Ausgewählte Kapitel einer verschlungenen Rezeptiongeschichte, in Konstantin der Große. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln 2009, pp. 35-108; questo saggio, pp. 104-105, e Id., Costantino e il potere papale post-gregoriano, dello stesso volume, contengono i riferimenti bibliografici ai numerosi lavori dello studioso tedesco sul tema.
6 Bernardus Claravallensis, De consideratione ad Eugenium papam, in Sancti Bernardi Opera, ed. H. Leclercq, C.H. Talbot, H. Rochais, III, Romae 1963, pp. 393-493, e in Bernard von Clairvaux, Sämtliche Werke latein/deutsch, hrsg. von G.B. Winkler, I, Innsbruck 1990, pp. 611-841. Cfr. R. Rieger, De consideratione (Bernhard von Clairvaux), in Lexikon der theologischen Werke, hrsg. von M. Eckert, E. Herms, B.J. Hilberath et al., Stuttgart 2003, p. 151; E. Kennan, The ‘De consideratione’ of St. Bernard of Clairvaux and the Papacy in the Mid-Twelfth Century. A Review of Scholarship, in Traditio, 23 (1967), pp. 73-115. Su Eugenio III W. Maleczek, Eugen III., in Lexicon des Mittelalters, IV, pp. 78-80; E. Paratore, Il papa di s. Bernardo: Eugenio III, in Fatti e figure del Lazio medioevale, Roma 1981, pp. 295-304; M. Horn, Studien zur Geschichte Papst Eugens III., 1145-1153, Frankfurt a.M. 1992; T. Schmidt, Eugen III., in Religion in Geschichte und Gegenwart, II, 1999, pp. 1653-54; H. Zimmermann, Eugenio III, in Enciclopedia dei Papi, II, Roma 2000, pp. 279-285;
7 Ancora esemplare A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Roma 1954; J. Strothmann, Arnold von Brescia. Christentum als soziale Religion, in Theologie und Glaube, 87 (1997), pp. 55-80. Cfr. R. Manselli, Arnold von Brescia, in Theologische Realenzyklpädie, IV, 1979, pp. 129-133; Id., Arnold von Brescia, in Lexicon des Mittelalters, I, pp. 1005-1006; R. Rieger, Arnold von Brescia, in, Religion in Geschichte und Gegenwart, I, 1998, p. 793.
8 PL 189, cc. 1302-1304, 1421-1424: la lettera indirizzata da Roma a Federico I nel 1152 accusa il clero di apostasia ed eresia e nega la possibilità per il papa di richiamarsi alla donazione, quale cessione simoniaca di beni imperiali, in quanto sarebbe un’eretica menzogna («Mendacium vero illud et fabula heretica, in qua refertur Constantinum Silvestro imperialia symoniace concessisse, in Urbe ita detecta est, ut eciam mercennarii et muliercule quoslibet etiam doctissimos super hoc concludant et dictus apostolicus cum suis cardinalibus in civitate pre pudore apparere non audeat»); cfr. A. Frugoni, Arnaldo, cit., pp. 72-76; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 85-91.
9 G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 1989, pp. 33-38 (la citazione a p. 37).
10 Bernardus Claravallensis, De consideratione, 1,15, in Id., Sämtliche Werke, cit., I, p. 638; cfr. G.B. Winkler, Kirchenkritik bei Bernhard von Clairvaux, in Theologisch-praktische Quartalschrift, 126 (1978), pp. 326-335. Sul problema della povertà K. Bosl, Armut Christi. Ideal der Mönche und Ketzer. Ideologie der aufsteigenden Geselschaftsschicten vom 11. bis zum 13 Jahrhundert, München 1981.
11 Bernardus Claravallensis, De consideratione, cit., I, p. 656: «Tempora periculosa non istant iam, sed extant». La connessione tra corruzione della curia romana e l’avvicinamento all’evangelica ‘ultima parte del giorno’, si trova un decennio più tardi nel trattato De investigatione antichristi di Gerhoh di Reichersberg (morto nel 1169), hrsg. von E. Sackur, in MGH LL, III, Hannover 1897, pp. 304-395. Sulla posizione di Gerhoh, il quale tuttavia apprezza gli onori tributati da Costantino a Silvestro, G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung in der abendländischen Literatur des Mittelalters bis zur Mitte des 14. Jhs., Berlin 1926 (rist. Vaduz 1965), pp. 50-54; infatti nel De quarta viglia noctis (1167) di Gerhoh la prima vigilia è il tempo delle persecuzioni sotto l’Impero romano da parte di un antichristus cruens, e termina con la pace instaurata da Costantino: R. Rusconi, Profezie e profeti alla fine del medioevo, Roma 1999, pp. 56, 103.
12 Bernardus Claravallensis, Ep. 238, in Id., Sämtliche Werke, cit., I, p. 276: «Quis mihi det, antequam moriar, videre ecclesiam Dei sicut in diebus antiquis?», le citazioni da W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 83.
13 Ivi, I, p. 654.
14 Ivi, I, p. 746: «Petrus hic est qui nescitur procesisse aliquando vel gemmis ornatus, vel sericis, non tectus auro, non vectus equo albo nec stipatus milite nec circumstrepentibus septus ministris. Absque his tamen credidit satis posse impleri salutare mandatum: “Si amas me, pasce oves meas” (Jo 21,15). In his sucessisti non Petro, sed Constantino».
15 Ibidem: «toleranda pro tempore, non affectanda pro debito. […] Etsi purpuratus, etsi deauratus icedens, non est tamen quod horreas operam curamve pastoralem».
16 Su questi aspetti B. Jacqueline, Bernard, le pape et les Romains d’après le ‘De consideratione ad Eugenium papam’ de saint Bernard de Clairvaux, in L’Année Canonique, 17 (1973), pp. 603-614; G.B. Winkler, Kirchenkritik bei Bernhard von Clairvaux, in Theologisch-praktische Quartalschrift, 126 (1978), pp. 326-335.
17 W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 74-75.
18 Ivi, pp. 75-76: in particolare Wildo di Osnabrück, Ottone di Frisinga, e, all’inizio del secolo seguente, l’anonima Cronica Sassone, in tedesco, (circa 1229) la quale riporta un duro sermone dello stesso tenore (probabilmente una predica sinodale rivolta a vescovi e parroci) che cita esplicitamente Eusebio di Cesarea.
19 Placido di Nonantola, Liber de honore ecclesie, hrsg. von L. von Hermann, E. Sackur, in MGH LL, Hannover 1892, pp. 566-639, qui 614; cfr. D. Maffei, La Donazione, cit., p. 26; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 77; sul personaggio G.M. Cantarella, Placidus von Nonantola, in Lexicon des Mittalalters, VI, pp. 216-217; J. Lehn, Placidus von Nonantola, in Biographisch-bibliographische Kirchenlexikon, VII, pp. 701-704.
