Il Vicino Oriente: la preistoria
di Fabio Sebasti
Dal punto di vista geografico l'Anatolia si può suddividere in tre macroregioni, l'una a occidente, la seconda nella zona centrale e di sud-est, mentre la terza è costituita dalla grande provincia orientale. Lo stato delle ricerche è ineguale, ma negli ultimi quattro decenni le indagini sono state numerose e il panorama delle culture anatoliche è fortemente mutato.
Studi comparativi sul Paleolitico inferiore hanno evidenziato come intorno a 300.000 anni fa l'area vicino-orientale fosse caratterizzata da complessi di tipo yabrudiano e acheuleo-yabrudiano, mentre in Anatolia, oltre a una costellazione di ritrovamenti di bifacciali, si attesterebbero insiemi dalle caratteristiche protocharentiane, di cui incerte restano le origini, forse derivate dalla tradizione acheuleana africana.
La maggior concentrazione di bifacciali proviene dall'Anatolia sud-orientale e centrale, in particolare nei pressi di abitati quali Gaziantep, Adiyaman, Şanlıurfa e Ankara; non è stato chiarito se ciò dipenda da condizioni ecologiche in passato più favorevoli e dalla disponibilità di materia prima, o dalla più intensa attività di ricerca. I rinvenimenti di bifacciali in Anatolia hanno comunque carattere sporadico: è il caso di Kastamonu nel Nord-Est, Ünye-Ordu e Bayburt nella parte centrale della regione di Karadeniz (Mar Nero), Kars ed Elazıǧ a est, Ankara e la regione del Lago di Marmara, dove ricognizioni sistematiche hanno portato all'individuazione di alcuni giacimenti paleolitici. In Anatolia occidentale, area egea, è documentato un solo ritrovamento nel territorio di İzmir da parte di Y. Emekli di due bifacciali di dubbia attribuzione. Altre località hanno restituito bifacciali nella regione nord-occidentale dell'Anatolia, grazie alle indagini condotte da Turan Efe nel 1988 vicino Kütahya, Bilecik ed Eskişehir e soprattutto Köcahoyük e Batı Tarlası, situati tra Domaniç e Kütahya. Dalle informazioni sul popolamento riferibile all'Acheuleano, si evince che la quasi totalità dei giacimenti è all'aperto, su terrazzi fluviali, pendici e altopiani, spesso in depositi sabbiosi o conglomerati; la sola eccezione, peraltro molto dubbia, sarebbe costituita dai reperti raccolti in strato da I.K. Kökten a Karain.
Sebbene la documentazione archeologica relativa a industrie a bifacciali e insiemi generici del Paleolitico inferiore sia frammentaria, è possibile affermare che una frequentazione significativa dell'Anatolia da parte di gruppi del Paleolitico inferiore si ebbe nel corso del Pleistocene medio e superiore, con possibili flessioni coincidenti con i cicli di espansione glaciale che ne avrebbero attenuato le attrattive. La ripartizione delle industrie acheuleane di tipo africano sembra disporsi su un asse nord-sud dal Sinai al Caucaso russo attraverso l'alto bacino dell'Eufrate, con una diramazione nell'altopiano anatolico. Per alcuni autori, l'espressione culturale e adattativa acheuleana, rintracciabile in particolare nella parte orientale del territorio anatolico, si delinea come emanazione diretta dall'Africa attraverso il corridoio levantino, ponendosi come terra di passaggio per i successivi percorsi di colonizzazione dell'Europa occidentale, con possibili traiettorie intorno al Mar Nero.
Il Paleolitico medio è ben rappresentato. Oltre al sito chiave di Karain, sono emersi molti giacimenti intorno a un antico lago fossile ai piedi del massiccio calcareo di Katran, sul fianco meridionale della catena dell'Antitauro; a essi si aggiunge un sito all'aperto a nord-est della piana ai piedi del monte Arpaburnu, nei pressi del villaggio di Kovanlık. La natura tecnotipologica dei materiali li avvicina a un Musteriano di tipo Karain e la loro localizzazione risulta perlopiù nelle vicinanze di fonti di approvvigionamento di materia prima: è il caso di Dülük, Altınözü, Kocapınar, Pirun, Samsat, Etiyokuşu. Rispetto all'Acheuleano, noto da stazioni all'aperto, il Musteriano anatolico è conosciuto anche da contesti stratigrafici chiusi, come nelle grotte di Tikali e Merdivenli sui fianchi della montagna di Samandağ, vicino Hatay. Questi complessi si distinguono tuttavia dai materiali litici di Karain per la presenza di pochi elementi ritoccati, l'abbondanza di punte Levallois e l'assenza di Charentiano che li rende affini alle industrie del Levante, sollevando problemi sulle relazioni culturali ed etniche dei gruppi musteriani.
Una serie di ricognizioni di superficie avviate nel 1995 da A. Garrard del British Institute of Archaeology di Ankara ha focalizzato le ricerche nella provincia occidentale di Gaziantep e in quella meridionale di Kahramanmaraş, all'estremità settentrionale della Rift Valley levantina in un raggio di 30 km da Sakçagözü, regione ricca di materia prima (affioramenti di selce tabulare) e dove in passato si estendevano due laghi. I ricercatori hanno individuato giacimenti all'aperto e cavità sulle colline a nord-est di Sakçagözü: il sito SAK 14, su una spalla tra la Rift Valley e una valle tributaria a est del villaggio di Şatirhöyük, ha restituito bifacciali acheuleani (Paleolitico inferiore), nuclei Levallois e prodotti di tecnica Levallois (Paleolitico medio) attestanti officine di lavorazione rintracciate anche nella valle di Emirler, a nord-est di Sakçagözü e in altre località (SAK 1, 19, 35). Materiali del Paleolitico inferiore e medio provengono anche dalle più alte terrazze dell'İçerisu, fiume che scorre dagli altipiani nella Rift Valley a sud-ovest di Sakçagözü: parte dei reperti è fluitata (bifacciali) come risultato di trasporto fluviale, altri, dalle superfici integre (strumenti di tecnica Levallois), rivelano la localizzazione in situ.
L'impressione generale che si ricava dal quadro della sequenza della Turchia centrale, soprattutto attraverso la successione evidenziata a Karain, porterebbe a individuare un'evoluzione continua delle litotecniche con il dominio progressivo del débitage di schegge preparate che conduce alla tecnica Levallois classica.
Ancora sfumati appaiono i contorni per le più antiche manifestazioni del Paleolitico superiore. Il primo complesso noto, definibile come Aurignaziano, è emerso nella Penisola di Crimea. Curiosamente assente nella Turchia centrale, l'avvento di questo fenomeno come unità "moderna" sembra improvviso e incline a caratteristiche vicino-orientali piuttosto che europee, ponendosi come possibile centro di sviluppo indipendente in territorio anatolico. Tuttavia, rare risultano le evidenze di siti aurignaziani in Turchia con l'eccezione della regione di Ankara, ad Adiyaman, lungo le zone costiere del Mediterraneo, nella provincia orientale di Hatay e a Magracik e Karain, nell'area di Antalya, dove le industrie mostrano legami con il Vicino Oriente. Altri siti del Paleolitico superiore sono raggruppati in grotte e insediamenti all'aperto a nord-est di Sakçagözü e in un giacimento all'aperto nella valle di İçerisu.
Tracce di occupazione epipaleolitica provengono dalle numerose cavità e strapiombi rocciosi che punteggiano la montagna di Katran: materiali di questo periodo sono stati raccolti nelle grotte di Kızılin, Çarkini, Mustanini, Suluin, Bibişini, Koyunini, Çevlikbaşi ini. Altre evidenze sono note da una cavità in una valle a est di Eski Evri e nei ripari sottoroccia di Beldibi e Belbaşi, nella costa orientale della Licia, 45 km a sud di Antalya. In questa fase si distinguono entità culturali proprie, pertinenti a diverse aree geografiche: vengono riconosciute un'area iracheno-iraniana, una levantina e una anatolico-caucasica, uno sfondo culturale su cui si imposteranno le tendenze del Neolitico antico.
Bibliografia
Préhistoire d'Anatolie. Genèse de deux mondes. Actes du Colloque International (Liège, 28 avril - 3 mai 1997), Liège 1998; A. Garrard, Paleolithic and Neolithic Survey at a South-Eastern "Gateway" to Turkey, in R. Matthews (ed.), Ancient Anatolia, Ankara 1998, pp. 7-15.
di Paolo Emilio Pecorella
Per quanto riguarda il Neolitico, l'Anatolia ha mostrato varietà e ricchezza di sviluppi. La "rivoluzione neolitica", con la diffusione della ceramica e il culto della "dea madre", è testimoniata dal VII millennio a.C. nella piana di Konya e nella regione di Burdur in Pisidia, ma anche nella regione del Mar di Marmara. I siti di quest'ultima regione e quelli del golfo di İzmir hanno significative implicazioni per il Neolitico delle isole dell'Egeo e più in generale dei Balcani, come testimoniato dal sito fortificato di Hoca Çeşme (Tracia), dove si troverebbe una "colonia" proveniente dalla penisola.
La fase più antica del Neolitico preceramico è attestata nella zona sud-orientale, probabilmente in connessione con quanto avviene in Siria, dall'insediamento di Çayönü Tepesi (Neolitico preceramico B), presso Ergani Maden, nella provincia di Diyarbakır, in cui è stato possibile distinguere una successione di tipi architettonici con strutture circolari, strutture con pianta a griglia e fondazioni a canali, strutture con pianta cellulare e grandi strutture rettangolari. Per le piante architettoniche e gli edifici destinati al culto, analoghi a quelli di Çayönü Tepesi, hanno grande importanza i siti di Nevalı Çori e Göbekli Tepe, nella provincia di Urfa. Qui sono state trovate eccezionali strutture rotonde e rettangolari entro cui erano collocate stele alte fino a 4 m, con rappresentazioni di animali stilizzati a rilievo. Il sito, frequentato da un gruppo di cacciatori-raccoglitori, forse un santuario, è ascritto al PPNA (Pre-Pottery Neolithic A, Neolitico preceramico A) sulla base dell'industria litica.
Altri siti di questo periodo sono Cafer Höyük, forse coevo a Çayönü Tepesi, dove si trova un insediamento del PPNB (Pre-Pottery Neolithic B, Neolitico preceramico B) che ha restituito un quadro comprensivo delle tradizioni architettoniche di Çayönü Tepesi e di Nevalı Çori: sono testimoniate le abitazioni a cella; successivamente si adotta una pianta allungata con tre vani rettangolari, a due piani, e mura rinforzate da contrafforti. Altri siti notevoli nell'area dell'Eufrate sono Hayaz Höyük e Gritille, ubicati sulla riva destra del fiume, Hallan Çemi Tepesi (presso Batman), Papazgölü, presso Ergani, che è stato definito come il maggiore sito del Neolitico preceramico dell'Anatolia, e Pinarbaşı presso Karaman, dove il riparo sotto roccia è coevo a Çatal Hüyük e l'insediamento risale a una fase iniziale del Neolitico preceramico. Anche in quest'ultimo insediamento la maggior parte dell'industria litica è su ossidiana, materiale di cui l'Anatolia detiene il monopolio.
Nell'Anatolia centrale il Neolitico preceramico è esemplificato nel sito di Aşıklı Höyük (fine dell'VIII o prima metà del VII millennio a.C.), a sud-est di Aksaray, sulla riva destra del Melendiz Çay. La sezione erosa dal fiume ha rivelato strutture di mattoni crudi senza fondazioni di pietra; i pavimenti presentano in alcuni casi intonaco rosso che talvolta prosegue lungo la parte inferiore della muratura. È stata recuperata una grande quantità di strumenti litici anteriore alla produzione di Çatal Hüyük, per lo più di ossidiana (del Göllü Dağ). Tra il numeroso materiale di superficie figurano cuspidi di freccia con codolo e spalle pronunciate, cuspidi a doppia punta, punteruoli a base arrotondata, punteruoli su lama, lame, perforatori, raschiatoi di varia forma, noduli, bulini, pietre focaie e forse anche lame di falcetti. In generale l'industria è caratterizzata dalla scarsità di ritocco unifacciale completo e dalla totale assenza di ritocco bifacciale completo. L'industria su ossidiana di Aşıklı Höyük non trova confronti calzanti: i paralleli sono pochi e distanti, talvolta nel Levante. È possibile che la domesticazione fosse già in atto.
La cultura di Aşıklı Höyük (attestata anche nella vicina Musular) è definibile quindi come appartenente al Neolitico preceramico B, anteriore alla cultura di Çatal Hüyük Est, presente in tutta l'Anatolia centrale. Si ritiene che l'insediamento risalga al 6900/6800 a.C. con un inizio intorno al 7600/7500 (per quanto le datazioni al 14C presentino date leggermente più basse), coevo quindi ad Hacılar preceramico (liv. V), dove sono attestate le prime coltivazioni agricole, come a Çayönü Tepesi, nel campo stagionale di Suberde nel Tauro e a Beldibi. A Can Hasan III (6500 a.C.) l'insediamento neolitico preceramico presenta ambienti monocellulari serrati, con corti passaggi tra le abitazioni costruite con mattoni e blocchi di pisé. Vi sono inoltre testimonianze di un'agricoltura abbastanza avanzata. Nella piana di Harran a Gürcütepe è attestata una comunità neolitica sedentaria del PPNB. Ad Hacılar, presso Burdur, sono stati recuperati sette livelli architettonici di cui il V ha fornito evidenze di agricoltura ma non di domesticazione degli animali, salvo il cane.
Il più grande sito del Neolitico ceramico è Çatal Hüyük nella piana di Konya con due monticoli separati: quello orientale ha rivelato una serie di livelli del Neolitico (che precedono quelli del Neolitico tardo di Hacılar), mentre in quello occidentale si trovano livelli che risalgono al Calcolitico, quale il livello 2B di Can Hasan. È il maggiore insediamento di questo periodo e offre la più ampia e articolata documentazione di questa fase culturale. Çatal Hüyük mostra una pluralità di esperienze pienamente mature. È stato rilevato come la crescita di questo abitato sia dovuta non tanto alla produzione agricola quanto al commercio, forse fungendo da centro di smistamento delle diverse vie entro l'altopiano e con le diverse aree del Levante e del Vicino Oriente.
Nel piccolo insediamento neolitico di Erbaba, presso Beyşehir, in Pisidia, le quattro fasi di occupazione sono attribuite al VI millennio. Nel livello I, il più recente, i 36 piccoli vani, costruiti con la parte inferiore di pietra, sono suddivisibili in 11 unità, con accesso dal tetto. L'industria litica su selce e ossidiana è analoga a quella del non lontano sito di Suberde. È testimoniato l'allevamento di bovini, pecore e capre, con una percentuale crescente di bovini. Cereali e legumi (piselli, veccia e lenticchie), coltivati intenzionalmente, costituivano parte comune della dieta alimentare. Erbaba III sembra essere coevo a Çatal Hüyük a partire dal livello VIII, circa 6000 a.C. Di interesse è il sito di Höyücek in Pisidia: qui è stato messo in luce un sacello del Neolitico antico e tardo, costituito da cinque vani rettangolari in asse collegati tra loro, con ingresso sul lato lungo. All'interno vi erano forni e foculi. Il vano occidentale presenta di fronte all'ingresso un ripostiglio e un basso focolare. Anche se più tarde, sono da rimarcare le figurine di terracotta della "dea madre" non lontane dagli esemplari di Hacılar VI.
Durante il Neolitico ceramico, nell'Anatolia occidentale sono visibili due tradizioni distinte: la cultura di Fikirtepe, presso Istanbul, nel Nord, e quella di Hacılar più a sud, che presenta una espansione non solo sulla costa ma anche nelle isole dell'Egeo come Chio. A Fikirtepe sono state ritrovate capanne a pianta circolare e ovoidale e sovrastrutture di materiale leggero; i pavimenti sono leggermente convessi e spesso vi è al centro un focolare e in taluni casi una sepoltura. Lo scavo di questo centro indicherebbe una comunità di pescatori e cacciatori che hanno appreso le tecniche dell'agricoltura, dell'allevamento e della produzione ceramica dalle comunità agricole dell'Anatolia centrale. Per quanto riguarda la ceramica sembra che la produzione dell'area abbia tradizioni locali e debba essere considerata come un distinto gruppo culturale: le differenze rispetto ad Hacılar possono essere viste come risultato di differenze cronologiche o dovute a filoni locali. Hacılar VI nella pianura di Konya presenta una cultura assai complessa e si riallaccia alla fine della sequenza di Çatal Hüyük (5400 a.C. ca.).
Eccezionale è la produzione di figurine femminili di argilla, trovate entro nicchie all'interno delle case, che si riallacciano sostanzialmente alla produzione di Çatal Hüyük; la ceramica è monocroma o dipinta, con motivi geometrici assai variati e con una eccellente sintassi in diversi colori a seconda dei periodi. Le abitazioni sono sostanzialmente monocellulari ma con una quantità di arredi fissi, muri divisori di minore spessore e sostegni interni per aumentare l'ampiezza dei locali. L'ingresso, spesso doppio, non è più dal tetto come in precedenza, quale, ad esempio, a Çatal Hüyük; i focolari sono collocati di fronte ai varchi e vi sono dati che attestano l'esistenza di un piano superiore in materiale ligneo. Tra Hacılar e la costa, sostanzialmente lungo il percorso del Meandro e dell'Ermo verso la Pisidia, si succedono numerosi insediamenti neolitici, mentre per quanto riguarda la costa egea si devono tenere presenti sia l'erosione costiera sia, all'interno, il progressivo interramento delle valli che seppellì numerosi insediamenti.
Alcuni siti del golfo di İznik, come Ilipinar, Demirci Höyük e Yarimburgaz e altri come Menteşe presso Yenişehir, mostrano relazioni con la cultura di Fikirtepe nel VII millennio, ma incorporano anche caratteri ceramici del gruppo di Sesklo e Dimini in Tessaglia e di Dudeşti in Romania.
Al Neolitico ceramico appartengono siti come Çayönü Tepesi, con strutture su muri di terrazzamento e fondazioni di pietrame; Köşk Höyük (Niğde), dove sono stati trovati, oltre a livelli con edifici, alcuni dei quali trapezoidali, frammenti di figurine umane stilizzate di pietra; Kuruçay con un muro di difesa (coevo ad Hacılar VI) con torri rotonde. Alla fase tarda del Neolitico appartengono insediamenti quali Akçay nella piana di Elmalı, Kumartepe non lontano da Samsat sull'Eufrate e, presso Birecik, Mezraa Teleilat, Pinarbaşı Höyük e Tepebağları presso Niğde, questi ultimi vicino alle cave di ossidiana del Melendiz Dağ.
Il Calcolitico si colloca tra il 5800 e il 3400 a.C. circa e corrisponde in parte all'espansione in Anatolia della cultura di Halaf e poi di quelle di Ubaid e di Uruk, provenienti dall'area siro-mesopotamica, fino alla pianura di Konya (Can Hasan I).
A Mersin (strati XIX-XVI), in Cilicia, è stata scavata una fortezza con due torri aggettanti sulla cortina muraria e una rampa di accesso; il materiale ceramico indica collegamenti con la pianura di Konya piuttosto che con siti halafiani; un insediamento coevo sta venendo alla luce nel grande sito di Tarso (Yumuktepe), anch'esso in Cilicia. Più a oriente, verso l'Eufrate, a Turlu, si trovano fondazioni di tholoi associate a strutture rettangolari, forse anticamere; forte è la presenza della cultura halafiana. Anche a Yunus, presso Karkhemish, sono state recuperate tholoi con anticamere rettangolari e forni per ceramica. Risalendo il corso dell'Eufrate, a Samsat, al di sotto di un livello Uruk, si ha una sequenza che copre tutto il Calcolitico. Presso Birecik, nel sito di Tilbes Höyük, è attestata una fase Ubaid nelle vicinanze del monticolo e una fase Uruk, grazie al ritrovamento di una bulla e di un token numerico. Verso oriente, oltre l'Amano, siti come Sakçagözü presentano una sequenza con materiali di tradizione halafiana e della cultura di Ubaid. Più a settentrione si trova il sito di Kurban Hüyük, dove le tholoi hanno pavimenti intonacati; una donna, seppellita vicino a una tholos, ha il cranio deformato artificialmente. A Çavi Tarlası, dove la sequenza halafiana è completa, sono state trovate ben 10 tholoi con fondazioni di pietra e alzato di mattoni crudi e altre strutture di carattere utilitario.
In Pisidia, nel sito di Kuruçay Hüyük, durante il Calcolitico l'insediamento presenta oltre 20 edifici con al centro un sacello e una costruzione, circondati da un cerchio di case che fungono anche da muro difensivo. Vi sono tracce di una pianificazione dell'abitato per la presenza di strade che si incontrano ad angolo retto e che dall'esterno conducevano al nucleo dell'abitato. Tülintepe, nel bacino del Keban, ha restituito, oltre a importanti ritrovamenti di età più tarda, un livello calcolitico assai danneggiato, dove sono stati recuperati edifici a pianta rettangolare, senza fondazioni, e forni a cupola. La tradizione ceramica è vicina a quella di Halaf e Ubaid, presente con basse percentuali. La ceramica, sia polita a superficie scura sia con superficie micacea, che decresce nel Calcolitico tardo, confluirebbe nella produzione transcaucasica a superficie nera polita. Notevoli i dati sulla produzione metallica che dipendeva dalle miniere presso Ergani Maden. Sempre nel bacino del Keban, il sito di Korucutepe ha fornito, oltre a una sequenza che giunge sino al Bronzo Tardo, testimonianze della fase del Calcolitico medio e tardo, con un muro di difesa di mattoni crudi.
A Değirmentepe i livelli del Calcolitico antico e medio sono le testimonianze più rilevanti. È stata documentata una cultura locale dipendente da quella di Ubaid, nell'area del Keban. Tipica di questo complesso è la ceramica monocroma (talvolta rifinita con raschiatura) e dipinta. L'architettura presenta, all'interno di un muro di difesa su fondazioni di ciottoli, ampie strutture a cortile o sala centrale, una scala per il piano superiore e due ali contrapposte, con vani per la lavorazione della selce e del minerale di rame. Secondo U. Esin le strutture maggiori sono luoghi di culto, data la presenza di tavole d'argilla per offerte, talvolta riempite di materia colorata, affreschi con motivi del Sole stilizzato, vegetali e geometrici entro metope, buche piene di ossa di animali, sepolture di bambini entro fosse e di infanti entro vasi (gli adulti venivano inumati entro fosse nel pavimento), oltre a una ingente quantità di sigilli e cretule. Questi materiali costituiscono un'eccellente esemplificazione per i motivi geometrici, zoomorfi e antropomorfi che trovano confronti, anche se non puntuali, in siti come Tepe Gawra, Norşuntepe, Tell Arpachiya e Ninive. L'impiego dei sigilli (usati per la chiusura di recipienti e in pochi dubbi casi per porte) e la struttura dell'insediamento portano Esin a definire la cultura di Değirmentepe come protourbana, ponendo in primo piano l'attività commerciale sia a media sia a lunga distanza. Un sito monofase si trova a Girikhacihan, non lontano da Diyarbakır, con una tholos con anticamera e altre sei che ne sono prive, accanto a edifici a pianta rettangolare; numerose indagini paleobotaniche hanno gettato luce sulle coltivazioni e sulla dieta degli abitanti.
Nell'Anatolia orientale, presso il Lago di Van, Tilkitepe attesta la presenza di materiale di tradizione Halaf. Qui l'industria principale è la manifattura di lame di ossidiana evidentemente anche per l'esportazione, attestando in tal modo la penetrazione di prospettori dalle pianure meridionali.
L'area dell'Anatolia sud-orientale che gravita attorno al Tigri e all'Eufrate costituisce la parte più settentrionale della Grande Mesopotamia e forma dal periodo Halaf un'unità culturale con la regione siro-irachena. La comparsa di materiali meridionali Uruk avviene alla metà del IV millennio (Hacınebi Tepe B 2) con contatti commerciali e culturali che sono stati suddivisi in più fasi (precontatto e contatto). La cultura Uruk si sviluppa in Mesopotamia meridionale nel IV millennio, espandendosi e caratterizzandosi in base ai diversi modelli di interazione con le comunità locali preesistenti. Eccellenti testimonianze di questo fenomeno, che ha interessato l'Anatolia centro-orientale e le rive dell'alto Eufrate, provengono da Arslantepe, Hacınebi Tepe, Kurban Höyük e altri siti minori. Tra il V e il IV millennio scompare la ceramica dipinta di tradizione Ubaid e diminuisce la produzione di ceramica fine: si impone la ceramica a impasto grossolano, con inclusi vegetali prevalenti, quasi una produzione in serie di vasellame da mensa per un consumo di massa. All'inizio del IV millennio, l'Anatolia sud-orientale è strutturata in comunità di ridotte dimensioni e complessità, organizzate in chiefdoms.
I principali siti appartenenti all'orizzonte della ceramica antecedente la colonizzazione sono Arslantepe VII, Hacınebi Tepe, fasi A-B 1, Kurban Höyük VI B, Korucutepe B, Norşuntepe, dove alcuni dati fanno pensare a una attività amministrativa di una certa complessità. Per la produzione ceramica si distingue un'area che lega la zona di Malatya con la Siria settentrionale a occidente dell'Eufrate. Rappresentativa dell'interazione tra comunità locali e "coloni" Uruk è la località di Norşuntepe, dove in tre livelli è stato messo in luce un complesso di strutture molto articolate, usuali nella regione. Un ambiente presenta, al di sopra di un podio, due nicchie nella parete, con muri intonacati e tracce di pitture rosse e nere. Una bulla con l'impronta di un sigillo e sigilli a stampo di varia forma forniscono dati sull'esistenza di una attività amministrativa articolata. Più a valle, a Hacınebi Tepe, i dati di scavo permettono un confronto diacronico dell'organizzazione del sito prima e dopo la sua incorporazione nella rete di scambio Uruk. Il materiale ceramico di tradizione Uruk è coevo ma spesso fisicamente separato da quello locale, che appare preponderante. I dati confermano la presenza di una piccola colonia Uruk all'interno dell'insediamento.
