CONTI (de Comite, de Comitibus), Ildebrandino
Della nobile famiglia dei Conti di Segni nacque a Valmontone, nel Lazio meridionale, probabilmente all'inizio dell'ultimo quarto del sec. XIII, da Adenolfo di Giovanni e da Paola Orsi. Dal testamento del 1287del nonno del C., Giovanni, risulta che la famiglia era titolare di estesi possedimenti a Valmontone, Gavignano, Sacchi, Paliano, Ienne e Segni, tutti nel Lazio meridionale. Quando suo padre mori, nel 1301, il fratello maggiore del C., Giovanni, ereditò i beni principali a Valmontone; il C., già canonico a Sens in Francia, ereditò, comunque, alcune proprietà, insieme con altri due fratelli, Paolo, canonico a Chartres, e Pietro, canonico a Reims. Quando Clemente V, il 19 febbr. 1306, gli concesse un canonicato nella diocesi di Capua, era anche canonico di SaintOmer in Francia, di S. Maria di Valmontone e di S. Maria di Velletri, nel Lazio. Il 20 maggio 1307 il C. e i suoi fratelli vinsero una causa, acquistando così alcuni diritti su Gavignano nel Lazio; il il, nov. 1309 ottennero alcuni diritti su altri possedimenti laziali dietro pagamento di 200 fiorini a Francesca, nipote della loro zia, Perna Conti.
Nel 1310 il C. si era già. trasferito ad Avignone, ove il 29 novembre Clemente V lo nominò canonico della basilica papale. Benché eletto da Giovanni XXII vescovo di Padova il 29 giugno 1319, continuò a risiedere presso la Curia di Avignone. Qui il 25 ag. 1320 fu testimone della confessione dell'antipapa Niccolò V, sostenitore di Ludovico il Bavaro, e qui il 6 ott. 1322 fu nominato procuratore per esigere i crediti dei cardinale Napoleone Orsini da due soci della banca fiorentina dei Pulci e Lambertini. Durante questi anni il C. fu testimone in numerosi documenti pontifici e amministrò il suo vescovato per mezzo di vicari.
Il 9 nov. 1332 il C. giunse a Padova per la prima volta e vi si trattenne per qualche mese. In questa occasione procedette alla riforma del convento benedettino di S. Pietro, turbato da lotte intestine. Prima del suo ritorno ad Avignone, nell'agosto del 1333, il C. redasse i primi dettagliati statuti per il governo dei capitolo del duomo. In Avignone dall'autunno del 1333 al principio del 1336, il C. continuò a realizzare riforme di monasteri e di parrocchie nella sua diocesi con lettere ai suoi vicari. Durante una seconda breve visita a Padova nella primavera del 1336, il C. completò la riforma di S. Pietro con una bolla, emessa il 20 giugno, poco dopo il suo ritorno in Avignone. Dopo meno di tre anni di soggiorno alla corte papale, il C. ritornò a Padova, il 15 genn. 1339, per una permanenza di tre anni.
Il primo atto del C. dopo il suo ritorno nella città fu di convocare un sinodo nell'aprile, il primo ad essere tenuto a Padova dopo oltre mezzo secolo. Le distruzioni causate dalla guerra veneto-scaligera appena conclusa richiedevano la riforma di monasteri e interventi per migliorare la situazione economica delle corporazioni religiose nel Padovano. Al sinodo il C. introdusse anche riforme dei doveri pastorali, dei costumi dei preti e canonici, in materia di lotta all'usura e alla simonia, nonché in merito alla somministrazione dei sacramenti. Nell'autunno del 1339 il C. autorizzò una congregazione di monaci camaldolesi a stabilirsi in una nuova sede sui Colli Euganei a Monte Rua. Nel medesimo anno fece testamento a Padova; in esso elencò alcuni dei suoi libri, per la maggior parte di argomento teologico, ma che includevano anche opere di storia romana. di Seneca e di s. Agostino. Altri provvedimenti del C. riguardano la gestione economica delle terre dei monasteri siti nella sua diocesi. Ad esempio, concesse alle monache di S. Giacomo di Monselice il diritto di impegnare le entrate ricavate dai loro mulini per procurarsi il denaro necessario a riparare altri mulini. Tentò anche di ampliare alcune comunità monastiche e ordinò che fossero fatti inventari dei loro beni.
Durante questo periodo il C. regolarizzò l'amministrazione della suavasta "famiglia" episcopale. Formata di persone provenienti dal Lazio e dalla Francia, nonché da Padova, la sua curia comprendeva laici ed ecclesiastici, medici, giuristi, studenti, notai, scribi e ufficiali domestici. Durante le sue lunghe e frequenti assenze da Padova il C. usava farsi rappresentare contemporaneamente da due vicari, uno in spiritualibus, l'altro in temporalibus (nel complesso ne ebbe ventitré). Numerosi furono, poi, i giuristi da lui incaricati di trattare la vertenze relative alle terre dell'episcopato, e i familiari investiti della amministrazione ordinaria delle stesse. A questi ultimi il C. concesse vari benefici nel tentativo di farli risiedere più stabilmente a Padova.
Al principio del 1343 il C. ritornò ad Avignone per compiere alcune missioni diplomatiche per conto del nuovo papa, Clemente VI. La sua prima missione fu in Catalogna, insieme con il cardinale Andrea Ghini Malpaghi di Firenze, vescovo di Tournai, per risolvere il conflitto fra Pietro IV d'Aragona e il re di Maiorca, Giacomo II. Avviatisi il 1°febbr. 1343, i due legati papali raggiunsero il 2 maggio Perpignano, dove persuasero Giacomo II a rinnovare il suo omaggio al re d'Aragona. Nel 1343 il C. fu probabilmente raggiunto in Catalogna dal cardinale Bertrando di Déaulx, ma il 7 agosto egli risulta di nuovo ad Avignone. Nel febbraio 1345 il C. venne inviato da Clemente VI a Genova per tentare di porre fine alle lotte cittadine.
