ILDUINO
Di I. si ignorano il luogo e la data di nascita; quest'ultima può comunque essere posta nell'ultimo decennio del IX secolo, dato che la sua elezione a vescovo di Liegi avvenne nel 920.
La cattedra vescovile di Liegi, istituita da s. Uberto nel 718, era molto importante per il controllo della Lotaringia. Il controllo politico della regione era, alla fine del IX secolo (circa 895-900), nelle mani del figlio naturale di Arnolfo di Carinzia, Sventiboldo, ma questi incontrò la forte opposizione di un potente signore locale, il conte di Hainaut, Reginaro (Ranieri), alleato del re di Francia, Carlo III il Semplice. Il figlio di Reginaro, Gisleberto, smise progressivamente di sostenere Carlo III, fino a vedersi riconoscere il titolo di duca di Lorena da parte di Enrico I di Sassonia, da cui ebbe in sposa la figlia Gerberga (925).
Alla morte del vescovo Stefano, avvenuta il 19 maggio 920, Gisleberto sostenne l'elezione di I., un prete di quella diocesi, che fu consacrato dall'arcivescovo di Colonia Ermanno I. Secondo Flodoardo l'elezione fu però revocata da Carlo il Semplice quando seppe che I., insieme con Gisleberto, gli era avverso.
Carlo il Semplice accusò I. di essere un suddito infedele, di avere costretto l'arcivescovo Ermanno a consacrarlo e di avere mentito in modo spudorato e sacrilego giurando di essere stato designato dal re alla sede di Liegi. Il re di Francia voleva conferire il vescovato di Liegi a Richerio, abate di Prüm, e denunciò quindi I. all'imperatore Berengario e alla S. Sede. Giovanni X, da parte sua, rimproverò Ermanno di Colonia per aver consacrato I. dietro pressione di Gisleberto e senza la sanzione di Carlo; ingiunse quindi a Ermanno e ai due rivali di presentarsi a Roma entro la metà di ottobre del 921 o al massimo entro il 1º aprile dell'anno seguente. Ermanno sostenne di aver ceduto alle pressioni di Gisleberto e non si recò a Roma, adducendo come scusa l'età avanzata e l'infermità; i due avversari, al contrario, obbedirono all'ingiunzione pontificia, ma I. alla fine non si presentò davanti al papa e fu scomunicato, mentre Richerio ebbe l'incondizionata approvazione pontificia (922).
I. ricompare nelle fonti solo alcuni anni dopo ed è ricordato al seguito di Ugo di Provenza - al quale era legato, secondo Liutprando, da vincoli di parentela - quando questi fu incoronato re d'Italia a Pavia nel luglio del 926 ("Ildoinus Laudociensis ecclesiae episcopus, propria sede expulsus ad Hugonem regem, cui affinitatis linea jungebatur, in Italiam venit", p. 72). Insieme con I. partì Raterio, monaco dell'abbazia di Lobbes, che, secondo le fonti, all'epoca della contestata elezione al soglio episcopale di Liegi si era schierato dalla parte di Ilduino.
I due dovettero rimanere in Italia e continuare a far parte dell'entourage di Ugo fino a quando, nel 928, morì il vescovo di Verona Notgero e Ugo concesse a I. l'amministrazione provvisoria di quella diocesi, in attesa di insediarlo nella sede di Milano, il cui arcivescovo, Lamberto, era molto anziano e malato: l'assegnazione provvisoria era motivata dal fatto che si sarebbe evitata così la traslazione da una sede episcopale a un'altra, vietata dai canoni dell'epoca. A Raterio, che si era stabilito anch'egli a Verona insieme con I., Ugo promise la successione veronese non appena si fosse resa vacante per I. la cattedra ambrosiana. Nel mese di giugno dell'anno 931 morì Lamberto e I., chiamato a succedergli, inviò a Roma Raterio per chiedere l'approvazione del papa e il pallio. Raterio in quell'occasione sostenne anche la propria causa e si fece dare dal papa, Giovanni XI, lettere per il re Ugo, divenuto nel frattempo incerto in merito alla questione della successione veronese, nelle quali il sovrano veniva sollecitato a sostenere l'elezione di Raterio nella sede vacante, che avvenne infine nell'agosto del 932. La nomina di Raterio alla cattedra episcopale veronese non fu accolta con favore da Ugo, ma poiché il suo potere era piuttosto instabile, non ancora rafforzato dal matrimonio con Marozia, figlia del senatore romano Teofilatto e madre di Giovanni XI, egli preferì non contrastare la volontà del papa, pur continuando a temere la forte personalità di Raterio e quindi il rafforzamento dell'autorità vescovile di Verona.