20 G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung, cit., pp. 172-175; W. Kaegi, Vom Nachleben Constantins, in Schweizerische Zeitschrift für Geschichte, 8 (1958), pp. 289-326, in partic. 310 segg. Il testo della donazione in Constitutum Constantini, ed. H. Fuhrmann, Hannover 1968.
21 PL 185, col. 386. Cfr. W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 79. Gregorio VII (prima del papato) aveva affermato che sotto Ludovico il Pio l’intromissione del potere civile aveva provocato la decadenza della vita religiosa, il che si era però accresciuto al tempo degli imperatori tedeschi: G. Miccoli, Chiesa Gregoriana. Ricerche sulla riforma del secolo XI, Firenze 1966, pp. 225-299, in partic. 245; G. Olsen, The Idea of the Ecclesia Primitiva in the Writings of the Twelfth-Century Canonists, in Traditio, 25 (1969), pp. 61-86, in partic. 62.
22 Giraldus Cambrensis, Gemma ecclesiastica, in Id., Opera, ed. S. Brewer, J.F. Dimock, G.F. Warner, I-VIII, London 1861-1891 (rist. ibidem 1964-66), II, p. 360 (cap. De prelatorum eminentia). Cfr. G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung, cit., p. 72.
23 Un esame delle posizioni di Giraldo (e di Gerhoh) in merito a Silvestro e Costantino in G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung, cit., pp. 51-73; sui personaggi M. Richter, Giraldus Cambrensis, in LMA, cit., IV, pp.1459-60; E. Meuthen, Gerho(c)h von Reichersberg, ivi, pp. 1320-21.
24 Giraldus Cambrensis, De invectionibus, in Id., Opera, cit., I, p. 192; Id., Speculum ecclesiae, ivi, IV, p. 350 (le due opere riprendono alla lettera il passo della Gemma ecclesiastica); Id., De principis instructione, ivi, VIII, pp. 87-88: «Sic itaque primum ecclesia regalibus munificentiis dotari cepit et ditari, plus inde secularis adepta sollicitudinis et subiectionis quam spiritualis beatitudinis vel tranquille devotionis […]. Proinde et antiquus hostis, facta largitione predicta, sic in audientia publica legitur vocaliter pronunciasse “Hodie ecclesie venenum infudi”. Unde Jeronimus in Vitis patrum “Ecclesia ex quo crevit possessionibus, decrevit virtutibus”». Cfr. W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 78.
25 Walther von der Vogelweide, Leich, Lieder, Sangsprüche, hrsg. von Ch. Cormeau, Berlin-New York 1996, p. 46.
26 Per il Premonstratense (noto anche come autore di favole), su questo punto debitore di Pietro Cantore, H. Riedlinger, Die Makellosigkeit der Kirche in den lateinischen Hoheliedkommentaren des Mittelalters, Münster 1958, p. 258; cfr. J. Longèere, Odo de Cheriton, in Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, 11 (1982), pp. 618-620; H. Riendlinger, Odo von Cheriton, in Lexicon des Mittelalters, VI, pp. 1358-1359.
27 Johannes Parisiensis, De potestate regia et papali, ed. in M. Goldast, Monarchia S. Romani imperii, II, Frankfurt a.M. 1614 (rist. Graz 1960), pp. 108-147, qui p. 140: «Legitur in vita b. Sylvestri pape quod in donatione illa audita est vox angelorum dicentium in aere: Hodie in ecclesia venenum effusus est». Cfr. G. Laehr, Die Konstantinische Schenkung, cit., pp. 120-123, in partic. 122 (sulle altre prese di posizioni al tempo del conflitto tra Filippo IV e Bonifacio VIII, pp. 117-120); D. Maffei, La Donazione, cit., pp. 130-132; M. Conetti, L’origine del potere, cit., pp. 63-85. L’insistenza sul «legitur» in Geraldo e poi in Quidort, con l’espresso riferimento a una ‘vita’ di Silvestro, induce a ipotizzare l’esistenza di un simile testo o almeno l’interpolazione di uno che non conteneva l’episodio. Nella stessa opera, Quidort lancia ai valdesi l’accusa, che sarà raccolta un secolo dopo, nel 1416, da Pierre d’Ailly, Tractatus de ecclesiastica potestate, ed. L. Dupin, in Gersonii pera omnia, Antverpiae 1706, II, p. 926, secondo cui essi contestavano alla gerarchia il diritto di possedere beni e riconducevano alla donazione di Costantino la decadenza della Chiesa, di cui essi si dicevano restauratori: F. Oakley, The Political Thought of Pierre d’Ailly, London-New Haven 1964, p. 241; J. Gonnet, A. Molnár, Le vaudois au moyen âge, Torino 1974, pp. 215-216.
28 Johann von Winterthur, Cronik, hrsg. von F. Baethgen, in MGH SS rer. Ger., III, Berlin 19552, p. 226: «Congrue vox divina in dotacione larga et pingwi largicione terrarum Silvestro pape et suis successoribus ab imperatore Constantino noviter baptizato ac ad fidem Christi converso facta dicere poterat, ut legitur, “Hodie per mundum venenum diffusum est”. Quod hodierna die luce clarius cernimus […]. Proprie venenum ecclesie infusum a voce memorata dicitur, quia illa liberalis dacio et munifica erogacio Constantini regis Romanorum summo pontifici exhibita fomes et occasio, quamquam bono zelo fecerit, scismatis prelibati, contencionum […] extitit».
29 Ranulphus Higden (o di Hygeden/Higidensis o ancora di Chester/Cestrensis dal monastero di Santa Warburga di Chester), Polycronicon Ranulphi Higden monachi Cestrensis. Together with the English translations of John Trevisa and of an unknown writer of the fifteenth century, ed. C. Babington, J.R. Lumby (Rerum Britannicarum medi aevi scriptores, XLI), I-IX, London 1865-1886, V, p. 130. Cfr. W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 79-80.
30 E. Benz, Joachim-Studien. I. Die Kategorien der religiösen Geschichtsdeutung Joachims, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 50 (1931), pp. 24-111; P. De Leo, L’età costantiniana negli scritti di Gioacchino, in Id., Gioacchino da Fiore. Aspetti inediti della vita e delle opere, Soveria Mannelli 1988, pp. 25-50; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 265-277, 320-324, con la bibliografia relativa.
31 In generale R. Manselli, L’attesa dell’età nuova e il gioachimismo, in L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo, Todi 1962, pp. 145-170; Id., I problemi ecclesiologici nella seconda metà del Duecento, in VII centenario del 1° conclave (1268-1271), Atti del convegno di studio, Viterbo 1975, pp. 133-150.