Alla metà del IV millennio a.C. si instaura un'ampia rete di interazione che collega la Mesopotamia meridionale con le comunità a diverso grado di urbanizzazione degli altipiani settentrionali e si stabiliscono colonie per avere accesso alle materie prime. Si diffondono, oltre alla ceramica, le tecniche amministrative testimoniate da sigilli, cretule, tokens e bullae. È un fenomeno ampio e di lunga durata, iniziato intorno al 3700 a.C. e durato fino al collasso del sistema intorno al 3100 per motivi non ancora pienamente compresi. L'espansione si presenta in modo molto variabile sia spazialmente che temporalmente: per la metà del IV millennio a.C. si conoscono poche colonie o avamposti, mentre la maggior parte degli insediamenti "coloniali" conosciuti risale alla parte finale del IV millennio. Nella maggior parte dei casi non è possibile dire se la presenza della cultura materiale Uruk in un sito rifletta scambio, emulazione locale o reale insediamento.
In Anatolia insediamenti Uruk sono stati identificati a Hassek Höyük, forse a Samsat e Tepecik. Nell'Anatolia sud-orientale si distinguono diversi tipi di insediamenti: quartieri Uruk all'interno di insediamenti locali (Hacınebi Tepe B2, Hassek Höyük 5, forse Tepecik), piccoli siti tardocalcolitici in prossimità di enclaves Uruk o influenzati da queste (Kurban Höyük VI A, Karatut Mevkii), siti con forti caratteri locali in contatto con le enclaves Uruk (Arslantepe VI A). A Hassek Höyük è stato scoperto un insediamento Uruk, nella zona pedemontana del Tauro, con tipiche strutture tripartite, ceramica e glittica di tradizione meridionale, associato con un insediamento locale. La crisi delle strutture di potere centralizzato del tardo Uruk e la scomparsa delle grandi aree pubbliche alla fine del IV millennio a.C. provocano il collasso nella "periferia": le colonie e gli avamposti scompaiono e, ad esempio, ad Arslantepe sulle rovine del complesso amministrativo viene costruito un villaggio della Early Transcaucasian Culture. A Zeytinli Bahçe Höyük, nella zona di Karkemish, si trova una eccellente sequenza tra l'ultimo periodo di Uruk e il Bronzo Antico che attesta una transizione graduale senza iati.
Nell'Anatolia occidentale numerosi insediamenti vennero fondati durante il Calcolitico tardo, come Beycesultan o Afrodisiade nella valle del Meandro (e più a settentrione Demirci Höyük, la cui ceramica rossa su ingubbiatura camoscio è simile a quella di Hacılar I). Questa cultura, o una derivata, può essersi espansa nell'Egeo e poi nella Troade, tanto che non è impossibile che la fondazione di Troia sia dovuta a questa nuova popolazione. Per il Calcolitico antico si può citare di nuovo l'importante insediamento di Hacılar II, dove compaiono strutture a megaron. I confronti più importanti per la produzione ceramica sono con l'Anatolia nord-occidentale e con le isole prospicienti, Tigani a Samo, la regione di Manisa, Beşiktepe, Sivritepe e Kumtepe I a-b, nella Troade, Poliochni I a Lemno ed Emporion a Chio. In tutta l'Anatolia di nord-ovest e nelle isole vicino alla costa esisteva una serie di culture del Calcolitico tardo che ha generato quelle, note assai meglio, del Bronzo Antico I.
Per quanto riguarda le Cicladi è possibile presumere l'esistenza di una cultura del Calcolitico tardo dipendente da quella dell'Anatolia di nord-ovest, precedente alla fase di Pelos, coeva a Troia I; inoltre, altri contatti tra le isole e l'Anatolia sono stati chiaramente messi in luce a Iasos nello scavo della necropoli preistorica. Le relazioni di Beycesultan con la pianura di Konya sono più marcate nella seconda fase del Calcolitico tardo. Gli abitati del Calcolitico antico presentano alla fine del periodo un quadro di distruzioni violente e di abbandono temporaneo che sono stati interpretati con l'arrivo subitaneo e innovatore di una diversa popolazione. Un sito di grande importanza è Beycesultan: qui in un saggio profondo sono stati riportati alla luce 21 strati; a quanto risulta, l'acropoli era circondata da una cortina di mura. Sulla costa del Mar Nero è interessante il sito di Dündartepe. Ulteriori indagini potranno gettar luce sulla regione di Eskişehir, dove il Calcolitico medio è attestato a Orman Fidanlığı.
Anche per il Calcolitico antico abbiamo pochi dati. L'unico sito è Pazardoruğu nel bacino medio del Gökirmak: la ceramica, ritrovata in una necropoli distrutta in tempi moderni, è rosso-bruna, brunita con decorazione dipinta in rosso-bruno su un ingobbio crema. I confronti mostrano un collegamento con Hacılar V-II. Con il Calcolitico tardo, individuato con ricognizioni di superficie e in base alla ceramica, il numero degli insediamenti aumenta; gli abitati sulle pendici dei rilievi presentano strutture prevalentemente lignee con pavimenti di pietra, come è anche il caso di località dell'area del Kızıl Irmak, come Büyük Güllücek e Kuşsaray.
Bibliografia
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di Vassos Karageorghis
Assai scarse sono le testimonianze relative alle fasi precedenti il Neolitico. Dai dati disponibili è ipotizzabile che già nel Paleolitico, o forse nel Preneolitico, Cipro venisse visitata da cacciatori stagionali che, probabilmente attraversando il mare, giungevano dall'Asia Minore o dalla Siria settentrionale, se non da entrambi i luoghi. Recenti indagini archeologiche nel sito E di Akrotiri-Aetokremnos, sulla costa meridionale dell'isola, hanno riportato alla luce un ragguardevole accumulo di ossa di ippopotami ed elefanti pigmei, parzialmente carbonizzate, in associazione con grattatoi di selce e altri strumenti, nonché pietre e grani di collana ottenuti da conchiglie. Le evidenze provenienti da questo riparo sotto roccia dimostrerebbero come tali specie nane si estinsero precedentemente al Neolitico, al termine del IX millennio a.C.
Cipro non conobbe una occupazione costante fino al Neolitico, vale a dire fino a verso la metà dell'VIII millennio a.C. I primi abitanti dovettero avere la stessa origine dei cacciatori preneolitici, alcuni potrebbero essere giunti dalla Palestina; comunque essi arrivarono sull'isola in una fase culturale già sviluppata. Gli insediamenti neolitici sono diffusi in diverse zone del territorio. Gli abitanti privilegiarono, nella scelta del luogo dove stabilirsi, siti naturalmente protetti, in prossimità di fonti perenni e con buoni appezzamenti di terra arabile nelle vicinanze, dove eressero strutture circolari in insediamenti ben organizzati e fortificati. L'insieme di tali strutture formava una abitazione, comprendente anche spazi destinati ad altri usi specializzati e alle officine. Gli scavi di Khirokitia hanno dimostrato che tali strutture circolari erano edificate con pietrame nella parte inferiore e con pisé o mattoni crudi nella parte superiore, con un tetto piatto; peraltro a Kalavassos-Tenta alcune case avevano il tetto a cupola. È dimostrato che la faccia interna dei muri era intonacata e talvolta decorata con pitture di colore rosso o rosso e ocra, come quelle, rozzamente riproducenti figure umane, rinvenute a Kalavassos-Tenta. All'interno delle case vi erano banchine e focolari.
Gli abitanti di Cipro neolitica praticavano l'allevamento di alcune specie animali domesticate (maiali, capre e pecore) e coltivavano cereali. Il vasellame e gli strumenti erano di diorite oppure di selce. Lame di ossidiana importate dall'Asia Minore sono state rinvenute nella maggior parte degli insediamenti. I defunti venivano sepolti in posizione rannicchiata, con le ginocchia ripiegate contro il petto, in anguste fosse sotto il pavimento delle abitazioni o poco distante. A Khirokitia le offerte funerarie comprendono vasi di diorite, che venivano infranti durante il rituale.
Parallelamente all'alta qualità artigianale dei vasi di pietra, rimarchevole è la fattura di statuine, realizzate di norma in pietra (con l'eccezione di un esemplare di argilla cruda), che riproducono figure umane e talvolta quadrupedi. È possibile che alcuni degli idoletti con sembianze umane siano da collegare al culto degli antenati. Verso la fine del Neolitico comparve vasellame fittile. I recipienti erano decorati con una spessa fascia di pittura rosso-bruna, che veniva parzialmente rimossa con uno strumento a pettine prima della cottura. Si tratta della cosiddetta "ceramica a pettine" (Combed-Ware), forse introdotta, insieme a nuove concezioni architettoniche, a seguito dell'arrivo di nuovi gruppi provenienti dalla Palestina. I principali insediamenti neolitici indagati sono Khirokitia, Kalavassos-Tenta, Capo Andreas-Kastros, Haghios Epiktitos-Vrysi, Philia-Drakos, Troulli, Petra tou Limniti. L'ultima fase del Neolitico è rappresentata dagli strati superiori di Khirokitia, da Sotira e dal sito A di Kalavassos. Tuttora non è possibile fornire una spiegazione soddisfacente riguardo il divario culturale che si rileva in un arco di circa mille anni tra il Neolitico antico e il Neolitico tardo, conclusosi attorno al 3900 a.C.
P. Dikaios, Khirokitia, Oxford 1953; P. Dikaios - J.R. Stewart, The Swedish Cyprus Expedition, IV, 1a. The Stone Age and the Early Bronze Age in Cyprus, Lund 1962; V. Karageorghis, Cyprus from the Stone Age to the Romans, London 1982; Id., Vasilikos Valley Project, VI, 1. Excavations at Kalavasos-Tenta, Göteborg 1987; A. Le Brun, Les morts et les vivants à Khirokitia, in E. Peltenburg (ed.), Early Society in Cyprus, Edinburgh 1989, pp. 71-81.
di Stefania Mazzoni
Posta all'estremità settentrionale della grande fossa tettonica (Rift Valley) del corridoio levantino e a quella occidentale della Mezzaluna Fertile, tra Mediterraneo, monti del Tauro, Eufrate e steppa siro-arabica, la Siria fin dalla preistoria è stata terra di approdo e integrazione di genti diverse, costituendo fino alla Tarda Antichità il più dinamico crocevia culturale e commerciale del Vicino Oriente e scenario di trasformazioni sociali e processi interculturali molteplici, che presero avvio con il suo primo popolamento.
Il ruolo centrale della Siria nello sviluppo delle culture vicino-orientali è conquista recente, risultato dell'accelerazione e della concentrazione delle ricerche internazionali volute dalla Direzione delle Antichità e dei Musei della Repubblica Araba di Siria, sovente nell'ambito di progetti di salvataggio delle aree degli invasi di bacini artificiali di dighe sul Khabur e l'Eufrate. Uno stimolo è stato impresso dai risultati spesso rivoluzionari dell'indagine archeologica, a partire dalla scoperta di Ebla, che ha aperto un capitolo nuovo per il III millennio, per continuare con la scoperta delle colonie sumeriche della fine del IV millennio, dei villaggi neolitici tra VIII e VI millennio, fino alla messa in luce oggi del tempio monumentale di Aleppo dell'XI sec. a.C. Gli scavi degli ultimi trenta anni permettono di delineare un quadro fortemente innovativo specie per le fasi preistoriche e protostoriche e del Bronzo Antico e per processi quali la formazione e lo sviluppo della neolitizzazione e dell'urbanizzazione che si manifestano in Siria con un'articolazione e una varietà unici nel panorama vicino-orientale.
Le formazioni geologiche del Pleistocene, con il succedersi di terrazzi fluviali con varie piattaforme e paleofiumi, mostrano in Siria una realtà di climi freddi e caldi alternati e tracce di un primo popolamento della regione. Nelle vallate del Nahr el-Kebir e dell'Oronte si trovano presenze di materiali, come i choppers, riferibili a una fase antica del Paleolitico inferiore (1.000.000-600.000 anni fa). Nel Paleolitico inferiore medio (fino a 400.000 anni fa) a un clima più umido corrisponde una ricca fauna di elefanti, giraffe, ippopotami, cammelli, rinoceronti, gazzelle; tracce di occupazione sono documentate sulla costa e sull'Oronte, a Latamne, con ripari non effimeri, talvolta con spazi interni e l'uso di pietre trattate al fuoco. Le industrie indicano qualche differenza regionale; sull'Oronte, a Restan, permangono i piccoli choppers, mentre a Latamne si affermano strumenti bifacciali; altrove compare industria litica di tipo Levallois.
Nel Paleolitico inferiore finale (200.000-100.000 anni fa) si contano facies diverse, ovvero gruppi con distinte tradizioni culturali che si alternano in una più ampia dispersione regionale che tocca il limite nord della steppa siriana, nell'oasi di el-Kowm, ultima tappa verso l'Eufrate, ma anche Yabrud nel Wadi Skifta, a nord di Damasco. La facies yabrudiana, nota anche da stazioni all'aperto di el-Kowm, come Bir el-Hummal e Umm el-Tlel, sembra legarsi a un tipo di Homo erectus pre-sapiens con industria preaurignaziana, ovvero con tipici raschiatoi su schegge corte e ritocco scalare. La facies hummaliana, affine a quella preaurignaziana di Yabrud, mostra un'industria su grandi lame a tallone liscio e appuntite da ritocchi piatti e obliqui, ma anche grattatoi, raschiatoi, bulini. Resti di Homo sapiens neanderthalensis sono noti da una grotta (Dederiye) sul fiume Afrin e confermano che nel Paleolitico medio (fino a 40.000 anni fa) gruppi più evoluti occuparono la regione (Yabrud I, Duara vicino a Palmira e ancora el-Kowm) con la loro industria musteriana dagli strumenti più minuti e versatili per la caccia, punte, grattatoi, raschiatoi ritoccati su una sola faccia, insieme ai primi strumenti di osso. La fauna in questa fase pluviale è ricca, con microfauna, volatili, cavallo, asino, gazzella, rinoceronte, uro, lupo, cammello, daino. Nel Paleolitico superiore (40.000-12.000 a.C.) continua l'occupazione di queste aree e di molte stazioni (Yabrud II, Dederiye I, Umm el-Tlel) con tre fasi di sviluppo, una antica con un'industria su lame, con grattatoi e bulini spesso su supporti Levallois; una fase media con lame con ritocco aurignaziano, grattatoi, bulini carenati, lamelle a punta e infine una fase finale, nella quale si afferma uno strumentario minuto e sottile, con débitage lamellare, con percussione diretta o indiretta o a pressione, da percussori duri ma anche teneri come legno e corno, come a Yabrud III.
La fase kebariana, specie quella definita "geometrica" (16.000-12.500 a.C.) dalle forme di lame e lamelle a trapezio rettangolo, triangolo scaleno e lunati per strumenti compositi montati su osso o legno, è presente nella grotta di Yabrud (III), sulla riva di un paleolago tra i monti di Qalamun e Bahret el-Mallaha (Jayrud 8), a Nahr el-Homr, su un rivo del medio Eufrate e in diverse stazioni all'aperto, sia nella Palmirene (Duara, Sito 50) che nell'oasi di el-Kowm; qui troviamo prime evidenze di una capanna e di focolari (Umm el-Tlel 2, Nadauiye).
Anche se i dati delle analisi polliniche tra Ghab (Oronte) e il Lago Huleh (Galilea) non convergono completamente sulla scansione, essi concordano comunque nell'individuare tra 12.000 e 10.000 anni fa un clima più caldo e umido che avrebbe consentito a vegetazione, uomini, animali di spingersi verso le aree marginali della steppa; gradualmente da un'accentuata mobilità con raccolta e caccia ad ampio spettro e occupazioni spesso occasionali o stagionali, i gruppi si orientano a occupare più stabilmente alcune aree e si concentrano su raccolte selettive e poi intensive, dotandosi di uno strumentario di pietra pesante. È questo il primo passo verso la sedentarietà che si afferma intorno al 12.500 con la cultura natufiana e il lento prevalere, a fianco di stazioni occasionali e stagionali, di forme di occupazione permanente, inizialmente nelle stesse aree, poi in nuove aree, come lungo l'Eufrate medio e alto, o il Sud-Ovest o l'Antilibano o il Gebel Zawiye. Prevalgono le case infossate in materiali durevoli, con fosse di immagazzinamento, e si affermano pratiche funerarie con tombe sotto i pavimenti delle case o all'esterno; lo strumentario d'osso ha forme anche animalesche; l'industria di pietra pesante è articolata e quella di pietra scheggiata è tecnologicamente standardizzata con nuclei a piattaforma multipla; i tipi tendono a diversificarsi per funzione e regione, ma prevalgono i tipi lunati e a segmento di cerchio nella fase recente dei villaggi di Tell Abu Hureyra (IA-C) e Tell Mureybet (IA) e le tracce di usura ne indicano l'uso nella raccolta intensiva dei vegetali.
Si riconosce oggi una fase khiamiana, il cui fossile guida è la tipica punta a tacche laterali (da el-Khiam, Mar Morto), insieme ad accette, utensili di osso dentati e contenitori; a Mureybet IB-II troviamo sia le prime figurine di pietra di donne e di bovidi, sia le case costruite in superficie, con banchine che possono contenere anche bucrani. È una fase transizionale caratterizzata da un clima freddo e arido (Dryas recente) che precede intorno al 9200 un clima umido e caldo favorevole alla diffusione di piante e animali.
Con il miglioramento climatico si incrementano e accelerano alcune tendenze innovative, come la caccia selettiva a grandi erbivori e la sperimentazione di pratiche agricole predomestiche, con raccolta intensificata di cereali selvatici, come lo Hordeum spontaneum o il Triticum boeoticum, che crescono ora oltre le zone pedemontane nucleari. Si affermano le punte a peduncolo e una industria di pietra pesante per la frantumazione, silos di immagazzinamento e una prima architettura complessa con case prima circolari infossate con partizioni interne e poi rettangolari, a definire vani provvisti di arredi fissi (Mureybet IIIB). L'affermazione della sedentarietà e di villaggi permanenti favorisce lo sviluppo di identità culturali regionali e la graduale distinzione dei gruppi; riconosciamo oggi di quella fase un tempo denominata come PPNA (Pre-Pottery Neolithic A, 9200-8700 a.C. dalla sequenza diagnostica di Gerico) almeno tre entità: il Sultaniano tra litorale e valle del Giordano; l'Aswadiano nella Damascene, da Aswad (IB), sulla riva del Lago Ateibé; il Mureybeitiano (Mureybet IIIA-B) della Siria settentrionale e dell'Anatolia meridionale con diversi siti, Tell Qaramel, Tell Sheikh Hassan, Tell el-Abr e Gerf el-Ahmar con la sua lunga sequenza di villaggio con case infossate contenenti crani, scheletri decollati, corna di uro, banchine con lastre decorate con triangoli, animali e figure umane.
Nella fase successiva, il PPNB (8700-7000 a.C.), questa società di villaggio si afferma tra Levante e Anatolia con un'economia agricola fondata sulla coltivazione di cereali domestici e con pratiche cultuali legate alla discendenza e alla morte. I siti aumentano occupando nuove aree; da Aswad (II) a Ramad (I) nella piana di Qattana sotto l'Hermon, a Tell Abu Hureyra si coltivano il Triticum aestivum/durum e il Triticum monococcum, si comincia ad allevare la capra e poi, alla metà del millennio, la pecora. Il villaggio è al centro di un sistema sociale egualitario basato sulla coabitazione di più nuclei familiari, come a Tell Abu Hureyra, che arriva a estendersi per 12 ha nel PPNB recente (6500-6000 a.C.); le case sono pluricellulari e alcune hanno basamenti a griglia per sopraelevare e isolare gli ambienti per la conservazione degli alimenti; i pavimenti sono spesso a calce, anche levigati e dipinti in ocra e nero e con figure umane, come ad Halula, dove un muro megalitico sostiene una terrazza con un grande edificio a sette vani. Altri siti, come nel Balikh Tell Sabi Abyad II, sono densi agglomerati di case in pisé con fondazioni di pietra.
Sia nell'ambito familiare che comunitario si sviluppano pratiche funerarie complesse: a Ramad compaiono crani modellati a calce, come a Gerico e Ain Ghazal, che vengono conservati nelle case e poi più spesso in fosse sotto i pavimenti, che possono ospitare deposizioni anche multiple; alcune case a Tell Abu Hureyra e Djade al-Mughara sono forse sepolcreti collettivi e contengono fino a 38 individui. Pietra, argilla e osso sono lavorati in forma di donne nude e animali. Una crescita demografica porta a occupare nuove aree, come Cipro e la costa con Ras Shamra, e a concentrarsi in regioni come il Tauro anatolico e di nuovo la steppa siriana con el-Kowm 2, Qdeir. La pietra scheggiata è dominata dalle punte ovali, a base troncata, e poi dalla punta di Byblos dalle forme foliate slanciate. Una fase finale correlata al PPNC giordano è identificata a Ramad (II) dalle case in mattoni di argilla cruda realizzati in stampi, su fondazioni di pietre e piani a calce. La calce è usata anche per contenitori (Vaisselle Blanche, impropriamente White Ware) lustrati con una tecnica presa in prestito da quella edilizia, che si diffonderà fino a Ras Shamra prima di essere soppiantata dalla ceramica.
Nel Neolitico tardo o ceramico la struttura socioeconomica della società agropastorale siriana appare orientata verso un'agricoltura estesa a diversi habitat, l'allevamento dei caprovini (intorno al 7500 a.C.) e le pratiche sia di conservazione in magazzini degli alimenti, specie cereali, sia di manipolazione e consumo in contenitori di ceramica. Una rete di piccoli villaggi con case rettangolari a griglia con silos, o case circolari a capanna (tholoi), copre il fertile triangolo del Khabur, le valli del Balikh e dell'Oronte, la piana di Antiochia (Amuq), le oasi della steppa e le terrazze sopra l'Eufrate; sono comunità di contadini e pastori che avviano diversi stili di vita e di interazione con il territorio e sperimentano diverse forme di coesione sociale; esse si evolveranno in un più accentuato dimorfismo, integrato ma anche conflittuale, tra società comunitarie sedentarie e società tribali seminomadi. Lo sviluppo di questo processo è attestato dalle diverse fonti proprio in Siria, dove steppa, pedemonte e alluvio comunicano strettamente.
Con lo sviluppo della società di villaggio si accentuano le differenze regionali che riflettono orientamenti diversi con aree limitrofe, con l'Anatolia a nord, o la Mesopotamia a nord-est. La ceramica ne diviene il chiaro testimone, con la diffusione delle ceramiche lustrate e brunite a ovest (7000 a.C. ca., Dark-Faced Burnished Ware) realizzate in fornaci aperte occasionali e delle ceramiche incise e dipinte a est prodotte in fornaci chiuse (6500 a.C. ca., Hassuna; 6000 a.C. ca., Samarra, Halaf). In alcuni agglomerati, densi di case rettangolari ben pianificate con ambienti simmetrici a struttura tripartita, troviamo edifici che si distinguono per la presenza di pitture con struzzi e gru in ocra (Bouqras 2) o di sigilli e cretule, come nel caso del cosiddetto Villaggio Bruciato (livello 6) di Tell Sabi Abyad nel Balikh, che ha restituito centinaia di impronte di sigilli a stampo dai motivi geometrici, vegetali, animalistici e anche antropomorfi; essi documentano forme di garanzia e proprietà e pratiche di amministrazione di beni, forse a livello comunitario. Le terrecotte antropomorfe e zoomorfe divengono ubique, mentre vasi di gesso dalle forme animali (Bouqras) o torsi di argilla inseriti sulle pareti (Tell Sabi Abyad) sembrano indicare speciali funzioni rituali.
Una maggiore uniformità culturale si avvia nella fase di Halaf (6000-5300 a.C.), che prende il nome dal sito dell'alto Khabur, che per primo ha restituito la caratteristica ceramica con olle ad alto collo e coppe carenate, dalla pittura policroma a complessi motivi geometrici che includono anche bucrani; con la ceramica, prodotta in diversi centri regionali, si diffondono alcuni tratti culturali, gli edifici circolari (tholoi), i sigilli a stampo dalle forme anche animalesche, segni di proprietà e simboli magici. L'occupazione si diffonde lungo i fiumi Balikh (Tell Sabi Abyad, Damishliyya, Khirbet esh-Shenef), Khabur (Umm Qseir, Chagar Bazar, Tell Halaf) e medio Eufrate (Halula, Tell Masaik, Shams ed-Din).
Paleolitico e Neolitico:
J. Cauvin, Les premiers villages de Syrie-Palestine du IXe au VIIe millénaire avant J.-C., Lyon 1978; J. Cauvin - P. Sanlaville (edd.), Préhistoire du Levant: chronologie et organisation de l'espace depuis les origines jusqu'au Ve millénaire, Paris 1981; M. Le Mière, Les premières céramiques du Moyen Euphrate, Lyon 1986; P.M.M.G. Akkermans, Villages in the Steppe. Late Neolithic Settlement and Subsistence in the Balikh Valley, Northern Syria, Ann Arbor 1993; T.D. Price - A.B. Gebauer (edd.), Last Hunters, First Farmers. New Perspectives on the Prehistoric Transition to Agriculture, Santa Fe 1995; D. de Moulins, Agricultural Changes at Euphrates and Steppe Sites in the Mid-8th to the 6th Millennium B.C., Oxford 1997.
