ILDERICO di Montecassino
Osta a che si identifichi senza incertezze la figura di I. il fatto che questo nome sia attribuito a più soggetti tutti apparentemente distinti l'uno dall'altro, la cui vicenda biografica si situa bensì in uno stesso ambito cronologico (sec. IX) e spaziale (area cassinese-beneventana).
Il primo di questi soggetti è l'I. autore dell'epitaffio di Paolo Diacono, il cui explicit ne rivela tutta la venerazione del discepolo verso il grande maestro che, come lui, fu monaco nell'abbazia cassinese: "Hoc tibi, posco, sacer, gratum sit carmen honoris, / Hilderic en cecini quod lacrimando tuus. / Quem requiem captare tuis fac, quaeso, perennem / Sacratis precibus, semper amande pater" (Neff, p. 156; la mano è del sec. XI, coeva ma distinta rispetto a quella che ha copiato il precedente testo dell'iscrizione commemorativa alle pp. 579 s. del codice Casin. 175 conservato nell'Archivio dell'Abbazia di Montecassino, vergato a Capua negli anni dell'abate Giovanni, tra il 914 e il 934).
Il secondo fu l'I. abate di Montecassino, che - secondo la Chronica di Leone Ostiense - succeduto a Deusdedit (828-834) resse il monastero per soli diciassette giorni tra l'834 e l'835: "XVI Hildericus abbas, sedit diebus XVII" (Chronica monasterii Casinensis, p. 12).
Il terzo fu l'I. philosophus e poeta, di cui l'autore del Chronicon Salernitanum schizza un suggestivo ritratto morale, situandolo a Benevento intorno all'870, allorché vi giunse l'imperatore Ludovico II, chiamato nel Mezzogiorno d'Italia fra gli altri dal principe beneventano Adelchi per eliminare finalmente il rischio costituito dai Saraceni capeggiati da Sawdān: "tempore quo Samnitibus Lodoguicus sepedictus preerat, triginta duobus philosofis illo in tempore Beneventum habuisse perhibetur; ex quibus illorum unus insigne, cui nomen fuit Ildericus, inter illos degebat, et non solum liberalibus disciplinis aprime imbutus, sed eciam proba virtute detitus" (Chronicon Salernitanum, cap. 122, p. 134): ne scaturisce l'immagine di un uomo di lettere la cui cultura ha qualcosa di miracoloso, dal momento che, secondo l'anonimo cronista, egli arriva perfino a dettare al notaio dell'imperatore Ludovico, che ne aveva dimenticato il tenore, una lettera di cui non sapeva nulla.
Infine, ad ampliare ulteriormente la questione dell'identità ildericiana, contribuisce la grammatica vergata in scrittura beneventana, che si conserva nel solo ms. Casin. 299 (seconda metà del sec. IX), con la seguente intitolazione, parzialmente rifilata, alla p. 2 in alto: "Ars Hilderici magistri eruditissimi viri".
Occorre perciò precisare le fonti da cui è possibile attingere dati relativi ai tratti personali eventualmente corrispondenti a ciascuno degli Ilderico sopra menzionati, chiarendone quindi l'eventuale convergenza, almeno in parte, verso una più distinta individualità, non senza subito riconoscere che a tal fine non sono di aiuto i due generici nomi di "Ildericus" e "Hildericus", il cui obitus nel necrologio del cod. Casin. 47 (1159-73) è segnato rispettivamente al 1° e al 9 giugno (I necrologi cassinesi, a cura di M. Inguanez, in Fonti per la storia d'Italia [Medioevo], LXXXIII, Roma 1941).
L'I. autore della menzionata epigrafe acrostica in memoria di Paolo Diacono è ben noto alla tradizione cassinese medievale, come dimostra Pietro Diacono, che nel tracciarne un medaglione biografico nel suo Liber illustrium virorum archisterii Casinensis (cod. Casin. 361, p. 135) scrive: "Hyldericus eiusdem Pauli diaconi auditor, de origine preceptoris sui vita, institutione, doctrina, religione, habitu lucidissimos versus composuit"; del resto l'epitaffio era già noto anche all'autore del Chronicon Salernitanum (sec. X): "super eius tumulum partim que in hoc mundo gessit, partim de eius prudenciis, quove temporibus perdurasset, sacris lictgeris exaratum invenimus" (cap. 37, p. 38).