32 W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 277-312. Non diversa la visione della storia ecclesiastica di ispirazione gioachimita del laico Arnaldo de Villanova, che pur esaltando la Chiesa apostolica, non ha parole di condanna per Costantino e la dotazione della Chiesa (tuttavia egli insiste, più che sul ruolo di Francesco e dei suoi seguaci, su quello di un papa santo): ibidem, pp. 313-316. Cfr. E. Benz, Ecclesia spiritualis. Kirchenidee und Geschichtstheologie der franziskanischen Reformation, Stuttgart 1934; M.E. Reeves, The Influence of Prophecy in the Later Middle Ages. A Study in Joachimism, Oxford 1969, passim. Sugli ‘spirituali’: Spirituali e Fraticelli dell’Italia centro-orientale, Atti del VI Convegno di studi (Sarnano 3-4 giugno 1974), in Picenum Seraphicum, 2 (1974), pp. 7-404; Chi erano gli Spirituali? Atti del III Convegno della Società internazionale di studi francescani (Assisi 16-18 ottobre 1975), Assisi 1976; D. Burr, The Spiritual Franciscans. From Protest to Persecution in the Century after Saint Francis, University Park (PA) 2001 (cfr. M.F. Cusato in Oliviana, 1 [2003]: http://oliviana.revues.org); G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo medievale sino agli inizi del secolo XVI, Milano 2003, pp. 232-265. Sulla Lectura: R. Manselli, La ‘Lectura super Apocalipsim’ di Pietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull’escatologismo medievale, Roma 1955. Su Olivi D. Burr, Olivi and Franciscan Poverty. The Origins of the Usus Pauper Controversy, Philadelphia 1989 (trad. it. Olivi e la povertà francescana. Le origini della controversia sull’usus pauper, Milano 1992); Id., Olivi’s Peaceable Kingdom. A Reading of the Apocalypse Commentary, Philadelphia 1993; E. Pásztor, L’escatologia gioachimita nel francescanesimo. Pietro di Giovanni Olivi, in L’attesa della fine dei tempi nel medioevo, a cura di O. Capitani, J. Miethke, Bologna 1990, pp. 169-193 (ma si veda l’intero volume). Su Ubertino F. Callaey, L’idéalisme franciscain spirituel au XIVe siècle. Étude sur Ubertin de Casale, Louvain 1911; C.T. Davis, Le pape Jean XXII et les Spirituels. Ubertin de Casale, in Franciscains d’Oc. Les Spirituels ca. 1280-1324, Toulose 1975, pp. 263-283; G.L. Potestà, Storia ed escatologia in Ubertino da Casale, Milano 1980; Id., Ubertin de Casale, in Dictionnaire de spiritualité, XVI, Paris 1994, cc. 3-5; C.M. Martínez Ruiz, De la dramatización de los acontecimientos de la Pascua a la Cristología. El cuarto libro del Arbor vitae crucifixae Iesu de Ubertino de Casale, Roma 2000; un’integrazione in A. Cadili, Ubertino da Casale dopo il 1325. Un possibile itinerario, in Franciscan Studies, 69 (2011), pp. 257-283.
33 F. Ehrle, Die Spiritualen, ihr Verhältnis zur Franziskanenorden und zu den Fraticellen, in Archiv für Literatur und Kirchengeschichte, 1 (1885), pp. 509-569; ivi, 2, (1886), pp. 108-164, 249-336; ivi, 3 (1887), pp. 553-623; ivi, 4 (1888), pp. 1-190: qui IV, p. 13; cfr. C. Schmitt, Fraticelles, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique, XVIII, Paris 1967, cc. 1063-1118; Id., Fraticelli, in Dizionario degli istituti di perfezione, IV, Roma, 1976, cc. 807-82; D. Burr, The Spiritual Franciscans. From Protest to Persecution in the Century after Saint Francis, University Park 2001; G.L. Potestà, Angelo Clareno. Dai poveri eremiti ai fraticelli, Roma 1990; Angelo Clareno francescano, Atti del XXIX Convegno internazionale della Società internazionale di studi francescani (Assisi 5-7 ottobre 2006), Spoleto 2007.
34 G.G. Merlo, Il problema di fra Dolcino negli ultimi vent’anni, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 72 (1974), pp. 701-708; R. Orioli, L’eresia dolciniana (= L’eresia a Bologna fra XIII e XIV secolo, I), Roma 1975; G.G. Merlo, Fra Dolcino e i processi di rivolta contadina, in La crisi del sistema feudale, Milano 1982, pp. 281-299; Id., Eretici ed eresie, cit., pp. 99-105, 119-128; R. Orioli, Venit perfidus heresiarca. Il movimento apostolico-dolciniano dal 1260 al 1307, Roma 1988; M. Benedetti, Frate Dolcino da Novara: un’avventura religiosa e documentaria, in Inquisizioni (= Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e filosofia, serie 5, 1999, 1/2), pp. 339-362.
35 ‘Historia fratris Dulcini heresiarche’ di Anonimo sincrono e ‘De secta illorum qui se dicunt esse de ordine apostolorum’ di Bernardo Gui, a cura di A. Segarizzi, Città di Castello 1907, p. 53: cfr. G. Töpfer, Das kommende Reich des Friedens. Zur Entwicklung chiliastischer Zukunftshoffnungen im Hochmittelalter, Berlin 1964, pp. 291-292; R. Orioli, Venit perfidus heresiarca, cit., pp. 119, 153 (su Gerardo Segarelli pp. 17-85); G. Zanella, Hereticalia, Temi e discussioni, Spoleto 1995, pp. 216-217.
36 Nella sentenza, in B. Gui, De secta illorum qui se dicunt esse de ordine apostolorum, in Historia fratris Dulcini, cit., p. 54 (poi in B. Gui, Manuel del’inquisiteur, éd. par G. Mollat, I-II, Paris 1927, pp. 66-121): «Quod ecclesia Romana perdidit suam perfectionem quando sanctus Silvester accepit temporalia bona a Constantino imperatore et quod ecclesia Christi a tempore apostolorum usque ad tempus sancti Silvestri fuit in statu perfectionis, sed a tempore sancti Silvestri citra perdidit perfectionem predictam. Item quod ipse Zacharias et alii consimiles […] sunt in maiori perfectione quam fuerint sanctus Gregorius papa, sanctus Augustinus episcopus et alii sancti, quia habuerunt temporalia. […] [Ipse] tenet dictum status perfectionis quem habuit et tenuit ecclesia primitiva».
37 Ivi, p. 24.
38 Ibidem.
39 Ivi, p. 36 (testimonianza di Pietro Viviani, apostolico galiziano di Lugo, cfr. R. Orioli, Venit perfidus heresiarca, cit., pp. 291-292).
