Guidi, Ildebrandino (o Bandino)
Figlio di Guido Pace del conte Aghinolfo I di Romena, fu nipote di Guido Guerra IV e della buona Gualdrada (If XVI 37).
Molto giovane, entrò nel sacerdozio: era già pievano di S. Maria Novella a Bibbiena nell'ottobre 1253, quando venne nominato canonico e primicerio della cattedrale aretina; fu capitano del popolo di Pisa nel novembre-dicembre 1288. Morto il combattivo vescovo Guglielmino degli Ubertini nella battaglia di Campaldino, il Capitolo creò vescovo il rampollo dei G.; papa Niccolò IV con bolla del 26 settembre 1290 confermò tale nomina, e subito dopo volle inviarlo nelle Romagne a sopire la ribellione alla Chiesa dei ghibellini di quella regione, che erano arrivati a imprigionare Stefano Colonna governatore della provincia. Andò quindi come conte nelle Romagne e di lì a poco venne nominato vicario ‛ in spiritualibus '; subì una grave sconfitta a Forlì per opera delle truppe dei ribelli guidate da Maghinardo dei Pagani da Susinana. Alla pace del 26 maggio 1294 tornò a Modigliana, feudo di altro ramo della famiglia, scortoto fin là da Maghinardo stesso, e nell'ottobre successivo papa Celestino V gli tolse il governo della provincia romagnola. Così egli poté andare a riprendere il governo della sua diocesi, mentre Arezzo si dibatteva in feroci lotte faziose, cui si era aggiunta la divisione della Parte ghibellina tra Verdi e Secchi, in certo modo corrispondente a quella tra Bianchi e Neri nella Parte guelfa di Firenze.
Di questa situazione gli esponenti del ghibellinismo locale, Ubertini e Tarlati, facevano risalire la colpa al vescovo che aveva riammesso i guelfi in città. Così, per punirlo, nel 1297 invasero i beni dei conti di Romena e della mensa episcopale in Casentino, desistendo solo quando Firenze minacciò il suo intervento.
Nel 1302, gli Ubertini erano di nuovo sul piede di guerra e il vescovo andò di persona contro di essi, e da allora i due potentati vissero in concordia, magari uniti contro il podestà Uguccione della Faggiola, che cercava di costituirsi una signoria in Arezzo solleticando le velleità popolari, ma non riuscì nel suo disegno per la costante, inesorabile opposizione di Bandino e anche dei Tarlati i quali nutrivano la stessa ambizione. Quando ascese all'Impero Enrico VII, il vescovo, allegando il tradizionale ghibellinismo della sua stirpe, nell'azione pacificatrice sempre condotta nella diocesi e fuori, riuscì a farsi nominare vicario a vita della città. E mentre si trovava presso il sovrano a illustrare i diritti di' Arezzo su Cortona, morì lasciando fama di pio e pacifico pastore.
Questo personaggio interessa gli studi danteschi perché D., a parte l'amicizia che lo legava a vari membri della famiglia dei conti G. di Romena, certamente ebbe occasione di avvicinare quel presule nei primi tempi dell'esilio, quando si unì in Arezzo agli altri esuli di Parte bianca sotto la protezione di Uguccione della Faggiola.
Bibl. - L. Passerini, tavola XII delle 20 dedicate ai conti G., in P. Litta, Famiglie celebri d'Italia, XXV, Milano 1866-1867; Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, a c. di U. Pasqui, IV, Arezzo 1904, 285-286.