Ci si chiede se sia possibile stabilire un rapporto tra questo I. discepolo di Paolo e l'altro I. abate di Montecassino. Colpisce senz'altro il fatto che Pietro Diacono, sottile conoscitore dell'archivio e della biblioteca cassinesi, non accenni in alcun modo a una identificazione dell'allievo di Paolo con l'omonimo abate che governò, sia pure per pochi giorni, l'abbazia cassinese a metà del quarto decennio del sec. IX, e il cui nome per di più non compare prima del sec. XI nelle liste abbaziali di Montecassino (la più antica, del sec. X, è quella del Casin. 175), proprio per l'estrema brevità del suo governo. Lo stesso Leone Ostiense nell'autografo della Chronica (Monaco, Bayerische Staatsbibl., Clm, 4623) si limita a registrarne il solo nome e la scarna cronologia, collocandolo tra il già menzionato Deusdedit e Autperto (834/835-837), segno che anch'egli probabilmente non ne sapeva di più. Appare nondimeno significativo il fatto che I. abate, il cui periodo di governo concorda pienamente con un eventuale suo discepolato giovanile alla scuola di Paolo Diacono († circa 799), ebbe come immediati successori tre monaci - Autperto, Bassacio, Bertario - tutti versati nelle lettere e per questo, in continuità l'uno con l'altro, testimoni di quanto fosse ancora vivo a Montecassino, nell'arco di oltre cinquant'anni dalla sua morte, il magistero culturale di Paolo Diacono. Sembra quindi logico supporre che I. abate non sia persona diversa dall'autore stesso dell'epitaffio di Paolo, di cui eloquentemente ricorda con pari dignità i vertici di dottrina ("omnia sophiae coepisti culmina sacrae") e la vocazione monastica ("subdita colla dare Benedicti ad saepta beati": Neff, p. 155).
Convergendo pertanto, senza gravi ostacoli né cronologici né ambientali, verso un'unica personalità sia i tratti di I. discepolo di Paolo sia quelli dell'omonimo abate cassinese, la figura di Ilderico di Benevento per le stesse coordinate cronologiche, che grazie al Chronicon Salernitanum storicamente lo definiscono (primi decenni della seconda metà del sec. IX), se ne distacca nettamente, non potendo in alcun modo essere identificato, come voleva G. Tiraboschi, con un "Ilderico Monaco Casinese" (Storia della letteratura italiana, III, Modena 1773, pp. 181, 202) e resta in ogni caso, nonostante le sue caratteristiche di filosofo, poeta e vir Dei, una figura evanescente, talché, come è stato scritto, "togliamolo da questo ambiente ed è subito netto come egli non abbia un solo connotato che lo identifichi meglio" (Oldoni, 1970, p. 911).
Resta ora da chiarire l'identità del "magister eruditissimus vir" autore dell'Ars grammatica serbata nel cod. Casin. 299. Testimone unico dell'Ars ildericiana, questo manoscritto, insieme con gli altri due, Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 7530 e Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 1086 (metà del sec. IX), forma una triade grammaticale tutta cassinese-beneventana, caratterizzata in particolare da una convergenza nell'uso di Prisciano così netta da far ipotizzare l'esistenza di una tradizione testuale derivante da un codice priscianeo x, dalla quale avrebbero attinto sia l'anonimo compilatore della miscellanea parigina, sia Orso eletto vescovo di Benevento nell'833 circa e autore dell'Adbreviatio dell'Ars maior di Prisciano presente nel già menzionato codice Casanatense vergato, come sembra, a Benevento, sia lo stesso I. autore dell'Ars grammatica cassinese (Lentini, 1975, p. 193).
