CACCIACONTI, Ildibrandino (Aldobrandino di Guido de' Cacciaconti)
Figlio di Guido, il C. discendeva da una casata comitale della Tuscia di origine franca, i cui antenati erano stati denominati conti di Scialenga dal nome della loro principale sede di allora, Asciano. Findalla metà del sec. XII i Cacciaconti costituirono un ramo ben definito di questa grande famiglia nobiliare, il cui castello, a partire dal 1168, fu a più riprese sottomesso dal Comune di Siena. Dal 1220 circa i Cacciaconti parteciparono attivamente anche alla politica municipale senese senza cessare le relazioni con le grandi casate gentilizie della Tuscia meridionale: il C. era imparentato, per matrimonio, con i conti Aldobrandeschi.
Il C. viene ricordato per la prima volta nell'ottobre del 1216, quando egli, insieme col padre e con molti altri nobili della Tuscia, giurò per il conte Bonifazio ed i fratelli di lui la spartizione del dominio aldobrandesco che era stata concordata sotto l'egida del Comune di Orvieto. Nell'anno 1218, insieme con il padre e con i fratelli Cacciaconte e Rinaldo, liberò, in ottemperanza ad una sentenza arbitrale, dagli antichi oneri e servizi i coloni di Montisi, e stipulò con loro nuovi contratti di locazione. Nel 1220, in lite con altri nobili per certi possedimenti in Ciliano, si rivolse alla Curia romana; finì tuttavia col ritirare la querela e col conciliarsi amichevolmente con i suoi avversari, benché il papa Onorio III avesse già nominato dei giudici delegati. Nel 1233 il C. e suo fratello Cacciaconte si divisero le proprietà in Montisi e in Montorio. Con gli abitanti dei suoi castelli il C. ebbe a più riprese seri conflitti: nel 1233 dovette appellarsi ai giudici della contea di Arezzo per riuscire a far rispettare certi suoi diritti in Montisi, mentre nel 1251 lo stesso Comune di Siena si doveva intromettere per risolvere una controversia del C. con gli abitanti di Trequanda.
Sull'attività politica del C. sappiamo qualcosa solo a partire dal 1231, quando l'imperatore Federico II inviò il conte tedesco Gebhard von Arnstein come legato imperiale in Tuscia, dove due anni prima era scoppiata fra Siena, Orvieto e Firenze la guerra per il possesso di Montepulciano. Quando, nel maggio del 1231, la città di Siena comprò i servigi del legato imperiale per devastare il territorio di Montepulciano, il C. fu presente tanto alla prima stipula dell'accordo con Gebhard von Arnstein, quanto al pagamento del compenso stabilito. Sempre nello stesso anno prese parte alla campagna militare contro Orvieto, ma già verso la fine del 1231 accompagnava il legato imperiale a Reggio e a Bologna. Nell'ottobre e nel novembre del 1232 si trovava ancora al seguito di Gebhard von Arnstein, in particolare quando costui, in seguito a richiesta del podestà di Siena, ordinò al castellano di San Quirico d'Orcia di determinare mediante l'escussione di testimoni quali fossero i confini fra il territorio di Siena e quello di Orvieto. Nel dicembre del 1233 il C. operava in Toscana come "nuntius imperatoris"; egli chiese allora al Comune di San Gimignano una guida che conoscesse bene i luoghi. Nell'agosto del 1234 l'imperatore gli concesse, come ricompensa per i servigi sin'allora prestati, il castello di Serre di Rapolano, a sud-est di Siena, che da quel momento costituì insieme con Trequanda e Montisi la proprietà più importante dei Cacciaconti.
Quando Siena tentò per la seconda volta di strappare Grosseto al dominio dei conti Aldobrandeschi, il C. e suo fratello Cacciaconte negoziarono nel 1236 l'alleanza di Siena col conte Ildibrandino di Santa Fiora e con la madre di quest'ultimo, Imiglia (probabilmente una Cacciaconti), alleanza che indebolì talmente la posizione del conte Guglielmo Aldobrandeschi, da costringerlo a capitolare nonostante l'appoggio del pontefice. Nel settembre del 1236 il C. sostenne la causa del Comune di Siena anche dinanzi alla corte imperiale in Lombardia.