Al successivo conflitto tra Ugo e Raterio, che andava già allora delineandosi, potrebbe non essere stato estraneo Ilduino. Le fonti non dicono come avvenne il mutamento di condotta di Ugo nei confronti di Raterio, ma è facile immaginarlo: a parere di alcuni studiosi già nel corso del soggiorno veronese di I., Raterio aveva fatto conoscere i suoi propositi di riforma, sgraditi a Ugo; inoltre ad alimentare la diffidenza di Ugo contribuì forse la stessa condotta di I. che, almeno a giudicare da alcuni passi dei Praeloquia di Raterio, non solo non lo difese dagli attacchi del sovrano, ma parlò espressamente in suo sfavore. La frattura tra I. e Raterio si creò probabilmente in occasione della discesa in Italia di Arnolfo di Baviera. Questi infatti, nell'intento di contendere a Ugo la corona del Regno d'Italia, ebbe probabilmente in tale occasione il sostegno dei Veronesi. Ugo, che si trovava a Pavia, avuta la notizia della discesa del duca di Baviera, gli andò incontro con un esercito e lo sconfisse, riprendendo così il controllo di Verona.
Le fonti principali di questi eventi sono Liutprando, che sostiene la colpevolezza di Raterio, e lo stesso Raterio, che nei suoi Praeloquia racconta queste vicende, in termini meno sbrigativi di Liutprando ma comunque con molte reticenze. Tra il momento in cui Ugo riprese Verona e l'arresto di Raterio passò un certo periodo di tempo: la città infatti fu riconquistata tra la fine del 934 e i primi di gennaio del 935. Il 2 febbraio, nel giorno della Purificazione di Maria, celebrato solennemente dal vescovo, alcuni suffraganei rifiutarono di dare a Raterio il bacio della pace accusandolo di avere partecipato alla congiura contro il sovrano. Dopo questo incidente, alcuni soldati di Ugo fecero irruzione nella città e catturarono il vescovo, senza però ucciderlo, poiché credevano che fosse parente del re. Raterio, una volta nelle loro mani, cercò in tutti i modi di salvare se stesso e gli altri prigionieri ricorrendo, stando a quanto racconta, all'aiuto di un amico, il cui nome non è citato espressamente nei Praeloquia, ma che Pavani ha supposto fosse I.; questi indusse Raterio a convocare i cittadini più illustri della città per chiarire i ruoli dei congiurati e prepararsi all'inchiesta che il re avrebbe sicuramente condotto. Fu quindi scritta al re una lettera di richiesta di perdono e firmata, tra gli altri, anche da Raterio; l'arcidiacono Arsone, che la consegnò al sovrano, dichiarò che la lettera era stata scritta per suggerimento di Raterio stesso, il quale finì così per figurare come il maggiore, se non unico, artefice della rivolta. In seguito a questi avvenimenti il presule fu imprigionato e rimosso dalla carica veronese che tornò a ricoprire solo nel 946.
Non si hanno molte altre notizie su Ilduino. Si sa che, negli anni in cui fu arcivescovo di Milano, Ugo gli impose di accettare come arcidiacono presso la sua sede un suo figlio illegittimo, Teobaldo, nato dalla romana Stefania, con la speranza che ne diventasse il successore. Il fatto dovrebbe risalire al 936, anno in cui Teobaldo aveva forse tre anni. Ugo, ben conscio che nella sede milanese vigeva il diritto che il metropolita fosse scelto "ex maioris ecclesiae praecipuis cardinalibus" (Gesta archiepiscoporum, p. 7), volle che suo figlio ricevesse la tonsura, ma I. morì il 23 luglio di quello stesso anno e il sovrano favorì allora l'elezione dell'anziano Arderico, il quale, contro le previsioni di Ugo, visse ancora a lungo.
Fonti e Bibl.: Flodoardus Remensis, Annales, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Script., III, Hannoverae 1839, pp. 369 s.; Folcuinus, Gesta abbatum Lobbiensium, a cura di G.H. Pertz, ibid., IV, ibid. 1841, ad ind.; Arnulphus, Gesta archiepiscoporum Mediolanensium, a cura L.C. Bethmann - W. Wattenbach, ibid., VIII, ibid. 1848, ad ind.; Liudprandus, Antapodosis, in Liudprandi episcopi Cremonensis opera omnia, a cura di E. Dümmler, ibid., Script. rerum Germ. in usum scholarum, XLI, ibid. 1877, ad ind.; Iohannes X, Epistolae, in Recueil des historiens des Gaules et de la France, IX, Paris 1874, pp. 215 s.; Caroli SimplicisEpistola ad episcopos… adversus Ilduinum, ibid., pp. 297 s.; G. Pavani, Un vescovo belga in Italia nel secolo X. Studio storico-critico su Raterio di Verona, Torino 1920, pp. 16-37; G. Monticelli, Raterio vescovo di Verona (890-974), Milano 1938, pp. 26-54; C.G. Mor, Spigolature storico-giuridiche dall'epistolario rateriano, in Studi storici veronesi, IV (1955), pp. 45-56; Id., Dalla caduta dell'Impero al Comune, in Storia di Verona, II, Verona 1964, pp. 102 s.; Diz. della Chiesa ambrosiana, III, Milano 1989, pp. 1578 s.