Primo tra i codici grammaticali in beneventana oltre che vera e propria "synthèse cassinienne des arts libéraux" (Holtz, 1975), il già citato ms. parigino Fonds lat. 7530, localizzabile a Montecassino in anni compresi tra il 779 e il 797 grazie al suo calendario - corredato delle depositiones degli abati cassinesi - e alle tavole pasquali, è il più vivo riflesso della scuola cassinese fondata da Paolo Diacono e perciò specchio del suo programma pedagogico oltre che espressione dei nuovi orizzonti d'interesse verso le scienze profane - poesia, grammatica, aritmetica, geometria -, aperti dallo stesso Paolo. Oltre che sul piano della pura tradizione testuale - contiene per esempio il Liber de metris di Mallio Teodoro ed è tra l'altro testimone unico del De metris Horatii di Servio -, il manoscritto si segnala soprattutto nell'ambito della didattica delle arti liberali, in special modo per la preminenza attribuita alla grammatica e alla retorica sulla dialettica. Ma c'è un altro notevole testimone degli interessi grammaticali di Paolo, il codice Roma, Biblioteca Vallicelliana, Mss., A.18 (sec. XII), le cui glosse alle Etymologiae di Isidoro (Scholia Vallicelliana), ascritte da Claudia Villa (pp. 56-80), e con nuovi argomenti anche da Patrizia Lendinara (pp. 273-275), con ampie probabilità a Paolo Diacono, rivestono un particolare significato non solo per meglio definire le conseguenze dell'insegnamento paolino nella scuola cassinese, ma anche per far più piena luce circa l'identità dell'"Hildericus magister eruditissimus vir". A testimoniare gli stretti legami tra Paolo Diacono e gli Scholia Vallicelliana è la presenza in questi ultimi di tradizioni tipicamente cassinesi, come quella del De verborum significatu di Verrio Flacco e delle relative epitomi di Pompeo Festo e Paolo Diacono (Sexti Pompei Festi de verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, a cura di W.M. Lindsay, Lipsiae 1913), delle Instructiones di Eucherio e specialmente delle Fabulae di Igino, di cui il ms. Monaco, Bayerische Staatsbibl., Clm, 6437, consistente in soli cinque fogli vergati in beneventana durante l'esilio dei cassinesi a Capua nella prima metà del sec. X, è testimone unico se si eccettua l'esiguo frammento palinsesto in onciale conservato nel cod. Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat. 24 (V/VI sec.). D'altra parte è emblematico che proprio I. nella sua Ars grammatica mostri di aver recepito alcune concezioni, come la partizione settenaria dell'oratio, puntualmente riflesse dai soli Scholia. Del tutto innovativa rispetto alla tradizione irlandese-continentale saldamente legata al principio della suddivisione quinaria, l'attestazione settenaria rilevabile nell'Ars ildericiana non può non essere derivata dallo stesso autore degli Scholia (Paolo Diacono), come lascia inequivocabilmente supporre il parallelo fra lo stesso scoliaste vallicelliano - in ciò differente da Pietro di Pisa (cfr. Luhtala, p. 334 n. 25) o dal cosiddetto Donatus Ortigraphus (Ars grammatica, a cura di J. Chittenden, Turnhout 1982) - e I.: "Orationum genera.VII. sunt: est enim religata in metris, absoluta in prosa, allocutiva in epistulis, disputativa in dialogis, relativa in historiis, compta in rhetorica, clausa in dialectica" (Scholia Vallicelliana, in Villa, p. 70); "Orationum genera quot sunt? Septem. Quae? Allocutiva in epistolis, disputativa in dialogis, compta in retorica, clausa in dialectica, profusa in historiis, stricta in metris, plana in prosa" (Ars ildericiana: cfr. Lentini, 1975, p. 44). Ma c'è ancora un altro elemento che svela l'ascendenza paolina dell'Ars grammatica di I., ed è l'utilizzazione non solo delle principali fonti grammaticali antiche quali Pompeo, Diomede, Donato, Servio, il già citato Prisciano, Isidoro, ma anche della stessa Ars Donati di Paolo Diacono, cui vanno aggiunte le citazioni classiche, sia pure filtrate attraverso florilegi, da Virgilio, Giovenale, Ovidio, Plauto, Lucano, Stazio.