Nel maggio del 1238 l'imperatore Federico II nominò il C. podestà di Padova, probabilmente su proposta di Gebhard von Arnstein, che in quel tempo si trovava a Padova e che già in passato aveva scelto il suo predecessore, il conte Simone di Chieti. Il C. ricoperse il suo nuovo incarico sino ai primi di maggio del 1239 senza aver avuto la possibilità di imporsi personalmente, perché il vero padrone della città era Ezzelino da Romano. Durante la sua magistratura l'imperatore risiedette a Padova per parecchi mesi. Scaduto l'incarico, il C. si recò di nuovo presso il legato Gebhard von Arnstein, al cui seguito lo si incontra ancora per due volte nel 1239, a Castiglione Aretino e a San Miniato.
Quando, nell'aprile del 1240, a Siena scoppiarono disordini durante i quali il popolo rovesciò il regime dei grandi, fece cadere il podestà Manfredi di Sassuolo, ed installò come organo costituzionale del Comune il preesistente Consiglio dei XXIV, il C. sostituì il podestà espulso. In tal modo egli, nonostante la sua nobile discendenza, divenne - come il suo lontano parente Salvano Tolosani (1212-1213), e Ildibrandino Salvani, il camerlengo che lo affiancava - uno dei leaders politici del popolo di Siena. Delle riforme da lui promosse durante gli otto mesi in cui esercitò l'ufficio podestarile sono soprattutto degne di nota quella relativa al riordinamento dell'allibramento, che si prefiggeva una più giusta ed equilibrata ripartizione dei carichi fiscali, e quella relativa alla regolamentazione della vigilanza notturna.
Nel 1242 il C. andò, come podestà imperiale, a Città di Castello; lo accompagnava il giudice Cittadino, che già a Siena aveva fatto parte della sua "familia". Nel marzo invitò a Città di Castello due maestri veronesi dell'arte della lana, i quali, per sua iniziativa, si stabilirono con ventiquattro operai nella città umbra, dando così l'avvio ad un nuovo ramo industriale. Nell'autunno di quel medesimo anno 1242 prese parte, col "bando" di Città di Castello, alla spedizione lombarda di re Enzo, il quale in un documento chiama il C. suo "socius et familiaris". Da Città di Castello, quindi, il C. passò di nuovo a Siena, come podestà per l'anno 1243. Durante la sua assenza, lo aveva rappresentato nella città toscana il giudice della "magna curia" Alberto Nozardi, il quale, nel luglio del 1243, tentò di sostenere, insieme con il Consiglio di Siena, la libertà delle elezioni comunali contro le pretese imperiali di diritto di veto. Quando Viterbo, nel settembre del 1241 si ribellò all'imperatore, il C. inviò contingenti senesi a rinforzare l'esercito assediante di Federico II. Alla fine del 1243, scaduto il suo incarico a Siena, il C. si recò direttamente presso la corte imperiale, allora a Grosseto.
Nel 1244, in qualità di rappresentante di re Enzo, insieme col marchese di Saluzzo mediò il passaggio al campo imperiale di Bonifacio II, marchese di Monferrato. Nel 1246 fu podestà di Arezzo. Probabilmente comandò il "bando" della città che nel 1246 combatté sotto Marino da Eboli presso Spello (Perugia) contro i cavalleggeri della Chiesa romana. In questo periodo il C. si guadagnò la piena fiducia del vicario generale per la Tuscia, Federico di Antiochia, che lo chiamo in seguito più volte alla sua corte, e nel 1250 gli affidò il comando di un esercito imperiale che operò nella regione di Arezzo. Quando il Comune di Siena, nel tentativo di compensare gli scacchi subiti in Maremma, scese nuovamente in campo contro gli Aldobrandeschi (primavera del 1251), Il C. difese la causa della città come la sua propria. Dietro suo consiglio, il conte Ildibrandino di Santa Fiora ruppe l'alleanza con Orvieto e rinnovò gli antichi patti con Siena. Quando, nel luglio del 1251, si aprì una nuova lite tra il conte e Siena per il possesso di Grosseto, il Consiglio di Siena affidò al C. e a nove "buoni uomini" il compito di risolvere la vertenza.