Calcolitico:
H. Weiss, The Origins of Cities in Dry Farming Mesopotamia in the Third Millennium B.C., Guilford 1986; P.M.M.G. Akkermans, An Updated Chronology for the Northern 'Ubaid and Late Chalcolithic Periods in Syria. New Evidence from Tell Hammam et-Turkman, in Iraq, 50 (1988), pp. 109-36; G.M. Schwartz, A Ceramic Chronology for Tell Leilan. Operation 1, New Haven 1988; I. Thuesen, Hama. Fouilles et recherches de la fondation Carlsberg 1931-1938. The Pre- and Protohistoric Periods, København 1988; E.F. Henrickson - I. Thuesen (edd.), Upon This Foundation. The 'Ubaid Reconsidered, Copenhagen 1989; G. Algaze, The Uruk World System. The Dynamics of Expansion of Early Mesopotamian Civilization, Chicago 1993; G. Schwartz - S. Falconer (edd.), Archaeological Views from the Countryside. Village Communities in Early Complex Societies, Washington 1994; G. Stein - M.S. Rothman (edd.), Chiefdoms and Early States in the Near East. The Organizational Dynamics of Complexity, Madison 1994; C. Breniquet, La disparition de la culture de Halaf. Les origines de la culture d'Obeid dans le nord de la Mésopotamie, Paris 1996; C. Castel - M. al-Maqdissi - F. Villeneuve (edd.), Les maisons de la Syrie antique du IIIe millénaire aux débuts de l'Islam. Pratiques et représentations de l'espace domestique, Beyrouth 1997; E. Rova, A Tentative Synchronization of the Local Late Chalcolithic Ceramic Horizons of Northern Syro-Mesopotamia, in Mesopotamia, 34-35 (1999-2000), pp. 175-201; P. Collins, The Uruk Phenomenon. The Role of Social Ideology in the Expansion of the Uruk Culture during the Fourth Millennium BC, Oxford 2000.
di Fabio Sebasti
L'area in esame è costituita da una serie di territori e ambienti diversi, compresi tra il Mediterraneo e l'area desertica siriana. La stretta fascia costiera presenta larghe zone coltivabili con l'ausilio dei corsi d'acqua naturali e si trasforma verso sud (regione del Negev) in area desertica, anticipazione del Sinai. L'area centrale è costituita da altopiani solcati dalla valle del Giordano, parzialmente occupata dal Mar Morto, e dai suoi affluenti, dal corso breve e dalla portata stagionale. Il clima risente quindi delle condizioni di variazioni altimetriche, passando dalle caratteristiche di tipo mediterraneo della costa a quelle di tipo semidesertico dell'interno e del Sud. L'inaridimento appare essere avvenuto in epoca natufiana, intorno ai 12.500 anni a.C., e non aver subito grandi modifiche fino ai giorni nostri.
Sporadici ma molto arcaici risultano i resti umani fossili dei primi gruppi che popolarono la Palestina. I più antichi constano di alcuni frammenti di cranio e denti provenienti dal sito di Ubaidiya nei pressi di Afiqim, nella valle del Giordano, rinvenuti negli stessi livelli argillosi e alluvionali che hanno restituito un repertorio faunistico assai differenziato, con oltre 40 specie del Pleistocene medio, tra cui rinoceronte, ippopotamo e orso selvatico. Alcune ossa recano chiari segni di fratture intenzionali per estrarre il midollo e in stretta associazione con queste è stata rinvenuta un'industria su ciottolo (choppers) con alcuni protobifacciali. Reperti della Pebble Culture di tipo africano (choppers e protobifacciali) sono stati recuperati anche in un altro importante giacimento, Khirbet Maskana, ubicato su una collina nella valle del Giordano, vicino Tiberiade.
I complessi degli inizi del Paleolitico inferiore in Palestina sono a volte distinti in una tradizione su scheggia (Tabuniano) e in una bifacciale, la prima ricorrente soprattutto in contesti in grotta, la seconda in stazioni all'aperto. Sin dalle prime ricerche sono stati osservati per la Palestina evidenti indizi di un'evoluzione locale nella produzione di bifacciali, dai più antichi, erti e dai profili spesso sinuosi e irregolari assimilabili all'Abbevilliano europeo, fino ai più perfezionati, dai ritocchi fini, rinvenuti soprattutto lungo il Giordano (siti di Jisr Bnat Yaqub e Mayan Baruch).
I due scavi più importanti per la definizione del più antico orizzonte a bifacciali sono quelli di Jisr Bnat Yaqub nella valle del Giordano e di Rephaim-Baq'a, vicino a Gerusalemme. In entrambi i siti i bifacciali risultano appena sbozzati e irregolari, frammisti a schegge.
A Jisr Bnat Yaqub, oltre alla presenza di choppers, è stata osservata una evidente gradazione nelle patine dei bifacciali. Bifacciali morfologicamente più evoluti sono stati recuperati negli stessi due siti dell'alta valle del Giordano (Jisr Bnat Yaqub e Mayan Baruch) e nella grotta di Umm Qatafa nel Deserto di Giudea, prima grotta del Vicino Oriente a essere stata indagata, il cui deposito interno con tracce di focolari nei livelli riferiti all'occupazione antropica è databile a circa 200.000 anni fa (Riss europeo).
Per l'espressione più evoluta e perfezionata nella produzione di bifacciali, vicina all'Acheuleano finale europeo (corrispondente all'interglaciale Riss-Würm), si assiste a un sensibile incremento delle testimonianze archeologiche. Conosciuto perlopiù nell'alta valle del Giordano, questo orizzonte finale si individua anche lungo la costa settentrionale di Israele, nel Negev, nell'altopiano giordano e nelle sequenze stratificate di tre grotte: Umm Qatafa, Tabun sul Monte Carmelo e Yabrud. Il sito-chiave per la comprensione di tutta l'evoluzione della tradizione a bifacciali rimane Jisr Bnat Yaqub, dove M. Stékélis ha cercato di correlare le varie fasi culturali alla sequenza geologica della valle del Giordano.
Molto significativa per la Palestina, nonché per tutto il Levante, è la documentazione relativa al Paleolitico medio, che segna una crescita rilevante nel numero di siti individuati su tutto il territorio. Caratteristica è la sua lunga persistenza e la precoce comparsa della tecnica laminare rispetto ai coevi complessi europei. Due dei siti di riferimento in tal senso sono le grotte di Abu Sif e Sahaba, scavate da R. Neuville, sebbene larghe attestazioni di Musteriano con tecnica laminare provengano da una costellazione di siti del deserto del Negev e del Sinai.
In un cospicuo numero di depositi stratificati in grotta della Palestina sono stati rilevati l'intercalazione di industrie su lama con industrie di un Musteriano tardo e un progressivo affermarsi delle prime a scapito delle seconde. I complessi su lama compaiono infatti sul finire del Paleolitico medio in livelli dapprima sottili e definiti "preaurignaziani", per poi seguire con industrie più spiccatamente di tipo Paleolitico superiore, sebbene con marcate divergenze da quello europeo. Questa prima fase va a volte indicata sotto il nome di Ahmariano, coevo all'Aurignaziano europeo, dal sito eponimo di Erq el-Ahmar nel Deserto di Giudea, dove è meglio rappresentato, in sostituzione per alcuni del termine di Anteliano. Oltre a Erq el-Ahmar, l'Ahmariano, o Anteliano, risulta abbondante in Palestina a el-Wad, Qafzeh, Kebara e in tutto il Vicino Oriente.
Importanti contributi alla conoscenza del Paleolitico superiore della Palestina sono forniti anche dagli scavi condotti nelle grotte di el-Wad e Kebara sul Monte Carmelo e nelle grotte di Qafzeh ed Emire in Galilea. Per i vari contesti si osserva generalmente, oltre alla progressiva incidenza di strumenti di tipo Paleolitico superiore su supporti laminari già da livelli di Musteriano evoluto, anche un mutamento drastico nella natura dell'industria, in concomitanza con l'inizio del Paleolitico superiore, in cui utensili tipici musteriani subiscono un decremento sensibile in percentuale. Questa fase di transizione è ben documentata nelle grotte di el-Wad e di Emire, nel riparo di Yabrud e a Ksar Akil. Caratteristici strumenti sono la punta di Emire, già segnalata da D. Garrod, il coltello tipo Abri Audi e il coltello o punta di Chatelperron.
La sequenza continua con l'Atlitiano (da Atlit vicino al Monte Carmelo), espressione ultima del Paleolitico superiore dell'area, per il quale sono note numerose stazioni di superficie dall'area del Monte Carmelo. Assimilabile all'Atlitiano è l'industria da el-Khiam, nel Deserto di Giudea. Il successivo Kebariano, dalla grotta di Kebara sul Monte Carmelo, è invece già caratterizzato da una forte componente microlitica con l'incremento di lamelle, troncature ed elementi a dorso: la maggior parte dei siti si concentra lungo la costa mediterranea di Israele a Tsofit, Kfar Vitkin, Jaffa, Askalon, Bat Yam e Umm Khalid, con molte varianti locali.
L'importanza del territorio palestinese nel panorama degli studi sul Paleolitico medio è data tuttavia dal ritrovamento di fossili di Neandertaliani e di forme da alcuni definite protoCromagnonoidi, oltre al fenomeno legato alle sepolture in grotta (Skhul, Tabun e Qafzeh). Nel 1925, F. Turville-Petre esplorò due grotte sul Mar di Galilea mettendo in luce i primi depositi stratificati della Palestina con resti di fossili neandertaliani associati a Musteriano. Tuttavia si dovettero attendere altri tre anni per la prima serie di campagne sistematiche di scavo nelle grotte palestinesi (Skhul, Tabun) a opera di D. Garrod dell'Università di Cambridge, che si sarebbero prolungate fino al 1934 sotto gli auspici della British School of Archaeology di Gerusalemme e dell'American School of Prehistoric Research, portando tra l'altro alla scoperta di scheletri umani fossili completi e frammentari. Ricerche furono intraprese anche da R. Neuville in altre grotte della Palestina con la scoperta di nuovi fossili neandertaliani. In particolare le grotte sul Monte Carmelo scavate da Garrod, tra cui Skhul, Mugharet ez-Zuttiyeh nel Wadi el-Amud e Qafzeh, vicino Nazareth, hanno prodotto una notevole quantità di dati.
È stata notata da alcuni autori per il Vicino Oriente, in particolare in Palestina, la concomitanza di potenti depositi antropici con regioni fertili o semiaride, mentre dalle grotte di regioni aride si registrano nelle sequenze solo livelli sottili, con maggiori testimonianze di occupazione sporadica in giacimenti all'aperto. Le regioni settentrionali della Palestina hanno attraversato episodi pluviali e interpluviali con evidenza più marcata di sedimentazione in grotta, in contrasto con il Negev e il Sinai, dove i cambiamenti climatici hanno lasciato tracce meno consistenti. Si può quindi cogliere una generale impressione di uso prolungato dei siti nelle regioni fertili, grazie alle migliaia di reperti contenuti in depositi spesso potenti e omogenei.
Fenomeno tipico circoscritto alle aree desertiche del Negev e del Sinai, oltre all'altopiano giordano, è il rilevamento di circoli di pietre irregolari (spesso ovaliformi) in gruppi di due o tre e anche più, con alte concentrazioni di schegge e débris nelle immediate vicinanze, interpretati come resti di strutture mobili in materiali deteriorabili, quali accampamenti temporanei in pelli animali. Spesso localizzati lungo widyān o su colline ma al riparo dai venti, quattro di essi, scoperti nella Penisola del Sinai, sono stati oggetto di indagine nel 1956; da tre di essi è nota un'industria di tipo ahmariano o anteliano, mentre il quarto presenta una forte tradizione musteriana. Una serie di prospezioni archeologiche promossa negli anni Settanta del Novecento ha interessato l'area di Advat/Aaqev, nella parte centrale del deserto del Negev, dalla topografia molto varia, che favorì la formazione di microclimi e una fauna differenziata alla fine del Pleistocene superiore, in cui vengono inquadrati due sistemi di terrazzi fluviali: il più alto databile a un'occupazione musteriana e l'altro alla fine del Paleolitico superiore (20.000-17.000 B.P.). Ottimali condizioni climatiche videro lo sviluppo di un ambiente di tipo mediterraneo e furono all'origine della scelta insediativa di cacciatori e raccoglitori a partire dalle fasi umide dei pluviali wurmiani, come documentato dall'incrocio di datazioni radiocarboniche con le sequenze polliniche locali. Il Musteriano è attestato nel sito di Rosh Ein Mor, occupato dalla prima grande fase freddo-umida dell'ultimo ciclo glaciale, tra 60.000 e 50.000 anni B.P.: tecnologicamente di facies non Levallois ma di débitage Levallois, la collezione è caratterizzata sotto il profilo tipologico anche da una buona percentuale di utensili di tipo Paleolitico superiore (bulini, troncature, coltelli a dorso, punte e lame).
Relativamente al Paleolitico superiore, è apparso chiaro come fossero due i punti focali della presenza di bande di cacciatori e raccoglitori: l'area di Advat e di Ein Aqev. Nella prima, in particolare, si riscontra nella composizione dei complessi litici una considerevole variabilità dell'incidenza dei singoli tipi di strumenti (bulini, intaccature, punteruoli), sebbene con la stessa enfasi sulla laminarità, parallelamente quindi a quanto si rileva nel resto del Levante. All'estremità settentrionale della piana di Divshon, sovrastante il corso del Nahal Zin, viene localizzato un altro giacimento del Paleolitico superiore, Sde Divshon, nelle vicinanze di risorse di materia prima (selce in noduli) e in posizione centrale rispetto alle sorgenti perenni della zona. Esteso su un'area di 800 m2, in un suolo poco profondo al di sopra della roccia madre, il giacimento ha restituito uno strumentario dall'alta produzione di lame e dalla presenza di raschiatoi, bulini, troncature, denticolati e intaccature. Stazione di rilievo per il Paleolitico superiore del Negev centrale è Ein Aqev, per cui è disponibile una serie di datazioni radiocarboniche oscillanti intorno al 16.000 a.C. Sebbene non significativa, la fauna indica un ampio spettro di fruizione microambientale da parte di bande di cacciatori culturalmente omogenee. Alla base della tecnologia litica si delinea una moderata tendenza alla laminarità per un inventario tipologico vario e complesso: lamelle di tipo Dufour e strumenti carenati, cui si aggiungono microliti non geometrici e grandi choppers.
Un complesso unico nell'ambito dell'area di Advat/Aqev è costituito dal sito D5, dove dominano i microliti a dorso con alta percentuale di lame e lamelle e la presenza di intaccature, troncature e raschiatoi. Definito come Kebariano geometrico A, il sito evidenzia numerose frequentazioni per un'attività prevalente di caccia; la quasi totale mancanza di nuclei fa infatti propendere per la presenza di officine situate altrove.
R. Neuville, Le préhistorique de Palestine, in RBi, 43 (1934), pp. 237-59; D. Garrod et al., The Stone Age of Mount Carmel, London 1937; W.F. Albright, The Archaeology of Palestine, Baltimore 1960, pp. 49-64; E. Anati, Palestine before the Hebrews, New York 1963, pp. 59-136 (trad. it. Milano 1964); E. Marks (ed.), Prehistory and Paleoenvironments in the Central Negev, Israel, I. The Avdat/Aqev Area, Dallas 1976; O. Aurenche - S.K. Kozłowski, La naissance du Néolithique au Proche Orient, Paris 1999.
di Anna Maria Conti
Le ricerche archeologiche orientate a far luce sul passaggio dall'economia di caccia-raccolta a quella di produzione del cibo nel Vicino Oriente risalgono a tempi relativamente recenti: fino alla fine degli anni Quaranta del Novecento le ricerche sul campo erano indirizzate alla creazione di una sequenza cronologica, soprattutto per le fasi paleolitiche, all'identificazione dei centri urbani menzionati dalla Bibbia, all'approfondimento delle conoscenze linguistiche e storiche in seguito ai ritrovamenti di archivi.
Fin dagli anni Venti, V.G. Childe aveva affrontato il problema della "rivoluzione neolitica" nell'ottica della relazione simbiotica tra uomini, piante e animali in un ambiente favorevole all'insediamento in quanto ricco di acque. La relazione simbiotica, avvenuta nell'area della cosiddetta Mezzaluna Fertile, zona di origine delle specie selvatiche, è alla base del processo di domesticazione che presiede alla trasformazione neolitica. Dalla fine della seconda guerra mondiale queste ipotesi sono state verificate sul terreno e a livello teorico da R.J. Braidwood, K.V. Flannery, F. Hole, L.R. Binford, grazie all'apporto delle nuove ricerche effettuate su alcuni dei siti-chiave della Palestina, come Gerico, Beidha, Nahal Oren, Abu Gosh, Beisamoun, Ain Ghazal.
Neolitico preceramico - L'individuazione e la suddivisione del Neolitico preceramico o aceramico in fasi si deve all'autrice degli scavi di Gerico, K.M. Kenyon, che individuò una fase "protoneolitica", una fase aceramica antica (PPNA, Pre-Pottery Neolithic A) e una fase aceramica recente (PPNB, Pre-Pottery Neolithic B). Attualmente si è verificata l'inconsistenza della fase protoneolitica, non caratterizzata e ben riassorbibile nella precedente fase natufiana o nella succesiva fase PPNA, mentre si avverte la necessità di suddividere ulteriormente la fase PPNB in un primo stadio, o PPNB vero e proprio, e in un secondo stadio, o PPNC (Pre-Pottery Neolithic C).
È con la fase PPNA (8600-7400 a.C.) che si colgono i primi esiti del lungo processo di domesticazione di piante e animali, avviato fin dal Paleolitico, perseguito con più forza nel Natufiano e giunto a conclusione durante il Neolitico preceramico. Dal punto di vista architettonico i villaggi PPNA della Palestina non differiscono in modo sostanziale dai precedenti abitati natufiani: si tratta di agglomerati di costruzioni circolari, monocellulari, spesso semisotterranee, costruite in pietra (Nahal Oren, Gilgal, Abu Salem), in argilla (Beidha), o in legno e mattoni crudi (Gerico); i pavimenti sono di argilla battuta o acciottolati, mentre le coperture dovevano essere in piano o leggermente convesse, con un'intelaiatura di legno e un rivestimento di argilla. All'interno dei villaggi si individuano aree libere da costruzioni, ma "attrezzate" con lastricati, focolari, forni, pozzi, mortai (el-Khiam, Nahal Oren, Beidha, Gerico). L'incidenza delle specie vegetali domestiche rispetto a quelle selvatiche è decisamente bassa; sembrano essere ancora assenti specie animali domesticate, ma sono presenti le specie "preselezionate" per la domesticazione: in ogni sito è presente una specie animale "preferita" che mostra nella fase successiva i segni della domesticazione (capra a Beidha e Abu Gosh), o che viene abbandonata a favore di specie più facilmente domesticabili (gazzella a Nahal Oren, Gilgal ed el-Khiam). Lo strumentario del PPNA, pur proseguendone la tradizione, si caratterizza rispetto al Natufiano per la progressiva scomparsa degli strumenti geometrici, per la comparsa delle punte di freccia con incavi prossimali (punte di el-Khiam), di elementi di falcetto senza dorso e senza denticolazione e di asce e accette scheggiate.
La successiva fase PPNB (7400-6700 a.C.) mostra il consolidamento di tutte le premesse neolitiche: compaiono le prime forme domestiche di pecora e capra, aumentano quantitativamente e qualitativamente le testimonianze di grano, orzo e legumi domestici, i villaggi aumentano considerevolmente di dimensioni e di complessità urbanistica, vengono occupate per la prima volta aree in precedenza considerate marginali; l'aumentata complessità dell'organizzazione sociale è testimoniata dalle dimensioni degli insediamenti, dai resti architettonici, dalle pratiche di culto, dai movimenti di materie prime. L'architettura del PPNB procede direttamente dal PPNA, con una prima fase caratterizzata ancora dalla presenza di strutture circolari, che rapidamente lasciano il passo a strutture a pianta rettangolare, con partizioni interne che delimitano aree di soggiorno e aree di lavoro. L'innovazione assoluta è data dalla comparsa di strutture di tipo particolare, che presuppongono un uso non abitativo, e dall'uso dell'intonaco di calce per la rifinitura delle pareti e dei pavimenti. Quest'ultima evidenza archeologica porta con sé la considerazione sull'accresciuta necessità di lavoro collettivo per il reperimento del calcare e la sua trasformazione in calce, grazie al processo di combustione, e sull'acquisizione di nuove tecniche di controllo del fuoco, che permetteranno, nei secoli successivi, la cottura della ceramica e la fusione dei metalli. Lo strumentario del PPNB mostra innovazioni fondamentali, pur nella continuità col periodo precedente: compaiono nuovi tipi di punte, con ritocchi lamellari, elementi di falcetto a denticolazione fine, asce scheggiate di varie forme e dimensioni, sul cui taglio appare la levigatura, così come sugli scalpelli. Aumenta lo strumentario per la lavorazione dei cereali, costituito da macine, pestelli, mortai e trituratori, mentre l'uso dell'ossidiana nell'area palestinese resta del tutto marginale, anche se la sua provenienza dall'area della Cappadocia permette di individuare collegamenti con l'Anatolia, presumibilmente attraverso mediatori del bacino dell'Eufrate.
La fase centrale del Neolitico preceramico si distingue dai periodi precedenti e successivi soprattutto per la massiccia presenza di edifici o complessi interpretati come strutture di natura pubblica o cultuale. Mentre i siti anatolici mostrano edifici di pianta particolare, con stele, pavimenti colorati, pareti dipinte, are, loculi, il Levante mostra strutture con stele o bacini intonacati a Gerico, Beidha e Munhata, ma soprattutto aree di culto degli antenati, dove non è tanto la struttura a rivestire un ruolo, quanto i crani e le immagini dei progenitori della comunità. Crani isolati o a gruppi si trovano all'esterno delle strutture o poggiati sui pavimenti, in alcuni casi posti su piedistalli, in altri sepolti sotto le strutture in circolo, in file o isolati. A Gerico e Beisamoun compaiono alcuni crani con le fattezze del viso rimodellate, utilizzando intonaco di calce, pigmenti colorati per baffi e capelli, conchiglie o pastiglie di intonaco per gli occhi. A Gerico e Ain Ghazal, inoltre, sono state individuate statue di argilla, a grandezza quasi naturale, raffiguranti in modo piuttosto schematico esseri umani interi o a mezzo busto. Il rilievo dato ai crani, le statue, le strutture di tipo particolare, l'aumento di estensione degli abitati, la necessità di molto lavoro comune portano a ricostruire la società levantina del PPNB come un insieme di villaggi autonomi e con caratteristiche proprie, ma con profondi collegamenti sul territorio, organizzati su base familiare, dove le famiglie possono essere raggruppate in lignaggi differenziati e riconosciuti in base alla discendenza da antenati comuni divinizzati, la cui presenza fisica, sotto forma di cranio, scheletro o statua, permette di sottolineare ideologicamente l'appartenenza della terra e i diritti acquisiti su di essa (Flannery 1972).
La fase finale del Neolitico preceramico (PPNB finale o PPNC, 6700-5700 a.C.) mostra una serie di trasformazioni sostanziali negli insediamenti e nell'approccio al territorio: molti insediamenti scompaiono, quelli che proseguono diventano più piccoli e con strutture abitative più semplici e si assiste probabilmente a un frazionamento e a una dispersione dei gruppi, dato che nascono nuovi insediamenti, in aree diverse dalle precedenti, ma con caratteri meno stabili, vista l'alternanza di abbandoni e rioccupazioni. È questo il momento in cui appare più evidente l'incidenza dell'allevamento sull'economia ed è quindi probabile che il "sistema" economico aceramico mostri in questa fase il suo limite: l'agricoltura e la stabilità consentono l'aumento dei gruppi, l'accrescimento demografico necessita di ulteriori risorse economiche, il territorio non può soddisfare l'eccessiva sollecitazione, i gruppi sono costretti alla dispersione per occupare nuovi territori più marginali che risentono dello sfruttamento e vengono utilizzati per una forma di sussistenza più mobile e adattabile, come l'allevamento di caprovini.
Neolitico tardo - L'occupazione del territorio durante il Neolitico ceramico (inizi VI - inizi IV millennio a.C.) ricalca, per alcuni versi, quella della fine del periodo preceramico, mostrando fasi di occupazione in continuità con le precedenti fasi aceramiche nei siti più importanti (Gerico, Ain Ghazal, Munhata). Spesso i siti ceramici non mostrano precedenti fasi e si configurano come insediamenti instabili o stagionali, con strutture circolari semisotterranee nella fase più antica, a cui si affiancano e talvolta si sostituiscono strutture rettangolari nella fase più recente. Evitando le suddivisioni stilistiche effettuate in base ai vari tipi ceramici presenti nei siti, il Neolitico ceramico palestinese può essere suddiviso in due grandi fasi: la fase I, che mostra elementi di continuità con il preceramico, e la fase II, lo Yarmukiano di M. Stékélis (1972), in cui compaiono elementi innovativi che condurranno al passaggio al Calcolitico.
La posizione degli insediamenti fornisce i dati più interessanti sul periodo: la maggior parte dei siti è dislocata nella fascia altimetrica che va da 0 a 100 m s.l.m., zona che su quasi tutto il territorio corrisponde ai terreni sfruttabili per l'agricoltura e a precipitazioni annue tra 400 e 600 mm. Mettendo a confronto questo tipo di occupazione con quello del Neolitico preceramico, si nota lo spopolamento degli alti rilievi e delle zone aride e semiaride, nonché la preferenza per colline e valli a clima temperato, aree particolarmente indicate per il pascolo e quindi per sostenere un'economia di allevamento, oltre che di agricoltura limitata. Per la prima volta vengono occupate aree di dune costiere, dove l'attività economica principale sembra essere la pesca.
La ceramica fa la sua comparsa nella fase I con forme semplici, non decorate, a impasto grossolano, con argilla mescolata a paglia, associate a un tipo di ceramica più fine, con superficie che mostra una decorazione geometrica dipinta. Nella fase II all'impasto grossolano della ceramica non decorata si sostituisce un impasto più fine, con degrassante minerale e superficie bruna levigata, la Dark Faced Burnished Ware (DFBW) comune in tutto il Neolitico vicino-orientale, mentre aumentano i tipi e le decorazioni della ceramica fine. Il complesso ceramico di questa fase mostra due distinte aree di distribuzione: la zona costiera, caratterizzata da decorazioni impresse e ingobbiatura rossa parziale, e la zona del Giordano, caratterizzata da decorazioni incise, linee dipinte e ingubbiatura completa.
Per quel che riguarda l'industria litica si nota un generale impoverimento nella varietà sia dei tipi che delle tecniche, rispetto al periodo precedente. L'ossidiana scompare quasi completamente e si usa di preferenza selce locale in ciottoli. Gli elementi più rappresentativi dell'industria sono asce, accette e scalpelli completamente levigati, elementi di falcetto a denticolazione grossa e punte di freccia del tipo Byblos, comparse nel PPNB. La fine della fase II (fine V - inizi IV millennio a.C.) si può considerare il passaggio al Calcolitico, dato che i siti più estesi mostrano elementi che anticipano le caratteristiche del Ghassuliano, in assenza di interruzioni stratigrafiche e culturali.