40 G.G. Merlo, Eretici ed eresie, cit., pp. 119-124.
41 B. Gui, De secta, cit., p. 20; cfr. R. Orioli, L’eresia dolciniana, pp. 13-14; Id., Venit perfidus heresiarca, cit., pp. 119-122.
42 In ‘Historia fratris Dulcini, cit., p. 59; cfr. R. Orioli, Venit perfidus heresiarca, cit., pp. 153; Id., L’eresia dolciniana, cit., pp. 29-39, 87-88 (testimonianza di Biagio di Giovanni da Mongiorgio che riferisce le opinioni dei dolciniani, in particolare di Zaccaria), 127 (testimonianza del prete Gerardino, rettore di San Giovanni in monte Marvo: di nuovo è ripetuto lo schema dolciniano, su Silvestro: «tempore sancti Silvestri fuit bona, casta, dives et honorata»); G. Zanella, Hereticalia, cit., pp. 217-218; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 333-336.
43 M. Barbi, Il veltro, il DXV e il gioachimismo francescano, in Studi danteschi, 18 (1934), pp. 209-211, poi in Id., Con Dante e coi suoi interpreti, Firenze 1941, pp. 299-303; B. Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari 19852 (1a ed. Bari 1942), pp. 272-275; Id., La ‘Donatio Constantini’ e Dante, in Nel mondo di Dante, Roma 1944, pp. 109-159; R. Manselli, Dante e l’‘ecclesia spiritualis’, in Dante e Roma (Roma 8-10 aprile 1965), Firenze 1965, pp. 115-135, poi in Id., Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo. Studi sul francescanesimo spirituale, sull’ecclesiologia e sull’escatologismo bassomedievali, a cura di P. Vian, Roma 1997, pp. 55-78; E. Petrucci, Costantino, in Enciclopedia dantesca, II, 1970, pp. 236-239; P.G. Ricci, Donazione di Costantino, ivi, pp. 569-570; R. Manselli, A proposito del cristianesimo di Dante. Gioacchino da Fiore, gioachimismo, spiritualismo francescano, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma 1975, II, pp. 163-192, poi in Id., Da Gioacchino da Fiore, cit., pp. 317-344; Id., Dante e gli spirituali francescani, in Letture classensi, 11, Roma 1982, pp. 47-61, poi ivi, pp. 627-640; C. Vasoli, Filosofia e teologia di Dante, in Dante nella critica d’oggi. Risultati e prospettive, a cura di U. Bosco, Firenze 1965, pp. 47-71; G. Petrocchi, Gli influssi della spiritualità duecentesca, ivi, pp. 87-93; G. Gonnet, La Donazione di Costantino in Dante e presso gli eretici medievali, in Dante nel pensiero e nella esegesi dei secoli XIV e XV, Firenze 1974, pp. 237-259, poi in Id., Il grano e le zizzanie. Tra eresia e riforma (secoli XII-XVI), 3 voll., Soveria Mannelli 1989, I, pp. 91-121, sulle influenze del francescanesimo spirituale in partic. 109-112.
44 G. Gonnet, La Donazione di Costantino presso gli eretici, cit., p. 22; Id., La Donazione di Costantino in Dante, cit., pp. 103-104, in riferimento a Dante, De monarchia, III, X, 4-6 e 14-17; II, XII, 8; XI, 2.
45 Purg. XIX, 13-154; XXXII, 13-63, 109-160; XXXIII, 34-63; cfr. M. Barbi, Con Dante, cit., pp. 58-70; B. Nardi, La ‘Donatio Constantini’, cit., pp. 150-157; G. Töpfer, Das kommende Reich, cit., pp. 197-198.
46 A. Molnár, Cola di Rienzo, Petrarca e le origini della riforma hussita, in Protestantesimo, 19 (1964), pp. 214-223, in partic. 216-219
47 P. Segl, Geschichtsdenken, cit., pp. 132-136; cfr. A. Borst, Die Katharer, Stuttgart 1953; R. Manselli, L’eresia del male, Napoli 1963; Cathares en Languedoc, Toulouse 1968; J. Duvernoy, Le catharisme: I, La religion des cathares, II, L’histoire des cathares, Toulouse 1986-19892; G. Rottenwöhrer, Der Katarismus, I-IV, Bad Honnef 1982-1993; M.D. Lambert, I catari, Milano 2001.
48 G. Schmitz-Valckenberg, Grundlehren katharischer Sekten des 13. Jahrhunderts. Eine theologische Untersuchung mit besonderer Berücksichtigung von ‘Adversus catharos et valdenses’ des Moneta von Cremona, München-Paderborn-Wien 1971, p. 50; D. Müller, Albigenser – Die wahre Kirche Eine Untersuchung zum Kirchenverständnis der ‘ecclesia Dei’, Gebrunn 1986; Cfr. anche la testimonianza del 1301 di un anonimo cataro davanti all’inquisizione di Carcassonne, in R. Manselli, Per la storia della fede albigese nel secolo XIV. Quattro documenti dell’inquisizione di Carcassonna, in Studi sul medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen, Roma 1974, pp. 499-518, qui p. 515, documento 2: «Dixit quod ipsi heretici dicebant quod ipsi et socii eorum heretici erant boni homines et sancti et ecclesia malignantium, videlicet romana, prosequebatur eos iniuste».
49 P. Segl, Geschichtsdenken, cit., pp. 136-137.
50 A. Borst, Die Katharer, cit., pp. 213-214.
51 R. Manselli, L’eresia del male, cit., p. 85; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 131-133.
52 Liber de duobus principiis, ed. A. Dondaine in Id., Un traité néo-manichéen du XIIIe siècle. Le liber de duobus principiis suivi d’un fragment de rituel cathare, Roma 1939, pp. 159-162, la citazione a p. 162.
53 A. Borst, Die Katharer, cit., pp. 215-222; cfr. R. Manselli, Per la storia della fede albigese, cit., p. 515, documento 1: «Ipsi heretici tenent viam apostolorum».
54 Evervino di Steinfeld, Epistula Laetabor ego, in PL 182, cc. 677-780 (677: «Dicunt apud se tantum ecclesiam esse»; 678: «Nos et patres nostri generati apostoli in gratia Christi permansimus et in finem seculi permanebimus»). Cfr. A. Brenon, La lettre d’Evervin de Steinfeld à Bernard de Clairvaux de 1143. Un document essentiel et méconnu, in Heresis, 17 (1991), pp. 17-33.