Nell'estate andò a Milano nella speranza di ottenere l'aiuto di Luchino Visconti nella sua opera di pacificazione nella città ligure. Quando, poi, nel settembre venne assassinato a Napoli Andrea d'Ungheria, il C. venne di nuovo inviato a Genova per cercare di mantenere il governo genovese nel campo angioino-papale e di prevenire un'alleanza con l'Ungheria. La missione del C. non ebbe, però, successo: una sua lettera, inviata al papa nel luglio 1346, mostra la piena consapevolezza della situazione politica genovese.
Nella medesima estate Clemente VI nominò il C. nunzio pontificio a Napoli, dove egli si recò nell'agosto. Il suo compito era di pacificare le fazioni in contrasto nella città, ove egli fu raggiunto alla fine dello stesso anno dal legato papale, il cardinale Bertrando di Déaulx. Quando ritenne di aver assolto il suo compito, il C. chiese al papa di poter tornare a Padova e ne ebbe il permesso il 21 apr. 1347. Viaggiò lentamente lungo la penisola e nell'estate si fermò a Valmontone nei possedimenti familiari. A Roma ebbe modo di assistere alla rivolta di Cola di Rienzo e il 29-30 luglio scrisse al suo vicario a Padova, Leonardo di San Sepolcro, una dettagliata lettera sulla personalità, il governo e la politica di Cola. Il C. visitò forse anche Avignone prima di ritornare a Padova il 7 ottobre del 1347.
Di nuovo nella sua sede vescovile il C. si occupò del buon governo dello Studio. Prima del 15 giugno 1346 egli aveva ottenuto da Clemente VI una bolla che riconfermava quello di Padova come Studio generale. In una disputa fra i professori di diritto e i rettori dell'università circa l'assegnazione delle lauree, il C. ottenne un giudizio del signore, Giacomo II da Carrara, il 26 nov. 1347, secondo il quale i professori agli esami assegnavano i voti ai candidati, mentre i rettori avevano il diritto di assistere agli esami stessi, ma non potevano dare voti ai candidati, né interferire sulla votazione. Nel dicembre del 1347 il C. continuò i suoi sforzi nella riforma del monastero di S. Giacomo di Moriselice e nella primavera seguente fece un certo numero di visite pastorali attraverso la diocesi. Queste visite furono interrotte dallo scoppio della peste nell'estate del 1348. Nell'autunno dello stesso anno il C., inoltre, invitò i monaci olivetani a stabilire una comunità nel Padovano e concesse loro duesedi, S. Maria di Monteoliveto a Padova e, come sede principale, S. Maria della Riviera, che era stata parzialmente distrutta durante la guerra veneto-scaligera; assegnò loro anche l'ospedale di S. Massimo.
Nella primavera del 1349 il C. incontrò il Petrarca, che si recava a Padova per la prima volta come canonico del duomo. Nell'aprile accompagnò il card. Guido di Boulogne come legato papale in Ungheria per tentare di evitare la spedizione contro Napoli di Luigi il Grande, re d'Ungheria. I due legati tornarono a Padova nell'ottobre del 1349 e il C., il cardinale e il Petrarca furono presenti alle celebrazioni svoltesi per la traslazione del corpo di s. Antonio, il 15 febbr. 1350. Più tardi, nella primavera, il C. probabilmente accompagnò il card. Guido di Boulogne a Roma per il giubileo.
Tornato a Padova nel maggio 1350, il C. ricominciò le sue visite pastorali alle parrocchie e ai monasteri della diocesi e ordinò un certo numero di preti nel duomo e nelle parrocchie di Thiene e di Piove di Sacco. In quell'autunno il C. dette inizio alla sua ultima missione diplomatica: Clemente vi lo incaricò di concludere una lega fra Venezia e i signori di Ferrara e di Padova per togliere Bologna dalle mani di Giovanni Visconti, che l'aveva da poco occupata. Nel maggio 1351 il C. fu presente al sinodo presieduto dal card. Guido di Boulogne a Padova. Nel sinodo furono emanati provvedimenti concernenti la moralità e la qualità del clero, la vita cristiana dei laici, i sacramenti, la riforma di monasteri, le indulgenze e l'usura.
Si sa poco degli ultimi anni del C., ma si può presumere che egli abbia continuato a svolgere i suoi doveri pastorali fino alla morte, avvenuta a Padova il 2 nov. 1352.
Sebbene il C. possa aver conosciuto il Petrarca ad Avignone dopo il 1326, la loro nota amicizia si manifestò soltanto successivamente all'aprile del 1349. Al ritorno del C. dall'Ungheria nell'ottobre del 1349 il Petrarca gli scrisse una lettera (Epistola metrica, III, 25) sulla grandezza dell'Italia e nell'autunno del 1351 gliene scrisse un'altra (Sine nomine, VIII) sui mali di Avignone. Subito dopo la sua morte il Petrarca indirizzò, nel dicembre del 1352, una lettera di consolazione (Fam., XV, 14) al clero di Padova sulle elevate qualità del C., la santità della sua vita, il suo desiderio di riforme e i suoi sforzi per portare la pace nelle città italiane.
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