Alle comuni tradizioni testuali più sopra indicate, che rivelano un'interdipendenza fra manoscritti quali il parigino Fonds lat. 7530, il Casanatense 1086 e il Casin. 299, corrisponde una parallela omogeneità sul livello dell'ornamentazione, come ha dimostrato Giulia Orofino sottolineando in particolare i motivi delle rosette a quattro petali oblunghi, la cui presenza nelle iniziali del Casin. rinvia al parigino; non mancano altre affinità con un altro fondamentale manoscritto prodotto a Montecassino sullo scorcio del sec. VIII (Bamberga, Staatsbibl., Patr., 61), e recante le Institutiones di Cassiodoro, le cui iniziali puntinate sul bordo trovano un chiaro riflesso nella grande P colorata a p. 2 del Casin. 299 (Adacher, p. 190).
Tutto questo, se da una parte consolida la dipendenza di I. autore dell'Ars grammatica dal magistero di Paolo Diacono, dall'altra conferma pure l'origine cassinese del ms. 299, di recente corroborata da Francesco Magistrale in un'ampia e dettagliata analisi paleografica del codice di Montecassino; Virginia Brown, invece, ha mostrato qualche apertura per una derivazione da Benevento (p. 398: "The presumption [according to Lowe] is that Montecassino 299 was also written there. Palaeographically speaking, however, the script, in its general appearance, seems more characteristic of Benevento", non senza aggiungere tuttavia che "this may, of course, signify nothing in terms of authorship given the constant interchange, already referred to, between these two centers"). Per di più non a caso il ms. 299, oltre a recare nel margine inferiore di p. 1, quale nota di possesso, l'ex libris di Montecassino dei primi anni del sec. XVI, contiene anche alle pp. finali 215 s. la trascrizione di un excerptum grammaticale derivante dall'Ars maior di Donato (De adverbio: grammatici Latini, a cura di H. Keil, IV, 2, Lipsiae 1864, 385, 10-386, 31), vergato tra IX e X sec., in una beneventana e secondo una impaginazione di cui è certamente responsabile la stessa mano che ha vergato un altro frammento grammaticale del De participio ancora dall'Ars maior (ibid., 387, 17-388, 7), con identica disposizione del testo, alla p. 234 del cod. Casin. 187, prodotto nello scriptorium cassinese durante la seconda metà del sec. IX: un segno evidente che almeno già nel sec. X entrambi i codici dovevano trovarsi in una stessa raccolta libraria appartenente alla comunità monastica cassinese.
Sondate le fonti disponibili, è giusto ribadire anche come non siano del tutto privi di fondamento i dubbi, pur non gravi, di Lentini che non riteneva certa l'identità del discepolo di Paolo con l'omonimo abate cassinese, riconoscendo nondimeno che "per quanto riguarda la paternità della nostra grammatica, l'Ilderico abate deve essere escluso, se fu veramente distinto dal discepolo di Paolo"; lo stesso Lentini riconosce d'altra parte che fra tutti i possibili candidati è lui che "presenta i più validi titoli per esser riconosciuto autore" (1975, p. 184). Allo stato attuale, dunque, come rivela il "se" dello stesso Lentini, mancano seri argomenti per negare che l'I. abate cassinese tra l'834 e l'835 sia anche l'autore dell'epitaffio di Paolo Diacono, e per ciò in conclusione non si può non ammettere la piena plausibilità della posizione critica di coloro - e noi siamo tra essi - che identificano in un unico I. il discepolo di Paolo Diacono, l'autore dell'Ars grammatica che si conserva nel Casin. 299, e infine l'omonimo abate di Montecassino, nella serie abbaziale sedicesimo dopo s. Benedetto (Amelli, Neff, Manitius, Cavallo, Bloch, Magistrale).
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