55 Durando d’Osca, Liber antiheresis, ed. K.V. Selge, in Id., Die ersten Waldenser, 2 voll., Berlin 1967, II: Der Liber antiheresis des Durandus von Osca, p. 60: «Heretici hos tres gradus habere iactantes obiciunt dicentes: Ex hoc clarescit vos non esse in ecclesia Dei, quia in ecclesia scimus esse episcopos et presbyteros et dyaconos [rispetto alla molteplicità di ordini ecclesiastici]». Cfr. A. Dondaine, Durand de Huesca et la polémique anticathare, in Archivum Fratrum Praedicatorum, 29 (1959), pp. 228-276; Ch. Touzellier, Une somme anti-cathare. Le ‘Liber contra manicheos’ de Durand de Huesca, Louvain 1964; Id., Catharisme et valdéisme en Languedoc a la fin du XIIe et au début du XIIIe siècle, Louvain-Paris 1969, pp. 347-373; P. Segl, Durandus von Huesca und der Kampf der Waldenser gegen die Katharer, in Die Waldenser, Spuren einer europäischen Glaubensbewegung, hrsg. von G. Frank, A. de Lange, G. Schwinge, Bretten 1999, pp. 39-49; M.L. Picascia, De justitia: la polemica anticatara di Durando di Huesca, in Gli arconti di questo mondo. Gnosi: politica e diritto, a cura di C. Bonvecchio, T. Tonchia, Trieste 2000, pp. 161-183.
56 Salvo Burci, Liber supra Stella, ed. Ilarino da Milano, Il ‘Liber supra stella’ del piacentino Salvo Burci contro i catari e altre correnti ereticali, in Aevum, 16 (1942), pp. 272-319; 17 (1943), pp. 90-146; 19 (1945), pp. 307-341 (ed.), qui 328: «Dicunt quod descenderunt a Christo de gradum in gradum»; cfr. L. Gaffuri, Salvo Burci, in Lexicon des Mittelalters, VII, pp. 1323-1324.
57 Moneta da Cremona, Adversus catharos et valdenses libri quinque, ed. Th.A. Ricchini, Romae 1743 (rist. Ridgewood 1967), sullo stesso punto di Durando, p. 313: «Impugnant alios ordines ab episcopatu, presbyteratu et diaconatu, dicentes eos non fuisse in primitiva ecclesia, ex quo volunt quod nec modo debeant esse in ecclesia, nec est ecclesia Dei que eos habet».
58 Raniero Sacconi, Summa contra catharos, in Un traité, cit., pp. 64-78, qui 64: «Item quod omnia sacramenta ecclesie, scilicet sacramentum baptismi aque materialis [in opposizione al consolamentum ‘spirituale’] [...] non sunt vera sacramenta Christi et eius ecclesie, sed deceptoria et diabolica et ecclesie malignantium».
59 Le registre de l’inquisition de Jacques Fournier, évêque de Pamiers (1318-1325), éd. par J. Duvernoy, 3 voll., Toulouse 1965, rispett. II, p. 498; III, pp. 202, 236.
60 R. Manselli, Églises et théologies cathares, in Cathares en Languedoc, cit., p. 169; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 166-171.
61 Evervino di Steinfeld, Epistula, in PL 182, cc. 678-679.
62 Ivi, col. 679: «Dixerunt […] hanc heresim usque ad hec tempora occultam fuisse a tempore martyrum»; Ecberto di Schönau, Sermones contra catharos, in PL 195, p. 15: «Ordinem quippe sacerdotii in Romana ecclesia […] periisse dicunt»; ivi, p. 71: «Nescimus sub quo papa acciderit iste defectus, sed hoc scimus, quod ex multis temporibus omnes qui dicebantur romani pontifices et cardinales semper avari fuerunt et superbi et multis ex causis indigni sacerdotio Christi, et ex hoc certi sumus, quonim verum sacerdotium apud istos non est». Costantino e Silvestro però sono citati (come esempi positivi) solo nella replica di Ecberto: non è possibile stabilire se essi fossero stati nominati dagli eretici condannati nel 1163. Cfr. R. Manselli, Ecberto di Schönau e l’eresia catara in Germania alla metà del secolo XII, in Id., Studi sulle eresie del secolo XII, 2a ed., Roma 1975, pp. 191-210.
63 Moneta da Cremona, Adversus catharos, cit., pp. 313-314. Nei processi bolognesi di fine XIII secolo non vi sono accenni all’epoca costantiniana, mentre (ambiguamente) si riconosce potere al papa e al clero solo se boni homines (in pratica lo si nega): L. Paolini, L’eresia catara alla fine del Duecento (= L’eresia a Bologna fra XIII e XIV secolo, I), Roma 1975, pp. 102-103; Id., Bonigrino da Verona e sua moglie Rosafiore, in Medioevo ereticale, a cura di O. Capitani, Bologna 1977, pp. 220-221.
64 Le registre de l’inquisition, cit., II, p. 25: «Licet papa dicat quod ipse tenet locum sancti Petri, tamen bene est extra locum aliorum hominum pauperum, quod non faciebat Petrus»; ivi, p. 50 (interrogatorio di Guglielmo Belibasta): «Potestas Petri cui Christus dimiserat ecclesiam cessavit post Petrum». Cfr. P. Segl, Geschichtsdenken, cit., p. 136.
65 J.J.I. von Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte des Mittelalters, 2 voll., München 1890 (rist. Darmstadt 1968), II, Dokumente, p. 40: «Ecclesia Romana meretrix dans venenum et potans veneno omnes credentes in ea», citato da W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 177.
66 Sulla visione negativa della Chiesa in ragione dei suoi sacramenti e ‘tradizioni umane’ A. Borst, Die Katharer, cit., pp. 214-222.
67 J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, p. 40.
68 Bonaccursio da Milano, Manifestatio heresis catharorum, in PL 204, cc. 775-792, qui 777; cfr. R. Manselli, Per la storia dell’eresia nel secolo XII. Scritti minori, in Bullettino dell’istituto storico per il medioevo, 67 (1955), pp. 189-264, qui 208-209; Id., L’eresia del male, cit., p. 182.
69 Moneta da Cremona, Adversus catharos, cit., 263-264.
70 Ivi, pp. 409-410. cfr. A. Molnár, A Challenge, cit., pp. 50-51.
71 Ivi, p. 410.
72 A. Dondaine, La hiérarchie cathare in Italie. II. Le Tractatus de hereticis d’Anselme d’Alexandrie O.P., in Archivum fratrum Praedicatorum, 20 (1950), pp. 234-324.
73 R. Manselli, L’eresia del male, cit., p. 182, riteneva che l’idea di una ‘caduta’ in età costantiniana fosse specificamente italiana: «è una dottrina caratteristicamente italiana [quella su Silvestro] che non comparirà mai nella Francia meridionale e che si lega a tutto il complesso atteggiamento dell’eresia d’Italia verso la chiesa», e ivi, nota 56: «Tutto il mondo ereticale italiano, sia cataro, sia valdese, è estremamente sensibile ai problemi ecclesiologici ed in particolare a quelli riguardanti il papato e il clero. Sono fermenti patarinici ed arnaldisti, diffusi variamente, che entrano a far parte, in varie mescolanze di idee, delle eresie successive. È significativo […] che il papa Silvestro abbia in Occidente il posto e la funzione che i Bogomili attribuivano a Giovanni Crisostomo».