Questo periodo di transizione, definito anche "fase del Wadi Rabah", porta l'area palestinese a inserirsi di nuovo in un contesto culturale più ampio e omogeneo intorno alla metà del IV millennio a.C. Influenze siro-mesopotamiche e anatoliche determinano l'espandersi della cultura ghassuliana in vaste aree della regione: oltre alla prosecuzione dei siti neolitici più importanti, nuovi insediamenti nascono nella piana costiera, nella valle del Mar Morto, fino nel Negev.
La distribuzione geografica degli insediamenti calcolitici sembra indicare da un lato una ricerca di concentrazione degli abitati in aree naturalmente delimitate e dall'altro la necessità di fonti idriche e terreni adatti all'agricoltura; gli insediamenti sorgono soprattutto nelle zone aperte, su terreni alluvionali o sabbiosi, in aree pianeggianti o leggermente ondulate, decisamente preferite rispetto a quelle boscose o accidentate. Agricoltura e allevamento di caprovini risultano le attività economiche primarie, integrate talvolta da allevamento di bovini (aree interne) o suini (aree costiere); le grandi strutture rettangolari e l'abbondanza di strumentario adatto alla lavorazione e alla conservazione dei raccolti hanno fatto ipotizzare un sistema agricolo basato su una serie di fattorie utilizzate per lavori stagionali, dove la crescita dei raccolti viene aiutata dall'installazione di sistemi di irrigazione costituiti da muretti a secco che convogliano e regolano i flussi d'acqua, terrazzamenti che funzionano come microbacini di irrigazione nelle aree con falda acquifera poco profonda e poco abbondante, cisterne scavate nella roccia e pozzi che raggiungono le falde profonde lungo la piana costiera, a Tel Aviv e a Teleilat Ghassul.
Di particolare interesse appare l'occupazione calcolitica del Negev e del Sinai, riconosciuta soprattutto attraverso progetti di ricognizione: la penetrazione nel Negev meridionale risulta molto diffusa lungo la più antica delle rotte che, partendo dal Golfo di Aqaba, portava a quello di Suez e alla costa egiziana. Altrettanto numerosi i siti del Sinai sud-orientale, lungo le carovaniere che da ovest raggiungono a nord Elat e a est la costa presso Dahab. Già nel Calcolitico dunque quest'area si presenta come fittamente abitata e punto di contatto tra l'Oriente e l'Egitto, grazie a un graduale stanziamento di gruppi dediti alla pastorizia e alla caccia, ma anche alla ricerca di fonti d'acqua per coltivare i terreni e di miniere di rame e turchese, che in questo periodo appaiono già ampiamente sfruttate.
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di Jean-Louis Huot
Durante il Quaternario, ai grandi periodi glaciali identificati nelle regioni dell'Europa occidentale e centrale corrispose in Oriente un'alternanza tra periodi umidi e periodi secchi. Il clima attuale non si definì che circa 15.000 anni fa. Dopo l'ultima glaciazione il livello marino risalì e la depressione del Golfo venne sommersa dalle acque. La Mesopotamia può essere suddivisa in due settori. Il settore settentrionale è occupato da un altopiano ondulato, la Gezira, attraverso il quale il Tigri e l'Eufrate, che nascono dalle catene montuose anatoliche, hanno scavato la loro valle. In queste regioni è possibile praticare un'agricoltura pluviale. Il settore meridionale è costituito da un vasta pianura alluvionale dove questi fiumi compiono il loro lungo corso prima di sfociare nel Golfo. Di clima arido, tale area non può essere sfruttata a fini agricoli se non facendo ricorso a tecniche irrigue. Le steppe e il deserto occupano la maggior parte del territorio. Nelle regioni meridionali le terre coltivabili non sono rappresentate che da strette fasce ubicate da una parte e dall'altra dei corsi d'acqua. Ma, a differenza della maggior parte delle regioni vicine, la Mesopotamia dispone in abbondanza di due elementi indispensabili all'agricoltura: la terra e l'acqua.
Il Paleolitico della Mesopotamia è scarsamente noto. Infatti, se in Palestina la presenza umana risale agli inizi del Paleolitico inferiore, in Mesopotamia ‒ nello stesso periodo ‒ si registrano solo alcune sporadiche attestazioni di bifacciali acheuleani, recentemente rinvenuti sulle rive del Tigri. Nel Paleolitico medio l'uomo moderno, nella sua forma Homo sapiens sapiens, è attestato dal 90.000 B.P. nelle grotte della Galilea e sul Monte Carmelo. Tuttavia, nel Kurdistan iracheno, tale fase e il Paleolitico superiore sono stati documentati solo nel sito di Shanidar. Se in Europa si datano a questo periodo le eccellenti realizzazioni artistiche del Solutreano e del Maddaleniano, nulla di equiparabile è stato identificato in Mesopotamia. Nelle regioni pedemontane del Tauro o degli Zagros non è stata scoperta alcuna grotta con pitture rupestri.
Nel Levante la ricerca è giunta dopo molto tempo a distinguere la lenta evoluzione di un Neolitico antico (Kebariano della Palestina, poi Natufiano, tra il 12.500 e il 10.000 a.C.). Le principali stazioni sedentarie, di molto anteriori agli esordi delle attività agricole, sono state identificate a Mallaha in Galilea e verso sud, lungo il medio corso dell'Eufrate in Siria, a Tell Mureybet e a Tell Abu Hureyra. Occorrerebbe conoscere in forma molto più approfondita il Kurdistan iracheno, troppo rapidamente esplorato circa cinquanta anni fa da R.J. Braidwood, per analizzare i coevi sviluppi della Mesopotamia. Le regioni pedemontane degli Zagros non sembrano avere assolto alcun ruolo solo in ragione del fatto che esse non sono state a tutt'oggi sottoposte a scavi. Quando nel Levante apparvero i primi villaggi, in essi si verificarono probabilmente i medesimi processi evolutivi.
Nel piccolo villaggio di Zawi Chemi Shanidar nel Kurdistan si raggruppavano alcune capanne a pianta circolare, ma ogni traccia di pratiche agricole è assente e gli specialisti dibattono a tutt'oggi sulla natura esatta degli animali (pecore o capre) di cui sono state rinvenute le ossa. Sembra che qui non sia esistito un villaggio occupato in modo permanente da una popolazione di cacciatori-raccoglitori. Approssimativamente coevo, il sito di Karim Shahir (tra Kirkuk e Sulaimaniyeh) è localizzato in posizione molto più elevata rispetto a Zawi Chemi; ubicato a 850 m di altitudine, non si sa se esso sia stato un villaggio permanente o un accampamento stagionale. Tutte le ossa rinvenute appartengono a specie animali selvatiche. Lo strumentario litico presenta affinità con quello in possesso degli abitanti di Zawi Chemi.
In Mesopotamia le ricerche si sono concentrate soprattutto sul passaggio da un'economia appropriativa (i cacciatori-raccoglitori del Paleolitico) a un'economia produttiva (gli agricoltori-allevatori del Neolitico). Si tratta dunque di una preistoria tardiva, quella delle epoche della sedentarizzazione immediatamente precedenti l'invenzione della scrittura, risalente alla seconda metà del IV millennio a.C.
La sedentarizzazione e successivamente gli inizi dell'agricoltura e dell'allevamento sembrano avere avuto luogo in un'area assai ristretta ubicata tra il Tauro occidentale, il medio Eufrate, il Mar Morto e la costa mediterranea, anche se si tratta forse di una visione dovuta agli squilibri della ricerca. In Siria e in Palestina, numerosi scavi realizzati nel corso di circa cinquant'anni hanno precisato lo svolgimento di tali eventi. In Mesopotamia i rari dati disponibili provengono dall'Alta Mesopotamia, dal Khuzistan iraniano e dalle regioni pedemontane degli Zagros. Ma fu sfortunatamente nel periodo in cui scoppiò la crisi del 1990-91 che nuove esplorazioni a Qermez Dere, M'lefaat o Nemrik si accingevano a sostituire gli antichi lavori di Braidwood. Nella Bassa Mesopotamia non si conoscono a tutt'oggi siti preceramici. Qualora esistano, tutti i siti anteriori al 6500 a.C. circa sono seppelliti sotto spessi strati alluvionali.
M'lefaat, 35 km a est di Mossul, è stato per lungo tempo ritenuto il più antico villaggio della Mesopotamia. Ubicato sulla riva di un affluente del Grand Zab, che si getta nel Tigri, in posizione propizia alla congiunzione della steppa con le prime colline degli Zagros, il sito, sommariamente esplorato da Braidwood circa cinquanta anni fa, è stato oggetto di nuove ricerche a opera di una missione polacca nel 1989-90. Qui sono state individuate capanne a pianta circolare od ovale i cui muri erano stati realizzati in pisé o con mattoni modellati a mano. Si tratta della più antica attestazione dell'impiego di mattoni di terra cruda, coeva a vestigia simili note nel Levante, ad esempio, a Gerico. Il villaggio sembra risalire agli inizi del X millennio a.C.; esso era un insediamento permanente, abitato da una popolazione sedentaria che utilizzava rozzi strumenti da macina e recipienti di pietra. Tutte le ossa raccolte appartengono a specie selvatiche (mufloni o gazzelle, uccelli e pesci). Le risorse vegetali commestibili erano anch'esse ottenute mediante attività di raccolta e non di coltivazione.
Il sito di Qermez Dere, 60 km a ovest di Mossul, ha restituito vestigia di epoca coeva. La popolazione, sedentaria, praticava attività di caccia e di raccolta. Una capanna dai muri accuratamente intonacati era dotata di "pilastri" non funzionali (essi non supportavano infatti alcun tetto), che secondo l'interpretazione dei ricercatori avrebbero assolto un ruolo simbolico. Circa 50 km a nord di Mossul una missione polacca aveva iniziato a esplorare il sito di Nemrik, localizzato su una terrazza lungo il corso del Tigri. La fase antica risale agli inizi del X millennio (essa è coeva a Qermez Dere), mentre la fase più recente si colloca tra la fine del IX e gli inizi dell'VIII millennio a.C. La fase antica ha restituito capanne seminterrate a pianta circolare, delimitate da muri costruiti con blocchi di pisé.
Lo strumentario litico proveniente da questi siti ubicati nei dintorni di Mossul presenta affinità con quello rinvenuto in siti della regione pedemontana degli Zagros (Karim Shahir). Ma le sequenze archeologiche sono lunghe e nello strumentario litico si rileva una scarsa evoluzione; nel settore settentrionale della Mesopotamia, dal X all'VIII millennio a.C., i complessi litici sembrano inoltre quasi standardizzati. Si ignora dunque se questi insediamenti della Gezira irachena testimonino una neolitizzazione primaria o se siano invece il prodotto di una convergenza tra le culture più orientali (Zagros) e quelle più occidentali (Levante).
I piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori dispersi nella Gezira si raggrupparono successivamente in villaggi più grandi e meglio costruiti, trovando infine nell'agricoltura e nell'allevamento le basi della loro sussistenza. L'altopiano nei dintorni di Mossul è adatto allo sviluppo di un'agricoltura cerealicola non irrigua e all'allevamento. Tuttavia, per il periodo tra il IX e buona parte dell'VIII millennio, le nostre conoscenze non si basano che su due siti: Nemrik e Magzalia. A Nemrik, è stata identificata una decina di strutture abitative risalenti alle fasi media (9500-8000 a.C.) e recente (8000-7500 a.C.); esse presentavano pianta circolare e il loro tetto era sostenuto da pilastri. A partire dagli inizi dell'VIII millennio apparvero alcune abitazioni a pianta rettangolare. Nelle strutture domestiche della fase recente vennero deposti intenzionalmente crani. Accanto a piccole figurine fittili zoomorfe sono state inoltre rinvenute raffinate teste di uccello scolpite nella pietra, nascoste sotto il pavimento delle abitazioni. Questo villaggio non ha restituito alcuna evidenza di piante domestiche: i suoi abitanti ignoravano ancora l'agricoltura.
L'ultimo sito aceramico che occorre citare in questa sede è quello di Magzalia, ubicato a una decina di chilometri dalla città moderna di Tell Afar, ai piedi del Gebel Sinjar. Si tratta del migliore esempio di un villaggio di dimensioni relativamente grandi del Neolitico preceramico della Mesopotamia settentrionale, occupato dall'8000 al 7500 a.C. circa. Il villaggio del periodo iniziale era costituito da piccole abitazioni a pianta rettangolare, dotate di un solo ambiente e con i muri costruiti in pisé. Nella fase recente, abitazioni a pianta quadrangolare articolate in numerosi vani e dotate di muri di pisé poggiavano su basamenti di pietra. Esse erano protette da un vero bastione, il primo del genere a tutt'oggi noto. Conservatosi ancora oggi per un'altezza di 1,5 m, esso è costituito da grandi blocchi di pietra calcarea e potrebbe essersi sviluppato per una lunghezza di 60 m. Non è chiaro se si trattasse di un semplice recinto o invece di un'opera difensiva; se quest'ultima ipotesi si rivelasse corretta, non apparirebbe eccessivo sottolineare la sua importanza: esso rappresenterebbe infatti la testimonianza di una importante evoluzione nel comportamento degli abitanti di villaggio dell'Alta Mesopotamia della metà dell'VIII millennio. Punteruoli e aghi d'osso integrano un grossolano strumentario composto da macine e pestelli. Il vasellame di pietra è abbondante, insieme a vasellame di calce modellata identico a quello rinvenuto nei villaggi siriani di epoca coeva. La vita economica di Magzalia è scarsamente nota. I pochi dati disponibili indicano profondi mutamenti in rapporto a quelli che si rilevano negli insediamenti di epoca precedente. Gli abitanti praticavano ancora la caccia a una fauna molto varia, comprendente capre e asini selvatici, uri, orsi e mufloni, ma erano ormai presenti animali domestici. Magzalia è stato il primo sito della Mesopotamia ad attestare la domesticazione di pecore e capre. Anche se praticavano ancora la raccolta di cereali selvatici, gli abitanti di Magzalia coltivavano inoltre diverse varietà di grano e orzo.
Intorno al 7000 a.C. la Mesopotamia settentrionale era ancora occupata in forma molto sparsa da piccole comunità agricole che presentano affinità con quelle di Magzalia e le cui basi di sussistenza erano rappresentate da un'agricoltura cerealicola agli esordi, integrata dall'allevamento di ruminanti di piccola taglia. Le attività di caccia e raccolta conservavano ancora un ruolo importante nella struttura economica generale. In seno a queste piccole comunità si andarono sviluppando società più complesse. Il Levante perse allora il ruolo di centro promotore di sviluppo che aveva assolto fino a questo periodo nel Vicino Oriente. La Mesopotamia divenne il crogiolo di una evoluzione che sarebbe andata accelerando nel corso del tempo.
A partire dal 7000 a.C. circa nei siti della Mesopotamia è documentata la presenza di abbondanti frammenti fittili. Si iniziarono a modellare recipienti di argilla per ottenere vasi atti a conservare alimenti e bevande e in grado di essere esposti al fuoco, permettendo così la cottura di farinate di cereali. La ceramica fu l'ultima invenzione del Neolitico e la sua utilizzazione si diffuse con molta rapidità. Nelle fasi iniziali forme e decorazioni erano molto semplici, essendo costituite essenzialmente da ciotole e olle la cui ornamentazione era rappresentata da incisioni realizzate sull'impasto o da applicazioni a rilievo. Progressivamente apparve la decorazione dipinta. Nel corso di due millenni, la ceramica dipinta si affermò nell'intera Mesopotamia.
Il significato dei motivi ornamentali, in alcuni casi molto complessi ed eseguiti con grande accuratezza, resta oscuro. Non si tratta infatti di semplici decorazioni e ancor meno ‒ contrariamente a quanto si riteneva negli anni Trenta del Novecento ‒ di una scrittura primitiva o di un mezzo di trasmissione del discorso. In Mesopotamia si passa da motivi molto semplici (Hassuna) a composizioni particolarmente elaborate (Samarra, Eridu). Al termine del periodo di Ubaid apparvero progressivamente motivi più standardizzati, che successivamente sarebbero scomparsi. Si è dunque ritornati all'ipotesi secondo cui le ceramiche dipinte avrebbero veicolato un linguaggio immaginifico, una sorta di codice di comunicazione sociale, sfortunatamente andato perduto per sempre, il ricorso al quale andò diminuendo nel tempo; si è tentato, senza grande successo, di individuare relazioni con i frammenti di pitture murali che si sono conservati. Si dovrebbero piuttosto vedere in queste decorazioni dei vasi i segni di identificazione dei loro fabbricanti, come oggi avviene in alcune regioni nei motivi dei tappeti o negli indumenti femminili.
A partire dal 6500 a.C. si sviluppò nel settore settentrionale della Mesopotamia la cultura di Umm Dabaghiya-Sotto (due siti recentemente scavati) derivata da quella dei villaggi aceramici della tipologia di Magzalia. Questi nuovi villaggi sono ubicati nell'area limitrofa al Gebel Sinjar (Tell Sotto, Yarim Tepe); altri si localizzano lungo il corso del Tigri (Hassuna). Da questa cultura deriva quella di Hassuna, il cui sito eponimo è localizzato 35 km a sud-ovest di Mossul. Essa marca il primo effettivo sfruttamento agricolo della Gezira irachena secondo il modello del Neolitico finale, tra il 6500 e il 6000 a.C. In questo periodo la Mesopotamia settentrionale era occupata da piccole comunità agricole la cui economia era fondata sulla coltivazione di cereali e sull'allevamento.
I siti principali (Yarim Tepe, Hassuna, Tell Shimshara) sono rappresentati da villaggi di coltivatori e di pastori che praticavano un'agricoltura pluviale (cereali molto diversificati) e allevavano animali domestici (buoi, capre, pecore e maiali), pur continuando a cacciare uri, orsi e gazzelle. Veniva fabbricata una ceramica a impasto grossolano o fine, scarsamente decorata, e le abitazioni erano costituite da strutture a pianta circolare o rettangolare dotate di uno o più ambienti, di focolari e di olle da immagazzinamento. Dovunque, strutture parallele interpretate come basamenti di granai testimoniano la cospicuità dei raccolti. Le strutture domestiche sono contigue l'una all'altra, l'abitato appare denso. Si è in presenza di una società di villaggio pienamente sviluppata, caratterizzata da tutti i tratti tipici dell'epoca neolitica: la sedentarizzazione, lo sfruttamento del territorio per le pratiche agricole e l'allevamento e la produzione di ceramica. I gruppi Hassuna non occupavano un territorio molto vasto, almeno a giudicare dal raggio di dispersione della loro ceramica: essa non è stata rinvenuta al di fuori dell'Iraq settentrionale e del settore orientale della Gezira siriana. Circa 2000 anni dopo la comparsa dei primi insediamenti sedentari, l'epoca di Hassuna testimonia una fase già sviluppata delle culture neolitiche della Mesopotamia.
La cultura di Samarra non è, in realtà, che una fase recente di quella di Hassuna, o una facies specifica di quest'ultima. Essa è stata identificata per la prima volta nel sito di Samarra, ubicato circa 100 km a nord di Baghdad, approssimativamente un secolo fa. All'epoca l'attenzione dei ricercatori fu attratta da una ceramica dipinta di eccellente fattura proveniente dalla necropoli preistorica sepolta sotto i livelli musulmani. I motivi, essenzialmente geometrici ma in alcuni casi figurativi, disposti con notevole perizia sulle pareti dei vasi, sono estremamente caratteristici. Essi si ritrovano nella maggior parte dei siti della cultura Hassuna, ma anche più a sud, lungo il corso del Tigri, fino a Samarra e nelle regioni pedemontane degli Zagros, a sud di Kirkuk. Una rilevante innovazione accompagna questa nuova produzione fittile: per la prima volta, nei villaggi compaiono abitazioni che utilizzano mattoni crudi modellati. Questa standardizzazione dei materiali da costruzione comportò una razionalizzazione delle strutture architettoniche.
Il sito più celebre di questo periodo, attivo intorno al 6000 a.C., è quello di Tell es-Sawwan, ubicato sulle rive del Tigri a qualche chilometro da Samarra. Alcune evidenze relative alla sfera economica suggeriscono che i modi di vita fossero sostanzialmente simili a quelli dei periodi precedenti: allevamento di pecore e capre, coltivazione di grano e orzo. Le specie cerealicole coltivate, però, attestano l'esistenza di pratiche irrigue. Tell es-Sawwan, in effetti, era localizzato al limite della zona arida e le precipitazioni, insufficienti, non avrebbero consentito di praticare un'agricoltura pluviale. Per sopravvivere, la maggior parte dei siti della cultura Samarra dovette dunque adottare tecniche irrigue. Il sito di Choga Mami, nei pressi della frontiera orientale dell'Iraq, nell'area pedemontana degli Zagros, ha inoltre restituito antiche evidenze di piccoli canali; sono state individuate anche fondamenta di granai in forma di griglia. L'importanza del periodo di Samarra risiede nella comparsa di queste prime sperimentazioni delle tecniche irrigue e nel settore architettonico. I gruppi Samarra, dominando la tecnica del mattone modellato, e dunque standardizzato, seppero costruire strutture architettoniche pianificate, secondo sistemi di misura coerenti. Questa innovazione fu la chiave dell'intera architettura mesopotamica. L'abilità degli architetti sumeri o babilonesi affonda le sue radici nel cuore dell'epoca neolitica.
Mentre nell'Iraq settentrionale e centrale si sviluppavano le comunità agricole di Hassuna e Samarra, la Mesopotamia meridionale veniva a sua volta popolata. Le vestigia più antiche sono state identificate a Tell el-Ueili (Ubaid 0), nei pressi dell'antica capitale di Larsa. Gli inizi del periodo di Ubaid della Bassa Mesopotamia restano a tutt'oggi troppo poco noti. Il modo di vita di queste comunità di villaggio delle regioni meridionali non doveva essere sostanzialmente diverso da quello delle comunità settentrionali, tranne che per il ricorso sistematico alle pratiche irrigue. Al termine di Ubaid 1, intorno al 5300 a.C., la Bassa Mesopotamia era occupata in forma probabilmente molto sparsa da villaggi pienamente "neolitizzati", pronti ad attraversare l'ultima fase della preistoria mesopotamica.
Nel corso dello stesso periodo la Mesopotamia settentrionale conobbe un'evoluzione per alcuni aspetti particolare. Agli inizi del XX secolo alcuni scavi condotti da ricercatori tedeschi avevano consentito di rinvenire sotto i livelli storici dell'età del Ferro del sito di Tell Halaf, ubicato nei pressi dell'odierna frontiera tra la Siria e la Turchia, alcuni frammenti fittili dipinti molto caratteristici. Essi non avrebbero trovato la loro giusta collocazione nella cronologia della Mesopotamia che molto tempo più tardi, grazie agli scavi condotti da archeologi britannici a Ninive, dove è stato messo in luce un deposito stratificato di oltre 20 m di spessore che ha riordinato le nostre conoscenze sulla successione delle culture preistoriche della Mesopotamia settentrionale. Si attribuì allora il nome di "cultura di Halaf" a questo caratteristico corpus ceramico, rinvenuto nel sito eponimo ma anche a Tepe Gawra, Tell Arpachiya, oltre che in Siria, nelle valli dei due affluenti dell'Eufrate, il Khabur e il Balikh, e in Turchia meridionale. Scavi più recenti condotti da archeologi russi a sud del Gebel Sinjar (Yarim Tepe II e Yarim Tepe III) hanno permesso di ampliare considerevolmente le nostre conoscenze. La zona di dispersione della cultura di Halaf appare dunque particolarmente vasta, estendendosi dalle coste siriane del Mediterraneo fino agli Zagros, attraverso l'intera steppa siro-mesopotamica del Nord. Rispetto alle culture preistoriche che l'avevano preceduta, la cultura di Halaf interessò dunque una regione molto più ampia. Si tratta di un complesso culturale di probabile origine siriana (il villaggio più antico del periodo di Halaf è probabilmente quello di Tell Sabi Abyad, nella valle del Balikh) che si estese nei periodi successivi nella zona precedentemente occupata dagli antichi villaggi Hassuna della Mesopotamia settentrionale.
I siti Halaf sono costituiti da piccoli insediamenti di agricoltori-allevatori che praticavano un ridotto regime di scambi. Le abitazioni presentano spesso pianta circolare. I primi archeologi che individuarono tali siti li denominarono impropriamente con il termine greco di tholos, preso a prestito dalla terminologia degli specialisti dell'epoca micenea. La celebrità delle tholoi di Halaf deriva soprattutto dal fatto che esse sono facilmente riconoscibili. Si tratta di semplici abitazioni, in alcuni casi vicine a più banali strutture domestiche a pianta rettangolare. Le tholoi, di dimensioni variabili, potevano assolvere funzioni diverse: se la maggior parte era destinata a un uso abitativo, altre potrebbero essere state adibite a silos. Ciascuna di esse assolveva una funzione specifica ed era il complesso di varie tholoi che verosimilmente formava una "casa". I villaggi Halaf sono costituiti dalla giustapposizione di tali strutture a pianta circolare, che rappresentavano l'unità residenziale di un gruppo famigliare ristretto. Le popolazioni Halaf sono state interpretate, anche se in assenza di precise argomentazioni, come comunità nomadi; esse erano costituite in realtà, come i gruppi coevi della Bassa Mesopotamia, da agricoltori e da allevatori sedentari, che coltivavano cereali e costruivano granai. Le specie animali erano domestiche (pecore, capre, maiali e bovini). I gruppi Halaf utilizzavano frequentemente l'ossidiana, un vetro vulcanico dal quale si ottengono lame fragili ma particolarmente taglienti. La si ritrova ugualmente nei siti Ubaid, ma ciò non comporta necessariamente la sua esportazione a opera dei gruppi Halaf, come un tempo veniva frequentemente proposto. La ceramica Halaf è di agevole riconoscibilità: sempre molto raffinata, rivestita di ingobbio, essa presenta una decorazione dipinta geometrica che privilegia alcuni motivi: nodi punteggiati, ornamentazione a scacchiera o bucranio stilizzato. Le forme sono semplici e la produzione appare di qualità eccellente. I vasai Halaf hanno creato gli esemplari più belli, ai nostri occhi, della ceramica preistorica mesopotamica. Le figurine, di uno stile caratteristico, sono anch'esse estremamente peculiari. Alcuni siti Halaf ‒ e tale tratto costituisce un'innovazione ‒ hanno restituito impronte di sigilli su argilla. Ciò nonostante occorre evitare di trasformare i gruppi Halaf in burocrati o in amministratori, come si è talvolta tentato di fare.