Nel giugno del 1251 Siena, Pisa e Pistoia strinsero in funzione antifiorentina la lega ghibellina della Tuscia, cui aderirono, nel corso dei successivi sei mesi, anche i fuorusciti fiorentini e pratesi, i conti Guidi, gli Ubaldini, ed altri nobili della Tuscia settentrionale. Nominato dal Consiglio di Siena fra i tre capitani della lega, il C. ne fu - a quanto sembra - il vero e proprio capo politico. A lui venne affidato il denaro che i tre Comuni avevano stanziato per le spese comuni; a lui furono conferiti i pieni poteri non solo per definire i doveri degli alleati, stabilire gli indennizzi per gli sbanditi ghibellini, pagare il soldo ai cavalleggeri tedeschi arruolati dalla lega, ma anche per prendere decisioni politiche. Fu con lui - o con suo fratello Cacciaconte - che, da Vicenza, il re Corrado IV si mise in relazione, alla fine del 1251, quando partì per la Sicilia. Ciononostante, i ghibellini della Tuscia non potevano attendersi dal sovrano tedesco un aiuto immediato contro il partito guelfo, che si andò via via rafforzando.
Nel 1252 il C. tornò per la seconda volta come podestà ad Arezzo, dove i ghibellini, grazie all'aiuto della lega, avevano riconquistato il potere. In questa città, nell'agosto, ricevette un corriere senese, che doveva trattare con lui per un nuovo "bando"della lega. È probabile che il C. sia morto poco dopo il suo rientro da Arezzo, comunque prima del luglio del 1254. Non giunse dunque a vedere, a quanto pare, il fallimento della politica ghibellina promossa da Siena negli anni 1253-1254.
Poiché il C. si schierò sempre, con estrema coerenza, a sostegno della politica imperiale di Federico II in Toscana, Salimbene de Adam lo ricordò tra i "principes quos habuit Fridericus", ponendolo perciò sul medesimo piano di Gualtieri di Manoppello, di Riccardo Filangieri, di Pandolfo di Fasanella, e, addirittura, di Pier della Vigna, sebbene il C. non abbia mai ricoperto una carica così alta da potersi paragonare a costoro, e non abbia raggiunto il culmine della sua carriera politica prima del 1251. Invece il papa Innocenzo IV nel 1247, quando annullò l'elezione ecclesiastica di un altro Cacciaconti, lo annoverava tra i "persecutores ecclesiae". Il problema se il C., che nella tradizione storica senese portò il soprannome onorifico di "grande del popolo", possedesse già i tratti caratteristici del "signore" rinascimentale italiano - come pensa il Sestan - è destinato a rimanere insoluto per la mancanza di notizie più precise sulle qualità personali che caratterizzavano il feudatario senese.
Fra i parenti del C., il fratello Cacciaconte (1213-1251) si segnalò soprattutto nel 1236-1237 e nel 1251 nelle campagne contro i conti Aldobrandeschi come alleato e sostenitore dei Senesi. Anch'egli fece più volte parte del seguito del legato imperiale Gebhard von Arnstein, o del vicario generale Pandolfo di Fasanella. Uno dei figli del C., Ranuccio (morto prima del 1291), sposò Ildibrandesca, figlia del conte Guglielmo Aldobrandeschi (morto nel 1254), e perciò, dopo la morte del padre, rappresentò regolarmente Siena nelle nuove trattative con il conte Ildibrandino di Santa Fiora. Un altro figlio, Bonifacio, operò in Tuscia come partigiano di Corradino di Svevia. Gli ultimi due, di nome Rinaldo e Cacciaconte, scelsero il sacerdozio: a partire dal 1247, nonostante l'opposizione del papa, Rinaldo occupò per alcuni anni la prepositura di S. Stefano di Prato, mentre Cacciaconte, arcivescovo eletto di Cosenza, morì nel 1288 come vescovo di Cremona. Tuttavia, i nipoti del C. a causa delle spartizioni del patrimonio di famiglia si erano così immiseriti che nel 1301 i figli di Bonifacio dovettero vendere al fiorentino Musciatto dei Franzesi il castello di Trequanda. Del resto, già nel decennio precedente i figli di Ranuccio avevano perduto i loro diritti su Montisi, o li avevano legati, per testamento, all'ospedale senese di S. Maria della Scala.
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