74 Moneta da Cremona, Adversus catharos, cit., pp. 397-401; G. Gonnet, Enchiridion fontium valdensium, II, Torino 1998, pp. 86, 92: (dopo aver parlato di catari e valdesi) «Respondebunt prefati heretici Dei ecclesiam de romana ecclesia, que est ecclesia malignantium, exituram, et ad hoc inducunt illud quod legitur Apoc. 18 ubi descripta damnatione meretricis magne […], ex quo verbo volunt predicti heretici quod in ultimo tempore de quo ibi agitur Dei ecclesia, quam se esse dicunt, de ecclesia romana, quam dicunt ecclesia malignantium, exitura sit et Dei ecclesia, que in Silvestro, ut dicunt, defecerat, per illam tunc restituendam».
75 La ‘tradizionale’ storiografia valdese, ad esempio G. Gonnet, A. Molnár, Le vaudois, cit., pp. 409-410 (primo brano), 414 (secondo brano, sulle ossa petrine) e A. Molnár, Die Waldenser. Geschichte und europäische Ausmaß einer Ketzerbewegung, Göttingen 1980, pp. 403-404, riteneva che entrambi i passi di Moneta si riferissero ai valdesi, ma P. Segl, Geschichtsdenken, cit., pp. 136-177, e W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 192-193 e nota 571, li riportano ai catari. Riguardo alla leggenda delle ossa di Pietro la ‘correzione’ è anche in J. Duvernoy, Le catharisme, 2 voll., Toulose 1986-19892, I, La religion des cathares, p. 227. Il fatto che la leggenda delle ossa, pur trasfigurata, ma concordante nella negazione della potestas papale, si ritrovi nell’interrogatorio di un cataro occitano del XIV secolo (Pietro Clerici di Montaillou), conferma che essa faceva parte dell’arsenale argomentativo dualista (Le registre de l’inquisition, cit., I, p. 227: «Petrus non fuit apostolicus […] sed postquam fuit mortuus et ossa eius fuerant proiecta in quodam puteo […] quando reperta fuerunt, fuerunt levata et posita […] in quadam cathedra in qua eciam incathedrantur romani pontifices. Et quia ossa predicta s. Petri non habebant virtutem absolvendi […] idcirco nec Petrus sic factus apostolicus, nec pontifices romani qui in dicta cathedra fiunt apostolici possunt absolvere a peccatis»). In ogni caso si tratta di argomenti difficilmente circoscrivibili a un solo movimento nel mobile quadro eterodosso dell’Italia settentrionale della prima metà del XIII secolo.
76 Durando d’Osca, Liber antiheresis, ed. K.V. Selge, cit., II, 6-8; cfr. G. Gonnet, A. Molnár, Le vaudois, cit., pp. 405-406; P. Segl, Geschichtsdenken, cit., pp. 138-140.
77 W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 219.
78 R. Manselli, L’eresia del male, cit., p. 182, cit.
79 Cfr. G.G. Merlo, Identità valdesi, cit., pp. 16-22, sul punto specifico pp. 61-62.
80 E. Cameron, Waldenses. Rejections of Holy Church in Medieval Europe, Oxford 2000, pp. 36-48.
81 Anche secondo il trattato Contra patarenos attribuito a Pietro da Verona, i seguaci lombardi di Giovanni di Ronco, separatisi dai valdesi francesi, sarebbero più radicali di questi ultimi (divisi sul fatto che nella Chiesa romana vi siano «multi boni homines»): Th. Kaeppeli, Une somme contre le hérétiques de S. Pierre Martyr (?), in Archivum fratrum Praedicatorum, 17 (1947), pp. 295-335, e G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., pp. 79-82, in partic. 81.
82 G. Gonnet, La Donazione, cit., pp. 25-26; Id., Il problema della Donazione, cit., p. 202. Sui polemisti cattolici del XIII secolo in sintesi Id., Le confessioni di fede valdesi prima della Riforma, Torino 1967, pp. 70-114; Ch. Touzellier, Catharisme et valdéisme, cit., pp. 178-179;
83 Salvo Burci, Liber supra Stella, cit., p. 328.
84 Moneta da Cremona, Adversus catharos, cit., p. 412.
85 Raniero Sacconi, Summa, cit., p. 78; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., pp. 120-121.
86 In un interrogatorio tolosano del 1274 l’anziano valdese Bernard-Raimond Baragnon riporta di aver sentito dire circa cinquant’anni prima che Silvestro sarebbe stato il primo papa: Y. Dossat, Les Vaudois méridionaux d’après les documents de l’inquisition, in Vaudois languedociens et Pauvres Catholiques (Cahiers de Fanjeaux, 2), Toulouse 1967, p. 221. Se la datazione è precisa ciò non inficia la derivazione italiana dell’argomento, ma ne attesta la precoce diffusione Oltralpe, almeno in una versione ‘semplificata’.
87 Cfr. A. Fössel, Die Anfänge der Waldenser im Mitteleuropa, in Die Waldenser, cit., pp. 13-25.
88 Quellen zur Geschichte der Waldenser, hrsg. von A. Patschovsky, K.V. Selge, Gütersloh 1973, p. 77; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., p. 115; cfr. P. Segl, Ketzer in Österreich. Untersuchungen über Häresie und Inquisition im Herzogtum Österreich im 13. und beginnenden 14. Jahrhundert, Paderborn-München-Wien et al. 1984, p. 215, 256 (la condanna della donazione sarebbe accompagnata dalla non credenza al battesimo di Costantino).
89 Ps. Davide di Augsburg, De inquisitione hereticorum, hrsg. von W. Preger, Der Traktat des David von Augsburg über die Waldenser, in Beiträge zur Geschichte der Waldenser im Mittelalter, in Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 14 (1878), pp. 204-235; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., p. 152.
90 Anselmo di Alessandria, Tractatus de hereticis, éd. par A. Dondaine, La hiérarchie, cit., pp. 317-318, 320. G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., p. 142. Un possibile, ma vago, richiamo a tale punto è un formulario di interrogatorio per i valdesi (apparentemente tardo-duecentesco, ma non datato), in cui, oltre al ‘normale’ «Si ecclesia Dei defecit tempore Silvestri et quis reparavit eam» compare un «si sanctus Laurentius est sanctus»: ivi, pp. 185-186.
91 Anselmo di Alessandria, Tractatus de hereticis, cit., p. 320; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., pp. 142-143.