La tipicità della ceramica Halaf permettere di tracciare agevolmente una carta dell'espansione di questa cultura, che arrivò a estendersi in tutta la zona settentrionale della Mezzaluna Fertile, per una lunghezza di circa 500 km. Tale forza di diffusione costituisce la caratteristica più saliente della cultura di Halaf. La sua vasta espansione corrisponde forse a reali spostamenti di popolazione; ma questi agricoltori non furono comunque gruppi nomadi. Essi colonizzarono nuovi territori e fondarono nuovi villaggi. Condannati all'espansione, essi si spostarono senza forse evolversi di molto, perpetuando così un modo di vita statico, destinato infine a scomparire.
Nel corso dell'ultima fase che la Mesopotamia conobbe prima della formazione delle città e della comparsa della scrittura, vale a dire la fase di Ubaid recente, datata tra il 5300 e il 3700 a.C., nelle regioni settentrionali e meridionali si verificarono trasformazioni di rilievo. Ur, Uruk, Ubaid, Eridu o Tell el-Ueili condividevano in questo periodo una cultura materiale comune che si diffuse anche nei settori centrale e settentrionale del Paese (Tepe Gawra, Yarim Tepe) oltre che a est, nella regione del Gebel Hamrin (Tell Abada, Kheit Qasim, Tell Madhhur). La società mesopotamica subì profondi mutamenti, percettibili soprattutto in campo architettonico.
Nella Bassa Mesopotamia, un eccezionale complesso di strutture architettoniche è stato identificato a Eridu, non lontano da Ur. L'edificio di Eridu VII, ben conservato, è stato riportato alla luce quasi nella sua interezza. Esso venne eretto su una terrazza dell'altezza di 1 m e ciò rese necessaria la costruzione di una scalinata di accesso formata da una decina di gradini. La struttura occupa 230 m2 e si compone, secondo una pianta tripartita, di una vasta sala centrale e di ambienti laterali, dei quali quelli d'angolo formano una leggera sporgenza. Alcuni pilastri rinforzano i muri esterni. L'edificio di epoca successiva che ricopre tale struttura, Eridu VI, non presenta rispetto al precedente che lievi differenze: esso copre 280 m2, ha una pianta più allungata e si estende per una lunghezza di 20,7 m. Si conosce un edificio simile a Uruk, un altro a Tell Uqair, non lontano da Babilonia. Queste strutture architettoniche eccezionali presentano tutte la stessa pianta. Nel corso di circa mezzo secolo esse sono state tradizionalmente interpretate come "templi", senza che tale ipotesi poggiasse su solide argomentazioni. In realtà esse non sono più strutture di abitazione, ma piuttosto vaste sale di ricevimento (le porte di accesso dall'esterno sono numerose). I contemporanei mudhif ("casa degli ospiti") iracheni della regione delle paludi ne sono lontane trasformazioni. Essi assolvevano una funzione identica, di riunione e di ricevimento dei dipendenti di un capofamiglia, di un capo del clan o della tribù.
La società agricola di Ubaid recente, nella Bassa Mesopotamia, era ancora poco strutturata. Non vi si ritrova alcun oggetto suntuario. L'unico indizio di un cammino verso una gerarchizzazione sociale, che avrebbe subito un'accelerazione solo in seguito, è rappresentato senza dubbio dalla costruzione di queste grandi sale collettive, avvenuta per ordine e sotto la direzione di un capo. È per tale ragione che per queste società del periodo Ubaid recente è stata spesso adottata la definizione di chiefdoms. A Tell el-Ueili sono stati scavati alcuni granai contemporanei, costruiti sempre su griglie di piccoli muretti molto sottili e molto ravvicinati. I gruppi che li utilizzavano, sulla base delle analisi dei livelli del periodo Ubaid recente a Tell el-Ueili, erano sempre agricoltori e pastori; essi si dedicavano ancora, come i loro antenati, alla coltivazione dell'orzo e, in misura minore, a quella del grano; coltivavano inoltre il lino e sfruttavano le palme da dattero. Essi erano inoltre abili allevatori, soprattutto di maiali e di bovini; non praticavano quasi più attività di caccia, ma pescavano abbondantemente nei canali; utilizzavano in piccola quantità il bitume e soprattutto la pietra (producendo essenzialmente zappe) e fabbricavano con l'argilla falci per tagliare le canne e un'abbondante ceramica decorata da motivi dipinti ormai molto semplici. Forme e decorazioni appaiono simili a quelle di Ur, Uruk o Eridu; allo stesso modo, le figurine antropomorfe Ubaid sono praticamente identiche da un sito all'altro. A volte raffiguranti soggetti umani, più spesso donne, esse presentano un volto molto tipizzato, simile a quello di una lucertola o di un serpente. Gli occhi sono profondamente incisi.
A Ur ed Eridu sono state individuate necropoli risalenti a quest'epoca, ma le ricerche sono troppo antiche per fornire attendibili dati di antropologia fisica. Le tombe, poco spettacolari, sono simili le une alle altre; niente distingue i defunti tra di loro, se non l'età e il sesso. Tutti gli abitanti sembrano appartenere allo stesso livello sociale e a una società poco gerarchizzata, mentre la regione era in procinto di assistere alla nascita delle prime società urbane. Questa società agricola sembra comunque avere dato prova di una capacità di espansione notevole; evidenze attribuibili a essa sono state rinvenute lungo le coste del Golfo fino agli Emirati Arabi. Nell'area settentrionale si rileva la scomparsa progressiva (a Tepe Gawra, Hassuna, Yarim Tepe III) della ceramica di Halaf a vantaggio di quella di Ubaid: la cultura di Ubaid si infiltrò progressivamente nelle comunità Halaf settentrionali, al punto che si può parlare ormai di un Ubaid del Nord, ben noto a Gawra XIX-XIII, Yarim Tepe e nel Gebel Hamrin, dove un piccolo villaggio coevo a queste costruzioni, Tell Abada, ha restituito una decina di abitazioni e di tombe. Al centro di questo villaggio, un edificio poco più grande degli altri, con ambienti più numerosi, era senza dubbio la residenza del capo locale. Due grandi strutture architettoniche a pianta tripartita cruciforme sono state scavate non lontano, a Kheit Qasim. Infine, sempre nel Gebel Hamrin, a Tell Madhhur, è stata identificata una struttura domestica ben conservata a seguito di un incendio. Anch'essa a pianta tripartita, con una vasta sala centrale cruciforme e ambienti laterali, occupa 184 m2. Il mobilio, il vasellame di ceramica e altri oggetti di uso quotidiano si sono conservati in loco grazie all'incendio.
Nella Mesopotamia del Nord, al termine del periodo di Ubaid, si ritrovano semplici strutture domestiche accanto a edifici a volte più grandi e più complessi. Questa società di villaggio era in procinto di strutturarsi intorno a capi locali che iniziavano a centralizzare il potere. In seno a queste comunità agricole si sarebbero verificati i grandi mutamenti della seconda metà del IV millennio a.C.: l'urbanizzazione, la scrittura, un'iconografia antropomorfa e più realistica che glorificava l'immagine del capo del centro urbano, una glittica su sigilli cilindrici di un tipo nuovo e gli imponenti edifici dei quali Uruk ha restituito magnifici esempi.
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di Fabio Sebasti
La Penisola Arabica può essere considerata come uno dei corridoi per la dispersione dei primi Ominidi nel processo migratorio Out of Africa e per la comprensione dei loro modelli adattativi nel Plio-Pleistocene. Ciò sembra suffragato da significative attestazioni di complessi litici del Paleolitico inferiore in diverse parti della Penisola, comprese le aree nei pressi dello stretto di Bab al-Mandab. La distinzione in complessi di tipo olduvaiano e di tipo acheuleano potrebbe indicare due movimenti principali. Particolarmente abbondanti, in tal senso, risultano le località in cui sono stati riportati alla luce materiali acheuleani, nei quali si ravvisa inoltre una certa varietà nelle tecniche di scheggiatura e nella frequenza dei tipi. Sebbene potenzialmente realizzabili, non sono stati ancora applicati i metodi di datazione assoluta per i siti della Penisola Arabica, inquadrati solo su base crono-tipologica e tecnologica dei materiali litici.
Relativamente all'Arabia Saudita orientale e alla parte meridionale del Golfo, il Paleolitico è conosciuto attraverso stazioni di superficie, spesso in contesti dunari e con frequenti assortimenti multiperiodo di reperti litici, spesso esposti all'azione eolica dello Shamal. Sotto il profilo geologico, l'Arabia Saudita offre ricche risorse di selce, che giocarono un ruolo importante nella strategia insediativa preistorica, anche col favore di climi più miti. Spedizioni danesi già dagli anni Sessanta del Novecento condussero ricerche nel Bahrain e in Qatar, lavorando anche nel sito costiero di Abu Dhabi e portando a fine anni Settanta a un censimento di 131 stazioni di superficie in Qatar riferibili al Paleolitico. L'area intorno ad Abu Dhabi ha restituito grandi quantità di selce scheggiata con particolari concentrazioni di materiale lavorato lungo le diramazioni occidentali e orientali del Gebel Huwayyah. Resta tuttavia difficile per esse un'attribuzione culturale, sebbene la loro natura tipologica le ascriverebbe a una fase relativamente recente dell'età della Pietra. Piccole asce a mano sono state rinvenute nell'attuale oasi di Yabrin, che in tempi preistorici sostenne un'economia di caccia e raccolta. Evidenze paleolitiche provengono anche dal deserto del Rub al-Khali, un tempo occupato da laghi in seguito prosciugatisi, come provano le raccolte di superficie tra le dune attuali, perlopiù a opera di cultori locali. Il gruppo internazionale TenAn, in collaborazione con il Saudi Arabia's Department of Antiquities, ha rilevato siti preistorici databili a oltre 60.000 anni fa e in seguito ad alcune campagne di scavo ha portato al recupero di manufatti di tipo Paleolitico inferiore africano (Pebble Culture e Acheuleano). Ricognizioni avviate nel 1976 hanno documentato 267 siti paleolitici, 107 dei quali databili tra i 50.000 e 60.000 anni fa e uno a oltre 1 milione di anni fa. L'anno successivo, N. Whalen della Southwest Texas State University ha messo in luce nei pressi del villaggio settentrionale di Shuwayhitiyah un giacimento di cultura olduvaiana.
Consistente risulta essere anche la documentazione relativa allo Yemen. La sua localizzazione geografica gli conferisce un ruolo fondamentale per il riconoscimento delle più antiche culture materiali. Geomorfologicamente molto diversificato, lo Yemen presenta un sistema montuoso che isola una parte del suo territorio dalle piane marittime e si apre sul grande deserto dell'Arabia, il Rub al-Khali. Le ricerche sul primo popolamento dello Yemen si sono orientate in base alle quattro aree che vi si distinguono: 1) la piana di Tihama, lungo il Mar Rosso, rivolta naturalmente da nord a sud verso l'Africa, di clima tropicale e umido; 2) la catena montuosa che attraversa interamente lo Yemen fino allo stretto di Bab al-Mandab, complesso vulcanico che raggiunge i 3000 m s.l.m. e ricco di materia prima; 3) l'altopiano dello Hadramaut, esteso a oriente per centinaia di chilometri, vasto insieme calcareo del Terziario (Paleocene ed Eocene), intagliato da alcuni widyān e i loro affluenti e limitato da profonde falesie; 4) il bacino interno del Ramlat as-Sabatayn, attualmente desertico e con rilievi dunari su decine di chilometri, dove un tempo si perdevano le acque dei widyān a seguito delle piene.
Nel corso del Quaternario la parte meridionale della Penisola Arabica fu soggetta a climi aridi intervallati da episodi umidi, tra 33.000 e 21.000 e tra 8000 e 5000 anni fa. Prima della desertificazione, il Rub al-Khali era caratterizzato da laghi estesi, le cui rive erano frequentate da comunità che fruivano di abbondanti alimenti vegetali e animali. Il deserto attuale del Ramlat as-Sabatayn era altresì attraversato dai widyān che consentivano lo stanziamento di gruppi umani, le cui tracce furono in seguito ricoperte dalla sabbia, una volta prosciugatisi i laghi e smantellata la vegetazione. Sebbene al momento non si disponga di datazioni assolute per il Paleolitico dello Yemen, numerosi sono le segnalazioni e i ritrovamenti. Lavori pionieristici sono dovuti a G. Caton-Tompson ed E.W. Gardner (1937-39) nella regione del Wadi Hadramaut, dove fu segnalata la presenza di una industria paleolitica e dove 15 anni più tardi tornò una missione archeologica americana, rilevando numerose officine preistoriche con bifacciali e débitage Levallois. Nel 1969 G. Garbini mise in luce industrie paleolitiche vicino a Bayt Naam, 20 km a ovest di Sanaa.
Recenti risultano tuttavia le acquisizioni per una significativa definizione del Paleolitico dello Yemen, grazie alla sistematicità nelle ricerche promossa a partire dagli anni Settanta. Sono stati messi in luce giacimenti nei dintorni di Sanaa, Marib e Khawlan, cui si sono aggiunte nel 1983 ulteriori evidenze databili al Paleolitico medio nel territorio di Khawlan, esteso dal Wadi Yanaim nel Nord al Wadi Hababid nel Sud. Nello stesso anno si segnalano ritrovamenti del Paleolitico inferiore dalle piane di Dhamar, a sud di Mabar, tra cui il primo bifacciale dello Yemen. Nel 1985 sono state condotte ricognizioni nei quattro maggiori widyān alle pendici del Tihama a seguito delle quali sono state raccolte industrie litiche nei depositi quaternari dei letti fluviali.
Una spedizione francese nel 1983, orientata essenzialmente sul bacino del Ramlat as-Sabatayn, ha posto i primi fondamenti per la conoscenza del popolamento preistorico della regione di Shabwa. Come risultato di tali indagini di superficie sono state rilevate una decina di concentrazioni di bifacciali associati a débitage Levallois, con le stesse caratteristiche tecniche delle industrie europee e vicino-orientali e databili tra 200.000 e 50.000 anni fa. Tra le attrattive per le bande di cacciatori erano le acque dell'antico corso del Jawf-Hadramaut e dei suoi affluenti, oltre all'abbondante disponibilità di materia prima. Il suolo yemenita offre infatti una grande varietà di rocce idonee alla lavorazione: dalla selce in noduli o placchette, inglobata nella falesia o liberata dall'erosione, all'arenaria e la quarzite, oltre all'ossidiana. Industria simile proviene dal Wadi Hirab, affluente del Jawf, indagato nel 1989, a conferma di una densa occupazione paleolitica nell'area dove, secondo l'interpretazione di immagini satellitari e di fotografie aeree effettuate da B. Marcolongo, in occasione di episodi umidi, i due widyān indipendenti, il Jawf e l'Hadramaut, formavano un unico fiume, le cui acque attraversavano la zona attualmente sabbiosa del Ramlat as-Sabatayn per poi gettarsi nel mare.
Ad allargare geograficamente l'attestazione del Paleolitico è stato il recupero effettuato nell'ottobre 1993 di débitage Levallois su quarzite a nord di Shabwa e sull'altopiano del Jol. Si tratta di complessi di grandi lame associate a bifacciali e a utensili come raschiatoi e denticolati. Il reperimento della materia prima (perlopiù selce e quarzite) è legato direttamente all'ambiente circostante. Riguardo alle più antiche tracce di frequentazione umana, è da segnalare anche la raccolta effettuata nel 1984 da parte di K. Amikhanov di industrie di tipo arcaico in un riparo sprofondato ad al-Guzah, nel Wadi Duan, affluente del Wadi Hadramaut; per esse si attribuisce su base tecno-tipologica un'occupazione del riparo intorno a 700.000 anni fa. Al momento non sono ancora stati raccolti resti fossili umani in tutta la Penisola Arabica.
B. De Cardi, The British Archaeological Expedition to Qatar, 1973 -74, in Antiquity, 48 (1974), pp. 196-200; J. Oates, Prehistory in Northeastern Arabia, ibid., 50 (1976), pp. 20-27; M.D. Petraglia, The Lower Paleolithic of the Arabian Peninsula: Occupations, Adaptations, and Dispersals, in JWorldPrehist, 17, 2 (2003), pp. 141-79.
di Alessandra Ceccarelli
Il periodo Neolitico presenta nella Penisola Arabica caratteri del tutto particolari, in quanto sono per lo più assenti gli elementi tradizionalmente considerati tipici e distintivi: mancano attestazioni sicure di una economia produttiva in campo agricolo (mentre è documentato l'inizio dell'allevamento) e di un eventuale processo di sedentarizzazione; inoltre, è del tutto assente una produzione ceramica locale. Le prime testimonianze certe di coltivazione delle piante si hanno infatti per l'età del Bronzo nello Yemen e alla fine del IV millennio a.C. nella parte orientale della Penisola, così come i primi insediamenti sicuramente strutturati, mentre ancora più tardo è l'inizio della produzione ceramica; anche per i periodi successivi risulta quindi difficile adattare alla regione le tradizionali divisioni (Calcolitico, età del Bronzo) messe a punto per le regioni circostanti, in particolare per la Mesopotamia e il Levante.
La fase neolitica è stata quindi definita sostanzialmente sulla base di criteri cronologici (periodo compreso tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'età del Bronzo) e tecnologici (analogie dell'industria litica con le tradizioni neolitiche delle regioni circostanti). L'aumento progressivo dei dati sta portando però a una connotazione più definita, in quanto emerge sempre più chiaramente che si tratta di un periodo in cui vengono ricercate e messe a punto complesse strategie di sussistenza, strettamente legate allo sfruttamento delle diverse risorse di un territorio che si presenta al suo interno estremamente articolato da un punto di vista geomorfologico e ambientale.
In Arabia orientale, la facies più antica finora individuata è la cosiddetta Qatar B (VII millennio - inizi del V millennio a.C.), identificata in alcuni siti nella penisola del Qatar; si tratta di un'industria litica caratterizzata dalla presenza di punte di freccia su supporto laminare e nuclei laminari, che trova confronti nella tradizione del Neolitico preceramico B del Levante. A essa contemporanee sono in Oman la facies Wadi Wutayya, nella regione costiera, e alcuni siti nella zona del Dhofar (il cui elemento distintivo sono le cosiddette Fasad Points). Nulla si conosce riguardo agli insediamenti e alle strategie di sussistenza, anche se si può ipotizzare un'economia di caccia e raccolta.
Successivamente, durante il V millennio a.C., si diffonde in queste stesse regioni la tradizione litica conosciuta come Arabian Bifacial Tradition (ABT); i siti più importanti sono stati localizzati nel Bahrein (Al Markh), lungo le coste orientali e nelle zone più interne dell'Arabia Saudita (Rub al-Khali, regione di Ain Dar, Abqaiq, Ain Qannas, Yabrin), negli Emirati Arabi Uniti (Sharjah, Umm al-Qaiwain, Jazirat al-Hamra) e nelle regioni interne dell'Oman e del Qatar. L'industria litica è definita dalla presenza di un ritocco esteso a pressione, in particolare sulle punte di freccia. Varianti locali sono le tradizioni Qatar ACD, in Qatar, e la facies di Saruq in Oman.
Dal punto di vista delle strategie di sussistenza, si sviluppa in questa fase una differenziazione tra i siti della regione interna, la cui base economica è essenzialmente di tipo pastorale (rivolta in particolare a bovini e caprovini), integrata da attività di caccia e raccolta (ad es., Ain Qannas, nella zona interna dell'Arabia Saudita), e i siti costieri, dove ha inizio e si specializza lo sfruttamento delle risorse acquatiche. Ampie testimonianze vengono dai siti di Khor, Al Markh, Abu Khamis, che hanno restituito chiocciolai, numerosi manufatti utilizzati per la cattura e la conservazione di pesci, molluschi e mammiferi marini, dei quali sono stati rinvenuti anche abbondanti resti. In realtà non è possibile stabilire, allo stato attuale delle conoscenze, se si tratta di comunità diverse, anche se in contatto tra loro, o degli stessi gruppi che si spostavano stagionalmente, integrando lo sfruttamento dei diversi tipi di risorse, come sembra suggerire la natura dei siti, che spesso indicano un'occupazione non continuativa. Per quanto riguarda la struttura degli insediamenti, le evidenze sono limitate a tracce di intonaco, focolari, strutture circolari di pietre. Nei siti sopra citati e in numerosi altri lungo tutta la fascia costiera è stata inoltre rinvenuta una consistente quantità di ceramica Ubaid, fabbricata in Mesopotamia, insieme a una ceramica grossolana prodotta localmente; alcuni siti sono stati quindi interpretati come stazioni Ubaid, utilizzate come approdi stagionali per l'approvvigionamento di pesce, ostriche e altri prodotti locali.
Nel IV millennio a.C., mentre in gran parte della regione proseguono siti riferibili all'ABT, in Oman si sviluppano in successione le tre diverse tradizioni di Ras al-Hamra, Bir Bir'a, Bandar Jissa. Alla tradizione di Ras al-Hamra, si possono riferire in particolare i siti RH5, RH6 e RH10, che mostrano l'alto grado di specializzazione raggiunto nello sfruttamento delle risorse acquatiche e il forte legame con l'ambiente marino, testimoniato anche nei corredi e nel rituale funerario delle tombe rinvenute nelle vaste necropoli dei siti RH5 e RH6 (le più estese finora identificate per il periodo neolitico).
Tra il VI e il IV millennio a.C., in coincidenza con una fase climatica caratterizzata da una maggiore umidità, una serie di culture neolitiche si sviluppa anche nella regione sud-occidentale della Penisola. Sono state individuate diverse tradizioni litiche, in parte legate alle diverse situazioni ambientali e a diverse strategie di adattamento e sfruttamento delle risorse. La zona oggi desertica del Rub al-Khali e del Ramlat as-Sabatayn si caratterizza per un'industria che si riallaccia strettamente all'ABT, e per un'economia di caccia-raccolta; i siti sembrano indicare un'occupazione a breve termine, forse nell'ambito di spostamenti stagionali tra l'interno e la costa. Ancora uno sviluppo locale dell'ABT può essere considerata l'industria di Qutran (caratterizzata da foliati bifacciali piccoli e grandi, asce, gouges, raschiatoi, trapani), individuata nella regione degli altopiani, più precisamente nella zona di al-Hada.
Tipica di questa stessa regione è poi l'industria di Tayyilan (in cui a un'assenza di foliati fa riscontro uno sviluppo di strumenti minuti), diffusa soprattutto nell'area di Khawlan. La base economica negli insediamenti degli altopiani è essenzialmente pastorale, con una netta prevalenza dei bovini, affiancati dai caprovini; la caccia, incentrata su bovini, equini e stambecchi, mantiene comunque un ruolo importante. Gli insediamenti sono caratterizzati da piccole strutture ovali o circolari; particolarmente significativo è il sito WTHiii, in cui sono state individuate numerose strutture, spesso di forma absidale, a volte pavimentate con pietre, e completate con focolari e banchine. Una serie di siti nella zona costiera, in particolare nella regione del Tihama, che presentano una tradizione litica che richiama in parte l'ABT, affiancano all'allevamento (bovini, caprovini) lo sfruttamento delle risorse marine, in stretta connessione con gli habitat di mangrovie, testimoniando anche per la regione sud-occidentale della penisola lo sviluppo di questo tipo di economia.
In questo stesso periodo, infine, nelle aree a clima arido e semiarido in tutta la zona nord-occidentale della penisola (incluso l'Hegiaz e i dintorni del Nafud), si sviluppa un particolare sistema socioeconomico, basato sull'allevamento specializzato dei caprovini di tipo nomadico o seminomadico; tale strategia, particolarmente adatta alla morfologia della regione, si configurerà nel tempo come un modello di sviluppo parallelo e alternativo, in continua interazione con le comunità circostanti.
Bibliografia
In generale:
M. Tosi, The Emerging Picture of Prehistoric Arabia, in AnnRAnthr, 15 (1986), pp. 461-90. Arabia orientale: M. Uerpmann, Structuring the Late Stone Age of Southeastern Arabia, in ArabAEpigr, 3 (1992), pp. 65-109; D.T. Potts, The Late Prehistoric, Protohistoric, and Early Historic Periods in Eastern Arabia (ca. 5000-1200 B.C.), in JWorldPrehist, 7, 2 (1993), pp. 163-212; D.T. Potts - H. Naboodah - P. Hellyer (edd.), Archaeology of the United Arab Emirates. Proceedings of the First International Conference on the Archaeology of the UAE (Abu Dhabi, April 1st 2001), London 2003; M.J. Beech, In the Land of the Ichthyophagi. Modelling Fish Exploitation in the Arabian Gulf and Gulf of Oman from the 5th Millennium BC to the Late Islamic Period, Oxford 2004.
Arabia sud-occidentale:
F. di Mario, The Western ar-Rub' al-Khali "Neolithic": New Data from the Ramlat Sab'atayn, in AnnOrNap, 49 (1989), pp. 109-48; C. Edens - T.J. Wilkinson - M. Gibson, The Archaeology of Yemen High Plains: a Preliminary Chronology, in ArabA Epigr, 8 (1997), pp. 99-142; C. Edens - T.J. Wilkinson, Southwest Arabia during the Holocene: Recent Archaeological Developments, in JWorldPrehist, 12 (1998), pp. 55-119; Yemen. Nel paese della regina di Saba (Catalogo della mostra), Milano, 2000.