92 Salvo Burci, Liber supra Stella, cit., pp. 316-317; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., pp. 64-66: «Valdexius, qui fuit de Leono, fuit vestrum caput et a Valdexio in retro non habebatis caput nisi ecclesiam romanam; et hoc esse potest circa LX annos […] et ipsemet Valdexius fuit de ecclesia romana. […] Bene videbitis quantum novi estis […]. Valdexius enim Leonista et Ugus Speronus atque Johannes de de Roncho hii tres fuerunt prima capita vestre congregationum. […] Vos pauperes lombardi non potestis probare quod vestra [secta] sit de trigintasex [annis] quia multi viderunt vos esse in ecclesia romana, et ivistis cum pauperibus Leonistis, et existis de congregatione eorum, et fecistis pro vobis congregationem». Più o meno lo stesso è affermato nei medesimi anni da Pietro da Verona, Th. Kaeppeli, Une somme, cit., pp. 333-334; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., pp. 80-81: i poveri leonisti derivano da «Gualdese de civitate Lugduni», da cui il nome leoniste o lugdunenses e «inceperunt de ecclesia romana».
93 Moneta da Cremona, Adversus catharos, cit., pp. 402-406, e G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., p. 87. Inoltre così controbatte, cogliendo il punto, Moneta da Cremona, Adversus catharos, cit., p. 94: «Nos enim non discessimus a fide ipsorum […]. Neque possunt ostendere aliquo testimonio quod ab eorum fide discesserimus. […] Nos autem possumus ostendere quod a fide nostra discesserunt».
94 Raniero Sacconi, Summa, cit., p. 78.
95 Ed. in Ch. Schmidt, Actenstücke besonders zur Geschichte der Waldenser, in Zeitschrift für die historische Theologie, 22 (1852), pp. 238-262 (ed. 238-242, da un manoscritto di Strasburgo non più esistente); e in J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, pp. 352-355 (da un codice viennese; erroneamente attribuito a Johannes Leser a causa di un frammento precedente); cfr. G. Gonnet, I valdesi d’Austria nella seconda metà del secolo XIV, in Bollettino della Società di studi valdesi, 72 (1962), pp. 5-41; P. Biller, The “Liber electorum”, in Id., The Waldenses, cit., pp. 207-224 (sul contesto storico del Liber electorum pp. 215-222); E. Cameron, Waldenses, cit., pp. 118-125; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., pp. 221-224, 235-237 sull’insieme dello scambio epistolare italo-austriaco.
96 J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, p. 358.
97 P. Biller, The “Liber electorum”, cit., p. 208-209.
98 Ch. Schmidt, Actenstücke, cit., p. 240 e cfr. J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, p. 352.
99 Ivi; inoltre: «Pars autem […] longiori tempore in illa quam acceperat veritate permansit».
100 Ch. Schmidt, Actenstücke, cit., pp. 240-242; J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, pp. 352-355.
101 G. Gonnet, I valdesi d’Austria, cit., p. 11; P. Biller, Medieval Waldensians’ Construction, cit., p. 200.
102 In J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, pp. 355-362; cfr. G. Gonnet, I valdesi d’Austria, cit., pp. 11-17; P. Biller, The “Liber electorum”, cit., pp. 216-223.
103 J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, p. 356.
104 Ibidem. Sulla necessità della persecuzione dei santi a suis A. Molnár, Elementi ecclesiologici, cit., pp. 75-76 (sul tema nell’hussitismo 76-77); Id., A Challenge, cit., pp. 64-68.
105 J.J.I. von Döllinger, Beiträge, cit., II, pp. 356-362; cfr. P. Biller, Medieval Waldensians’ construction, cit., p. 196.
106 G. Gonnet, I valdesi d’Austria, cit., pp. 18-22, la citazione a p. 22 nota 72. Sul ribaltamento della connessione santità-persecuzione A. Molnár, Elementi ecclesiologici, cit., p. 76, che cita la lettera: «Persecuntur boni impios sicut ecclesia scismaticos, que tamen persecucio in veritate non est dicenda, sed correccio».
107 G. Gonnet, I valdesi d’Austria, cit., pp. 23-26.
108 Ivi, p. 27, note 93, 94.
109 Per la variazione del nome cfr. ivi, p. 30, note 103, 114. Nei polemisti del XIII secolo non c’era ancora traccia di un Pietro, che compare per la prima volta nel Liber e nella corrispondenza austro-lombarda.
110 Quellen zur Geschichte der Waldenser, cit., p. 73; G. Gonnet, Enchiridion, II, cit., p. 115.
111 Le livre des sentences de l’inquisiteur Bernard Gui, éd. par A. Pales-Gobillard, 2 voll., Paris 2002, II, pp. 1576-1578.
112 Quellen zur Ketzergeschichte Brandeburgs und Pommerns, hrsg. von D. Kurze, Berlin-New-York 1975, p. 228.
113 Ed. in G.G. Merlo, Eretici e inquisitori, cit., p. 221; cfr. ivi, pp. 22-23; M. Benedetti, «Qualche poco di farina papale»: i Valdesi in Chiesa, in Fedeli in Chiesa, Verona 1999 (= Quaderni di storia religiosa, 6 [1999]), pp. 126-127.
114 G.G. Merlo, Eretici e inquisitori, cit., p. 23. Sull’ineluttabilità della persecuzione per il fedele, riscontrata anche nel catarismo, R. Manselli, Dolore e morte nell’esperienza religiosa catara, in Il dolore e la morte nella spiritualità dei secoli XII e XIII, Todi 1967, pp. 244-246.
115 G.G. Merlo, Eretici e inquisitori, cit., pp. 26-30; cfr. A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., pp. 296-297 (alle pp. 293-296 il punto sulle ricerche precedenti).
116 G.G. Merlo, Eretici e inquisitori, cit., pp. 31, 38, 40-41. Cfr. anche G. Gonnet, Casi di sincretismo ereticale in Piemonte nei secoli XIV e XV, in Id., Il grano, cit., I, pp. 231-275.
117 Ed. in H. Böhmer, Die Waldenser von Zwickau und Umgegend, in Neues Archiv für Sächsische Geschichte und Altertumskunde, 36 (1915), p. 21; cfr. P. Biller, Medieval Waldensians’ Construction, cit., p. 205 («quod papa Silvester dedit auctoritatem magistris eorum, ut occulte predicent, tempore quo contradixerunt dotacioni ecclesie»: il papa, pur ‘avvelenando’ la Chiesa, avrebbe consentito un’esistenza e una predicazione purché clandestine).
118 P. Paravy, De la Chrétienté romaine à la Réforme en Dauphiné. Êvêques, fidèles et déviants (vers 1340-vers 1530), 2 voll., Rome 1993, II, p. 1031 (i processi a pp. 969-1084); A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., p. 300.