Arabia nord-occidentale:
J. Zarins, Archaeological and Chronological Problems within the Greater Southwest Asian Arid Zone, in R.W. Ehrich (ed.), Chronologies in Old World Archaeology, Chicago 19923, pp. 42-62.
di Carlo Persiani
Villaggio stratificato, non lontano da Petra in Giordania, in cui è documentato il passaggio da una società semisedentaria basata su attività di caccia e raccolta a una pienamente sedentaria.
Le tre fasi principali corrispondono al Mesolitico Natufiano (prima dell'8000 a.C.), al Neolitico preceramico iniziale o PPNA (Pre-Pottery Neolithic A, 8000-7000 a.C.) e al Neolitico preceramico maturo o PPNB (Pre-Pottery Neolithic B, 7000-6500 a.C.). Il livello X corrisponde a un accampamento semipermanente con abitazioni circolari di mattoni crudi irregolari su fondamenta di pietra, coperto da uno spesso accumulo naturale di sabbia, che indica un lungo periodo d'abbandono. L'industria microlitica di questo livello rientra pienamente nella tradizione natufiana. I successivi livelli IX-VII hanno restituito tracce di piani pavimentali associati con buchi di palo e pozzi-focolare, attribuiti al Natufiano da D.V.W. Kirkbride e al PPNA da A.M.T. Moore. Nei livelli dal VI al I, appartenenti al PPNB, l'architettura si trasforma e le dimensioni del villaggio si riducono progressivamente. Nel livello VI, su un grande muro di terrazzamento cui si accedeva mediante una gradinata di pietra, sorgevano abitazioni circolari seminterrate unite in agglomerati recintati da muri, comunicanti per mezzo di disimpegni e corridoi e completate da piccoli magazzini. Gli ambienti hanno un diametro di circa 4 m con pareti di pali e argilla intonacati e il tetto di frasche e argilla sostenuto da un palo centrale.
Nel livello V le case tonde sono isolate, affiancate da ambienti con muri curvi e angoli arrotondati. Nel livello IV al centro dell'abitato sorge una casa rettangolare più ampia di quelle periferiche. Nei livelli III-II viene costruito un edificio di 9 × 7 m, intonacato all'interno di giallo con una fascia rossa che risale sulle pareti, con un grande focolare rialzato e una tavola di pietra. Nello stesso livello si trova un edificio con muri di pietra non intonacati molto spessi, composto da un corridoio su cui si aprono tre stanze per lato, interpretate come basamento di ambienti sopraelevati. Questa struttura viene coperta nel livello I da una casa rettangolare simile al livello IV. L'industria litica dei livelli VI-I appartiene al PPNB, con abbondanza di punte di freccia e lame di falcetto di selce, alcuni esemplari di ossidiana anatolica e una ricca attrezzatura di pietra per macinare. Le ciotole di pietra sono poche, mentre sono abbondanti gli ornamenti di pietra e conchiglia, ritrovati in numerose sepolture sotto le case o tra i resti di più antichi edifici abbandonati. Sono numerose anche le figurine e i simulacri di corna d'argilla. Nei livelli del PPNB è coltivato l'orzo, ancora selvatico nella morfologia, e il farro domestico. Le specie animali presenti sono selvatiche, ma la presenza di capra fino all'80% del totale, con una percentuale prevalente di esemplari giovani, suggerisce che fosse già praticata la domesticazione.
Bibliografia
D.V.W. Kirkbride, Beidha: Early Neolithic Village Life South of the Dead Sea, in Antiquity, 42 (1968), pp. 263-74; Ead., The Environment of Petra during the Pre-Pottery Neolithic, in A. Hadidi (ed.), Studies in the History and Archaeology of Jordan, II, Amman 1989, pp. 117-24.
di Carlo Persiani
Sito ubicato nella piana di Konya (Anatolia centrale, Turchia), formato da due grandi colline artificiali, occupate in periodi diversi.
Il colle est, ampio 12,5 ha e alto 20 m, ospita il più grande abitato neolitico del Vicino Oriente. Il colle ovest, ampio 8,5 ha, è stato occupato nel Calcolitico antico (6000-5000 a.C.), ma non sono disponibili dati sulla sua sequenza architettonica. Ristretti sondaggi profondi, arrestati dall'acqua di falda, hanno raggiunto livelli di occupazione appartenenti al Mesolitico o al Neolitico preceramico antico (11.000-8500 a.C.) e al Neolitico preceramico recente (8500-7000 a.C.). Dopo un'interruzione dell'occupazione ha inizio la successione del Neolitico ceramico (7000-6000 a.C.), con almeno 14 livelli costruttivi. L'abitato è un agglomerato, fitto e quasi privo di spazi aperti, di ambienti di mattoni crudi con tetto piatto, addossati l'uno all'altro e accessibili dal tetto mediante scale di legno che scendevano all'interno attraverso aperture protette. Le case sono in genere composte da un solo vano, allestito secondo un rigido schema: le attività domestiche si svolgevano nell'area sud, munita di forni o focolari e priva di decorazioni; le aree est e nord erano destinate alle sepolture, anche numerose, collocate sotto il pavimento; sulla parete ovest veniva realizzata una decorazione, dipinta o a rilievo, comprendente anche corna di bovini, che aveva forse la funzione di "consacrare" l'abitazione ed era asportata quando la casa era abbandonata. In qualche caso questo nucleo decorativo veniva esteso alle altre pareti e arricchito con scene articolate e complesse di caccia, raffigurazioni di animali, fino a veri e propri paesaggi. L'esempio più vistoso è dato dalla veduta del villaggio con il vicino vulcano in eruzione sullo sfondo. L'uso di corna bovine si estende in qualche caso fino a inserire numerosi bucrani nelle pareti e su banchine di mattoni crudi.
Nello strumentario, accanto alla ceramica scura brunita dalle forme semplici, compare un ricchissimo repertorio di oggetti e strumenti di pietra, selce, ossidiana, osso e corno, dalle linee e dalle decorazioni raffinate. Si sono conservati anche recipienti di legno e cesti. Degne di particolare rilievo sono le statuette femminili di terracotta, interpretate come rappresentazioni di divinità. Per la ricchezza delle sue realizzazioni artigianali e artistiche, J. Mellaart definì gli ambienti di Ç.H. "sacelli", ma secondo I. Hodder sono piuttosto l'espressione di una forte religiosità domestica. Allo stesso modo, Hodder rigetta la definizione di "città" usata da Mellaart, considerando piuttosto Ç.H. un esempio eccezionale dell'evoluta civiltà di villaggio del VII millennio a.C.
Bibliografia
J. Mellaart, Çatal Hüyük, a Neolithic Town in Anatolia, London 1967; I. Hodder (ed.), Towards Reflexive Method in Archaeology: the Example at Çatalhöyük, Cambridge 2000.
di Carlo Persiani
Sito ubicato nella regione di Diyarbakır (Anatolia sud-orientale, Turchia).
Il sito occupa una bassa collina affacciata su un affluente del Tigri, che nasce poco distante. Sono stati riconosciuti vari livelli costruttivi, che occupano il Neolitico preceramico B o PPNB (Pre-Pottery Neolithic B, 8000-7000 a.C.) e le fasi antiche del Neolitico ceramico siro-anatolico con ceramica Dark Faced Burnished Ware (7000-6000 a.C.). La prima occupazione è composta da capanne circolari con pareti di canne e fango, cui succedono quattro fasi con edifici rettangolari dal basamento di pietra, le cui dimensioni variano da 15 a 55 m2. Nelle fasi antiche, gli edifici sono suddivisi in una grande sala preceduta da stanzette e seguita da ambienti fondati su muretti paralleli, che dovevano formare un'intercapedine per il pavimento di legname (case a griglia). Segue una fase in cui parte delle fondazioni compone una serie di cellette (case intermedie), mentre nella fase finale del PPNB gli edifici sono interamente basati su cellette (case a celle). Questi accorgimenti contro l'umidità suggeriscono che le abitazioni dovessero comprendere i granai. Le case sono sempre ricostruite sullo stesso punto e cambiano di forma tutte nella stessa fase, in genere dopo un periodo d'abbandono, durante il quale le porte venivano murate.
La comunità del PPNB di Ç.T. sembra divisa in famiglie distinte, ma senza differenze riconoscibili di ruoli e funzioni. L'abitato è tuttavia diviso in due zone, distinguibili per le case più piccole concentrate a ovest e per la presenza a est, oltre a case più grandi, di una serie di tre edifici di culto, uno per fase. Questi sono realizzati con accorgimenti tecnici, comprendenti anche il pavimento alla veneziana, e hanno uno schema basato su una grande sala con elementi accessori variabili come celle, stele, bacini. Numerose ossa e tracce di sangue testimoniano sacrifici, anche umani. L'edificio più recente, detto Skull Building, conteneva 70 crani umani posti in una serie di nicchie. Nella fase a celle compaiono laboratori per la lavorazione della selce e dell'ossidiana nella parte occidentale, mentre in quella orientale si trovano laboratori per oggetti di pietre dure e la Plaza, una spianata di 50 × 25 m con due serie di stele alte 1-2 m.
La sussistenza si basava su specie domestiche (frumento, orzo, bovini), dimostrando che lo stile di vita era interamente sedentario. Le dimensioni dell'abitato e la presenza di edifici pubblici o cultuali suggeriscono che Ç.T. potesse avere un ruolo come sito di riferimento per più comunità del territorio. Tra i ritrovamenti sono riconoscibili punteruoli e perline di rame martellato a freddo, che costituiscono i più precoci esperimenti nell'uso del metallo, favoriti dalla ricchezza di minerali della regione.
Bibliografia
R.J. Braidwood - L. Braidwood, Prehistoric Village Archaeology in Southeastern Turkey, Oxford 1982; M. Özdoğan - A. Özdoğan, Çayönü, a Conspectus of Recent Work, in Paléorient, 15, 1 (1989), pp. 65-74; W. Schirmer, Some Aspects of Building at the 'Aceramic Neolithic' Settlement of Çayönü Tepesi, in WorldA, 21, 3 (1990), pp. 363-97.
di Carlo Persiani
Colle ubicato presso Burdur (Anatolia centro-occidentale, Turchia), ampio meno di 1 ha e con depositi spessi 5 m.
Comprende tre fasi: Neolitico preceramico (livello X, 8000-7000 a.C.), Neolitico recente (livelli IX-VI, 6500 a.C. ca.) e Calcolitico antico (livelli V-I, 6000-5000 a.C.). Il livello X, situato alla base del sito, era formato da più livelli architettonici, comprendeva edifici rettangolari di mattoni crudi con pavimenti intonacati e un podio con un cranio umano. L'economia di tipo neolitico era indicata da forni e granai, mentre la ceramica era assente. Questo livello ha fornito una datazione al 14C di 8700±180 B.P., corrispondente al 7700 a.C. circa. Al di sopra dei successivi livelli IX-VII, esposti su superfici ridottissime, è stata messa in luce parte dell'abitato del livello VI, comprendente abitazioni di mattoni crudi con muri spessi, adatti a sostenere un piano superiore, testimoniato anche da una scala costruita all'interno di un ambiente.
I livelli V-III non hanno restituito tracce riconoscibili di edifici, ma i reperti associati corrispondono a quelli del sovrastante livello II: un insediamento rettangolare con mura di cinta munito di due soli ingressi, con cinque abitazioni di più stanze e ampi cortili con un pozzo. Erano riconoscibili le tracce di botteghe di vasai e di un granaio. Il livello I corrisponde a una fortezza che circonda il colle, distrutta da un grande incendio, datata verso il 5500 a.C. Dopo l'incendio furono realizzati interventi di ristrutturazione, ma queste tracce sono state intaccate dall'erosione. Secondo J. Mellaart le differenze tecniche e stilistiche tra il livello II e il I indicano che gli occupanti del sito dovevano avere origini differenti. A differenza dell'altro importante abitato neolitico anatolico di Çatal Hüyük, gli scavi non individuarono sepolture all'interno dell'abitato, ma sembra che scavi clandestini in seguito abbiano portato alla luce tombe a fossa con deposizioni sia distese sia contratte su un fianco, accompagnate da corredi composti da ceramiche. Il sito di H. è famoso per la ceramica dei livelli V-I, dipinta con vernice rossa lucidata a motivi geometrici, comprendente forme antropomorfe, e le statuette femminili interpretate come raffigurazioni di divinità.
Bibliografia
J. Mellaart, Excavations at Hacilar, Edinburgh 1970.
di Carlo Persiani
Nel luogo della città greca della Caria situata sulla costa egea meridionale dell'Anatolia (Turchia), negli anni 1961-65 è stata investigata, sotto la guida di D. Levi, la necropoli preistorica dell'istmo che unisce il promontorio della città con la Penisola di Bodrum.
La necropoli occupa una fascia di terreno a semicerchio lunga 60 m e larga da 9 a 20 m, per una superficie di circa 1300 m2. Sono stati riconosciuti tutti i suoi confini, a eccezione di quello meridionale, con un totale di 96 tombe esplorate, ma altre erano state trovate durante lavori agricoli. Le sepolture si trovano oltre 2 m sotto il piano di campagna, ma la regolarità della loro distribuzione suggerisce che in antico fossero individuabili mediante segnacoli. A eccezione di una sepoltura in pithos, le tombe sono del tipo a cista di pietra, costituite da fosse rivestite con lastre o con muretti di pietre e coperte da una o più lastre; il fondo è di norma privo di rivestimento. Le ciste sono rettangolari, spesso tendenti alla forma trapezoidale, o poligonali. Le dimensioni variano da 60 × 30 cm fino a 190 × 130 cm, con una profondità compresa tra 25 e 60 cm. Tutte le fosse sono orientate est-ovest o sud-est/nord-ovest e sono regolarmente distanziate, ma sembra di riconoscere tre gruppi principali da est a ovest, separati da piccole aree libere.
Il rituale appare semplice e rigoroso: 39 tombe contengono una sola deposizione, altre ne contengono due, tre o più, alcune sono vuote o con deposizioni irriconoscibili. Le sepolture multiple mostrano i segni di aperture successive, senza che si possano riconoscere deposizioni contemporanee; in questo caso le ossa della prima deposizione sono manomesse. I corpi sono sempre deposti in posizione contratta su un fianco, prevalentemente con la testa a est. Talvolta una pietra è collocata sotto il cranio come cuscino e frammenti di ciotole presenti nel terreno di riempimento possono essere collegati ai riti funebri. Il corredo-tipo è composto da vasi di piccole dimensioni di ceramica acroma: bottiglie, brocchette, tazze, bicchieri, presenti di norma in un solo esemplare, ma in quasi la metà delle sepolture non vi è corredo riconoscibile. Sono comuni le lame di selce od ossidiana, mentre altri elementi sono rari: armi od ornamenti di rame o argento, recipienti o perle di marmo o pietra. Una deposizione conteneva un vaso di marmo di stile cicladico accostato al volto del defunto. La necropoli mostra collegamenti significativi, per il rituale e i corredi, con le culture cicladiche di Grotta-Pelos e Keros-Syros e con il sito di Karataş-Semayük in Licia; la sua durata rientra completamente nel Bronzo Antico II dell'Anatolia (2750-2500 a.C.).
Bibliografia
P.E. Pecorella, La necropoli di Iasos nel quadro delle culture dell'Anatolia Occidentale, in SMEA, 18 (1977), pp. 65-72.
di Fabio Sebasti
Complesso di cavità situato 31 km a nord-ovest di Antalya, sul fianco meridionale della catena dell'Antitauro, nel massiccio calcareo di Katran (Turchia).
K. si localizza a 450 m s.l.m. e a 150 m al di sopra di una vasta piana formata da travertini e occupata da un lago nel corso del Pleistocene e fino agli inizi dell'Olocene. In posizione topografica strategica per la fruizione dell'ambiente perilacustre e l'approvvigionamento della materia prima, K. è la sola grotta del massiccio di Katran con tracce del Paleolitico medio. La potente attività carsica ancora attiva ha creato ambienti generalmente spaziosi con riempimenti non sempre coevi tra loro e distinti da una serie di lettere. La sala B mostra tracce di occupazione epipaleolitica e protostorica. Tra i materiali epipaleolitici, sono stati recuperati elementi a dorso, grattatoi, frammenti di punte su osso e molti ornamenti su Dentalidi. La sala E, oggetto di studi recenti e definita "sala di Kökten", evidenzia un potente deposito. Qui, i sondaggi effettuati hanno risparmiato testimoni di una dozzina di metri di spessore con una lunga sequenza dal Clactoniano al Musteriano e un'industria a lamelle nella parte alta, di incerta origine. È ritenuto assente l'Acheuleano in quanto i due bifacciali rinvenuti da I.K. Kökten sembrano attribuibili a sbozzi di elementi bifacciali musteriani. I sedimenti sono mobili e chiari, formati da apporti detritici locali e attraversati da croste di calcite. Sono disponibili due datazioni a 70-60.000 anni fa e 120-110.000, mentre la base del deposito potrebbe collocarsi intorno a 500.000 anni fa. Nell'analisi dei complessi litici si è notata una tendenza progressiva e regolare nel dominio tecnico della materia prima.
Nella sala E, la lunga occupazione umana ha permesso lo studio dell'evoluzione delle tecniche nel corso del Pleistocene medio e superiore con la distinzione di una serie di insiemi, raggruppabili in tre stadi di sviluppo maggiore su un lasso di tempo di circa 500.000 anni e correlabili a diverse unità geologiche. Lo stadio 1 ‒ insieme A, corrispondente alle unità geologiche VI e V ‒ ha restituito un complesso povero di tipo clactoniano con débitage irregolare a percussore duro che ha prodotto schegge corte ed erte, spesso denticolate e con profonde intaccature. Lo stadio 2 ‒ insiemi B, C, D, E, ottenuti solitamente su materie prime locali (radiolariti) ‒ viene definito "protocharentiano": possiede un débitage più elaborato, a volte centripeto con uno strumentario caratterizzato da raschiatoi spessi a ritocco scalariforme, oltre a schegge erte, denticolati e intaccature. Alla fine della fase compaiono sugli strumenti fini ritocchi marginali ed è stata osservata anche la presenza di rocce alloctone, come la selce bianca proveniente da circa 80 km di distanza, lavorata con una preparazione più accurata.
Nello stadio 3 ‒ insiemi da F a I ‒ si delineano modificazioni radicali e definitive nei processi tecnici utilizzati: vi è il dominio completo dei processi di débitage elaborati, con ricorrenza a volte della tecnica Levallois e la generalizzazione del metodo discoidale; nello strumentario, molto abbondante, prevalgono raschiatoi e punte di tipo musteriano con frequenti processi di assottigliamento e immanicatura che hanno permesso l'utilizzo di strumenti di piccole dimensioni. Compare una tendenza alla laminarità e alla riduzione dei supporti e si riscontra inoltre una grande varietà tipologica con la presenza di tranchets, limaces e becchi. La natura dell'industria, ottenuta anche su arenaria e quarzite, evoca un Musteriano classico di tipo europeo occidentale. All'insieme F appartiene la maggior parte dei resti fossili umani associati a fauna temperata a ippopotamo. Dall'insieme H si hanno datazioni tra i 120-110.000 anni fa. Dalla parte superiore del deposito è emersa industria epipaleolitica a lame, lamelle a dorso, grattatoi corti, forse area di rifiuto di un insediamento posto al di fuori dell'antro, il cui riempimento, a un metro dalla volta, non ne permetteva probabilmente la frequentazione.
Nel corso degli scavi degli anni Novanta del Novecento sono stati recuperati resti fossili umani dall'unità geologica III.2: la loro attribuzione alle forme neandertaliane non è chiara ma, se si rivelerà corretta, si può ipotizzare un'espansione di Neandertaliani in Anatolia forse intorno a 250-200.000 anni fa, molto prima quindi del Levante dove si fa riferire a 100.000 anni fa. Altri frammenti fossili restano indeterminati e provengono dai livelli protocharentiani dell'unità III.3, databili a 300.000-350.000 anni fa. La fauna di K. è stata solo in minima parte identificata: lungo tutta la sequenza si registra abbondante la presenza di Capra ibex, Capra aegagrus e Ovis ammon seguita da Cervidi con daino, capriolo e cervo elafo e in misura minore da cinghiale, bue selvatico e due specie di Equidi (Equus caballus ed Equus hydruntinus). Possibili prede di caccia e quindi resti di consumazione possono essere costituiti inoltre da granchi d'acqua dolce, tartarughe, lepri e porcospini.
Bibliografia
M. Otte et al., Evolution technique au Paléolithique Ancien de Karain (Turquie), in Anthropologie, 99, 4 (1995), pp. 529-61; I. Yalçınkaya, La grotte Karain: généralité dans le contexte anatolien, in M. Otte (ed.), Préhistoire d'Anatolie. Genèse de deux mondes. Actes du Colloque International (Liège, 28 avril - 3 mai 1997), Liège 1998, pp. 453-57; I. Yalçınkaya - M. Otte, Debut du Paléolithique superieur à Karain (Turquie), in Anthropologie, 104 (2000), pp. 51-62.
di Carlo Persiani
Tepe ubicato nell'entroterra di Antalya (Anatolia centro-meridionale, Turchia), a poca distanza da Elmali.
Il sito è stato occupato dal Calcolitico tardo al Bronzo Medio (fine del IV - inizi del II millennio a.C.), ma le tracce più consistenti risalgono al Bronzo Antico II e IIIA (2750-2300 a.C.). Durante il Bronzo Antico l'abitato aveva al centro un grande edificio rettangolare di mattoni crudi, di cui è stato ritrovato il magazzino seminterrato. Un muro contraffortato attorno all'edificio, poi rinforzato da un bastione e attorniato da aree recintate, circondava un cortile. Attorno al complesso una staccionata con capanne lignee racchiudeva un'area del diametro di 70 m. Il villaggio circostante era composto di abitazioni rettangolari regolarmente distanziate, avvicinabili allo schema dei megara di Troia I-II, con muri di argilla pressata su uno scheletro di pali, poggianti su uno zoccolo di pietra. Oltre alle abbondanti tracce di attività produttive vanno segnalati i numerosi sigilli che testimoniano l'immagazzinamento controllato di beni nell'area del grande edificio. I resti faunistici indicano una sussistenza basata sull'allevamento, con prevalenza dei bovini sugli ovicaprini e una netta diminuzione del maiale al passaggio dal Bronzo Antico I al Bronzo Antico II-III, indice di una trasformazione nello sfruttamento del territorio.
La necropoli circondava direttamente l'abitato, con due concentrazioni maggiori a nord e a sud. Lo scavo ha recuperato 481 tombe, tutte entro olle o pithoi di ceramica, eccetto 17 semplici fosse. Le olle e i pithoi, alti da 30 cm fino a 2,15 m, chiusi da grandi frammenti di ceramica o lastre di pietra, erano adagiati su un fianco con l'imboccatura a est entro fosse ordinatamente allineate, salvo che nelle zone in cui la necropoli interferiva con precedenti strutture d'abitato. Talvolta l'imboccatura dei pithoi era inserita in un muretto di pietra, a rimarcarne la funzione di camere funerarie. Alcuni pithoi erano sovrastati da aree circolari lastricate di aspetto monumentale, che ne indicavano la posizione. Una sepoltura eccezionale era formata da un tumulo di pietrame sepolto e coperto da uno spiazzo lastricato ampio 6,5 m. Tutte le deposizioni erano in posizione contratta su un fianco con la testa a est. Le sepolture singole sono 225, mentre 110 recipienti ospitavano sepolture multiple, realizzate spingendo i resti precedenti verso i lati o il fondo. In genere i bambini erano sepolti singolarmente. Tutte le sepolture di adulti contenevano un corredo, assente invece nelle sepolture infantili con due eccezioni. Il corredo comprendeva brocchette, ollette, boccali di ceramica brunita, anche miniaturistici. Alle tombe femminili si associano fusaiole e oggetti decorativi di metallo, a quelle maschili armi e strumenti di rame o pietra. Idoletti di pietra si trovano in tombe infantili. Lo studio degli scheletri ha fornito numerosi dati, tra cui la pratica della deformazione cranica.
Bibliografia
M.J. Mellink, Excavations at Karataş-Semayük in Lycia, 1963, in AJA, 68 (1963), pp. 269-78; T.S. Wheeler, Early Bronze Age Burial Customs in Western Anatolia, ibid., 78 (1974), pp. 415-25; J. Warner, The Megaron and Apsidal House in Early Bronze Age Western Anatolia. New Evidence from Karataş, ibid., 83 (1979), pp. 133-47.
di Silvana Di Paolo
Sito ubicato a circa 6 km dalla costa meridionale dell'isola di Cipro, presso l'odierno villaggio omonimo (distretto di Larnaca), sul fianco di uno sperone roccioso calcareo (200 m s.l.m.) che, mentre sul versante occidentale si ricongiunge con le ultime propaggini del Tróodos, su quello settentrionale scende a strapiombo nella valle del fiume Maroni, ormai secco per gran parte dell'anno.
Le indagini si sono concentrate per lo più lungo il declivio meridionale dello sperone sul quale sorgeva il sito antico e hanno portato alla luce probabilmente solo un settore dell'abitato, fiorito intorno al VII millennio a.C., nel corso del Neolitico preceramico (cui si datano tutte le strutture indagate), e rioccupato nel V millennio a.C. (Neolitico ceramico) dopo una lunga fase di abbandono (purtroppo i fenomeni di erosione hanno fortemente compromesso la conservazione dei livelli del V millennio a.C.). L'area scavata costituisce, con ogni probabilità, il settore più occidentale del villaggio neolitico, esteso in gran parte a est lungo i declivi dello sperone calcareo e delimitato, a ovest, da un muro di fortificazione, originariamente interpretato come un asse viario nord-ovest/sud-est (Main Road per P. Dikaios). In questa zona sono stati individuati ben dieci livelli architettonici, indizio di una lunga evoluzione planimetrica dell'abitato che, in un momento difficile da precisare, deve aver subito ampliamenti consistenti (forse per ragioni demografiche) oltre la cinta fortificata, verso ovest, con il conseguente impianto di nuove abitazioni su tre livelli principali (III-I) e di un nuovo muro difensivo. In relazione al livello III di questa fase di espansione, la missione francese ha inoltre scoperto un dispositivo di accesso addossato al muro di cinta: una scalinata formata da tre rampe costruite ad angolo retto, necessaria per colmare il salto di quota tra la campagna esterna e il villaggio.