119 Già in P. Allix, Some Remarks upon the Ecclesiastical History of the Ancient Churches of Piedmont, London 1690, pp. 318-331; ora ed. da M. Benedetti, «Digne d’estre veu. Il processo contro Peironeta di Beauregard», in Archivio italiano per la storia della pietà, 18 (2005), pp. 121-158, la citazione a p. 152; cfr. P. Biller, Medieval Waldensians’ Construction, cit., p. 192; Id., Medieval Waldensian Followers’ Construction of History. Jaqueta, Peroneta, the Old One zum Hirtze, and Peyronette, in «Una strana gioia di vivere». A Grado Giovanni Merlo, a cura di M. Benedetti, M.L. Betri, Milano 2010, pp. 181-198, in partic. 192-194.
120 P. Biller, Medieval Waldensians’ Construction, cit., p. 203, ripreso da Die Berner Chronik des Conrad Justinger, hrsg. von G. Studer, Bern 1871, p. 289, che si riferisce forse a processi del 1399: «Von demselben babst [Silvester] einer seiner jünger und mitbrüder usschied, hies Petrus Waldensis, und wolte dem babst nit gehorsam sin»; cfr. K. Utz Tremp, Quellen zur Geschichte der Waldenser von Freiburg im Üchtland (1399-1439), Hannover 2000, p. 18.
121 Errores valdensium in Paesana commorantium, n. 62, ed. in A. Pascal, Margherita di Foix e i valdesi di Paesana, in Athenaeum, 4 (1916), pp. 46-90, qui 89; A. Molnár, A Challenge, cit., p. 53; A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., p. 301.
122 G. Gonnet, I valdesi d’Austria, cit., p. 35; A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., pp. 303-304, che tuttavia, p. 305, dubita che dalla fine del XV secolo tale leggenda sia effettivamente circolata, essendo testimoniata solo da parte cattolica. Sull’anticostantinismo nella fase tarda del valdismo si veda anche G. Audisio, Les vaudois du Luberon. Une minorité en Provence (1460-1560), Gap 1984, pp. 150-151.
123 A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., pp. 298-299; W.-F. Schäufel, «Defecit ecclesia», cit., p. 226: «Donca aquest Constantin ensemp porte moti mal a la gleisa, si la cosa es faita enama ilh diczon. E si lo non fossa ver segond Valla, lo conven esser de creyre com l’obra manifesta rent present testimoni». Sui manoscritti valdesi A. Brenon, The Waldensian Books, in P. Biller, A. Hudson, Heresy and Literacy, Cambridge 1994, pp. 137-159; sulle vicende della loro sopravvivenza M. Benedetti, Il “santo bottino”. Circolazione di manoscritti valdesi nell’Europa del Seicento, Torino 2007.
124 R. Cegna, La polemica antivaldese di Samuele di Cassini O.F.M., in Bollettino della Società di studi valdesi, 84 (1964), pp. 5-20; A. Molnár, Luc de Prague et les vaudois d’Italie, in Bollettino della Società di studi valdesi, 70 (1949), pp. 40-64; A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., p. 303.
125 Jan Želivský, Dochovaná kázání z roku 1419 / Johannis Siloensis collectarum quae ad nos pervenerunt tomus I. Collectae de tempore a festo Resurrectionis usque ad dominicam quintam post Trinitatem anni 1419, ed. A. Molnár, Praha 1953, p. 181; da rigettare tuttavia la ‘tradizionale’ influenza del valdismo sui tre personaggi postulata da G. Gonnet, A. Molnár, Le vaudois, cit., pp. 218-230, in particolare sul teologo Jacobello e sul canonista Nicola. Sul tema costantiniano in Nicola e Želivský A. Cadili, ‘Ecclesia moderna’ und ‘ecclesia primitiva’ in den den Predigten des Jan Želivský (Prag 1419), in stampa in Ecclesia moderna/ecclesia primitiva. Theologie und soziale Wirklichkeit im Hussitismus und in der antihussitischen Kontroverstheologie (Wien 9.-10. Dezember 2011), hrsg. von Th. Prügl, Wien 2012 [= Archa verbi 9 (2012)]; nello stesso contesto cfr. anche P. Cermanova, Ecclesia primitiva im hussitischen apokalyptischen Denken, ivi, e P. Kras, The Donation of Constantine and the Concept of Ecclesia Primitiva in the Writings of the Cracow Professor Andrew Gałka of Dobczyn (†1451), ivi. In generale si veda F. Šmahel, Die Hussitische Revolution, 3 voll., München 2002 (opera di riferimento sull’hussitismo), ad indicem.
126 A. Molnár, A Challenge, cit., p. 53; G. Gonnet, A. Molnár, Le vaudois, cit., pp. 233-235; cfr. F.W. Bautz, Peter Chelčický, in Biographisch-bibliographische Kirchenlexikon, I, pp. 990-991; J. Macek, Chelčický, in Lexicon des Mittelalters, cit., II, pp. 1789-90.
127 G. Gonnet, A. Molnár, Le vaudois, cit., p. 412.
128 Ivi, p. 404, su Reiser pp. 239-261; a p. 257 sono citati due sermoni del quarto decennio del XV secolo attribuiti a «Petrus Waldus cardinalis romanus» in cui si contrappone Pietro, inviato dallo Spirito Santo, al papa, inviato dall’imperatore tramite la donazione, unica base della sua autorità (anche Reiser aveva sostenuto il cardinalato di ‘Pietro Valdo’ che a questo titolo si era opposto a Silvestro); su Reiser e sui contatti tra valdismo e taborismo si veda ora Friedrich Reiser und die “waldensisch-hussitische Internationale”, Akten der Tagung Ötisheim-Schönenberg, 2. bis 4. Oktober 2003, hrsg. von A. de Lange, K. Utz Tremp, Heidelberg-Ubstadt-Weiher et al. 20092 (1. Aufl. 2006).
129 A proposito dell’influenza dell’hussitismo sulla letteratura valdese dei secoli XV-XVI, oltre agli studi citati, R. Cegna, Fede ed etica valdese nel Quattrocento. Il ‘Libro espositivo’ e il ‘Tesoro e luce della fede’, Torino 1982, pp. 32-116, 306-319; Id., Medioevo cristiano e penitenza valdese, Torino 1994, pp. 70-101.
130 A. de Lange, Die Ursprungsgeschichten, cit., pp. 304-305. Cfr. G. Gonnet, I rapporti tra i valdesi franco-italiani e i Riformatori d’Oltralpe prima di Calvino, in Id., Il grano, cit., I, pp. 431-486; Id., Le relations des vaudois des Alpes avec les Réformateurs en 1532, ivi, pp. 487-511; sull’incontro con la riforma anche E. Cameron, The Reformation of the Heretics. The Waldenses of the Alps, 1480-1580, Oxford 1984; Id., Waldenses, cit., pp. 209-263.
131 G.G. Merlo, Identità valdesi, cit., p. 34.