Il tessuto abitativo è piuttosto denso, con costruzioni molto prossime le une alle altre, separate solo da vicoli di terra battuta. Le case, a pianta circolare (chiamate impropriamente tholoi da Dikaios), sono quasi un centinaio. Costruite in pietra, pisé e mattoni crudi, esse hanno dimensioni variabili (diam. 3,5-10 m) e accessi larghi 50 cm. Strati di intonaco sono stati scoperti lungo le pareti esterne e interne (dove, talvolta, si notano anche resti di decorazioni dipinte) e sui piani pavimentali. Lo spazio interno, specie nelle abitazioni maggiori, è suddiviso con l'ausilio di installazioni fisse (muretti divisori, banchine) allo scopo di isolare le aree adibite alla preparazione dei cibi o alle attività artigianali. In altri casi, invece, l'articolazione spaziale è più complessa: le unità abitative (ognuna con una specifica destinazione) sono organizzate attorno a un cortile, l'unico accessibile dall'esterno. Per quanto riguarda le pratiche funerarie, fosse di inumazione sono ricavate sotto i pavimenti delle abitazioni e sigillate da lastre di pietra: i defunti sono posti sul fianco destro in posizione contratta. L'agricoltura, l'allevamento e la caccia rappresentano le attività principali. Ne sono testimoni i numerosi utensili (di lame di selce, osso e pietra), i grani carbonizzati e i resti ossei appartenuti ad animali sia domestici sia selvatici (capre, maiali, daini).
P. Dikaios, Khirokitia, Oxford 1953; A. Le Brun (ed.), Fouilles récentes à Khirokitia (Chypre), 1977-1981, Paris 1984; A. Le Brun (ed.), Fouilles récentes à Khirokitia (Chypre), 1983-1986, Paris 1989; A. Le Brun (ed.), Fouilles récentes à Khirokitia (Chypre), 1988-1991, Paris 1994.
di Fabio Sebasti
Grotta situata alcuni metri sul livello della piana alluvionale alle pendici del Tauro (Turchia), scoperta e scavata negli anni Cinquanta del Novecento da I.K. Kökten.
All'interno Kökten individuò un'incisione su roccia di bovino selvatico che diede il nome alla grotta (öküz, "bue" in turco). Gran parte del deposito interno con livelli antropici fu rimosso a seguito dei primi scavi. Dopo un saggio condotto dall'Università di Tübingen, dal 1989 è stato avviato un progetto congiunto da parte delle università di Liegi e Ankara. Dalla stratigrafia si evince che il deposito si formò al di sopra di un accumulo di massi di crollo. Si ravvisa una continuità nell'occupazione antropica che contribuì alla rapidità di formazione del sedimento (focolari, attività di scheggiatura della selce e accumulo di ossa animali). Sono stati riconosciuti tre diversi insiemi nella sequenza, in base alla natura dei sedimenti e al comportamento umano: 1) la parte bassa del deposito si accumulò in un ambiente relativamente umido e freddo con pochi focolari e i segni di importanti processi postdeposizionali; 2) i sedimenti dell'insieme successivo contengono ossa, arte mobiliare, carboni con parte dei blocchi calcarei forse trasportati dall'uomo, insieme a una gran quantità di resti di Helix sp.; 3) la parte superiore del deposito viene riferita al Neolitico - Calcolitico. I manufatti litici furono lavorati su ciottoli di selce locale raccolta nelle vicinanze del sito. Il record faunistico conta circa 10.000 frammenti ossei animali.
In base alla cultura materiale sono state riconosciute quattro fasi. Fase 1, unità da XII a VII (16.000-14.000 a.C.): l'industria litica si compone di lunghe lame a dorso appuntite e a base ritoccata, raschiatoi su lama, bulini, punteruoli, triangoli allungati e troncature, oltre a punte a dorso ricurvo. Fase 2, unità VI-V (14.000-13.000 a.C.): si documenta la stessa composizione litica della fase precedente con l'aggiunta di altri microliti, quali trapezi e mezzelune. In queste prime due fasi la fauna predominante è costituita da caprovini (80%), con integrazione di selvaggina secondaria (capriolo, cervo e lepre), testimone di un ambiente di foresta. Sono state recuperate anche macine e pestelli, oltre a vaghi di collana di pietra e di conchiglia marina. Fase 3, livelli IV-Ia (13.000-10.500 a.C.): l'industria litica comprende nuclei su lama spesso esauriti, microliti geometrici ma anche grattatoi e denticolati ed evidenza di tecnica di microbulino; l'industria su osso è abbondante (aghi, punteruoli e spatole); per la fauna i caprovini incidono per il 60% del campione. La sepoltura 2 sembra riferirsi a questo livello. Fase 4, unità 0-Ib (9000-6500 a.C.): l'industria è di tipo microlitico.
L'arte mobiliare consiste di ciottoli incisi con motivi geometrici o figurativi; tra questi si segnala un piccolo ciottolo, senza provenienza stratigrafica, recante l'incisione di un bue che appare cacciato da un uomo con lancia e trafitto da segni trasversali e un ciottolo di arenaria molto consumato e levigato lungo i margini.
M. Otte et al., The Epi-Palaeolithic of Öküzini Cave (SW Anatolia) and its Mobiliary Art, in Antiquity, 69, 262 (1995), pp. 931-44.
di Fabio Sebasti
Grotta sul Monte Carmelo (Israele) a 2,5 km da Nazareth.
Al suo interno sono emerse industrie musteriane con tecnica Levallois (raschiatoi laterali, nuclei discoidali, schegge e punte larghe e sottili) e strati riferibili al Paleolitico superiore (complessi litici con grattatoi piatti, bulini, lamelle e punte di El Ouad). Il campione faunistico per i livelli musteriani vede la presenza di specie di clima relativamente umido, quali Cervus elaphus, Bos primigenius, Dama mesopotamica e Dicerorhinus hemitoechus. Nel corso dei suoi scavi, R. Neuville ha portato alla luce resti fossili di sette scheletri, cui si sarebbero aggiunti altri resti appartenenti ad adulti e bambini. Sono stati osservati diversi modi di inumazione: un uomo adulto (H8) era stato deposto, flesso sul fianco destro, in un anfratto roccioso; una sepoltura doppia di una donna (H9), in posizione simile a H8 e con le mani sul ventre con, ai suoi piedi, un bambino orientato perpendicolarmente a essa; un bambino (H11) rinvenuto con le mani ai lati del collo, deposto in una fossa scavata alla base del riempimento, con un grande palco di Cervide associato come offerta rituale. Il cranio meglio conservato è quello di un giovane maschio (Qafzeh 6). I caratteri morfologici avvicinano i resti di Q. alle forme umane moderne, definite da B. Vandermeersch "proto-Cromagnonoidi".
Le datazioni per Q. ottenute con termoluminescenza ed ESR (risonanza di spin elettronico) oscillano intorno a 100.000 anni fa. Nel corso del Q. Project diretto da E. Hovers, in alcuni livelli musteriani a focolare sono stati rinvenuti 71 blocchetti di ocra con chiari segni di raschiatura lasciata da strumenti litici, alcuni dei quali, a un'analisi chimica, sembrano recare tracce di esposizione al calore. Oltre all'ocra sono state rinvenute diverse conchiglie marine, portate in grotta probabilmente per attività legate alla sfera rituale-simbolica delle sepolture. Le evidenze successive per l'uso dell'ocra nella stessa grotta si datano a 12.700 B.P.
B. Vandermeersch, Les hommes fossiles de Qafzeh (Israel), Paris 1981; E. Hovers et al., An Early Case of Color Symbolism: Ochre Use by Modern Humans in Qafzeh Cave, in CurrAnthr, 44 (2003), pp. 491-522.
di Fabio Sebasti
Giacimento situato sugli Zagros (Kurdistan iracheno), scavato da R. Solecki e T. Dale Steward negli anni Cinquanta del Novecento.
Dallo scavo nel deposito interno della grotta è emersa una successione di strati di tipo Paleolitico superiore al di sopra di livelli musteriani, che si presentavano con un'industria di tecnica non Levallois (con predominanza di raschiatoi e punte) ottenuta dalla lavorazione di piccoli ciottoli fluviali. La fauna comprende soprattutto Capra hircus aegagrus e Sus scrofa, oltre a presenze di Cervus elaphus, Capreolus capreolus e Ovis orientalis. Associati al Musteriano sono stati messi in luce resti fossili di sette adulti e due bambini, di cui un infante in posizione flessa, dai caratteri neandertaliani, sebbene più moderati rispetto agli esemplari europei: la calotta cranica è infatti più alta, così come più elevata risulta la statura. Il gruppo più antico di fossili data intorno a 60.000 anni fa, quello più recente a 45.000 anni fa, a testimonianza di una lunga frequentazione del sito. Inizialmente il ritrovamento di una grossa concentrazione di pollini di Ephedra, il cui periodo di fioritura si colloca tra maggio e luglio, rintracciati al di sotto della sepoltura di uno dei Neandertaliani (un giovane adulto) di Sh., suggerì l'ipotesi di una deposizione del cadavere su un letto di fiori come offerta rituale, entro un cerchio di pietre. Questo valore simbolico è stato spesso dibattuto per la possibile coincidenza vista da alcuni nell'associazione.
Uno degli individui sembra essere stato ucciso dal crollo di un masso dalla volta. Un individuo maschio (Shanidar 1) dalla grotta di S. mostra evidenza di traumi accusati prima della morte. La sua mano destra risulta fortemente atrofizzata, forse dalla nascita, uno dei metatarsi del piede destro era fratturato, mentre la cavità orbitale presentava una lesione che forse lo privò della vista per qualche tempo: tutti segni di malattia, nessuno dei quali risultò tuttavia letale. Tale riscontro patologico testimonia l'alta socialità raggiunta dai Neandertaliani, in quanto Shanidar 1 non sarebbe sopravvissuto senza le cure da parte dei membri del gruppo. Nella parte posteriore il cranio presenta un appiattimento, come eventuale effetto di deformazione craniale di tipo rituale praticata nella sua prima infanzia. Un altro individuo (Shanidar 3) era interessato da una ferita penetrante a una costola, che risultò letale (possibile incidente di caccia o uccisione). L'orizzonte del Paleolitico superiore è stato attribuito al Baradostiano, con datazioni comprese tra il 33.000 e il 27.000 a.C. e industria a grattatoi, intaccature, bulini e denticolati.
R.S. Solecki, Prehistory at Shanidar Valley, Northern Iraq, in Science, 139 (1963), pp. 179-93; E. Trinkaus, The Shanidar Neandertals, London 1983.
di Fabio Sebasti
Grotta localizzata alle pendici del Monte Carmelo, a sud di Haifa (Israele).
D.A.E. Garrod definisce l'industria litica rinvenuta nel sito "Levallois-Musteriano antico", mentre A.J. Jelinek attribuisce i reperti provenienti dallo strato culturale B a una fase evoluta del Musteriano. Nel campione faunistico sono stati identificati Bos sp., Hippopotamus amphibius, Sus gadarensis e Phacochoerus garrodae. Resti fossili di più di dieci individui tra adulti e bambini, disposti in posizione flessa e inclusi in una breccia molto dura, sono stati messi in luce nel deposito interno nel corso degli scavi avviati da Th. McCown e Garrod nel 1932. Un lungo dibattito ha riguardato la datazione delle sepolture della grotta, che inizialmente, dalla comparazione di resti animali e strumenti litici correlati con altri siti della regione, si riteneva frequentata circa 40.000 anni fa.
Tra i resti umani, Skhul V risulta essere il più studiato e uno dei fossili umani più significativi: esso presenta un cranio quasi completo con evidenti caratteristiche che lo avvicinano alle forme moderne di sapiens, quali la porzione frontale della scatola cranica espansa, ma con altre che lo legano a una certa arcaicità, come il toro sopraorbitario pronunciato (modello a "mosaico di caratteri"). Il suo generale aspetto evoluto tuttavia ha portato alla sua definizione, da parte di alcuni, di "proto-Cromagnonoide", che annuncia cioè il Cro-Magnon europeo. In base anche a recenti datazioni su denti di fauna e selce bruciata in stretta associazione (metodi ESR, risonanza di spin elettronico, e TL, termoluminescenza), Skhul V rientrerebbe in un range ampio, ma che in genere si fa risalire intorno a 100.000 anni fa. Non è chiara la relazione delle sepolture intenzionali con la sequenza stratigrafica per la mancanza di coordinate negli scavi degli anni Trenta: in particolare non si sa se la loro provenienza sia da attribuire alla superficie attuale (livello A) o all'ambito del livello B.
Per aggirare l'incertezza dei dati stratigrafici sull'età dei resti umani di S. sono stati recentemente analizzati quattro campioni di più sicura provenienza: un molare di Skhul II, frammenti ossei di Skhul IX e resti di fauna associata a Skhul V (dente da mandibola di cinghiale che fu sepolta ritualmente con il defunto) e IX (dente da cranio di bue), oltre a frammenti vari; Skhul II si aggira intorno a 122.000 anni fa. Stesse datazioni sono state allargate ai tre siti di sepoltura di Qafzeh e Tabun che si mostrano largamente contemporanei, cadendo intorno a 100.000 anni e oltre. I resti di forme umane già moderne da S. e Qafzeh si inquadrano infatti nell'ambito del contesto del livello C di Tabun. Elementi significativi di comportamento umano moderno sono quindi presenti nel Levante già prima di 100.000 anni fa.
La presunta datazione iniziale di S. a 40.000 anni fa ebbe come implicazione per alcuni studiosi che i fossili di Neandertal da Tabun fossero più antichi dell'uomo di tipo moderno di S. e che il Neandertal di Tabun fosse l'antenato evoluzionistico dei moderni di S. Le nuove datazioni ne attestano invece la coevità. Nel mondo scientifico si è dibattuto sull'ipotesi di una coesistenza di due distinte popolazioni nel Musteriano del Levante, rappresentate dai Neandertal di Tabun e i più moderni di Skhul, o sulla possibilità che il record fossile levantino rappresenti invece una popolazione singola altamente variabile; altri studiosi sostengono che il range di variabilità nella morfologia sia dovuto all'incrocio tra Neandertal e forme arcaiche di sapiens. Secondo alcuni autori la presenza di Neandertaliani nel Levante sarebbe il risultato di una antica migrazione dall'Europa sotto la pressione dei climi estremi glaciali verso le attrattive costituite dalle risorse del Levante; l'effetto si avrebbe anche nelle differenze morfologiche tra Neandertal europeo e levantino.
D.A.E. Garrod - D.M. Bate, The Stone Age of Mount Carmel, Oxford 1937; A.J. Jelinek, The Tabun Cave and Paleolithic Man in the Levant, in Science, 216 (1982), pp. 1369-75; G. Clark - J.M. Lindly, Modern Human Origins in the Levant and Western Asia, in CurrAnthr, 32 (1989), pp. 577-87; S. Condemi, Some Considerations Concerning Neandertal Features and the Presence of Neandertals in the Near East, in RAntr, 69 (1991), pp. 27-38.
di Fabio Sebasti
Grotta di grandi dimensioni localizzata alle pendici del Monte Carmelo, a sud di Haifa (Israele).
Sito di riferimento per la cronologia del Levante nella sequenza archeologica e nella serie di datazioni assolute, T. evidenzia nei livelli più profondi (E e F) repertori litici attribuiti a un pre-Musteriano e a un Acheuleano finale (raschiatoi e bifacciali); il livello F fu distinto in quattro sublivelli in base alla frequenza di bifacciali; il livello E fu designato da A. Rust Acheulo-Yabrudiano, con bifacciali acheuleani e raschiatoi yabrudiani tipo riparo Yabrud I. D.A.E. Garrod e D.V.W. Kirkbride (1961) propongono diverse facies come entità rappresentative di diverse tradizioni culturali. Gli scavi di A.J. Jelinek (1982) ridefiniscono la stratigrafia di T. in 14 livelli in base alla geologia del sito. Jelinek avanza ipotesi di continuità culturale nella sequenza usando il termine Mugharano in sostituzione dell'Acheulo-Yabrudiano per i livelli inferiori del deposito. Nella facies yabrudiana, corrispondente a una fase climatica più calda, si registra la predominanza di raschiatoi laterali e la quasi assenza di manufatti Levallois; nella facies acheuleana si assiste a un incremento nella percentuale dei bifacciali con uguale alta frequenza di raschiatoi.
Al di sopra dell'Acheulo-Yabrudiano, la stratigrafia di T. è caratterizzata dal Musteriano, transizione corrispondente al livello D di Garrod e D.M. Bate. Jelinek vi riconosce l'unità X di transizione con incremento negli elementi Levallois, fornendo elementi per una transizione in situ di manufatti musteriani di tipo vicino-orientale presenti nell'unità IX. Per Jelinek due sarebbero le tendenze caratteristiche di questa transizione: l'incremento di schegge e lame da nuclei Levallois e il decremento di strumenti ritoccati: questa industria ricorre in tre fasi, corrispondenti ai livelli D, C e B di Garrod e Bate. Il Musteriano del Vicino Oriente appare diverso da quello degli Zagros e del Tauro, dove i complessi consistono soprattutto in manufatti non Levallois, come quelli di Shanidar. T. D comprende sostanzialmente schegge Levallois triangolari, punte allungate e raschiatoi, analogamente ad altri siti levantini come Rosh Ein Mor e Jerf Ajla. T. C mostra una più bassa frequenza di punte e un'alta ricorrenza di schegge Levallois, un tipo di insieme presente anche a Skhul e Qafzeh; a esso si associa materiale fossile umano.
I resti umani sono rappresentati da una diafisi di femore e da un dente dai livelli dell'Acheuleano superiore, da uno scheletro femminile che rientra nelle caratteristiche di Neandertaliano del Vicino Oriente e da altri frammenti dai livelli musteriani, che appaiono morfologicamente più vicini alla forma moderna. Le prime cronologie nel Levante si basavano su datazioni relative attraverso sequenze stratigrafiche, correlazioni faunistiche, industrie litiche e dati paleoambientali. Il grosso impatto sulla cronologia levantina dell'applicazione delle moderne tecniche di datazione ESR e TL (risonanza di spin elettronico e termoluminescenza), con una generale retrodatazione di parte del materiale fossile, ha portato a una ridefinizione cronologica per la documentazione disponibile e quindi a una revisione delle dinamiche dei rapporti delle forme umane nel Levante. Le nuove datazioni, sebbene oggetto di critiche sulla loro validità, provano che una sequenza lineare e continua per l'evoluzione umana nel nodo cruciale sapiens-neanderthalensis non è più sostenibile. Nella lunga serie di datazioni di T. ottenute con USR (analisi di attivazione neutronica sulla concentrazione di uranio nello smalto e nella dentina), tra 160.000 e 168.000 anni fa si colloca il livello Ea, intorno a 50.000 il livello B, mentre il livello C ricade tra 97.000 e 105.000 anni fa. Tecniche TL su selce bruciata retrodatano ulteriormente la sequenza di T. (livello C datato circa a 170.000), mentre i livelli più bassi D-Ed potrebbero risalire a 330.000 anni fa.
D.A.E. Garrod - D.M. Bate, The Stone Age of Mount Carmel, Oxford 1937; A.J. Jelinek, The Tabun Cave and Paleolithic Man in the Levant, in Science, 216 (1982), pp. 1369-375; Id., The Amudian in the Context of the Mugharan Tradition at the Tabun Cave (Mount Carmel), Israel, in P. Mellars (ed.), The Emergence of Modern Humans. An Archaeological Perspective, Edinburgh 1990, pp 81-90; N. Mercier et al., TL Dates of Burnt Flint from Jelinek's Excavations at Tabun and their Implications, in JASc, 22 (1995), pp. 495-509.
di Stephen Bourke
Sito ubicato nella valle del Giordano meridionale, circa 6 km a est del fiume e 5 km dal Mar Morto.
T.G. nacque come un piccolo villaggio rurale del Neolitico finale (4900 a.C. ca.), con un'estensione di 2-3 ha. Nel corso del tempo divenne il più grande sito del Calcolitico del Levante meridionale e probabilmente si estendeva su un'area di 25-30 ha al momento della sua maggiore espansione (4200-3800 a.C. ca.). Era anche uno degli insediamenti con maggiore continuità di occupazione nella regione, abitato per circa un migliaio di anni (4900-3900 a.C. ca.). Il modesto insediamento del Neolitico finale al centro del sito era formato da abitazioni circolari semisotterranee. Dopo circa 200 anni a questo insediamento seguì la prima di 10 fasi occupazionali caratterizzate da unità architettoniche a più vani, di mattoni crudi e pietra, sistemate attorno a spaziosi cortili. Aree distinte per attività agricole e artigianali e grandi strutture per l'immagazzinamento erano caratteristiche delle ultime fasi di occupazione. I materiali per le coperture consistevano di canne e intonaco di fango e molti pavimenti delle case erano di terra battuta, sebbene occasionalmente ci fossero pavimenti di spesso intonaco bianco.
Le pitture murali raffiguravano soggetti di carattere rituale, processioni di figure antropomorfiche e scene di culti elitari, assieme a elementi zoomorfici, architettonici e geometrici, forse simboli di divinità e pratiche cultuali. L'evidenza suggerisce che singoli ambienti cultuali erano disseminati su tutto l'insediamento, ma verso la fine dell'occupazione compare almeno un recinto templare ai margini sud-occidentali del sito. Questo recinto racchiude due edifici rettangolari di mattoni crudi e pietra ben ricostruiti, un altare centrale e abbondanti manufatti collegati al culto. Simili recinti sono stati scoperti a En Gedi, Gilat e Shiqmim. La cultura materiale dei primi orizzonti (fasi H-I di Hennessy) era collegata alla sequenza del Neolitico ceramico di Gerico, sebbene sia probabilmente successiva alla maggior parte dell'occupazione di quest'ultimo sito. La ceramica era relativamente ben fatta, con impasti di colorazione marrone-verdina, marrone e grigia. Le forme erano semplici e le decorazioni rare. Ricorrono orli di ciotole occasionalmente dipinte di rosso, bande di decorazioni incise o forate sul diametro massimo e sul collo dei vasi più grandi e ingubbiature rosso-marroni. Le superfici lustrate sono molto rare. L'industria scheggiata è dominata da lame di falcetto con larghe denticolazioni, raschiatoi e lame ritoccate in serie. Fin dall'inizio dell'occupazione si ha un repertorio animale e vegetale soprattutto domestico, mentre le specie selvatiche avevano un ruolo decisamente secondario.
Molte delle forme ceramiche e litiche che caratterizzavano i livelli neolitici si ritrovano anche nel periodo del Calcolitico iniziale (fasi I-III del Pontificio Istituto Biblico, PIB, fasi G-E di Hennessy). In ogni caso è solo nelle quattro fasi costruttive più recenti (fasi IVA-B del PIB, fasi A-D di Hennessy) che il repertorio materiale arriva a includere il completo spettro di forme e decorazioni normalmente definite "ghassuliane". Alla fine dell'occupazione erano molto comuni impasti ceramici rossi e grigi, ben cotti, e un elaborato repertorio di forme distintive ingobbiate e dipinte era divenuto standard. I complessi litici erano caratterizzati da lame di falcetto denticolate, scalpelli politi, grossi coltelli tabulari e grattatoi. Un sofisticato repertorio di pietra levigata comprendeva profonde ciotole, piatti poco profondi e sostegni fenestrati incisi, mentre le arti plastiche includevano figurine fittili zoomorfe e pendenti geometrici levigati di osso, pietra e conchiglia. Con lo sviluppo del periodo calcolitico, si rileva dall'analisi del repertorio faunistico un'importanza crescente dei prodotti secondari (trazione e trasporto e prodotti caseari e tessili), mentre l'evidenza botanica ha suggerito una maggiore enfasi sui cereali ad alta resa, sui frutti e sulle olive. Il rame fece la sua comparsa verso la fine della fase insediativa ma non fu mai diffuso, né si trova nelle elaborate forme fuse rese famose dalla scoperta del Nahal Mismar. I rari beni di provenienza straniera, oggetto di commerci, consistevano in ornamenti personali, compresi vaghi di pasta vitrea, conchiglia e pietre semipreziose. Alcune sepolture infantili sono state trovate sotto i pavimenti delle case, mentre il cimitero si trova all'esterno del sito e non è stato localizzato. L'occupazione terminò verso il 3800 a.C., probabilmente quando peggiorarono le condizioni climatiche del V millennio a.C.
Bibliografia
A. Mallon et al., Teleilat Ghassul, Rome 1934; R. Koeppel et al., Teleilat Ghassul, II, Rome 1940; R. North, Ghassul 1960 Excavation Report, Rome 1961; J. Lee, Chalcolithic Ghassul: New Aspects and Master Typology (PhD Diss., Hebrew University), Jerusalem 1973; J.B. Hennessy, Ghassul, in D. Homès-Fredericq - J.B. Hennessy (edd.), Archaeology of Jordan, II. 1. Survey and Field Reports A-K, Louvain 1989, pp. 230-41; S.J. Bourke, The Origins of Social Complexity in the Southern Levant: New Evidence from Teleilat Ghassul, Jordan, in PEQ, 134 (2002), pp. 2-27.
di Carlo Persiani
Tell situato nella media valle dell'Eufrate, ampio 480 × 290 m e alto 8 m, ora sommerso dalle acque del Lago Assad formato dalla diga di Tabqa.
Gli scavi di A.M.T. Moore furono ristretti alle campagne del 1972-73 e investigarono una superficie di circa 300 m2 con varie trincee che raggiunsero la roccia di base, esponendo una successione estesa dal Mesolitico al Neolitico ceramico antico, con una sequenza del Neolitico preceramico spessa 8 m. Il sito documenta la transizione dalla caccia-raccolta all'agricoltura in un villaggio occupato dalla fine del Pleistocene all'inizio dell'Olocene, con due fasi principali divise da uno iato: Mesolitico (9500-8000 a.C.) e Neolitico (7700-5000 a.C.). Il lungo periodo di occupazione del sito ha permesso di osservare i cambiamenti nella sussistenza, nella cultura e nell'impatto ambientale di una delle prime comunità di villaggio. Il livello mesolitico, raggiunto su una superficie ridottissima, era contraddistinto da un abitato già stabile, con fori di palo, piattaforme d'argilla, focolari, pozzetti per conservare il cibo. La fase I neolitica è composta da strutture rettilinee di mattoni crudi più volte ricostruite, con pavimenti intonacati e bruniti. La fase II ha un fitto tessuto di edifici di mattoni crudi separati da cortili e passaggi, composti da numerosi piccoli ambienti, aperti verso sud. I pavimenti levigati, in cui sono infissi vasi di calce rettangolari, sono tinti di nero o rosso. Sotto i pavimenti si trovano sepolture con ocra e ornamenti. L'abitato si estende fino a 11 ha e comprende spazi riservati per particolari attività, come la lavorazione della selce. Nel livello III, ceramico, si trovano tracce di muri di mattoni crudi e buche con focolari.
Lo strumentario di pietra dei livelli mesolitici comprende la tipica industria microlitica natufiana insieme a numerosi strumenti per macinare e pestare, che sono presenti in modo sempre più massiccio nei livelli successivi, dove compaiono in abbondanza punte di freccia e asce di pietra levigata, mentre le lame di falcetto sono rare. Gli scambi nei livelli neolitici sono indicati dall'abbondante ossidiana anatolica, dalle conchiglie del Mar Rosso e dalle pietre dure che comprendono anche la turchese. Tra i manufatti di terracotta compaiono anche alcuni tra i più antichi sigilli conosciuti. La ceramica nel livello III non si accompagna a significativi mutamenti dello strumentario, attestando come la sua comparsa non sia il segno di profonde trasformazioni culturali, ma un elemento accessorio che solo col tempo acquisterà una funzione centrale nella vita quotidiana.
Bibliografia
A.M.T. Moore - G. Hillman - A.J. Legge, Village on the Euphrates, Oxford 2000.
di Carlo Persiani
Sito in cui è documentata la transizione dalla caccia-raccolta all'agricoltura dalla fine del Pleistocene all'Olocene antico, con tre fasi principali: Mesolitico Natufiano ed Epinatufiano (9500-8000 a.C.), Neolitico preceramico iniziale o PPNA (Pre-Pottery Neolithic A, 8000-7500 a.C.), Neolitico preceramico maturo o PPNB (Pre-Pottery Neolithic B, 7500-7000 a.C.).
Il colle, ora sommerso dalle acque del Lago Assad nella media valle dell'Eufrate siriano, era ampio 250 × 125 m e alto 10 m. Nel livello IA, natufiano, raggiunto su una superficie ridotta, era riconoscibile un abitato stabile con numerosi focolari muniti di alari, mentre nel livello IB è stata individuata una struttura circolare seminterrata del diametro di 6 m, con muri composti di pali e argilla. Il livello II, epinatufiano, era composto da dieci strutture circolari di diametro fino a 4 m con muri di argilla e pietre, prive di focolari, sostituiti da fosse-focolare esterne. In questa fase si osservano le primissime tracce della domesticazione del bue.
Il livello III, attribuito al PPNA, è formato da abitazioni circolari ampie da 2,5 a 6 m, con i muri di pali e fango o pisé. La struttura XLVII aveva varie divisioni interne che formavano celle con il pavimento a livelli diversi e le pareti rivestite di intonaco rosso. Le aree di attività ubicate tra le strutture erano dotate di fosse-focolare. Nel livello IVB, attribuibile al PPNB, compaiono strutture con lunghi muri rettilinei di pisé. In questo livello emergono elementi rituali, con sepolture sotto i pavimenti rivestiti di argilla e crani umani deposti su piedistalli. Fin dal livello IA erano utilizzate piante commestibili dopo un trattamento di macinatura. Gli attrezzi per pestare e macinare nei livelli successivi diventano sempre più numerosi e diversificati, di pari passo con lo sviluppo della prima agricoltura, attestata nei livelli PPNB da vegetali domesticati: grano, orzo, lenticchie. La caccia, in particolare all'asino selvatico e alla gazzella, rimase sempre una fonte primaria di sussistenza, stimolando la produzione di punte di freccia durante il PPNA e il PPNB. Le numerose accette di selce scheggiata del livello III furono sostituite nel IV da quelle di pietra levigata. Gli esperimenti per la realizzazione di recipienti non utilizzarono la calce, come nel vicino sito coevo di Tell Abu Hureyra, ma la terracotta che appare dal livello III. Oltre a gioielli e a figurine di pietra, nei livelli aceramici si notano piccoli oggetti geometrici di varie forme, interpretati come le prime evidenze di sistemi di conteggio.
Bibliografia
J. Cauvin, Les premiers villages de Syrie-Palestine du IXe au VIIe millenaire avant J.C., Lyon 1978; O. Aurenche, Un exemple de l'architecture domestique en Syrie au VIIIe millenaire: la maison XLVII de Tell Mureybet, in J.Cl. Margueron (ed.), Le Moyen Euphrate. Zone de contactes et d'échanges. Actes du Colloque (Strasbourg, 10-12 mars 1977), Leiden 1980.
di Carlo Persiani
Sito appartenente a un gruppo di quattro tell sulle rive del fiume Balikh, nella Siria settentrionale.
Gli scavi diretti da P.M.M.G. Akkermans nel 1986-88 hanno messo in luce, su un'area di 900 m2, i quattro livelli principali di un abitato tardoneolitico occupato tra il 5300 e il 4700 a.C., in una fase recente della cultura di Halaf, testimoniata dalla tipica ceramica dipinta di grande qualità tecnica e decorativa, presente in un'area che comprende la Mesopotamia e la Siria settentrionale e l'Anatolia orientale. Un piccolo villaggio del Bronzo Tardo occupò la sommità del sito nel II millennio a.C. Come in molti abitati della cultura di Halaf, si notano varie strutture circolari, dette tholoi perché l'ipotesi più probabile per la loro copertura è la falsa volta. Si ritiene che il modulo circolare fosse usato per edifici con varie funzioni, comprendenti quelle di abitazione o cucina. A T.S.A. I le tholoi erano rivestite d'argilla concotta e contenevano grandi quantità di cereali, suggerendo per molte di esse la funzione di magazzini.
Le tholoi sono numerose e più volte ricostruite con una disposizione apparentemente poco organizzata, mentre per molto tempo viene mantenuto invariato un grande complesso formato da due edifici composti da numerosi ambienti rettangolari, separati da un cortile. Uno dei due edifici comprende una serie di piccole celle senza ingresso a livello del pavimento, come negli abitati del Neolitico ceramico antico tipo Umm Dabaghiya. Altri elementi analoghi al Neolitico ceramico antico della Gezira sono l'allevamento, basato prevalentemente sui caprovini, e la presenza di un ripostiglio con un migliaio di sferoidi di argilla, interpretati come strumenti per il conteggio dei beni immagazzinati nelle cellette. È stato ipotizzato che gli edifici rettangolari fossero granai e le tholoi corrispondessero alle stanze di una o più case, secondo uno schema caratteristico di società basate su rapporti socioeconomici egualitari, con una scarsa incidenza dei vincoli familiari sullo schema urbanistico e una netta prevalenza del gruppo come unità sociale di riferimento.
Bibliografia
P.M.M.G. Akkermans, Excavations at Tell Sabi Abyad, Oxford 1989; Id., Villages in the Steppe, Ann Arbor 1993.
di Carlo Persiani
Sito ubicato sulle rive del Tigri, non lontano dalla città di Samarra, nella Mesopotamia centrale (Iraq).
Gli scavi hanno messo in luce un abitato vasto poco meno di 1 ha, la cui occupazione risale al Neolitico tardo, corrispondente in questa regione alla fase di Samarra (6100-5000 a.C.). A oggi T.es-S. è l'unico sito ampiamente investigato appartenente a questa cultura, contraddistinta da una ceramica dipinta di elevata qualità. Il sito comprendeva quattro livelli principali, differenziati sulla base dell'architettura, caratterizzata da edifici vicini tra loro ma distinti. Nei livelli I-II questi sono ampi da 150 a 250 m2 e composti da più stanze, disposte sempre secondo lo stesso schema simmetrico: al centro si trova una vasta sala rettangolare fiancheggiata da corridoi, che separa due ali composte da più ambienti. La struttura di queste case ne suggerisce un uso polifunzionale come residenze, laboratori e granai, per più nuclei familiari imparentati tra loro. La pianta tripartita si lega alle ultime fasi del Neolitico preceramico di Bouqras e precede il tipico schema mesopotamico dei millenni successivi. Gli stessi collegamenti si possono rilevare per la tecnica costruttiva in mattoni crudi realizzati con una forma, che si oppone al pisé in uso nella Gezira.
Nella seconda fase (livelli III-IV) l'abitato viene racchiuso da un muro di cinta con fossato, che delimita un'area rettangolare di 60 × 50 m fittamente occupata da case con pianta a T, grandi meno della metà delle precedenti. Queste case mantengono una distinzione tra ambienti maggiori e minori, che sono però organizzati in due blocchi giustapposti; un piccolo vano è interpretato come scala per raggiungere gli ambienti superiori, la cui esistenza è suggerita dai muri spessi e muniti di contrafforti. Alcune stanze hanno sotto il pavimento un'intercapedine alta circa 1 m, interpretata come magazzino. La riduzione dimensionale degli edifici rispetto ai primi livelli sarebbe compensata dalla crescita dell'elevato, forse indotta dalla necessità di costringere più case, con i relativi magazzini, all'interno del muro di cinta. Lo schema architettonico e urbanistico di T.es-S. è indizio di una società basata su strutture familiari autonome, ricollegabile alla tradizione del Neolitico preceramico B siro-anatolico (PPNB, Pre-Pottery Neolithic B). Anche la contemporanea trasformazione dell'insediamento ricorda i cambiamenti unitari osservati nell'abitato di Çayönü Tepesi, uno dei siti più estensivamente investigati del PPNB.
C. Breniquet, Tell es-Sawwan. Réalités et problémes, in Iraq, 53 (1991), pp. 75-90.
di Jean-Louis Huot
Sito ubicato 3,5 km a sud-est di Larsa, nella Mesopotamia meridionale (Iraq).
T.el-U. si eleva di soli 4 m sulla linea della piana, ma gli strati archeologici raggiungono i 10 m di spessore prima della falda freatica. La loro pendenza molto forte ha permesso di raggiungere alcuni livelli antichi a partire dalla superficie. Il sito è datato al periodo Ubaid (6500-3700 a.C.), caratterizzato da una ceramica dipinta che ha permesso un tempo di elaborarne una periodizzazione suddivisa in quattro fasi, da Ubaid 1 (5900-5300 a.C.) a Ubaid 4 (4700-4200 a.C.). I lavori hanno determinato il riconoscimento di una fase anteriore (Ubaid 0, 6500-5900 a.C.) e di una fase finale (Ubaid 5, 4200-3700 a.C.). Il sito è stato scavato dal 1976 al 1989. Due profondi sondaggi hanno fornito un quadro generale della stratigrafia. Alcune indagini hanno interessato la fase Ubaid 0, mentre altre hanno riguardato i livelli Ubaid 4-5 e Uruk. Ricerche nei dintorni hanno permesso di tracciare l'evoluzione dell'ambiente a partire dall'epoca dei primi insediamenti fino a oggi e lo spostamento della linea di costa del Golfo. Alla fine dell'epoca di Ubaid (4000 a.C. ca.) questa linea si trovava nell'entroterra, vicino ai grandi siti sumerici; si verificarono in seguito una rapida avanzata del delta e un'estensione massima delle terre in età ellenistica, infine un indietreggiamento sensibile della costa nell'epoca islamica, segnato dall'estensione delle paludi.
Di Ubaid 0 si conoscono grandi installazioni con scompartimenti profondi, ricoperti talvolta da una pavimentazione di canne, che costituiscono le infrastrutture di un granaio. Un edificio, riportato parzialmente alla luce, doveva ricoprire una superficie di 240 m2 e presentava una pianta tripartita con due file di pilastri che sostenevano il tetto. Nella fase recente di Ubaid 0, due edifici meglio conservati ricalcano gli stessi principi: pianta tripartita pluricellulare organizzata secondo tre campate parallele, ciascuna costituita da una grande sala ipostila con doppia fila di pilastri. Le superfici sono rispettivamente di 140,3 m2 e 138,9 m2. Questi edifici, molto più elaborati di quelli di Eridu, rinnovano la storia della pianta pluricellulare tripartita, precorritrice delle grandi costruzioni di Ubaid 3-4 e dell'età di Uruk. La ceramica dipinta è prossima al tipo Choga Mami Transitional. Nella fase Ubaid 2 resti di granai più piccoli dei precedenti sono accompagnati da una ceramica dipinta di nero con motivi geometrici (piatti, scodelle, bicchieri e olle carenate). Della fase Ubaid 3 si conserva una terrazza lunga circa 40 m; la forma esatta del monumento e il suo impiego rimangono ignoti. Infine, nella fase Ubaid 4, sui muri di un'abitazione con pianta tripartita si impostano fondazioni di granai a cellette.
Gli abitanti coltivavano il grano e soprattutto l'orzo, utilizzando falci di terracotta e macine di pietra, allevavano buoi e maiali, fabbricavano una tipica ceramica dipinta, figurine umane con volto di rettile, figurine di animali e alcuni rari "sigilli" senza attestazioni di impronte. I soli elementi esotici rinvenuti sono alcuni oggetti di materia bituminosa e qualche frammento di ossidiana proveniente dall'Anatolia. L'occupazione finale è datata all'epoca di Ubaid e Uruk recente (ciotole grossolane, scodelle con versatoio e vasi decorati con motivi geometrici incisi).
J.-L. Huot (ed.), Oueli, travaux de 1987 et 1989, Paris 1996 (con bibl. prec.).
di Francesca Balossi Restelli
Sito dell'Iraq settentrionale, in curdo "la grande collina", ubicato 24 km a nord della città di Mossul, lungo un tributario del fiume Tigri.
Il sito fu occupato ininterrottamente dall'epoca Halaf (VI millennio a.C.) fino alla fine del periodo Calcolitico tardo/Uruk (3000 a.C. ca.). I livelli più recenti arrivano fino al Bronzo Tardo, con una presenza di resti akkadici, di Ur III e poi dell'epoca di Mitanni. Il suolo vergine è stato raggiunto solo in un sondaggio ai piedi della collina, 5,22 m al di sotto della piana circostante. I livelli individuati vanno dal I, il più recente, al XX, il più antico, che mostra strutture circolari a tholos associate a ceramica fine dipinta, tipiche del periodo Halaf. Segue un'occupazione Ubaid, testimoniata dai livelli XII-XIX. In questo periodo compaiono strutture domestiche a pianta tripartita, spesso con le stanze laterali di dimensioni irregolari, tipiche dell'epoca, oltre alla caratteristica ceramica dipinta Ubaid. In alcune abitazioni sono stati rinvenuti dipinti murali.
Fino al livello XIV l'insediamento aveva carattere prevalentemente domestico e abitativo, mentre fortemente distinto è il livello XIII, quando scompaiono del tutto le abitazioni e la collina diventa una sorta di acropoli con tre templi monumentali distribuiti attorno a una corte e decorati con nicchie e dipinti. In questo periodo iniziano a mostrarsi forti mutamenti a livello sociale, con la presenza di personaggi di rango elevato, come poi documentato anche dal successivo livello XII, quando una casa (White Room) si distingue chiaramente dalle altre per dimensioni e caratteri. Questo è l'ultimo livello di periodo Ubaid, cui segue un orizzonte chiamato "di Gawra" e rappresentato dai livelli XIA-IX. In questa fase risultano molto chiare le evidenze di differenziazione sociale, come testimoniato nel livello XIA dalla presenza di una grande struttura circolare fortificata, posta al centro dell'insediamento. Nel livello X ricompare il tempio, sebbene inserito nel contesto del villaggio.
Da questi livelli provengono anche moltissimi sigilli, cretule e tokens, che segnalano una ben avviata attività amministrativa con un sistema di controllo e distribuzione dei beni, oltre che sepolture con ricchi corredi, che sottolineano anch'esse distinzioni sociali. Abbondanti sono i materiali preziosi, che testimoniano commerci anche su lunga distanza. Questi elementi si ritrovano nel periodo immediatamente successivo, coincidente con la comparsa dei caratteri della cultura Uruk della Mesopotamia meridionale. Il livello VIII, distinto in tre subfasi (A-C), è il più complesso; esso mostra strutture templari, aree di immagazzinamento, aree di lavorazione e abitazioni di élites. Come quelli più recenti, questo livello viene distrutto da un incendio. In seguito solo il livello VI mostra un'occupazione estensiva del sito, con strutture compatte e totalmente diverse da quelle del periodo Uruk, semplici e senza particolari distinzioni tra loro. La lavorazione del rame è qui testimoniata dalla presenza di forme da fusione e scorie.
Bibliografia
E.A. Speiser, Excavations at Tepe Gawra, I, Philadelphia 1935; A. Tobler, Excavations at Tepe Gawra, II, Philadelphia 1950; M.S. Rothman, Sealings as a Control Mechanism in Prehistory: Tepe Gawra XI, X, and VIII, in G. Stein - M.S. Rothman (edd.), Chiefdoms and Early States in the Near East, Madison 1994, pp. 103-20; Id., Tepe Gawra: the Evolution of a Small, Prehistoric Center in Northern Iraq, Philadelphia 2002.
di Carlo Persiani
Sito ubicato al confine meridionale della Gezira siriana, tra il Tigri e il Gebel Sinjar.
Gli scavi diretti da D.V.W. Kirkbride tra il 1971 e il 1974 hanno messo in luce, su un'area di 3500 m2, un abitato del Neolitico ceramico antico (7000-6500 a.C.), particolarmente rappresentativo del complesso culturale che caratterizza questa fase. L'insediamento è piccolo e l'inizio della sua occupazione è indicato da fosse, pozzetti e focolari. Nei livelli successivi l'abitato comprende poche abitazioni, che fanno da corona a un grande edificio con muri di argilla pressata (pisé), composto da più di 80 cellette quadrangolari di 1,75 × 1,5 m, raccolte in due blocchi formati da lunghi allineamenti paralleli che risparmiano uno spazio libero centrale. Le piccole abitazioni contrastano notevolmente con gli edifici a cellette per l'irregolarità della planimetria e la loro disposizione, priva di ordine apparente.
Il sito è posto nella zona più arida della Gezira, al limite estremo della fascia con piovosità annua di 200 mm dove è possibile l'agricoltura non irrigua. Questa collocazione ha influito sulle scelte economiche della comunità di U.D., testimoniate dai resti di fauna, prevalentemente selvatica, comprendente soprattutto onagro o asino selvatico (68%) e gazzella (17%), con solo l'11,4% di animali domestici. Scene di caccia all'onagro sono rappresentate sia sulle pareti delle case sia sulla ceramica, la più antica della regione. Secondo Kirkbride, U.D. era abitato da cacciatori specializzati, che usavano i grandi edifici come depositi per le pelli e non praticavano l'agricoltura. Questa ipotesi è sostenuta dal ritrovamento di moltissime punte di freccia e pochissime lame per strumenti agricoli, oltre che da un deposito di oltre 2400 oggetti ovoidali di terracotta considerati proiettili da fionda. Inoltre, i vegetali domestici riconosciuti includono specie coltivabili solo con l'irrigazione, non presente nel sito.
Secondo J.-L. Huot, invece, le cellette sono il basamento di granai di cui è andato completamente perso l'alzato. In ogni caso, l'aspetto più importante è il contrasto tra le poche abitazioni e il vasto magazzino, indizio della concentrazione in un sito specializzato di beni che dovevano appartenere a una comunità stanziata in più abitati. M. Frangipane suggerisce che gli abitanti di U.D., dediti alla caccia specializzata, fossero anche i custodi di magazzini, forse granai, appartenenti a una comunità più ampia, residente in insediamenti occupati in modo discontinuo, collegati a uno sfruttamento del territorio connotato dalla rotazione delle aree coltivate. Gli oggetti di argilla potrebbero essere quindi interpretati come strumenti per il conteggio dei beni immagazzinati.
D.V.W. Kirkbride, Umm Dabaghiyah: a Trading Outpost?, in Iraq, 36 (1974), pp. 85-92; Ead., Umm Dabaghiyah 1974: a Fourth Preliminary Report, ibid., 37, 1 (1975), pp. 3-10; J.-L. Huot, Les premiers villageois de Mésopotamie. Du village à la ville, Paris 1994; M. Frangipane, La nascita dello stato nel Vicino Oriente, Roma 1996, pp. 55-60.
di Carlo Persiani
Gruppo di sei tell situato a ovest di Mossul (Iraq settentrionale), investigato negli anni 1969-74 da una équipe di archeologi sovietici guidata da N.Y. Merpert e R.M. Munchaev.
Y.T. I ha restituito 13 livelli di un abitato neolitico del VII millennio a.C. Il sito si trova nella zona di piovosità sufficiente a permettere un'agricoltura non irrigua e i dati relativi alla sussistenza hanno mostrato fin dai livelli basali le tracce di una cultura sedentaria, la cui sussistenza era interamente basata sull'allevamento e sull'agricoltura, con lo sfruttamento di tutte le principali specie domestiche. La sedentarietà è indicata dalla presenza di depositi con vasi per derrate infissi nei pavimenti. La tecnica costruttiva del pisé è utilizzata per un'architettura che comprende tre vasti edifici, composti da numerosi ambienti di piccole dimensioni, sia quadrangolari sia curvilinei. Nei livelli VIII-VI il sito viene riorganizzato, appare la tecnica in mattoni crudi, ma lo schema edilizio non cambia sostanzialmente. La maggiore differenza si osserva nell'aumento degli ambienti raggruppati in ogni edificio. In questi livelli (metà VII millennio a.C.) compare il più antico forno a diaframma per ceramica finora noto.
Nel livello V l'occupazione del sito è ancora più fitta e appaiono strutture rettangolari composte da numerose cellette come a Umm Dabaghiya, interpretabili come granai, e una struttura con le caratteristiche di un'abitazione. Da questa fase si registra la presenza di ceramica dello stile di Samarra, insieme a numerose figurine femminili caratteristiche dello stesso stile, che permettono di collegare i livelli finali del sito al periodo formativo di questa cultura.
Y.T. II e III, pur se profondamente erosi dal vicino corso d'acqua, hanno evidenziato resti della cultura di Halaf (VI millennio a.C.), in parte coeva con la cultura di Samarra. Lo schema architettonico ripropone i tipici modelli dell'ambito Halaf, con la giustapposizione di edifici rettangolari a file di cellette (granai, depositi) e circolari, corrispondenti alle tholoi halafiane, interpretati come strutture domestiche plurifunzionali, confrontabili con gli ambienti riportati alla luce a Tell Halaf e a Tell Sabi Abyad.
Bibliografia
N.Y. Merpert - R.M. Munchaev, Yarim tepe I, in N. Yofee - J.J. Clark (edd.), Early Stages in the Evolution of Mesopotamian Civilization, Tucson 1993, pp. 73-114; Iid., Yarim tepe II: the Halaf Levels, ibid., pp. 128-66; Iid., Yarim tepe III: the Halaf Levels, ibid., pp. 183-205.
di Carlo Persiani
Necropoli del Bronzo Antico situata nell'Anatolia nord-occidentale (Turchia).
Nel corso dei lavori per tracciare una nuova strada nel territorio di Balikesir, nel 1901-1902, P. Gaudin e V. Chapot esplorarono a Y. una parte consistente della prima necropoli nota, risalente all'epoca di Troia. Lo scavo fu documentato con schizzi che descrivevano il corredo e le caratteristiche delle sepolture, ma i materiali non furono tenuti distinti, anzi una parte considerevole fu oggetto di dono o scambio con vari musei. L'area esplorata, di 150 × 50 m, fu condizionata dal tracciato stradale progettato. Per individuare l'abitato collegato alla necropoli furono praticate quattro trincee su un vicino tepe, ma i risultati furono resi noti solo in maniera sommaria. In totale furono recuperate 107 sepolture, ma molte altre dovevano essere state scavate abusivamente in precedenza. Molti decenni più tardi, T. Kamil ritrovò la documentazione di 84 sepolture e curò l'edizione critica della necropoli.
Le sepolture erano contenute in olle o pithoi di ceramica alti da 30 cm fino a 1,75 m, adagiati su un fianco entro fosse profonde fino a 1,5 m, ed erano chiuse con lastre o massi di pietra. I recipienti erano rivolti a est, distanziati di 2-4 m, allineati da nord a sud in file regolari che, con la presenza di tombe multiple, sono indizi dell'esistenza di segnacoli oggi scomparsi. Il rituale è omogeneo: le deposizioni erano tutte in posizione contratta su un fianco, con la testa rivolta a est. Molti recipienti ospitavano sepolture multiple, realizzate spingendo i resti precedenti verso il fondo. Considerata la cattiva conservazione degli scheletri, sono state riconosciute 12 tombe singole e 6 sicuramente multiple, con un numero massimo di 6 deposizioni. La maggior parte delle sepolture conteneva un corredo composto da vasi di piccole dimensioni di ceramica brunita, di norma in più esemplari, fino a un massimo di 16: brocche, brocchette, ollette, askòi, boccali, pissidi, oltre a fuseruole di terracotta. Nelle ollette con coperchietto si trova spesso una materia color rosso-arancio, forse residui di cosmetici. Nei corredi infantili erano spesso presenti vasi miniaturistici. I rari oggetti di metallo sono semplici; inoltre, sono stati rinvenuti quattro idoletti stilizzati di marmo. L'analisi della ceramica, avente stretti collegamenti con la cultura anatolica occidentale di Troia I (Bronzo Antico II, 2750-2500 a.C.) e Troia II-IV (Bronzo Antico III, 2500-2000 a.C.), ha consentito di riconoscere una lunga durata della necropoli.
M. Collignon, Notes sur les fouilles de M. Paul Gaudin dans la nécropole de Yortan en Mysie, in CRAI, 1901, pp. 810-17; T. Kamil, Yortan Cemetery in the Early Bronze Age of Western Anatolia, Oxford 1982.